Aderire a Basta ya! è un errore!
Lettera aperta ai premi nobel G. Grass e J. Saramago di Joseba Alvarez e Anjel Mari Elkano. "Avete dato la vostra adesione ad un'iniziativa che distorce la realtà del nostro Paese." Traduzione di Marco Alciati, dal sito del PRC di Brescia. Gennaio 2001.

Signori Günter Grass e José Saramago: permettetici di rivolgerci, non esclusivamente, ma in particolar modo, a voi, entrambi Premi Nobel per la letteratura, che insieme a scrittori di diverse nazionalità avete aderito all'iniziativa civica «Basta Ya». E' un errore.

Avete dato la vostra adesione ad un'iniziativa che distorce la realtà del nostro Paese. La Costituzione spagnola e gli statuti di autonomia da essa derivati, uno per la Comunità Autonoma Basca e uno per la Comunità Forale di Navarra, non costituiscono assolutamente «ciò che ci unisce», ma esattamente ciò che ci separa. Posto che entrambe le comunità sono, al di là delle contingenze storiche, una sola: la Basconia.
Siamo un piccolo Paese, smembrato in tre comunità e sottomesso a due Stati. Sì, tre comunità. Perché una parte del nostro paese si trova fuori dalla giurisdizione spagnola, dalla sua Costituzione e dai suoi statuti, anche se non, ovviamente, fuori dalla sua giurisdizione (si dice così?) poliziesca, con o senza il Trattato di Schengen: la Gendarmeria francese e la Guardia Civil spagnola praticano da anni un gemellaggio perfetto, permettendo, per esempio, che 28 cittadini baschi fossero assassinati dai GAL negli anni 80 o che centinaia e centinaia fossero estradati, espulsi o sempicemente consegnati ai commissariati spagnoli, dove, come ben sapete, o dovreste sapere, noi cittadini baschi riceviamo un trattamento squisitamente persuasivo. Ci stiamo riferendo all'ufficioso Pays Basque-Français, ufficioso perché ufficialmente neppure esiste come tale, essendo inglobato in uno di quei ferrei istituti giacobini che si chiamano Dipartimenti, precisamente nel Départément des Pyrénées Atlantiques (in passato des Basses Pyrénées), nome la cui connotazione piuttosto offensiva venne, bien sûr, cambiato puntigliosamente dalla ineffabile politesse parigina. Cosicchè siamo un mini-Kurdistan. Più piccolo, benché, come tutti, anche noi ci arroghiamo il diritto di scrivere in maiuscolo il nome della nostra nazione: Euskal Herria, Paese Basco, Pays Basque, Basque Country. Per noi Navarra, Navarre, Nafarroa non sono che sinonimi.

Ciò che voi, in appoggio alla piattaforma unionista pro-spagnola, considerate che «ci unisce», è, precisamente, la radice della nostra disunione. La Costituzione spagnola, che non venne approvata dalla maggioranza del nostro Paese nel 1978 (dato fondamentale che, forse, vi è sfuggito) proibisce tassativamente il diritto all'autodeterminazione del nostro popolo: per favore, leggete il suo articolo VIII, nel quale si da carta bianca all'esercito per intervenire a ferro e fuoco, chiaro, come a Gernika, nel caso in cui qualcuno osi attentare contro l'unità indissolubile della nazione spagnole, unica detentrice della sovranità. Lo stesso si potrebbe dire, in termini identici o simili, dello Stato francese, per quel che
riguarda la parte del nostro Paese sotto la sua giurisdizione. Chauvin era cittadino francese; non c'è dubbio che aveva ed ha buoni allievi su entrambi i versanti dei Pirenei.

Nonostante tutto, questo conflitto politico può essere risolto per vie democratiche. Nessuno, qui, è tanto pazzo da preferire la guerra alla pace, se non chi pretende di imporre la resa incondizionata a quanti di noi desiderano che il nostro Paese sia riconosciuto e rispettato come tale. Noi, gli indipendentisti baschi, prospettiamo una situazione, a corto o medio termine, uno «scenario», come si dice ora in gergo politico, nel quale tutti i cittadini baschi, senza eccezioni né esclusioni, possiamo rispondere alla grande domanda tabù, formulata semplicemente in questo o in un modo simile: «vuoi continuare ad essere cittadino basco-spagnolo / francese, o preferisci essere cittadino basco in una Euskal Herria indipendente?» E, ci piaccia o no il risultato di questo referendum, siamo disposti ad accettarlo. Possono dire lo stesso i cittadini spagnoli o francesi, compresi gli abitanti del nostro Paese che tali si considerano? Potrebbero dirlo, evidentemente, ma oggi nulla appare più lontano dalle loro menti. Chi, dunque, impone a chi? Chi è democratico e chi no? Questo, e non altro, signori, è il nodo gordiano della questione.

Possiamo parlare di violenza, certo, nonostante la nostra analisi sia solita essere sempre, non solo male interpretata, ma criminalizzata. Nello Stato spagnolo, se ci concedete la metafora, vengono incarcerati i meteorologi. Se voi, analizzando i millibar della pressione atmosferica, la direzione di venti, cicloni e anticicloni, vi azzardate a prevedere una burrasca nel Golfo di Biscaglia e questa burrasca, effettivamente, si scatena, il giudice Garzòn di turno, ovviamente eseguendo ordini superiori, vi accusa di averla causata. Sono molti i compagni detenuti per questo motivo e molti lo siamo stati in passato e lo saremo in futuro; ciononostante, noi firmatari di questa lettera, facciamo parte della direzione collegiale di una formazione politica denominata Herri Batasuna (Unità Popolare), ancora legale, benché costantemente saccheggiata e violentata dal CESID (Servizio segreto spagnolo, n.d.t.), dalla polizia e dalla magistratura spagnole e, in questa veste, non possiamo sottrarci alla responsabilità di informarvi di alcuni fatti. Durante la tregua, l'organizzazione armata ETA ha rispettato scrupolosamente i suoi impegni. Gli Stati spagnolo e francese hanno arrestato, in quel periodo, 134 cittadini baschi, compresi alcuni membri della delegazione che ha partecipato alle trattative con i rappresentanti del Governo spagnolo a Zurigo; 48 delle persone arrestate hanno denunciato, o hanno dichiarato pubblicamente, di essere stati torturati dalla polizia spagnola; sono state eseguite 12 estradizioni o espulsioni da diversi stati, soprattutto dalla Francia; il militante di ETA Joselu Geresta è stato arrestato, torturato, drogato e messo «in libertà», con un chip inserito nella dentatura, in modo da poter essere seguito, e assassinato dopo una settimana da coloro che lo sorvegliavano, con l'aggravante della simulazione di un suicidio, nel modo più ignobile che si possa immaginare. Il governo spagnolo, durante il periodo della tregua, si è vantato ripetutamente del fatto che «lo Stato non è in tregua» ed ha continuato a non rispettare le sue stesse leggi in materia penitenziaria, mantenendo la dispersione dei circa 600 prigionieri politici baschi praticamente in tutte le carceri del territorio spagnolo, prendendosi gioco dei detenuti, delle loro famiglie, dei loro amici e persino delle risoluzioni di diverse istituzioni; così è stato interpretato quasi unanimemente dalla società basca il trasferimento di un pugno di prigionieri dalle carceri delle Isole Canarie e Baleari ad istituti della penisola, attuato come presunto gesto di magnanimità e distensione.

Non proseguiamo, Signori Grass e Saramago. Sarebbe un insulto alla vostra intelligenza cercare ora di trarre conclusioni, commenti o altro. Restiamo a vostra disposizione per dialogare con voi, dove e quando vorrete. Ed è ora, alla fine di questo scritto, che vogliamo formularvi una richiesta: adoperatevi per una soluzione dialogata di questo conflitto. Voi, il cui compito è proprio dare ossigeno al vero significato delle parole sacre, come libertà, democrazia, potete farlo. Diversamente, temiamo che continueremo a restare nella schizofrenia collettiva e mai arriveremo a concludere, per esempio, se i crociati hanno o meno partecipato alla conquista e conseguente massacro di Lisbona, signor Saramago, o continueremo a piangere di rabbia e a battere il nostro tamburo di latta, signor Grass, come Oskar Matzerath-Bronsky, indecisi fra Danzig e Gdansk, quando, in realtà, vogliamo solo essere ciò che siamo: un Paese piccolo e libero, con la sua cultura, con il suo saper stare al mondo. E' chiedere troppo?