Un libro sulla questione basca.
Recensione
al testo di Alfonso Botti "La questione basca" (Bruno Mondadori).
Tentativi come questo, di
spacciare per neutra ed imparziale un’analisi che, con tutta evidenza,
non lo è, hanno purtroppo come risultato principale quello di confermare
tutti gli stereotipi e i pregiudizi di cui il nazionalismo spagnolo si avvale
per giustificare l’attuale spropositata politica repressiva. Di Marco
Alciati e Roberta Gozzi, curatori del libro "La ragione basca" di
Luis Nunez Astrain (ed. Punto Rosso). Dalla Rete di Solidarietà con
il Paese Basco. Dicembre 2003.
Il lavoro di Alfonso Botti si pone un obiettivo decisamente
arduo: non scrivere né a favore né contro la lotta di liberazione
del popolo basco. A parte le inevitabili conseguenza di una premessa di questo
tipo (l’esistenza un popolo basco!), propone il suo lavoro come il testo
di riferimento sulla questione basca che manca nel panorama italiano, essendo
quelli presenti di carattere militante e pertanto inaffidabili. Pur riconoscendo
l’importante lavoro bibliografico di cui il libro è una testimonianza
e accettando in linea di principio l’onestà intellettuale dell’autore
rispetto ai propositi dichiarati, ci sembra che il risultato del suo lavoro
sia un altro libro militante e non per questo poco affidabile, della visione,
il più politicamente corretta possibile, del conflitto basco all’interno
delle dinamiche che flagellano lo stato spagnolo e i suoi governi, post-franchisti
di nome, ma assai poco di fatto. Operazione assolutamente legittima ed anzi
gradita, ma ben difficile da spacciare come imparziale ed affidabile. Desideriamo, con queste righe, evidenziare solo alcuni degli
aspetti che, in maniera più evidente, tradiscono l’impossibilità
di mantenere la promessa con la quale si apre “La questione basca”.
Per certi aspetti l’autore lo riconosce anche: “…avendo
alle spalle l’esame dei molteplici intrecci tra cattolicesimo e nazionalismo
nel caso spagnolo, sicché non potevano sfuggire le innumerevoli simmetrie
e i significativi parallelismi esistenti tra i due casi.” Forse in questo
senso ci si spiega la particolare attenzione data al pensiero di Sabino Arana
e alla nascita di quello che oggi viene considerato il nazionalismo basco
moderato, PNV e EA. Ma farne il paradigma con cui leggere la questione basca
sembra, per lo meno, riduttivo. Al di là del punto di vista che, inevitabilmente, è
necessario assumere per guardare qualunque fenomeno e che sarebbe utile aver
chiaro e dichiarato, nel testo c’è tutta una serie di affermazioni,
commenti e frasi, apparentemente di non particolare importanza, che tra un
dato e l’altro, una precisazione e l’altra, vengono lasciate cadere
lì, in nome dell’imparzialità e dell’affidabilità.
Non ci sembra il caso si entrare nel merito; per chi conosce la realtà
basca contemporanea, crediamo si commentino da sole: “Il nazionalismo
basco pensa che i baschi siano un gruppo etnico e che da ciò derivino
precise conseguenze politiche. […] Il nazionalismo basco sarebbe pertanto
un nazionalismo a base etnica o etnonazionalismo. […] “In particolare
dagli anni trenta e, poi, nel dopo Franco - ma il fenomeno è precedente
perché risale al primo decennio del secolo - il nazionalismo basco
è andato progressivamente costruendo e costituendo una sorta di gruppo
chiuso, di microsocietà, di subcultura o di “comunità”
come si è preso a definirla a partire dal libro di Manu Escudero. Una
comunità tendenzialmente chiusa e autoreferenziale, capace di soddisfare
le esigenze di socializzazione primaria e di socialità matura”.
“è difficile negare che sia cresciuta una cultura dell’intolleranza……
“ (pg 18); “… sinistra abertzale, nazionalismo sacralizzato,
articolato in un’etica, una liturgia” (pg 26) “Basandosi
su una peculiare quanto controversa lettura del passato e dei ‘diritti
storici’ i nazionalisti sostengono che i baschi sono un popolo sovrano
che ha diritto all’autodeterminazione.” Ci permettiamo di ricordare
i numerosi accordi internazionali che riconoscono e sanciscono tale diritto,
a cominciare dalla Carta delle Nazioni Unite del 1945. Viene dedicato un lungo
capitolo a Sabino Arana, figura indiscutibilmente importante del nazionalismo
basco moderno, come lo potrebbe essere, per tentare un paragone, De Gasperi
nella cultura di centro italiana contemporanea. Crediamo che addirittura all’interno
del partito che egli fondò, il PNV, gran parte delle sue teorizzazioni
siano state ormai da tempo contestualizzate e, per molti aspetti, radicalmente
superate. 35 pagine su Sabino Arana danno un po’ l’impressione
che quello sia il nucleo del pensiero nazionalista basco. La realtà
basca, anche quella del secolo scorso, non solo quella attuale, da alcuni
considerata un vero e proprio laboratorio rispetto alle dinamiche politiche
e sociali più attuali, è un po’ più complessa.
Al di là del “Sabinismo”, l’autore
ci presenta comunque il suo lavoro parlando sempre dei Paesi baschi intesi
come le tre province che costituiscono, all’interno dello Stato spagnolo,
la Comunidad Autonoma del Pais Vasco o Euskadi. Anche in questo caso crediamo
che la premessa si commenti da sola. Per chi avesse dei dubbi sul significato
della stessa, l’autore ritorna sulla questione solo nell’ultimo
capitolo: “esistono dei Paesi baschi virtuali, che la realtà
dei comportamenti politici non suffraga”; si tratta, ovviamente di Navarra
e Iparralde, a cui dedica qualche paginetta. Ingenuamente, cercando una spiegazione logica al fatto che solo
nella lingua italiana questo pezzo di Europa a ridosso dei Pirenei e che s’affaccia
sull’Atlantico abbia un nome plurale (Paesi Baschi, quando in spagnolo,
francese, inglese… il nome è al singolare Pais Vasco, Pays Basque,
Basque Country…) abbiamo pensato che, forse, ciò fosse dovuto
a una nostra particolare sensibilità, che raccoglie e dà fede,
a livello linguistico, dell’esistenza di zone diverse ma in qualche
modo legate fra loro (in territorio spagnolo e francese, per esempio); si
scopre invece che i Paesi Baschi sono, anche per un autorevole storico come
Botti, le tre province che, con grande abilità, il post franchismo
ha separato dalla Navarra, dal punto di vista amministrativo e politico. Che
dire poi delle altre tre province che, da qualche secolo, il centralismo francese
si è occupato di inglobare? Invitiamo sommessamente gli storici a verificare su una cartina
del 1500 i confini del regno di Navarra o, se preferiscono, a verificare,
all’epoca dei GAL, (fenomeno che nel libro si merita l’attenzione
riservata al parroco di Maruri!) all’interno del piano ZEN (Zona Especial
Norte - pensato da Francia e Spagna congiuntamente per reprimere la resistenza
basca) a quale territorio si facesse riferimento e perché; le “ragioni
virtuali” dei nazionalisti baschi contemporanei paiono avere una storia
secolare. Ancora una precisazione a proposito dei dati, sempre portati
come prova irrefutabile delle affermazioni contenute nel libro. All’interno
di un lavoro che si presenta con le premesse di cui si è detto inizialmente,
i dati sono da considerarsi certi, verificati e confermati. Osservando con
un po’ d’attenzione le fonti si scopre però che “El
Paìs” è una di quelle privilegiate. Si tratta di un rispettabile
quotidiano, ma sicuramente non in una situazione di “imparzialità”
rispetto alla questione basca. Un paio di esempi: - A proposito della Chiesa basca vengono equiparati, come esempio
della divisione che attraversa la società, il Foro El Salvador fondato
da Jaime Larrinaga, parroco del paesino di Maruri, con la Coordinadora de
Sacerdotes de Euskal Herria (pg 16). Si può dire, senza dati alla mano,
ma conoscendo un po’ la società basca, che ciò che li
differenzia, oltre alla contrapposizione nel merito, è che il primo
ha a che vedere con la storia personale di un parroco e dei suoi rapporti,
a volte un po’ tesi, con i suoi parrocchiani (qualche decina di persone),
l’altro interessa la Chiesa basca nel suo complesso, la cui presenza
attiva nella società è fuori discussione, dentro e fuori il
Paese Basco, ad eccezione, appunto, dell’ex parroco di Maruri! - Le 200.000 persone che dall’inizio degli anni ’80
avrebbero abbandonato il Paese Basco a causa delle minacce dell’ETA,
“lasciando nei grafici dei demografi il segno di una migrazione in controtendenza
rispetto ai flussi verso le zone industrializzate di maggior benessere”.
Nel Paese Basco, dove il fenomeno dell’esilio è una triste realtà
legata alla repressione dello stato, quando si danno e si diffondono ripetutamente
notizie di questo genere, al di là delle considerazioni rispetto alla
forza di un’organizzazione armata in grado di obbligare all’esilio
più del 10% della popolazione (paese ricco, Euskal Herria, ma un 10%
di politici e imprenditori in fuga avrebbe probabilmente già giustificato
interventi di tipo israeliano) si chiede a gran voce di poter vedere questi
“grafici dei demografi” (spagnoli) che, guarda caso, neanche in
questo lavoro imparziale e affidabile vengono presentati. Ancora una volta,
significativa la fonte: J.M. Calleja (pg 17). A proposito di fonti, si vedano
inoltre i commenti rispetto alle analisi di Jon Juaristi . (Vedi nota pg 166). - Per quanto riguarda lo “Spirito di Ermua”: in
Spagna è unanimemente riconosciuto il carattere propagandistico della
famosa frase di Franco “un milione di persone in piazza a Madrid”.
In questo caso si sarebbe trattato addirittura di “Un milione e mezzo
di persone a Madrid”. Senza nulla togliere all’importante risposta
della società spagnola alla chiamata di tutti i partiti, chi conosce
la capitale spagnola sa benissimo che saremmo in presenza di un intasamento
totale di tutte le vie della città per un raggio di qualche chilometro.
L’imparzialità del testo ci ha per lo meno risparmiato l’immagine,
tipica del “Nodo”, della Puerta del Sol traboccante di un milione
di manifestanti! Qualche piccola altra significativa precisazione: - 1998 Euskal Herritarrok (pg 153): non ci sembra storicamente
corretto definirlo un cambio di nome di Herri Batasuna, trattandosi di una
coalizione elettorale tra diverse forze e partiti politici, all’interno
della quale era presente anche Herri Batasuna come tale, coalizione costituitasi
ai tempi della tregua e successivamente dissolta per volontà delle
stesse forze. - Nel 1999 HB decide di partecipare a manifestazioni contro
Eta (El pais): siamo sicuri? - “area radicale rimasta orfana di rappresentanza politica” - Forte movimento in favore della pace = Gesto por la Paz (pg
140) Per concludere, veniamo a ciò che più interessa
noi che, pur confessando la nostra simpatia per la lotta di difesa di diritti
inalienabili quali quello all’autodeterminazione, ci riteniamo comunque
affidabili: le soluzioni sul tappeto. Il testo illustra, senza approfondire
troppo né il merito né la portata del dibattito suscitato, il
piano Ibarretxe. Per quanto riguarda le diverse proposte della sinistra indipendentista,
variegato e attivissimo movimento politico che impiega buona parte del suo
lavoro nella ricerca di soluzioni che portino a uno scenario di pace e di
convivenza democratica, non vengono nemmeno prese in considerazione. Dall’analisi
dell’autore sembra che l’unica proposta ragionevole, pur con dei
limiti, sia quella di Sanchéz Cuenca! Riportiamo ancora una frase per illustrare, sempre in nome dell’imparzialità
e dell’affidabilità, quella che l’autore definisce la proposta
di ETA: “La soluzione del problema sta nell’indipendenza dei Paesi
baschi, obiettivo da raggiungere attraverso la pressione dell’attività
terroristica abbinata all’alleanza con i nazionalisti moderati del PNV
e EA in un fronte comune di tutti i nazionalisti”. Sarebbe interessante
sapere in quale documento dell’organizzazione armata lo storico abbia
trovato queste parole o, per lo meno, queste idee. Fin dal 1995, con la “Alternativa
democratica”, e successivamente in relazione al dibattito politico prima,
durante e dopo Lizarra-Garazi, i termini della discussione sono stati e sono
ben altri; dai documenti pubblici recuperabili in emeroteca, e da quanto pubblicato,
l’analisi politica di fondo dell’organizzazione armata, ripetuta
fino alla noia, è che la pace nel Paese Basco passa attraverso il riconoscimento
del diritto dei cittadini e delle cittadine basche all’autodeterminazione.
Ciò significa dotare la società basca di strumenti che le permettano
di esprimersi liberamente in merito all’istituzione nazionale e sociale
di cui intende dotarsi, inclusa ovviamente la permanenza all’interno
dello stato spagnolo. Tale diritto finora non è mai stato rispettato e costituisce
il nocciolo politico della questione basca. A quest’aspetto, non secondario,
della situazione attuale, il testo non sembra prestare particolare attenzione.
L’indipendenza, il fronte più o meno comune, addirittura il socialismo,
possono tutt’al più essere elementi del programma elettorale
di una forza politica o dell’altra… Apprezziamo il proposito dello storico di restare in silenzio
di fronte agli interrogativi che riguardano il futuro. Gradiremmo comunque,
anche rispetto al presente, il riconoscimento che l’imparzialità
è davvero se non impossibile, per lo meno molto difficile. Se tutti
noi accettassimo che, in ogni caso, i nostri commenti tradiscono una presa
di posizione, forse, invece di chiacchierare, potremmo tentare di far chiarezza
per lo meno sui termini della questione. Tentativi come questo, di spacciare per neutra, imparziale ed
ispirata esclusivamente al rigore dell’indagine storica un’analisi
che, con tutta evidenza, non lo è, hanno purtroppo come risultato principale
(non sappiamo quanto casuale e incosciente) quello di confermare tutti gli
stereotipi e i pregiudizi di cui il nazionalismo spagnolo - e per adozione
quello europeo - si avvale per “giustificare” l’attuale
spropositata politica repressiva e l’assoluto rifiuto di prendere in
considerazione le… ragioni dei baschi.
Rispetto all’analisi dei dati elettorali, ufficiali e presentati in
percentuale rispetto agli aventi diritto al voto, in riferimento alle ultime
tornate, l’autore giunge alla conclusione che, per esempio, “il
voto nazionalista risulta leggermente sovradimensionato sia in termini di
voti che di percentuali”; oppure che, riferendosi alle recenti elezioni
amministrative del maggio 2003: “è di più dubbia interpretazione
il voto nullo, che solo in parte può essere attribuito all’area
radicale, che aveva chiesto agli elettori di pronunciarsi in tal senso, e
che comunque dimostra una discreta tenuta” … bontà sua!
Tutto questo rigorosamente riferito alle tre provincie della CAV, perché
il resto appunto, sono Paesi baschi virtuali!
In riferimento allo stato spagnolo, l’autore sottolinea che siamo in
presenza di uno stato di diritto (la dimostrazione a pg 184, dove si parla
di un caso di spionaggio illegale alle sedi di Herri Batasuna – unico
caso di condanna in primo grado, comunque solo ai responsabili materiali,
nessun responsabile né politico né militare, liberi in attesa
di giudizio). Più in generale, le gravissime difficoltà che
incontra il processo di separazione dei poteri nella Spagna post franchista
sembrano sfuggire allo storico. Così che la messa fuori legge e successivo
scioglimento di una formazione politica (Batasuna) si sono verificati rispettando
i dettami della legge (nel senso che l’ha votata il Parlamento!), è
vero che ci sono sistematiche denunce di tortura, alcune anche provate, ma
insomma…. è meglio approfondire il discorso su Sabino Arana!