Nessuna democrazia per
gli Oromo.
In
Etiopia il 15 maggio si sono svolte le elezioni nazionali per il parlamento
federale e gli otto parlamenti regionali. Ma cambia poco, infatti nonostante
l’ottimismo dell’europarlamentare e osservatrice internazionale
Luisa Morgantini, continuano la lotta del movimento
di liberazione e la repressione e violaziolazione dei diritti umani, soprattutto
ai danni del popolo oromo, come testimoniano le denuncie di Human Rights Watch.
- Pubblichiamo ache il comunicato del
movimento di liberazione degli oromo diffuso prima delle elezioni. A cura dell'Associazione
Bilisummaa. Reds - Giugno 2005.
Il 15 maggio i cittadini etiopi sono stati chiamati alle urne; nel paese sono
giunti per l’occasione 300 osservatori internazionali richiesti dallo stesso
governo.
E’ chiaro che queste elezioni vengono presentate dal regime, che governa
questo paese da quindici anni, come la prova della propria democraticità.
Le elezioni etiopi costringono più di un giornale italiano ad occuparsi
di questo paese del Corno d’Africa, solitamente citato soltanto per il dramma
della fame. Ad occuparsi del decisivo e importante momento politico in Etiopia
anche il quotidiano “Liberazione” che pubblica il 14 maggio un pezzo
di una pagina intera, firmato da Sabatine Volpe.
L’articolo, che ricorda giustamente i drammi della fame, della siccità,
dell’aids che affliggono l’Etiopia, riporta ampi stralci del dossier
di 44 pagine di Human Rights Watch dal titolo «Le violazioni dei diritti
umani e la repressione politica nella regione Oromo» e accenna alle espulsioni
dei contadini oromo dalle loro terre. Il dossier di Human Rights Watch, reso pubblico
il 10 maggio, descrive l’ampiezza della repressione e della persecuzione
subita dal popolo oromo negli ultimi mesi (un popolo oppresso della cui storia
abbiamo scritto nell’articolo “La lotta degli Oromo”).
Tuttavia il pezzo di “Liberazione” presenta una grossa contraddizione:
se da un lato riporta le denuncie di Human Rights Watch, dall’altro esprime
un ottimismo, a nostro avviso infondato, sul presunto processo democratico apertosi
con queste elezioni. Non solo il titolo “Quando l’urna fa bene. L’Etiopia
vota e guarda avanti” ci ha suscitato delle perplessità, ma anche
le dichiarazioni rilasciate a “Liberazione” dall’europarlamentare
e per l’occasione osservatrice internazionale in Etiopia (più precisamente
nel Tigray, roccaforte del regime) Luisa Morgantini, nota per l’impegno
pacifista e al fianco dei popoli oppressi. La Morgantini ha infatti parlato di
“cammino verso la democrazia”, di segni positivi e di partecipazione
popolare.
Chiunque legga o almeno sfogli il dossier di Human Rights Watch si rende conto
che in un clima di tale violenza e oppressione a danno di più di un terzo
della popolazione etiope (il popolo oromo) non si può certo parlare di
democrazia. Quanto democratiche possono essere delle elezioni preparate dalla
tortura e dalla persecuzione? C’è da chiedersi se, in un clima di
tale repressione, abbia partecipato alla gara elettorale qualcuno che rappresenti
davvero il popolo oromo, escluso da un secolo (fin dai tempi della colonizzazione
dell’Oromia da parte dell’impero abissino) non solo dalla gestione
del potere ma anche dalla possibilità di usufruire dei più elementari
diritti.
Al momento in cui scriviamo si parla di una altissima affluenza alle urne.
Sembra proprio che la strategia di Zenawi abbia funzionato: convincere il resto
del mondo che in Etiopia ci sia la democrazia. Se non fosse per quel dossier di
Human Rights Watch, definito da Zenawi come “un mucchio di menzogne”.
Chissà se i contadini oromo arrestati e detenuti senza prove, di cui ci
parla Human Rights Watch, si sono accorti del “cammino verso la democrazia”?
Human Rights Watch ha raccolto numerose testimonianze negli ultimi tre mesi soprattutto
nei villaggi rurali (dove si concentra gran parte della popolazione) da cui risulta
che non solo sono perseguitati i contadini oromo, ma anche coloro che acquistano
prodotti da loro. Se in Etiopia sei un contadino oromo o vieni cacciato dalla
tua terra, o vieni arrestato o perdi i tuoi mezzi di sussistenza stremato dalla
discriminazione. Chissà se si sono accorti della democrazia i bambini oromo
di undici anni detenuti nelle carceri perché accusati di insurrezione armata?
Chissà se è ottimista riguardo al futuro della democrazia in Etiopia
una giovane diciannovenne oromo denudata e minacciata con una pistola in bocca
dalla polizia etiope perché accusata di recarsi a scuola per fare politica?
Chissà cosa ne pensano quegli insegnanti costretti a spiare i quaderni
dei propri alunni e a denunciarli nel caso vi fosse scritto “OLF”?
Se gli insegnanti non denunciano gli alunni e non obbediscono rischiano il carcere.
Gli studenti possono essere arrestati anche solo per aver scritto su un loro quaderno
personale queste tre lettere: “OLF”.
“OLF” sta per Fronte di Liberazione degli Oromo, un movimento che,
come ricorda lo stesso dossier di Human Rights Watch, ha scelto la strada della
lotta armata contro Zenawi solo dopo che nei primi anni novanta, raggiunto il
massimo della sua popolarità per aver contribuito alla sconfitta del dittatore
Menghistu, ha subito una durissima persecuzione dei suoi leader e dei suoi sostenitori
da parte di chi ora è al governo. Non è un caso che il dossier accusi
esplicitamente Zenawi di “aver intensificato la repressione già utilizzata
per restare al potere”.
Ma purtroppo non è finita qua, l’ampiezza della repressione e la
capillarità dell’oppressione in Oromia hanno dell’incredibile.
Negli ultimi sei mesi, nei villaggi rurali dell’Oromia sono state create
dal governo delle nuove istituzioni denominate “Gott” e “Garee”,
apparentemente finalizzate a favorire il lavoro dei campi. In realtà queste
istituzioni hanno il compito di controllare quasi ogni movimento e ogni discussione
dei contadini oromo. I contadini oromo hanno dichiarato di essere ormai costretti
al mutismo, di temere di fermarsi accanto ad altre persone, infatti scambiarsi
qualche parola potrebbe significare essere fraintesi, ed essere fraintesi potrebbe
comportare il carcere e la tortura, magari quella di essere costretti a stare
in piedi nudi con bottiglie parzialmente piene legate ai testicoli.
Queste immagini di brutale tortura dicono purtroppo molto della democraticità
di quel regime e ci rivelano che le elezioni di domenica 15 maggio non sono altro
che “scenografie elettorali di cartapesta” così come è
stato scritto da Domenico Quirico sul “La Stampa”.
Le ultime notizie ci parlano di una vittoria contesa tra le due coalizioni; l’ipotesi
più probabile è quella di un nuovo governo Zenawi con un parlamento
un po’ meno monocolore. Quanto cambierà per gli Oromo e i loro diritti?
Ciò che è certo è che la comunità internazionale è
rimasta per troppo tempo in silenzio nei confronti di questa tragedia. Su “Il
Manifesto” Emilio Ernesto Manfredi racconta di veicoli militari scoperti
con a bordo decine di uomini in mimetica che durante la domenica elettorale di
Addis Abeba puntano i fucili mitragliatori con aria minacciosa contro le file
di elettori e poi se ne vanno.
Ciò che però non viene detto è che quelle forze speciali,
che nella giornata elettorale si sono limitate a minacciare, hanno iniziato a
preparare quelle elezioni mesi prima con la tortura e l’abuso, magari picchiando
fino alla perdita della conoscenza un cittadino, uno studente, un bambino,un innocente,
spesso semplicemente un Oromo o, come dicevano i colonialisti abissini in senso
dispregiativo, un “Galla”.