I prigionieri politici baschi.
Intervista a Josu Jimenez Zurbano e Jokin Aldanondo, ex prigionieri politici baschi, che sono impegnati in un giro che li porterà in alcune città europee. A cura della Rete di Solidarietà con il Paese Basco. Dicembre 2003.



Vi potete presentare?
Sono Jokin, ex prigioniero politico, sono stato 13 anni nelle prigioni dello stato spagnolo, e ne sono uscito da 4. Sono Josu, ho passato 17 anni di carcere (2 nello stato francese e 15 in quello spagnolo) e ne sono uscito da 5 mesi. Sono passato per una ventina di carceri. Rappresentiamo il Collettivo dei prigionieri politici baschi (EPPK).

Cos'è l'EPPK?
I prigionieri politici baschi sono sempre stati organizzati. Ma nel 2001 cominciò un dibattito che portò nel giugno di quest'anno alla formazione di una nuova struttura: l'EPPK. Si tratta di un adeguamento alla realtà plurale dei prigionieri politici: prima erano quasi tutti di Eta, oggi invece sono entrati in carcere attivisti di associazioni popolari, giovanili, culturali, giornalisti... Il numero di prigionieri è nettamente cresciuto, e registriamo una maggior partecipazione degli ex prigionieri politici. La modalità di partecipazione è di tipo assembleare: ci sono tante assemblee quanti i carceri nei quali siamo stati dispersi. Le decisioni sono vincolanti per tutti i suoi membri. La linea generale del collettivo combina la lotta politica con la resistenza nelle prigioni. Con due obiettivi: un obiettivo tattico che è il raggruppamento di tutti i membri del collettivo nelle carceri di Euskal Herria (il Paese Basco, ndt) e un obiettivo strategico che è l'amnistia, intesa
questa come il superamento del conflitto politico tra Euskal Herria e lo Stato Spagnolo.

Quanti sono oggi i prigionieri politici?
Sono circa 700, dispersi in 82 carceri. E' un numero enorme, tenendo conto della popolazione basca. E' come se in Italia ci fossero 15.000 prigionieri politici.

Ci potete descrivere la situazione dei prigionieri politici?
Il problema maggiore è quello della dispersione: la gran parte dei prigionieri baschi è collocata in prigioni lontano da Euskal Herria, anche di 1200 chilometri. Si tratta di una strategia messa in atto dagli stati per esercitare una pressione sui prigionieri, per rompere la resistenza, e ottenere il pentimento. La dispersione comporta un costo per i familiari, gli amici e i compagni dei prigionieri, che per andarli a trovare devono affrontare centiaia di chilometri, nonché un costo economico enorme: ogni famiglia spende in media per questo 1350 euro per esercitare il diritto di visitare mensilmente i propri cari. Tredici familiari sono morti in incidenti stradali quando hanno affrontato questi viaggi, e il quattordicesimo è morto proprio ieri. La dispersione inoltre rende difficoltoso il dibattito politico del collettivo ed aumenta il senso di isolamento dei prigionieri, anche se si è all'interno di una stessa prigione spesso non è possibile vedersi. La condizione è particolarmente dura per le donne, perché, dato che sono meno, sono più disperse, e molte di loro sono totalmente sole. Non è assicurata una adeguata assistenza medica, e per questa ragione, ed anche per la pressione esercitata su di loro, 15 prigionieri sono morti. L'isolamento conseguente alla dispersione, inoltre, facilita i soprusi da parte dei carcerieri: i pestaggi e in generale la violazione di diritti sono molto frequenti. Queste condizioni sono state ulteriormente peggiorate dalla riforma del Codice Penale che appesantisce le pene. Per i prigionieri politici oggi non ci sono più sconti: 40 anni senza possibilità i riduzione di pena. Tenete in conto che ci sono sempre più prigionieri sulle cui spalle gravano venti anni di carcere. Anche prima la situazione non era certo rosea: il diritto del prigioniero alla libertà condizionata dopo aver scontato i tre quarti della pena non è mai stata applicata ai prigionieri baschi. Una giudice del Paese Basco l'aveva concessa una volta, ma questo atto diede il via a una campagna mediatica che portò alla revoca della decisione da parte del Tribunale Speciale (Audiencia Nacional). Ed è un fatto molto significativo della scarsa indipendenza del potere giudiziario da quello politico. Infine: era un costume per i prigionieri baschi studiare in carcere approfittando di una convenzione tra la UNED (Universita' Nazionale dell'Educazione a Distanza) e l'università basca. Anche questa possibilità è stata oggi vietata.

Questa strategia di annichilamento da parte dello stato spagnolo sta avendo successo?
No. Anche prima offrivano la libertà condizionata, a patto di una dichiarazione di condanna della lotta armata e della delazione. Ma solo 5- 6 persone su 700 membri del collettivo hanno ceduto. Lo stesso governo ha constatato che si è trattato di un insuccesso totale.

Qual è il peso della questione dei prigionieri politici nella società basca?
La questione dei prigionieri coinvolge l'insieme della società basca al di là delle divisioni politiche. Il Parlamento basco cinque anni fa ha approvato una mozione favorevole all'avvicinamento ad Euskal Herria dei prigionieri. Per vedere un prigioniero occorre registrarsi presso le autorità e a volte il visto non viene concesso. La registrazione corrisponde ad una specie di schedatura. Nonostante ciò è normale che un prigioniero abbia un centinaio di amici registrati. Anche per questo le autorità hanno deciso una nuova strategia, per ora applicata in sei carceri e in via di espansione: quella di ridurre a 10 il massimo di persone registrabili per prigioniero. La riduzione delle persone che possono visitare i prigionieri implica una minor possibilità da parte dei prigionieri di partecipare alla vita sociale ed essere informati. La questione dei prigionieri è tanto sentita nella società basca che è normale trovare nei bar e nei locali pubblici, anche quelli non legati direttamente alla sinistra basca, le foto dei prigionieri. Quando un prigioniero è rilasciato è ben accolto da una società solidale che conosce le sofferenze che ha dovuto subire e le lotte che ha portato avanti per resistere. Il Collettivo di prigionieri ha accresciuto la sua autorevolezza anche perché, come dicevamo, da due anni entra in carcere un sacco di gente che non c'entra con la lotta armata. E finisce in galera senza prove. Secondo la legge uno può rimanere in carcere senza essere giudicato per due anni, ampliabili a quattro. E questa estensione è applicata con generosità nei confronti dei prigionieri baschi. Tanti escono dopo alcuni anni, dopo un giudizio che li ha riconosciuti innocenti, oppure dopo aver pagato cauzioni altissime. Ad esempio la direzione di Herri Batasuna restò in carcere un anno senza prove, e poi furono prosciolti. Stiamo parlando di una forza politica che per dimensioni era la terza nel Paese Basco.

Quali sono gli obiettivi che vi proponete con questo giro nei Paesi europei?
Vogliamo fare una denuncia contro lo stato spagnolo, e contro l'accentuazione della repressione contro il collettivo di prigionieri, e stabilire relazioni di solidarietà. E far arrivare alla società europea l'altra faccia della realtà basca che viene occultata dai mezzi di comunicazione.