La risposta di Batasuna a Marcos .
A
cura del Comitato
Euskadi Bari.
12 dicembre di 2002.
Scriviamo a nome di migliaia e migliaia di cittadini e cittadine
baschi che, dopo la sospensione della formazione politica Batasuna da parte
del giudice Baltasar Garzón nelle quattro province basche sotto l'amministrazione
spagnola, sono stati privati dei loro diritti civili e politici fondamentali,
come il diritto ad organizzarsi politicamente, il diritto alla libera manifestazione,
il diritto a riunione, e perfino il diritto alla libertà di espressione.
Questa illegalizzazione si aggiunge, inoltre, ad una somma di illegalizzazioni
anteriori, quella del giornale e della radio Egin; quella della rivista Ardi
Beltza; quella della movimento pro-amnistia, in due occasioni; quella del
movimento giovanile, in tre occasioni, oltre alla criminalizzazione delle
scuole basche, dell'associazione dell'alfabetizzazione di adulti, del movimento
di disobbedienza civile, dei settori popolari dissidenti in generale...Non
c'è il minimo dubbio che detta attuazione giudiziaria, come l'iter
della Legge di Partiti Politici nel Parlamento spagnolo con l'obiettivo pubblicamente
manifestato, e riconosciuto perfino dallo stesso presidente del governo spagnolo,
José María Aznar di mettere fuorilegge Batasuna all'inizio dell'anno
2003, risponde al clima internazionale propiziato dall'iniziativa presunta
antiterrorista del presidente statunitense Bush dopo gli attentati del 11
di settembre di 2001 negli Stati Uniti. Non è che l'11 settembre sia
iniziato niente di nuovo, detti attentati sono serviti all'imperialismo per
affrettare i propri piani di aggressione destinati a creare un nuovo ordine
internazionale basato sulla dominazione del potente sul debole e del pensiero
unico neoliberale dove la sinistra e le nazioni senza stato non hanno posto. Il caso basco non è stato, inoltre, l'unico esempio di
questo tipo di attuazione politica antidemocratica nel mondo. È evidente
che il governante israeliano Sharon ha incrementato la sua aggressione contro
i palestinesi. Il presidente russo Putin ha fatto la stessa cosa in Cecenia.
L'attuazione del presidente Uribe, in Colombia, è simile, dove i movimenti
guerriglieri sono passati ad essere movimenti terroristici. E non diciamo
niente dell'annunciato attacco all'Iraq, della passata aggressione militare
all'Afghanistan... E sono molti più gli esempi che potrebbero darsi
nel mondo. Ma quell'attuazione non riguarda unicamente i movimenti di liberazione
nazionale dei paesi oppressi. Nella stessa Unione Europea, anche il movimento
contrario alla globalizzazione ed al neoliberalismo soffre una chiara criminalizzazione
politica, come dimostrano la detenzione e l'incarceramento di numerosi militanti
italiani per ordine del governo di Berlusconi. Detto altrimenti, tutti quelli
che si oppongono al pensiero unico ed all'ordine neoliberale stabilito, in
difesa della loro identità come popolo o della loro condizione di classe,
sono perseguiti sistematicamente in tutto il pianeta. L'aggressione politica,
militare, culturale, economica, ecologica e di genere, perfino in maniera
violenta, è legittimata dagli Stati, e l'autodifesa degli aggrediti,
sia violenta o no, è perseguita. Come dicemmo a Genova nel controvertice
al G8, quello che non va è che otto impongano con la forza delle armi
il proprio progetto di globalizzazione a 6 miliardi di abitanti. L'aspirazione
di tutti i paesi del pianeta a potere vivere in pace in un ordine sociale
giusto dove la ricchezza non sia solo patrimonio di alcuni poco e dove non
imperi la forza dell'imposizione, ma la ragione, la solidarietà tra
i paesi e tra le persone, non era stata mai tanto ferocemente soffocata e
zittita dai centri di potere militare, economico e mediatico. È, come
diceva il Che Guevara, l'imposizione, l'oppressione e la filosofia della spoliazione
del debole, ciò che alimenta la filosofia della guerra. Cessi l'ingiustizia
sociale ed il dominio del potente e metteremo basi ferme per la pace. Il nostro paese non è stato mai un paese bellicoso, ma
sì un paese ribelle: ribelle davanti all'oppressione, ribelle davanti
all'ingiustizia, ribelle davanti all'imposizione. Euskal Herria desidera la
pace, pace solida, stabile e duratura, senza ingerenze né imposizioni
degli Stati che ci dominano e dividono in due, fratelli del nord e del sud
lacerati da interessi politici e trasformazioni del processo storico di configurazione
delle classi dominanti nel capitalismo emergente europeo. Desideriamo la convivenza pacifica con Spagna e Francia sul
piano dell'uguaglianza e rispetto mutui; desideriamo la convivenza solidale
coi paesi spagnolo e francese e con tutti i paesi dell'Europa e del mondo
ed aneliamo, finalmente, un nuovo stadio delle relazioni sociali, dove la
guerra, la violenza e l'oppressione non siano più che un cattivo ricordo
per il genere umano. Nonostante la cosa diffusa dai mezzi di comunicazione
in tutto il mondo, Batasuna non ha giustificato mai né fomentato il
ricorso alla lotta armata, né in Euskal Herria né fuori del
nostro paese, ma sì considera che finché non verificheranno
le condizioni democratiche minime per la risoluzione dei conflitti, qui e
nel resto del mondo, ci sarà sempre una parte degli oppressi che ricorrerà
all'uso della violenza politica come metodo di attuazione. È per ciò
che ci rifiutiamo di condannarla politicamente, perché la condanna
non risolve il problema politico di fondo, e la nostra responsabilità
ed obbligo come forza politica di sinistra è precisamente cercare soluzioni
ai problemi di questo mondo; perché un altro mondo è possibile,
e se è socialista molto meglio. Per tutto ciò, ringraziamo il subcomandante insorto Marcos
e l'EZLN per il loro interesse, solidarietà ed appoggio alla causa
basca, cosa che è reciproca, poiché da Euskal Herria seguiamo
la lotta giusta dell'EZLN, motivo per il quale numerosi baschi e basche parteciparono
alla marcia internazionale zapatista o in brigate di appoggio, come quelle
organizzate dal gruppo internazionalista basco Askapena. Anche noi puntiamo
sul dialogo e l'accordo tra tutte le parti come metodo di risoluzione del
conflitto e di costruzione nazionale e cambiamento sociale. Perfino, vogliamo
creare le condizioni politiche per una transizione in assenza di violenza.
In detto processo, ETA diede una tregua che si prolungò per 20 mesi
per appoggiare questo processo basco sostentato dalla maggioranza sociale,
sindacale, istituzionale e politica in Euskal Herria. Tuttavia, il governo
di Madrid, invece di approfittare di detta situazione come fece il governo
britannico nel caso irlandese, si dedicò a distruggerlo. Aznar fu il
principale responsabile dell'esplosione di quel processo politico che avrebbe
supposto la risoluzione politica e definitiva del contenzioso. Ed è
che l'obiettivo del governo di Madrid non è la pace, è la liquidazione
del processo sovranista basco, benché questo si eserciti di maniera
non violenta e democratica. Ma i processi sociali, ed il processo di emancipazione
basco non è un'eccezione, vuole passare attraverso formule democratiche
di risoluzione basate nel riconoscimento del diritto alla libera determinazione
del nostro paese nell'insieme del suo territorio, perché è questo
lo scenario che desidera la maggioranza dei baschi. Noi baschi vogliamo prendere
la parola in condizioni democratiche e vogliamo che tutto il mondo rispetti
detta decisione, indipendentemente del risultato. Siamo coscienti che la società
basca è plurale, e vogliamo costruire un paese per tutte e tutti i
cittadini baschi, senza esclusioni, un paese di tutti e per tutti, un paese
che riconosca tutti i diritti a tutti e tutte le sue cittadine in tutto il
territorio basco, da quello all'autodeterminazione fino a quello alla vita,
passando per tutti gli altri diritti civili, politici, economici e culturali. Detto scenario deve garantire l'uguaglianza di opportunità
per tutti i progetti politici. Noi, con umiltà e laboriosità,
apporteremo un progetto per una Euskal Herria indipendente e socialista. Per
terminare, salutiamo e siamo disposti a partecipare a qualunque iniziativa
politica che, con serietà e base democratica, abbia per obiettivo creare
le condizioni politiche necessarie da parte di tutti, con l'obiettivo di garantire
che gli e le basche possano decidere liberamente e democraticamente il futuro
di Euskal Herria. Un saluto fraterno e rivoluzionario. Evviva la solidarietà dei paesi oppressi!
Gora herria!
Euskal Herria, 12 dicembre di 2002.