Introduzione
alla questione basca.
Sintesi
della questione sino all'agosto 2000. REDS. Settembre 2000.
I
baschi vivono in un territorio che viene da loro chiamato Euskal Herria, diviso
tra Spagna e Francia. Quello sotto amministrazione francese si chiama "Iparralde"
e comprende tre province: Lapurdi (Labourd), Nafarroa Beherea (Baja Navarra)
y Zuberoa (Soule). Non ha una esistenza amministrativa, ufficialmente è
un territorio interno al dipartimento dei "Pirenei Atlantici" che
fa parte della regione di Aquitania. L'insieme delle province sotto amministrazione
spagnola si chiama "Hegoalde" ed è formato da due comunità
autonome: la "Comunidad Foral de Navarra" e la "Comunidad Autónoma
Vasca", formata dalle province di Alava, Bizkaia y Gipuzkoa. Il
popolo basco é tra il più antico sul nostro continente. La sua
lingua, l'euskera, oggi parlato da circa 700.000 persone, è l'unica
sopravvissuta alle invasioni delle popolazioni indoeuropee (8.000-6.000 anni
fa). Sottomessi ai romani nel 58 a.C. non si romanizzarono mai e nei secoli
successivi sino alla metà del secolo XIX riuscirono sempre a strappare
"privilegi" che consentivano loro di mantenere una certa autonomia
dai vari sovrani spagnoli e francesi. Nella seconda metà del XIX secolo
la forte centralizzazione monarchica e statale innescò un potente movimento
di resistenza e ribellione che dura tuttoggi. I baschi si schierarono risolutamente
contro il franchismo negli anni trenta la cui rivolta era stata innescata
anche dalla concessione dell'autonomia ai baschi. La dittatura fece pagare
caro ai baschi la loro opposizione. Dal 1937 alla metà degli anni cinquanta
fu proibito l'insegnamento dell'euskera, così come il suo impiego nei
media, nelle cerimonie religiose e nei luoghi pubblici. I libri in basco venivano
bruciati pubblicamente, non venivano ammessi nomi baschi al battesimo e tutti
i nomi baschi venivano tradotti in spagnolo nei documenti ufficiali. I parlanti
la lingua basca sono oggi circa 700.000. Con
la morte di Franco e l'inizio della transizione alla fine degli anni settanta
fu concessa l'autonomia che rappresentò un compromesso tra il massimo
che poteva accettare lo stato spagnolo (riconoscimento formale dei diritti
storici ma affermazione istituzionale dell'unità della Spagna) e il
minimo di sovranità che la maggioranza nazionalista del popolo basco
esigeva (diritto all'autodeterminazione e unità territoriale). La maggioranza
del popolo basco ha vissuto lo statuto come un ricatto centralista e ciò
ha generato un sentimento di frustrazione nazionale che spiega il sostegno
sociale alla resistenza armata. La costituzione del '78 fu approvata solo
dal 31% dei voti espressi nei Paesi Baschi, e il 56% seguì l'appello
al boicottaggio lanciato dall'insieme dei partiti nazionalisti; il referendum
sullo statuto d'autonomia fu approvato dal 53% dei votanti con il 41% di astesioni,
espressione del rigetto espresso dal nazionalismo radicale; il referendum
per l'entrata della Spagna nella NATO fu approvato solo dal 21% dei votanti.
La costituzione spagnola esplicitamente respinge il diritto all'autodeterminazione,
ha diviso il territorio basco in due regioni indipendenti (Comunità
Autonoma Basca e Navarra) e ha privato le nazionalità di potere legislativo
autonomo. L'autonomia
ha comunque gettato le basi di una solida amministrazione nazionale (parlamento
e governi autonomi) pur in un regime di tutela da parte dello stato centrale.
La polizia basca é autonoma anche se non può occuparsi nei fatti
dei reati legati al terrorismo; in materia fiscale i Paesi Baschi prelevano
le imposte e dispongono di una assoluta indipendenza nell'amministrare il
budget, cosa che ha permesso una politica più progressista del resto
della Spagna; si é rafforzata l'università pubblica basca mentre
l'insegnamento dell'euskera si dà in tutti gli istitui scolastici.
C'é però un deficit di democrazia del tutto evidente dato che
la nazione basca non é libera di determinare il proprio destino nazionale,
e ciò ha delle conseguenze assai visibili: ad esempio la legislazione
antiterrorista causa la limitazione della libertà di espressione (chiusura
del giornale Egin), la detenzione dei prigionieri politici a centinaia di
chilometri dai Paesi Baschi, l'organizzazione di apparati paralleli illegali
(il PSOE è direttamente responsabile delle azioni omicide dei GAL),
condanne giudiziarie senza prove, mentre la tortura è una pratica diffusa.
La separazione della Navarra ha bloccato le relazioni con i Paesi Baschi nell'evidente
disegno centralista di creare una identità nazionale autonoma in Navarra,
incoraggiato dal fatto che decenni di repressione hanno portato la maggior
parte della popolazione di quella regione a parlare castigliano. Inoltre ogni
concessione si é dovuta strappare dopo lotte esacerbate contro l'opposizione
non solo della destra, ma anche del PSOE che accusava i baschi di "voracità
nazionale" e cercava di giustificare "da sinistra" l'allineamento
con il nazionalismo spagnolo (i baschi visti come borghesi e razzisti, mentre
gli spagnoli immigrati nella regione visti come base operaia, socialista e
universalista, priva di "pregiudizi nazionali") e questo nonostante
che il partito socialista durante i 40 anni di partecipazione al governo basco
in esilio avesse sempre difeso le rivendicazioni di autodeterminazione nazionale
e l'unità territoriale di Euskal Herria. I
baschi hanno sempre considerato il PNV (Partito Nazionalista Basco), partito
nazionalista moderato di tipo democristiano, come espressione politica dei
propri interessi nazionali fino agli anni settanta quando prese forza un nazionalismo
di sinistra che poi ebbe la sua massima rappresentanza politica in Herri Batasuna
e oggi in Euskal Herritarrok (EH), e a livello sindacale nel sorgere di un
sindacalismo combattivo allo stesso tempo nazionalista e classista (ELA e
LAB). Questo nazionalismo di sinistra ha sempre criticato il PNV sul piano
nazionale (per aver accettato lo statuto di autonomia come fase transitoria)
ed é nettamente agli antipodi sul piano di classe, dato che il PNV
è strettamente legato alla borghesia basca. La lotta dei baschi è
sempre stata accompagnata dalla attività militare dell'ETA che ha goduto
di una certa simpatia di massa, anche se certo non maggioritaria. La sinistra
spagnola, socialista (PSOE) e comunista (oggi Izquierda Unida che ha al suo
interno il PCE come forza principale) e le centrali sindacali da questi settori
influenzate, UGT e CCOO, si è sempre distinta per un sostanziale allineamento
con le posizioni del nazionalismo spagnolo, anche se con diverse sfumature.
Nei Paesi Baschi così si sono avute spesso alleanze incrociate: sul
piano nazionale (quando cioé si trattava di rivendicare i diritti del
popolo basco) si davano spesso alleanze tra PNV e sinistra basca, contro il
Partido Popular (PP, il partito attualmente al governo in Spagna) e la sinistra
(PSOE ma a volte anche IU) che difendevano "l'unità nazionale"
della Spagna, mentre sul piano di classe la sinistra basca si vede al fianco
UGT e CCOO contro le politiche liberiste di PP e PNV. Nel
1998 si é innescata una dinamica estremamente interessante che ha portato
all'"accordo di Lizarra" che ha visto insieme i partiti nazionalisti
(PNV, EH, ecc.), i movimenti sindacali e sociali baschi (ed anche IU dei Paesi
Baschi in un primo momento) e che prevedeva una prospettiva di riappropriazione
del destino della nazione basca nella logica dell'autodeterminazione. Per
la prima volta venivano messi da parte decenni di settarismo tra organizzazioni
nazionaliste. L'accordo era stato propiziato dalla tregua unilaterale dichiarata
da ETA. Questo processo era accompagnato da un clima di fortissima mobilitazione
sociale. Nel giugno del 1999 il governo apriva una specie di dialogo diretto
con ETA, che si interrompeva in agosto per la chiara volontà del governo
di non andare a fondo (continuavano gli arresti e le provocatorie dichiarazioni
secondo le quali ETA era ridotta a poche decine di individui). Alle aspettative
di massa create dalla dinamica aperta con Lizarra, il governo di Aznar spalleggiato
dal PSOE ha opposto un muro. A novembre ETA annunciava la fine della tregua
a partire da dicembre. E' del 21 gennaio la prima vittima di ETA dopo la fine
della tregua, un tenente colonnello dell'esercito, che inaugura una stagione
di attentati che porta in agosto a nove il totale delle vittime tra i quali
esponenti del PSOE, del PP, e anche dello stesso PNV. A partire da questi
attentati si è scatenata in Spagna una campagna isterica antibasca
senza precedenti mirante a dividere la società basca tra autoctoni
e discendenti dell'immigrazione spagnola. Il clima di mobilitazione di massa
è in caduta libera.