Nessun
lavoro, nessuna dimora, nessun futuro: i rifugiati palestinesi in Libano.
L'articolo
illustra le drammatiche condizioni di vita quotidiana di coloro che abitano
i campi profughi in Libano. Di Rosemary Sayigh da "Middle East International".
Traduzione dal francese di Sandra Piraccini. Dicembre 2001.
Nonostante la mancanza di sicurezza
sia una caratteristica di tutte le comunità palestinesi ovunque si
trovino (dai Territori Occupati del Negev all'Australia fino a Glasgow), la
loro situazione in Libano è unica per quanto riguarda l'esclusione
politica, economica e sociale. Ad Amman, nel marzo scorso, il
presidente Lahoud glorificava l'Intifada assieme ad altri leader arabi, ma
l'assedio dei campi da parte dell'esercito nel sud del paese continua come
prima. Le restrizioni attualmente più
deplorevoli impediscono ai rifugiati di esercitare certe professioni specializzate
o semi-specializzate e alcune attività in ambito pubblico. Queste leggi
discriminatorie sono la causa dell'alta percentuale di lavoratori palestinesi
sfruttati o disoccupati e dell'estrema povertà in cui vive un numero
sempre più grande di famiglie. Un'intera classe della società
palestinese professionale e commerciale, fortemente ridotta, sopravvive o
collaborando con la controparte libanese e accettando salari minimi, o isolandosi
all'interno dei campi. Nonostante oggi il sentimento anti-palestinese dei
Libanesi sia meno violento rispetto agli anni Settanta e Ottanta, i rifugiati
continuano ad essere socialmente più esclusi in Libano di quanto non
lo siano in altri paesi arabi che li accolgono: un recente studio dello scienziato
politico Simon Haddad ha rilevato che il 65% dei Libanesi non aveva nessun
contatto con i Palestinesi, e che solamente il 18% risultava avere un conoscente
palestinese. Le persone intervistate appartenevano alle sei principali correnti
religiose, inclusa quella dei Sunniti che conta al suo interno il maggior
numero di Palestinesi. Questa politica di Stato restrittiva
è forse autorizzata, incoraggiata o semplicemente ignorata da Damasco?
La Siria cerca di controllare il focolaio di conflitti costituito dalle sette
libanesi per non crearsi i nemici che sarebbero inevitabilmente provocati
da alleanze permanenti. La sua base politica è una coalizione di tre
tendenze principali - i Maroniti, gli Sciiti e i Sanniti - e la componente
maronita di questa combinazione è sempre sulle difensive nei confronti
della sua "strada". Per questo i Maroniti, che sono partigiani del
regime, hanno bisogno dei Palestinesi come vittime per dimostrare i loro riferimenti
settari. Le armi nei campi generano un "pericolo palestinese" che
è bene giustificare con la presenza dell'esercito siriano nella "strada
Maronita". Ciò è stato chiaramente dimostrato da Michel
Murr, ex-ministro degli Interni, quando menzionò in un discorso che
giustificava l'intervento siriano e "la presenza di 300.000 Palestinesi
in Libano" (L'Orient/Le Jour, 18 aprile 2001). Dopo una settimana, Murr
sottolineava di nuovo questa connessione, affermando che la ritirata siriana
doveva essere rinviata fino ad un regolamento palestinese, cioè il
loro trasferimento (Cyber News Center, 27 aprile, 2001). La politica siriana
nei confronti dei Palestinesi è oggetto di frequenti discussioni: se
la Siria ha bisogno dei palestinesi come "pedine" in Libano, perché
non utilizza la propria influenza per migliorare il loro statuto e le loro
condizioni di vita? Salah Salah, ex-membro dell'Ufficio Centrale del FPLP,
offre il suo punto di vista: "Ci sono due linee direttive siriane: le
armi restano nei campi e l'esercito libanese ne resta fuori". Per il
resto, il governo libanese è libero di fare ciò che vuole. Salah
Salah pensa che Damasco non abbia nessun interesse particolare nelle condizioni
dei Palestinesi in Libano o nel suo alto livello di emigrazione. Inoltre,
la Siria ritiene il Libano responsabile di aver reso la vita dei Palestinesi
impossibile, allo scopo di prepararli ad accettare qualsiasi soluzione, o
la "towteen" (termine arabo che designa lo stanziamento permanente
dei rifugiati palestinesi in Libano) o l'emigrazione. Questo atteggiamento
minimizza i benefici economici e politici che la Siria ottiene dai suoi lavoratori
in Libano, la cui libertà di lavoro, oltre al diritto alla sicurezza
sociale, si applica anche a scapito dei Palestinesi. Questa marginalità palestinese
è dimostrata anche da una recente tendenza siriana a favore di Al Fatah,
che era precedentemente esclusa dai campi palestinesi, eccetto quello di Rachidieh.
Il desiderio di Damasco di costruire dei buoni rapporti con i Maroniti e di
mantenere dei contatti pacifici con gli Sciiti, esclude in generale ogni manifestazione
a sostegno dei Palestinesi. Comunque, l'ascesa di Sharon al potere ha chiuso
le porte alle negoziazioni tra la Siria e Israele e ha inflitto un forte colpo
allo scacchiere regionale, con la conseguente possibilità di un'alleanza
strategica OLP-Libano-Siria. Nonostante si tratti di un asso nella manica
per Arafat, piuttosto che di uno sviluppo imminente, si sono già verificati
nei campi libanesi delle mobilitazioni in massa di partigiani di Arafat. Un
simile passo compiuto dai Siriani può allontanarli dal nucleo maronita
ma, dopo la visita del patriarca Sfeir nell'America del Nord la scorsa primavera,
hanno forse deciso che corteggiare i Maroniti è un gioco perduto in
partenza. Sotto la minaccia di Sharon, sembrano giocare - forse temporaneamente
- la carta palestinese. "Poco importa chi vince,
i Palestinesi perdono". Questa è la sintesi appropriata della
posizione strutturale libanese nell'arena politica che impone ai rifugiati
il ruolo di pedine o di capro espiatorio. Tutto ciò è dimostrato
dalla loro relazione con gli Hezbollah. Gli Hezbollah cooperano coi gruppi
di resistenza che ritengono allineati sulle loro posizioni ideologiche e la
loro componente civile distribuisce gli aiuti nei campi; inoltre, controbilanciano
il movimento anti-palestinese Amal con la "strada" sciita. Tuttavia,
contemporaneamente e per motivi elettorali e regionali, gli Hezbollah collaborano
con Berri, il leader di Amal. I Palestinesi non hanno niente da offrire agli
Hezbollah, mentre il Partito di Dio è disturbato dalle sue relazioni
con la Siria, con l'Iran e con la componente sciita, indipendentemente dagli
impulsi politici e umanitari. Le regole riguardo l'assunzione
dei Palestinesi risalgono all'inizio dell'esilio in Libano, nonostante non
siano mai state così restrittive come adesso. In seguito alla recente
approvazione in Parlamento della revisione della legge 1164 del 1969 sulla
detenzione di beni immobili da parte di stranieri, si è raggiunta una
nuova forma di esclusione con la clausola che impedisce di essere proprietario
"a chiunque non abbia una nazionalità in uno stato riconosciuto"
(Qanun tamuluk al-ajanab, testo pubblicato da al-Safir, 23 marzo 2001). Questa
clausola di esclusione colpisce principalmente i Palestinesi, che sono costretti
a vivere nei campi a causa dei loro bassi salari e per la loro dipendenza
dai servizi dell'UNRWA. La maggior parte dei Palestinesi della classe medio-alta
ha acquistato un passaporto straniero o libanese per proteggersi da questa
clausola discriminatoria. Poiché i confini dei campi non possono essere
ampliati e le autorizzazioni a costruire all'interno sono ridotte al minimo,
le famiglie palestinesi dei campi hanno ridimensionato il loro desiderio di
espansione cercando di comprare degli appartamenti e dei lotti di terra all'esterno.
Queste operazioni sono ormai illegali e le famiglie palestinesi sono costrette
ad affittare le loro abitazioni in un periodo di intensificazione della povertà
e con un governo che sta preparando un progetto di legge che libererà
completamente gli affitti nei prossimi dodici anni (The Daily Star, 28 marzo
2001). Il commento del rappresentante
del FDPL (Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina), Fethi Khleib,
riguardo la recente legge sulla proprietà, non è esagerato:
"Gli unici diritti che restano ai Palestinesi del Libano sono il diritto
alla resistenza e il diritto alla morte". Il diritto di morire, sì,
ma non il diritto di essere sepolti. L'Organizzazione Palestinese dei Diritti
dell'Uomo ha lanciato un grido di allarme riguardo la mancanza di spazio per
l'inumazione dei Palestinesi. La morte ha rivelato un altro aspetto deprecabile
della legge che esclude i Palestinesi dal diritto alla proprietà. Mentre
prima, in caso di decesso, i rifugiati palestinesi segnalavano il defunto
presso i registri del governo e ottenevano semplicemente un certificato dal
tribunale religioso che nominava gli eredi, questa transizione è ora
illegale. Una delle prime Istituzioni a reagire è stata la Camera di
Commercio di Sidone, che ha anticipato una reazione più diffusa, poiché
quasi il 60% dei beni immobili di Sidone appartengono a Palestinesi. La maggior
parte dei beni palestinesi non sono stati registrati poiché i diritti
d'iscrizione per i non libanesi erano, fino ad oggi, proibitivi. Ciononostante, prima della prossima
sessione parlamentare, il sostegno libanese all'Intifada potrebbe cominciare
a diffondere una posizione pro-palestinese: qualche importante gruppo politico,
come gli Hezbollah e il Mimbar Dimukrati di Habib Sadek, gli Hezbollah - Sostegno
ai diritti Civili dei Palestinesi e il Movimento del Rinnovo Democratico di
Nassib Lahoud, potrebbero includere tale posizione nel loro programma. Le
espressioni di disapprovazione dei leader politici contro le condizioni nei
campi sono sempre più frequenti, e una parte del popolo libanese comincia
ad ascoltare Sayyed Nasrallah che descriveva le condizioni nei campi come
una "macchia sul volto libanese" (Al-A'hed, 9 aprile 2001). Nonostante
Nasrallah, come nessun altro politico libanese, non possa permettersi di fare
dei diritti civili dei Palestinesi una priorità in un paese schiacciato
da una forte crisi economica, è possibile che la politica di stato
basata sulla repressione e l'esclusione dei rifugiati diventi sempre più
"costosa" in termini di opinione pubblica locale e straniera. Un'azione legale internazionale
sarebbe una possibilità di ricorso per i Palestinesi. In un suo recente
articolo, pubblicato dall'Università di Lund (primavera 2000), Setter
Aasheim ha collocato la legislazione libanese e i suoi regolamenti nei confronti
dei rifugiati nel contesto delle leggi e delle convenzioni internazionali
che riguardano il diritto al lavoro dei rifugiati e lo statuto delle persone
senza patria riconosciuta. Per esempio, l'articolo 6 della Convenzione sui
Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966) riconosce il diritto dei rifugiati
palestinesi a lavorare come stranieri che soggiornano in maniera stabile.
Negando loro questo diritto, il Libano viola l'articolo 26 della Convenzione
Internazionale sui Diritti Civili e Politici che ha lo scopo di evitare ogni
forma di discriminazione. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo,
ironicamente ripresa dal filosofo libanese Charles Malik, conferma il diritto
al lavoro, e questo diritto è applicabile ai non-cittadini di un paese.
I non-cittadini, come i rifugiati, sono protetti da varie convenzioni internazionali
come la Convenzione sullo Statuto dei Rifugiati (1951) e la Convenzione Internazionale
sull'Eliminazione della Discriminazione Razziale. Il Libano non ha sottoscritto
alcune di queste convenzioni e per questo, avviare azioni giudiziarie non
sarà facile, soprattutto se a lamentarsi saranno alcuni Stati. Però,
la procedura 1503 presenta una lacuna che autorizza dei privati o delle organizzazioni
a fare ricorso alle Nazioni Unite in caso di abuso dei diritti dell'uomo,
e se si forniscono prove di "evidenti violazioni dei diritti dell'uomo
attestate da fonti sicure", l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite
per i Rifugiati può avviare una missione d'inchiesta. Non dovrebbe
essere difficile reperire simili prove per quanto riguarda la legislazione
e i procedimenti libanesi nei confronti dei Palestinesi. Tuttavia, la mancanza di sicurezza
in Libano rende i Palestinesi diffidenti verso misure così radicali.
Essi sono infatti profondamente consapevoli che la loro sopravvivenza è
a mala pena tollerata e che l'"internazionalizzazione" della loro
situazione farebbe solo aumentare l'ostilità nei loro confronti. D'altra
parte, la combinazione attuale dell'Intifada, cioè l'acceso nazionalismo
e la rabbia alimentata dalla legge sulla proprietà, può trasformare
il clima dominante di sconforto passivo in sfida attiva. La forma di questa
sfida consisterà probabilmente in una serie di azioni di protesta con
la collaborazione di alcuni simpatizzanti libanesi: una simile sfida all'interno
del sistema troverà un'eco positivo in un momento di crescente ostilità
libanese nei confronti di Israele e degli Stati Uniti. * Sul sito "http://www.solidarite-palestine.org/"
è possibile trovare questo e altri articoli; una formula permette di
iscriversi o di annullare la propria iscrizione alla mailing list.
Poiché il trasferimento, cioè lo stanziamento definitivo, è
formalmente proibito dalla costituzione libanese, tutti i Palestinesi in possesso
di una carta d'identità di "rifugiato" corrono il rischio
di essere trasferiti. Nel frattempo, i loro diritti civili sono schiacciati
da leggi e provvedimenti il cui fine, anche se non dichiarato, è di
rendere la vita dei Palestinesi così insopportabile da far loro preferire
la partenza. L'Intifada ha sì generato dei cambiamenti in alcuni ambiti,
in particolare la percezione da parte dei mezzi di comunicazione, ma non ha
ottenuto alcun risultato in altri e più importanti settori, fra cui
le inumane condizioni di vita che i rifugiati devono affrontare nei campi.
L'ex-presidente dell'OLP Shafiq al Hout ha riassunto nel migliore dei modi
le contraddizioni libanesi nell'espressione "Con i Palestinesi, contro
i Palestinesi".
La scorsa settimana, il poeta palestinese israeliano Samih al-Qassem è
stato invitato ad un festival culturale di Beirut ed è stato premiato
dal presidente, il cui intervento personale è stato necessario per
autorizzare la partecipazione di Qassem. Ciò fa parte di un cambiamento
radicale che si manifesta negli eventi culturali e nei media libanesi e che
dà all'Intifada una copertura totale da parte dei mezzi di comunicazione,
in particolar modo tramite Al-Safir per i giornali e Minar (un Hezbollah)
per i canali della televisione (anche la NBN ha un corrispondente stabile
a Gerusalemme). Inoltre, alcuni interlocutori palestinesi sono spesso invitati
a prendere parte a dei talk show politici. Come conseguenza dell'Intifada,
è stata anche soppressa la campagna contro i Palestinesi locali, che
aveva raggiunto il suo apice l'anno scorso. L'espressione "isola di sicurezza"
utilizzata per suggerire l'illegalità e il pericolo nei campi è
passata di moda. Tuttavia, questa apertura dei media non ha avuto nessuna
ripercussione sui regolamenti contro i rifugiati.
Con la crisi economica libanese, la disoccupazione dei Palestinesi continua
ad aumentare. Un'indagine condotta dall'istituto di ricerca norvegese FAFO
nel 1999 e non pubblicata, rilevava poca differenza fra il Libano e la Giordania
riguardo il livello di disoccupazione palestinese (17% contro 16%). Anche
se è lecito domandarsi se i criteri utilizzati dalla FAFO per la sua
indagine siano in grado di fornire un'immagine corretta della situazione dei
rifugiati in materia di "lavoro e salario", rimane comunque indiscusso
il fatto che il mercato del lavoro, da allora, ha continuato a diminuire.
Durante un recente viaggio nei campi del Nord, del Sud, nella Bekaa, a Beirut
e a Sidone, ho chiesto ai capi dei campi una stima riguardo i tassi di disoccupazione:
le cifre variavano sempre fra il 60% e il 70%. Alcune persone appartenenti
a diverse generazioni mi hanno raccontato delle storie che dimostrano come
la maggior parte degli uomini che sono diventati adulti dopo il 1982 non hanno
mai esercitato una professione corrispondente alla loro formazione. I piccolo
lavori integrativi che trovano non durano mai più di qualche settimana.
Un giovane del campo di Wawell con un diploma in filosofia non è ancora
riuscito a trovare lavoro, dopo aver finito gli studi dieci anni fa. È
tristemente ironico constatare che, nonostante questa generazione abbia potuto
approfittare di opportunità di istruzione e formazione migliori rispetto
ai loro nonni - la generazione della Naqba - sono ancora i più anziani
che riescono a trovare lavoro e a risparmiare per istruire i loro figli. Ziad,
un ingegnere che vive a Bourj el-Barajneh descrive così la situazione:
"Mio padre non era istruito e tuttavia è riuscito a far vivere
la famiglia in maniera dignitosa e ad assicurare a me e a mio fratello un
alto livello di istruzione. Io sono ingegnere ma non sono in grado di avere
una casa mia e di sposarmi" (riportato da Bandik Sorvig nella sua tesi
di DEA ("Exile Without Refuge", Università di Oslo, 2001,
p.66).
Nonostante dodici parlamentari abbiano rivolto al Majlis al- Dastouri una
richiesta di revisione della clausola di esclusione in nome della sua incoerenza
con certi decreti della legge libanese che bandiscono ogni forma di discriminazione,
le Majlis ha ratificato la clausola. Questo fatto ha portato un Libanese ad
affermare che niente in Libano è indipendente dallo Stato, almeno per
quanto riguarda ciò che è giudiziario.
Quando si renderanno conto delle implicazioni di questa clausola di esclusione,
i Palestinesi saranno più che pronti ad una serie di proteste, che
già hanno avuto inizio nei campi di Ein el-Hilweh il 26 luglio.
Altre manifestazioni sono attese prima della sessione parlamentare speciale
del 13 agosto, alla cui data è già stata rinviata la discussione
sulla legge sulla proprietà. » stata abbozzata una nuova legge
sulla proprietà che abrogherebbe la clausola di esclusione e che fin
da ora beneficia della promessa di sostegno del blocco di Hariri, degli Hezbollah
e dei partiti nazionali progressisti, che costituirebbero assieme la maggioranza.
Ma nessuno può prevedere come questa questione si giocherà al
momento dello scrutinio tra la Troika, i partiti, Damasco e altri elementi
esteriori.