L'intifada il giorno dopo.
Le mire di Sharon: isolare internazionalmente l'Autorità Nazionale Palestinese e distruggerne ogni potenzialità politica e organizzativa. Di Rema Hammami, "Middle East Research & Information Project". Ottobre 2001.

Oramai, si dice che una conseguenza inaspettata degli attacchi dell'11 settembre agli Stati Uniti potrebbe essere la salvezza per l'Autorità Palestinese dalla distruzione da parte di Ariel Sharon.
Ma lo scenario più ottimistico, e cioè che l'improvviso riassetto delle priorità strategiche degli Usa in questa regione potrebbe portare ad una soluzione transitoria del conflitto tra Israele e Palestina, è qualcosa di molto lontano.
Nel frattempo, la guerra di Israele all'AP è di nuovo in piena forza. In uno spettacolo visto e rivisto, i partiti più capaci, che più riescono a porre un freno al governo di Sharon - gli alleati laburisti della sua coalizione e l'amministrazione Bush - fanno la voce grossa, ma poi agiscono timidamente.
A metà ottobre, il clima sembrava favorire una via di salvezza per Yasser Arafat dalla rivolta che durava da una anno contro l'occupazione da parte di Israele delle terre palestinesi, una via che gli avrebbe assicurato la sua posizione di "capo dello stato" palestinese in un'ottica internazionale e che poteva essere venduta al pubblico palestinese.
Ma dopo che un membro del Fronte Popolare per la liberazione della Palestina il 17 ottobre ha assassinato il ministro del turismo Rehavam Zèevi appartenente all'estrema destra, come vendetta all'assassinio da parte di Israele del loro leader Abu Ali Mustafa, Sharon ha di nuovo rivolto la dinamica politica contro l'AP.
Nei tre giorni successivi, le forze israeliane hanno rioccupato interamente o parti delle città di Ramallah, Jenin, Bethlehem, Beit Jala, Tulkarm e Qalqilya, con il risultato di 40 morti palestinesi e il ferimento di molti altri.
Per essere al sicuro, Israele ha ucciso altri due leader delle milizie locali, uno appartenente a Fatah e uno ad Hamas. Sharon sapeva che la sua richiesta - e cioè che l'AP arrestasse gli assassini di Zèevi e poi li consegnasse ad Israele - avrebbe portato ad una rivolta interna. Con le ultime vittime, Israele ha provocato tanta di quella rabbia tra i militanti di Hamas e di Fatah che ci sarà un'altra violazione dei Palestinesi contro il cessate il fuoco.

Il giorno dopo
Subito dopo l'11 settembre, Yasser Arafat era veramente scioccato e impaurito.
In primo luogo, aveva paura che i Palestinesi fossero, in qualche modo, direttamente implicati, una paura che è stata alimentata per alcune ore da un resoconto comico e non plausibile con il quale il Fronte Democratico di Liberazione della Palestina rivendicava la responsabilità.
La sua paura più grande era che l'AP, così infangata dalla sua relazione con Hamas durante lo scorso anno, sarebbe stata criminalizzata da una campagna degli Stati Uniti contro il terrorismo.
Chiaramente Israele si aspettava che una cosa simile succedesse. Ma l'unica paura che si è parzialmente concretizzata è che, con l'attenzione di tutto il mondo focalizzata su New York, Sharon potesse avere via libera per soffocare la rivolta una volta per tutte - e forse di farla finita con il ruolo dell'AP nel processo di pace.
Invece, nelle immediate 24 ore, gli Stati Uniti hanno pubblicamente chiesto che l'AP si unisse alla "coalizione internazionale contro il terrore" e il segretario di Stato Colin Powell ha dichiarato la nuova risoluzione da parte degli Stati Uniti di implementare le raccomandazioni del rapporto Mitchell, improvvisamente ha promosso un "piano di pace" e ha riportato le parti ad un tavolo di negoziati.
All'inizio, Sharon non è sembrato afferrare il cambiamento nella politica americana.
Tra il 12 e il 17 settembre la scala e l'intensità degli attacchi israeliani sui Palestinesi sono aumentate di gran lunga, con più di 18 incursioni nelle aree controllate dall'AP, con più di 28 persone uccise e devastanti distruzioni nelle città di Jenin e Rafah. Ma il 17 settembre, alla presenza di più di 30 rappresentanti internazionali, Arafat ha dichiarato il cessate il fuoco unilaterale, rigettando fermamente la responsabilità su Sharon.

Cercando una soluzione
È importante ricordare che Arafat da marzo sta cercando una via di uscita dall'Intifada che gli salvi la faccia e da giugno è alla ricerca di una via di uscita che gli salvi la vita.
A marzo nessuna delle speranze dell'AP di uscire dall'Intifada si è materializzata; il secondo summit arabo ha dimostrato che l'AP non poteva aspettarsi nessun appoggio da parte dei regimi arabi.
Dopo il summit sono apparse due "soluzioni onorevoli": la proposta giordano-egiziana in aprile e il rapporto Mitchell risalente alla fine di maggio. Nessuna delle due soluzioni offriva più di un minimo di possibilità di salvarsi la faccia per il leader palestinese; la migliore proposta era un iniziale "congelamento degli insediamenti". Va detto che l'AP ha accettato entrambi i piani.
Inoltre, siccome Israele ha accettato solo il rapporto Mitchell, è riuscita a posticipare (con il consenso degli Usa) a due-sei mesi dopo la fine della resistenza palestinese all'occupazione e il pieno ritorno ad una cooperazione per la sicurezza con Israele, qualsiasi discussione a proposito di un congelamento degli insediamenti.
Sharon ha messo l'AP con le spalle al muro e ha dichiarato un cessato il fuoco unilaterale, sebbene la tregua desse adito ad un'ampia interpretazione. Era impossibile per Arafat accettare il cessate il fuoco di Sharon, soprattutto perché tutte le fazioni palestinesi avevano respinto l'accordo sul congelamento degli insediamenti.
Poi si è arrivati alla svolta del 1 giugno con l'attacco suicida a Tel Aviv, nel quale 20 giovani israeliani sono rimasti uccisi.
Arafat, terrorizzato per una eventuale scomunica da parte degli Stati Uniti, è stato costretto ad accettare il cessate il fuoco di Sharon e la tempistica di Israele per implementare il rapporto Mitchell.
Inoltre, da entrambe le parti, questo cessate il fuoco ha avuto una libera interpretazione. Ma gli Stati Uniti sembravano soddisfatti del fatto che la violenza palestinese non fosse diretta ai civili israeliani all'interno di Israele e che la violenza israeliana non intendesse far crollare apertamente l'AP.
Poi l'amministrazione di Bush è andata in vacanza, apparentemente impreparata ad esercitare una grande pressione in un conflitto che sembrava essere interminabile.
Sharon era a capo di un governo di unità nazionale e mentre i Palestinesi si erano chiaramente mossi al di là di Arafat, un'alternativa al suo ruolo rimaneva impensabile.

Le vittorie strategiche di Sharon
Durante l'estate, i termini di Israele sono diventati ancora più stretti. È continuato l'assassinio di membri locali di Fatah e di Hamas, così come gli attacchi con i missili sulle installazioni dell'AP.
Come risposta sono giunti gli inevitabili attacchi suicida, le sparatorie contro i coloni e i colpi di mortaio sugli insediamenti.
Ad ogni ripresa, Sharon aumentava la "risposta" israeliana, strappando vittorie strategiche.
Una devastante operazione suicida a Gerusalemme Ovest il 9 agosto è diventata il pretesto per prendere i quartieri generali diplomatici dell'OLP a Gerusalemme est (Orient House).
Alla fine di agosto, dopo un coraggioso attacco ad una base dell'esercito israeliano a Gaza da parte del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, l'esercito ha assassinato il leader politico del Fronte Popolare, Abu Ali Mustafa - il primo assassinio di una figura dei ranghi alti dell'OLP, in opposizione ai militanti locali.
In seguito ad altri due attacchi suicidi avvenuti all'inizio di settembre, l'esercito ha imposto una "zona militare chiusa" di 20 miglia lungo il confine settentrionale dell'West Bank con Israele, con la quale si è annessa 15 villaggi palestinesi.
L'intenzione e l'abilità di Sharon nel far ripiegare l'Intifada ad esercizio di autodistruzione dei Palestinesi non sono passate inosservate alla leadership palestinese.
Poichè Sharon non poteva distruggere direttamente l'AP, l'ha diplomaticamente isolata e poi ha creato un clima nel quale questa sarebbe collassata dall'interno.
Ogni risposta militare da parte dei Palestinesi (in particolar modo gli attacchi suicidi) è rientrata in questa dinamica.
Ma, come era chiaro fin dall'inizio della rivolta, l'AP poteva "porre fine" all'Intifada solo se le fazioni all'unanimità erano d'accordo e se questo avesse rappresentato una vittoria politica concreta per i Palestinesi.
L'unico altro modo per "porre fine" all'Intifada - la forza bruta - si sarebbe trasformato in una guerra civile e avrebbe alienato la leadership dai militari e completamente dalla popolazione.
Durante il periodo transitorio (il dopo Oslo), la leadership ha voluto ed è stata capace di usare la forza. Allora l'AP aveva alle spalle il potere di Fatah e la convinzione che la forza fosse il modo per ottenere risultati strategici nei confronti di Israele e degli Stati Uniti. Alla fine dell'estate 2001 non ha ottenuto niente da nessuno.

"Interesse nazionale"
L'improvvisa necessità strategica degli Stati Uniti dell'appoggio dell'AP, in seguito agli avvenimenti dell'11 settembre, è apparsa non solo come l'intervento da tanto tempo atteso, ma anche come la via d'uscita da tanto aspettata.
Nel contesto della "guerra al terrore", accettare la richiesta degli Stati Uniti del cessate il fuoco era (e poteva essere venduta come tale) un qualcosa che rientrava nell'"interesse nazionale" di sopravvivenza.
Naturalmente, il retroscena di questo pensiero era la presa di posizione (da suicidio) dell'OLP che aveva sostenuto l'Iraq durante la guerra del Golfo.
Tutti i leader delle fazioni, compresi Hamas e la Jihad islamica, hanno capito questo imperativo e hanno accettato il cessate il fuoco in base ai due principi dell'unità nazionale e dell'interesse nazionale.
Comunque, ci sono state profonde tensioni interne a proposito dei termini e dei mezzi del cessate il fuoco tra i alti ranghi dell'élite dell'AP, molti dei quali erano "rientrati" dell'OLP in esilio e le leadership locali associate con la resistenza militare durante la seconda Intifada.
Queste tensioni erano soprattutto evidenti tra le due componenti di Fatah: i tecnocrati e il Tanzim (le milizie armate che hanno portato a molte delle rivolte nelle strade).
I tecnocrati hanno esperienza diretta della morte diplomatica nella débâcle della guerra nel Golfo e hanno riconosciuto che l'AP rischiava sia di collassare, sia di perdere il sostegno degli Islamici.
Loro erano favorevoli a porre fine definitivamente alla resistenza armata, se era necessario con la forza. Comunque, per il Tanzim, un totale cessate il fuoco era come un anatema.
La resistenza armata, oggi, è la fonte del loro capitale politico e il cessate il fuoco era chiaramente impopolare tra i militari che vogliono ancora la rivolta per porre fine all'occupazione israeliana. Implicitamente è stata concordata una definizione di cessate il fuoco per mezzo della quale non ci sarebbero state operazioni all'interno di Israele e sparatorie sugli insediamenti nelle aree controllate dall'AP, ma le azioni armate nelle aree dei Territori Occupati sotto il diretto controllo di Israele potevano continuare.

Infrazione inevitabile
Anche per Sharon, il cessate il fuoco era un anatema.
L'unica richiesta degli Stati Uniti era che Israele rimanesse buona mentre Powell costruiva la coalizione contro il terrorismo e si preparava alla guerra contro l'Afghanistan.
Senza nessuna altra possibilità, alla fine Sharon ha permesso al Ministro degli Esteri Shimon Peres di incontrare Arafat il 26 settembre (dopo aver ostacolato cinque incontri precedenti) per siglare formalmente il cessate il fuoco.
Nello stesso tempo, ha permesso delle incursioni "minimaliste" da parte dell'esercito, come l'attacco del 27 settembre a Rafah nel quale quattro Palestinesi sono rimasti uccisi, 30 feriti e 14 abitazioni sono andate distrutte. Chiaramente stava aspettando e spingendo, l'inevitabile infrazione da parte dei Palestinesi che gli avrebbero fornito una via di uscita.
Al contrario Arafat l'ha mandate per le lunghe per mostrare agli Stati Uniti la sua nuova serietà, dichiarando che le infrazioni al cessate il fuoco si allontanavano dall'interesse nazionale.
In seguito ha violentemente soffocato una dimostrazione contro la guerra all'Università Islamica a Gaza durante la quale tre studenti e un bambino sono stati uccisi dalla polizia dell'AP.
Gli Stati Uniti hanno mostrato la loro gratitudine il 13 ottobre, quando Bush ha espresso il suo sostegno ad uno stato palestinese.
Ma l'infrazione inevitabile, sufficientemente importante, è arrivata con l'assassinio di Zèevi.
Sharon sa quello che il pubblico palestinese conosce bene: tutti i combattenti delle fazioni sono organizzati liberamente, si tratta di giovani uomini poco disciplinati che possiedono solo il coraggio (o spacconeria) per compensare la loro mancanza di addestramento militare.
Qui non vengono applicate nozioni di strategia militare né concetti come la disciplina di partito o la disciplina militare o come "una catena di comando".
Negli anni passati l'AP ha affidato la sua autorità a queste "forze di resistenza", quindi essa può essere "con" l'Intifada anche se apparentemente non la guida o non ha responsabilità verso di questa.
Dall'ascesa di Sharon, la strategia militare e diplomatica di Israele ha mirato a mantenere l'iniziativa sulla "strada" e lontano dall'AP. Il conseguente collasso del potere dell'AP si può chiaramente vedere nelle "repubbliche indipendenti" di Rafah e Khan Yunis a Gaza, a Jenin e in parte a Betlemme. In queste aree in prima linea, sono in carica (se non al controllo) "forze di resistenza" e l'AP è presente nelle vesti di poliziotti senza importanza nella loro desolata uniforme blu oppure nelle news notturne con Arafat impegnato in un evento diplomatico.
Sebbene poco realistico, il massimo desiderio di Sharon è legato alla possibilità di frammentare l'AP in una miriade di mini-repubbliche e di negoziare con i "signori della guerra" che sono disponibili e che può trovare in ognuna di esse.
Non ci dobbiamo dimenticare che nel 1982 Sharon ha portato l'esercito di Israele a Beirut e ha cercato di mettere in piedi la Falange come un governo di clienti.

Abbattuto e stanco
Poiché continua la "guerra al terrorismo", gli Stati Uniti probabilmente interverranno un'altra volta per prevenire che si continui verso questo scenario.
In questo senso, i crudeli calcoli dei geopolitici continueranno a far diventare la sconfitta dell'Afghanistan come una vittoria per la Palestina. Quando Israele ritirerà le sue truppe dalle città palestinesi, l'AP probabilmente si preoccuperà di più per la sua sopravvivenza e così sarà meno reticente nell'ordinare arresti di massa.
Questo ultimo round per costruire un consenso nazionale per il cessate il fuoco ha dimostrato che non c'era consenso - specialmente dal momento che era costantemente colpita dalle provocazioni di Israele. Se, nonostante tutto, si realizzasse il cessate il fuoco, ora improvvisamente c'è la speranza di un'idea funzionante su come raggiungere una soluzione provvisoria.
Il 25 ottobre i laburisti Shlomo Ben Ami e Haim Ramon hanno svelato un piano per una "separazione unilaterale" dai Palestinesi. Diversamente dalla versione di separazione di Ehud Barak, questa proposta contiene qualcosa per entrambe le parti.
Il primo suggerisce che la quantità di aree palestinesi da "separare", dovrebbe essere più vicina al numero di cui si era parlato nelle proposte di Camp David nel luglio 2000 - forse il 70% del West Bank e addirittura di più per la striscia di Gaza.
Ma, cosa importante per Israele, questi territori non saranno "affidati" all'AP poco affidabile, ma invece ad "affidatari internazionali" guidati dagli Stati Uniti. Queste figure internazionali assicurerebbero la "ristrutturazione positiva" delle autorità palestinesi come preludio ad un accordo finale che sarà basato sulle proposte che Clinton ha fatto a Taba.
Israele governerebbe su un numero minimo di Palestinesi all'interno dei Territori Occupati, fino a che non voglia affidare la sua sicurezza all'AP. Il piano include anche un elemento per salvare la faccia: l'AP non sembrerebbe essere direttamente ricompensata per l'Intifada.
Per l'AP questo piano di separazione promette una parte più vasta di territori piuttosto che il terzo ridislocamento del moribondo processo di Oslo.
Include anche la tanto sospirata forza internazionale, sebbene in una forma molto meno piacevole.
Il punto cruciale è che l'AP e la maggior parte dei Palestinesi non sarebbero più alla mercé dell'occupazione israeliana, una conquista che avverrebbe senza firmare un accordo sullo status definitivo e senza abbandonare il diritto al ritorno dei rifugiati o senza chiudere con Gerusalemme.
Prima che Sharon salisse al potere, una simile proposta avrebbe incontrato il disprezzo dei Palestinesi.
Ora, in un contesto di minima sopravvivenza, sembra essere una prospettiva piena di speranze.
Ma l'idea di Ben Ami-Ramon aspetta la complessa confluenza di forze che potrebbero farla diventare una possibilità. Anche il Partito Laburista la deve ancora accettare e il loro ritorno sembra improbabile.
Nel frattempo, si può solo sperare che Israele si stanchi dei massacri così come sono stanchi i Palestinesi.