Ritratto
dell'indipendentismo basco.
Intervista a cura di REDS al "Comitato Euskadi Bari-Bariko Euskadi
Batzordea" sulla situazione politica e sociale, la repressione, il sentimento
nazionale e il movimento indipendentista progressista dei Paesi Baschi. Febbraio
2002. Per abbonarsi alla mailing list del Comitato: euskadibari@hotmail.com.
Il
Comitato Euskadi Bari nasce nel 1997 dopo un viaggio-vacanza di alcuni
compagni nei Paesi Baschi del Sud (quelli sotto il controllo spagnolo); durante
il mesetto passato nelle province basche, soprattutto per partecipare alle
numerose feste che animano l'estate, abbiamo avuto la possibilità di
conoscere da vicino il paese, la sua gente, la sua antica e millenaria cultura
e di venire in contatto con un movimento popolare e di massa unico nel suo
genere in Europa. Da quel momento abbiamo deciso di dedicare come compagni
internazionalisti una parte della nostra attività politica alla controinformazione
sulla realtà basca di cui stampa e televisione danno una immagine distorta
e non obiettiva. Certo, nessuno è obiettivo, ma i mezzi di informazione
danno solo quelle notizie che lasciano filtrare i mezzi di stampa ed il governo
spagnoli e non fanno alcun lavoro di inchiesta giornalistica. Così
passano le numerose notizie sull'attività armata di ETA, ma nulla viene
detto delle profonde e storiche ragioni del conflitto tra i Paesi Baschi e
gli stati spagnolo e francese; viene erroneamente e strumentalmente accomunato
l'indipendentismo basco ai deliri della Lega Nord; vengono taciute le azioni
dei paramilitari spagnoli e la copertura che il governo di Madrid dà
alle violazioni dei diritti umani nella lotta all'indipendentismo. Addirittura
viene accomunato tutto l'indipendentismo all'attività armata di ETA,
ignorando o criminalizzando le mille forme di lotta e di disobbedienza che
si producono nei Paesi Baschi e che farebbero invidia a qualsiasi società
civile. Questo solo per citare alcune cose! Il
governo Aznar sta approfittando della "campagna mondiale contro il terrorismo"
per mettere nella stessa sacca anche l'indipendentismo basco. Ci potete descrivere
i fatti salienti dell'ondata repressiva che si è scatenata nei Paesi
Baschi? Un
ruolo notevole in questa strategia la sta avendo tra gli altri il giudice
Garzon che però è spesso considerato a sinistra un "compagno".
Ci potreste fare un breve ritratto del personaggio? Nelle
ultime elezioni la sinistra indipendentista ha subito un certo ridimensionamento.
Quali sono state e sono le interpretazioni che circolano nella sinistra basca? Nella
sinistra basca vi è un certo dibattito sulla strategia portata avanti
da ETA e sulla necessità o meno di una nuova tregua. Ci potete descrivere
le caratteristiche di questo dibattito? Nei
mass media spesso l'(ex)indipendentismo irlandese è salutato come l'esempio
"buono", da seguire anche da parte dei baschi. Ci potete dire le
differenze che esistono tra le due situazioni e come è vissuto nei
Paesi Baschi il cosiddetto processo di pace in Nord Irlanda? Sulla
nostra rivista portiamo avanti da tempo una riflessione sulla necessità
che la sinistra rivaluti la questione nazionale (ovviamente dei popoli oppressi,
non certo il nazionalismo degli imperialismi) come parte di una strategia
di alleanze per rendere davvero possibile "un altro mondo". A che
punto è questo dibattito in Spagna? Quali rapporti ci sono tra la sinistra
(o le sinistre) dello stato spagnolo e delle "regioni" spagnole
e la sinistra indipendentista basca? Nei
Paesi Baschi quasi la metà della popolazione è immigrata dalla
Spagna. Eppure tra i giovani militanti indipendentisti troviamo molti figli
di immigrati e in generale ci pare che non si stia sviluppando una guerra
civile tra "spagnoli" e "baschi" nei Paesi Baschi. È
così? E se è così come si è riusciti a raggiungere
questo obiettivo? La
solidarietà nei confronti della sinistra basca in Italia ci pare debolissima.
Potete dare delle indicazioni concrete a chi oggi voglia conoscere meglio
la problematica e agire concretamente nella solidarietà?
---------------------------------------------
In realtà l'attitudine del governo spagnolo e delle sue autorità
non è mai cambiata, neanche durante i 14 mesi di tregua mantenuti dall'ETA
a cavallo tra il '98 ed il '99. Quello che è cambiato oggi è
piuttosto il contesto internazionale all'interno del quale questa scelta repressiva
si inserisce. Quello che è accaduto dopo gli allucinanti attentati
dell'11 settembre è che qualsiasi stato del mondo può ricevere,
in cambio dell'appoggio militare e politico alle azioni degli USA, una delega
in bianco per la risoluzione con qualsiasi mezzo militare o giuridico di qualsiasi
"questione interna". La comunità internazionale sta dando
carta bianca al vecchio nemico russo nella questione cecena, figuriamoci se
non sostiene il tradizionale alleato spagnolo! Ma sia chiaro che cambia solo
lo scenario internazionale ed in questo la solidarietà internazionalista
sembra quasi bloccata, immobile, mentre il governo Aznar ha solo un'arma mediatica
in più per giustificare al mondo ciò che sta facendo: negare
ad un popolo il diritto all'autodeterminazione sancito da diversi organismi
internazionali e sovranazionali. L'obiettivo delle autorità spagnole
consiste nell'utilizzare strumentalmente l'esistenza dell'organizzazione armata
ETA per giustificare l'illegalizzazione di qualsiasi attività politica
e culturale che rivendichi l'esistenza del popolo basco ed il suo diritto
ad autodeterminarsi. Questa strategia ha avuto inizio nel 1997 con l'incarcerazione
della direzione di Herri Batasuna ed è proseguita senza sosta fino
ad oggi. A tappe forzate sono cadute sotto i colpi della magistratura spagnola,
vittime del famigerato "Sommario 18/98", tutte le organizzazioni
politiche, i mezzi di informazione ed i movimenti popolari baschi. L'elenco
è impressionante: incarcerazione della direzione di Herri Batasuna,
chiusura del quotidiano Egin, chiusura della radio Egin Irratia, operazione
poliziesca contro l'AEK (una struttura che si occupa della diffusione ed insegnamento
della lingua basca, con la quale abbiamo anche organizzato un seminario due
anni fa) e blocco dei suoi conti ed attività, arresto dei membri della
delegazione esteri di Herri Batasuna che in piena tregua stava svolgendo un
lavoro di sensibilizzazione presso tutti i partiti politici in Europa affinché
contribuissero alla soluzione del conflitto, arresto della direzione dei movimenti
popolari e di disobbedienza civile Joxemi Zumalabe, Bai Euskal Herriari e
Autodeterminazioaren Biltzarrak, chiusura del mensile Ardi Beltza, messa fuori
legge con arresto della direzione dell'organizzazione giovanile Haika e del
gruppo politico Ekin, arresto della direzione del movimento in favore dei
detenuti baschi Gestoras Pro-Amnistia e sua illegalizzazione. Tutti questi
arresti sono stati operati nei confronti di personalità molto conosciute
nella società basca per il proprio impegno politico, sociale, culturale
o giornalistico, molti di loro erano e sono consiglieri comunali o provinciali.
Molti di questi arresti hanno avuto un seguito di abusi, maltrattamenti e
torture consumatisi durante i giorni di isolamento previsti dalla legislazione
antiterrorismo. Va comunque precisato che le vittime di queste operazioni
giuridico-poliziesche sono state sempre scarcerate dopo aver passato da sei
mesi ad un anno e mezzo in carcere senza alcuna condanna. Nel marzo '99, in
piena tregua, veniva rapito, torturato ed ucciso il militante di ETA Joselu
Geresta Mujika. Questi i passaggi fondamentali di una strategia repressiva
che oggi punta, a causa del contesto internazionale di caccia alle streghe,
alla illegalizzazione di Batasuna, il nuovo partito della sinistra indipendentista
articolato su tutto il territorio basco (anche nella zona "francese")
che ha sostituito Herri Batasuna. Proprio in questi giorni però l'Unione
Europea, constatando il fatto che Batasuna è un partito con un notevole
peso elettorale e con consiglieri comunali e parlamentari, ha rifiutato di
inserirlo nell'elenco delle organizzazioni terroristiche; davvero assurda
è invece la decisione presa di inserire in una specie di lista di proscrizione
il movimento giovanile Segi ed il movimento pro-amnistia di Gestoras.
Il ruolo che stanno avendo l'Europa e la comunità internazionale è
veramente sbagliato, poiché invece di cercare di contribuire al dialogo
ed al riavvicinamento diplomatico fra le parti in conflitto prendono le parti
di uno dei contendenti (i governi di Madrid e Parigi) a discapito della controparte
(il popolo basco), e forniscono tutto l'appoggio politico e giuridico per
annientare l'opposizione interna.
È vero, questa attività viene portata avanti essenzialmente
da Baltasar Garzon, che qualcuno ha definito il Di Pietro spagnolo. E bisogna
dire che spesso altri giudici spagnoli o lo stesso tribunale costituzionale
hanno sconfessato i teoremi di Garzon e le condanne di quella specie di tribunale
speciale che sta diventando la Audiencia Nacional. È indubbio che questo
magistrato, acclamato dalle folle come lo fu Di Pietro in Italia, è
più apprezzato come persecutore degli oppositori che come magistrato.
Il giornalista basco Pepe Rei ha scritto una intera biografia, ovviamente
non autorizzata, su Garzon e questo gli è costato tre arresti, diversi
mesi di carcere senza processo e la chiusura del suo mensile. Brevemente,
la storia di Garzon inizia quando, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli
anni '90, cominciano le inchieste contro i politici socialisti del PSOE che
avevano governato la Spagna fino a quel momento. Il bravo Garzon, socialista
di ferro fino a quel momento ma soprattutto amante del potere, diventa uno
dei più zelanti persecutori dei tangentisti iberici arrivando ad indagare
un altro amico dei socialisti tanto iberici quanto italiani, il padrone di
Telecinco Silvio Berlusconi. Garzon aveva fiutato la fine dell'epoca socialista
ed aveva deciso di salire con il dovuto anticipo sul carro del vincitore,
il Partido Popular di Aznar. Vittima delle inchieste di Garzon, il PSOE perse
le elezioni a vantaggio del PP, un partito nato dalla trasformazione del partito
franchista di Alianza Popular, un po' come è avvenuto in Italia quando
il vecchio MSI si trasformò in AN per rendersi più digeribile
per gli elettori più "moderati". Da allora Garzon è
diventato il fedele uomo di Aznar nella magistratura, pronto comunque a cambiare
padrone in qualsiasi momento. Ma è proprio cavalcando il sentimento
anti-indipendentismo basco, alimentato tanto dalla destra quanto dalla sinistra
spagnole, che Garzon è diventato la celebrità che tutti conoscono.
Purtroppo per lui si tratta di una celebrità costruita violando i diritti
umani degli imputati ed i diritti civili di un intero popolo. Sono oramai
centinaia i cittadini baschi passati per le sue mani che, denunciandogli i
maltrattamenti subiti dopo i giorni dell'isolamento, hanno visto la sua faccia
girarsi dall'altra parte con agghiacciante indifferenza.
Innanzitutto bisogna dire che si è votato solo in tre delle quattro
province presenti all'interno dello stato spagnolo, mentre le restanti tre
fanno parte del versante amministrato dalla Francia. Erano infatti le elezioni
della CAV, la cosiddetta Comunità autonoma basca, che comprende Araba,
Bizkaia e Gipuzkoa, e non elezioni basche; questo va sempre detto e ricordato
poiché serve a comprendere che ogni qualvolta si parla di elezioni
basche, in realtà si sta parlando di consultazioni all'interno dello
stato spagnolo che riguardano solo la metà del paese e che i Paesi
Baschi non hanno elezioni proprie.
Indubbiamente, però, si è trattato di un importante test elettorale
nel quale la sinistra indipendentista basca ha perso moltissimi voti. Le interpretazioni
attorno a questo risultato elettorale negativo sono molte all'interno del
movimento e ragione di un forte dibattito. Oltre a quelle che possono essere
le dichiarazioni ufficiali noi crediamo che sul risultato negativo, dopo il
quale la sinistra indipendentista rimane comunque una delle maggiori forze
politiche, abbiano pesato enormemente due fattori: la fine della tregua da
parte di ETA e la fortissima pressione mediatica e repressiva portata avanti
dallo stato spagnolo. In questo contesto molti baschi hanno preferito votare
la coalizione basca centrista tra Partito nazionalista basco ed Eusko Alkartasuna
in modo da sconfiggere l'assalto antibasco portato avanti dai partiti spagnolisti
PP e PSOE, ritenendo così di operare un "voto utile" e di
scegliere per il male minore. In effetti i partiti spagnolisti sono stati
sonoramente sconfitti, nonostante la candidatura diretta nelle file del PP
del Ministro degli Interni Mayor Oreja.
Per noi non è molto facile rispondere a questa domanda; come comitato
di solidarietà preferiamo occuparci dei movimenti popolari, della realtà
della società basca e degli elementi di liberazione sociale che vi
sono all'interno.
Indubbiamente ETA gode di forte appoggio popolare e anche fra coloro che non
ne condividono i mezzi vi è comunque un sentimento di vicinanza poiché
essa è percepita come, bene o male, l'unica garanzia di contropotere
anti-spagnolista. Purtroppo bisogna ammettere che se oggi si parla di Paesi
Baschi questo accade perché l'ETA esiste.
D'altra parte però vi è una grande stanchezza nella società
basca per la continua situazione di guerra strisciante che il conflitto provoca
e si è aperto ultimamente un forte dibattito all'interno della sinistra
indipendentista, tutto aperto e nient'affatto concluso. Il problema rispetto
ad una nuova tregua è che, sempre guardando dal punto di vista della
solidarietà, vediamo una situazione bloccata; inoltre non sembra esservi,
allo stato attuale delle cose, la possibilità e lo spazio politico
per una nuova tregua. Siamo d'altro canto convinti che essa potrebbe aprire
nuovi spazi politici verso la costruzione nazionale basca, rompere un certo
isolamento e rappresentare nuove possibilità anche per la solidarietà
internazionale; nulla cambierebbe invece nella politica di Madrid e Parigi
e questa è una triste constatazione.
Noi, per quanto ci riguarda, sosteniamo apertamente e chiaramente una soluzione
negoziata e democratica del conflitto consistente in tre punti: dialogo tra
le parti, progressiva e totale scomparsa delle forme violente del conflitto
e rispetto della volontà democratica di tutti i baschi e le basche.
Crediamo quindi giusta e ragionevole la richiesta di convocazione di un referendum
popolare da svolgersi in tutte le province basche sul tema dell'autodeterminazione.
Mettendo da parte le speculazioni mass-mediatiche crediamo che le due
situazioni abbiano sia elementi in comune che rilevanti differenze. In Nord
Irlanda si scontrano due comunità separate: gli unionisti, che hanno
la propria base sociale nella comunità protestante, ed i repubblicani,
radicati nella comunità cattolica. Nei Paesi Baschi non vi è
alcun conflitto del genere.
Inoltre, facendo un paragone da sinistra, riesce difficile capire perché
si sia diffusa una forte simpatia nei confronti dei repubblicani irlandesi
in Italia mentre l'indipendentismo basco riceve tuttora un trattamento pessimo
da parte della stampa "di sinistra", quando invece gli elementi
di liberazione sociale sono molto più presenti nel movimento basco,
con l'esistenza di numerosi esempi di democrazia partecipativa e protagonismo
popolare.
Anche dal punto di vista del pacifismo, ci riesce difficile dare una spiegazione
visto che l'organizzazione armata IRA ha provocato centinaia di morti più
di ETA ed ha mostrato molta più "spregiudicatezza" nella
scelta dei propri obiettivi.
È vero. Oggi da più parti si dice che "i baschi dovrebbero
fare come gli irlandesi", ma nessuno dice che Aznar dovrebbe fare come
Blair o che gli spagnoli dovrebbero fare come gli inglesi. Prima di arrivare
al disarmo dell'IRA, il governo britannico ha accordato lo status di detenuti
politici ai prigionieri repubblicani ed ha poi accettato di concedere formalmente
il diritto all'autodeterminazione. Nulla del genere è mai accaduto
per i baschi!
Ovviamente, il processo irlandese è seguito con moltissima attenzione
nei Paesi Baschi, poiché il modello di risoluzione del conflitto irlandese
rappresenta una speranza per ogni basco. Fu infatti proprio dalla riflessione
tra partiti, sindacati ed organismi popolari baschi denominata "Foro
d'Irlanda" che nacque nel 1998 l'Accordo di Lizarra che sottolinea la
scelta di una soluzione negoziata del conflitto politico tra Euskal Herria
e Parigi e Madrid nella quale i due stati si impegnino a rispettare il diritto
all'autodeterminazione.
A livello popolare poi vi è una grande simpatia nei Paesi Baschi per
la lotta repubblicano-indipendentista portata avanti in Nord Irlanda; tutti
i movimenti popolari di base baschi hanno stretti contatti con gli irlandesi
e il partito della sinistra indipendentista Batasuna porta avanti una politica
europea comune con il Sinn Fein. Spesso Gerry Adams è andato nei Paesi
Baschi ed ha partecipato a manifestazioni della sinistra indipendentista.
Il dibattito poi tocca anche la sezione basca del PSOE: all'interno molti
sostengono la necessità di portare avanti dinamiche simili a quelle
dei socialdemocratici nordirlandesi.
Per la gente comune la risoluzione pacifica del conflitto nordirlandese non
sarebbe altro che un passo verso la soluzione del conflitto basco.
Siamo profondamente convinti che anche, e soprattutto, in Europa le lotte
dei popoli e delle nazionalità oppresse e negate abbiano un profondo
senso di rottura con l'attuale stato di cose presente e rappresentino una
ricchezza che il movimento antagonista e no-global non può permettersi
di trascurare. Quando si parla di Paesi Baschi e Stato spagnolo non si sta
parlando solamente di un conflitto politico tra un paese dominato ed uno colonizzatore,
si tratta anche e soprattutto di due modelli di società a confronto:
da un lato il modello spagnolo, delle multinazionali iberiche che hanno ricolonizzato
l'America latina, di uno stato autoritario nel quale non esiste di fatto la
divisione liberale tra potere politico e giudiziario, di una società
civile inesistente, un paese sciovinista e razzista; dall'altro il modello
basco che, con tutte le sue contraddizioni, presenta un forte associazionismo
di base, una notevole capacità di mobilitazione tanto sul fronte culturale
quanto su quello politico, capace di accogliere le differenze, ma che soprattutto
si prefigge un modello di società differente da quello capitalista.
Più che le chiacchiere, parla la realtà che ci dice che nei
Paesi Baschi vi è la maggiore percentuale di associazioni, di obiettori
di coscienza, di donatori di sangue ed organi; che i livelli di partecipazione
alla vita politica sono più alti; che l'unico sciopero generale in
Europa per il salario sociale e le 35 ore lavorative si è svolto proprio
nelle province basche; che le comunità immigrate sono molto più
inserite e godono di maggiori diritti; che l'assemblea dei municipi baschi
Udalbiltza è un vero e proprio organismo di democrazia di base e partecipativa;
che partecipazione e protagonismo popolare sono realtà quotidiana proprio
nei comuni governati da Batasuna; ecc. La società basca, e la sinistra
indipendentista in particolare, hanno una proposta di "paese" ed
un'idea di mondo assolutamente più avanzata della realtà spagnola.
In questo contesto i Paesi Baschi sono diventati un vero e proprio punto di
riferimento all'interno dello stato spagnolo sia per le altre nazionalità
non riconosciute come tali (Catalogna e Galizia), sia per chiunque abbia un'idea
di mondo altra rispetto a quella del pensiero dominante, che si trovi a Madrid
o a Siviglia.
Che le cose stiano in questa maniera è abbastanza chiaro. Questa
realtà non fa altro che dimostrare, ancora una volta, che coloro che
rivendicano il diritto all'autodeterminazione dei Paesi Baschi non lo fanno
contro nessuno e non hanno alcuna idea xenofoba o etnicista, come partiti
ed autorità spagnole vorrebbero farci credere. La ragione di tutto
questo è che basco è colui che vive e lavora nei Paesi Baschi,
a prescindere dal colore, dalla religione o dall'origine della propria famiglia;
basco è chi vuole continuare ad esserlo nonostante le misure giudiziario-poliziesche
di Madrid e Parigi. Se vogliamo dare una definizione più "basca"
di chi è basco, useremo il termine "euskaldun", cioè
colui che parla in basco; è basco chi parla la lingua basca, non importa
dove sia nato o che colore abbia. Così nella definizione di "basco"
confluiscono elementi tradizionali ed elementi propri del movimento operaio:
sono baschi coloro che parlano in basco e coloro che vivono e lavorano nei
Paesi Baschi. La spiegazione di tutto ciò sta essenzialmente nel fatto
che il movimento basco ha una profonda origine progressista e si definisce
come movimento di liberazione nazionale e sociale.
Che i livelli di solidarietà siano bassi è vero. Forse le
sinistre del nostro paese non trovano abbastanza remunerativo politicamente
prendere posizione in favore dell'autodeterminazione per i baschi, forse non
è abbastanza spendibile nel teatrino della politica come è stato
per Cuba, Chiapas, Kurdistan o Palestina. Riteniamo molto preoccupante che,
ad esempio, la dirigenza di Rifondazione conservi una posizione di cieca indifferenza
solo perché deve mantenere delle buone relazioni internazionali con
la Izquierda Unida spagnola.
Per quanto ci riguarda possiamo dire che le ragioni politiche della nostra
attività hanno origine essenzialmente nella consapevolezza che l'indipendentismo
basco ha una matrice assolutamente progressiva, spesso rivoluzionaria, non
escludente o etnicista, che ha ampia cittadinanza all'interno del movimento
no-global e che offre un singolare esempio di riappropriazione della propria
identità e cultura come elementi di liberazione sociale in un orizzonte
di apertura e non di chiusura verso l'esterno. Si tratta inoltre di una lotta
antisistemica che mette in luce le contraddizioni dell'Europa e del mondo
occidentale. Per quanto riguarda la solidarietà, pensiamo che la cosa
migliore sia una buona ed indipendente controinformazione. E' importante che
tutte le persone interessate alla questione basca sappiano di cosa si tratta
e si tengano costantemente informate. A questo fine risulta molto utile la
pagine web del quotidiano basco Gara (www.gara.net). Per quanto riguarda l'Italia
esiste oggi una mailing list dal nome "Paesi Baschi Liberi" dedicata
allo scambio di notizie, traduzioni ed opinioni sulla questione basca; è
possibile iscriversi alla mailing inviando una richiesta al seguente indirizzo:
paesibaschiliberi@yahoo.it.
Sarebbe importante far capire a tutti la natura del conflitto basco in modo
da creare una opinione comune che possa contrastare le politiche in appoggio
alle autorità spagnole e francesi e contribuire alla ricerca di una
soluzione pacifica e democratica della questione basca.