Un
implicito semaforo verde all'eliminazione fisica di Arafat.
Intervista su Liberation del 5 dicembre 2001 al caporedattore della "Revue
d'etudes palestiniennes", Elias Sambar, pubblicata da "Liberation"
del 5/12/01 e ripresa in Italia da "Adista" del 24/12/01.
A quale strategia obbedisce
Ariel Sharon? La vita di Arafat è
minacciata? Fino a dove Arafat può
combattere gli estremisti senza provocare una guerra civile? Saranno i fondamentalisti
a trarre vantaggio dalla crisi? Che può fare Arafat Non è illusorio
questo mentre Washington sembra tornare alla sua posizione precedente l'11
settembre e gli arabi sembrano poco interessati ad intervenire? Questa crisi non pone
il problema della successione di Arafat?
I bombardamenti dei bersagli palestinesi
non sono solo simbolici. Hanno anche una logica operativa. Ricordano la strategia
che ha seguito nel 1982 a Beirut lo stesso Ariel Sharon, tentando di prendere
Arafat in una trappola, al fine di deciderne la sorte. Sharon sembra cercare
oggi di distruggere la struttura dell'Autorità Nazionale Palestinese
e di sottomettere Arafat alla propria mercé. Questa strategia mira
ad ottenere che la scomparsa dell'Autorità palestinese o la liquidazione
fisica del suo capo dipendano dal Primo Ministro israeliano. Si inscrive anche
nella visione che ha Sharon di un eventuale ordinamento. Ai suoi occhi, gli
accordi di Oslo sono il più grande errore commesso nella storia di
Israele e l'unica soluzione sarebbe di moltiplicare gli interlocutori "locali".
Ciò somiglia ad un progetto di "riserve indiane".
Anche se è difficile rispondere, diversi
fatti indicano che Sharon può contare su un implicito semaforo verde
se decidesse di passare all'eliminazione fisica del leader palestinese: le
ultime prese di posizione israeliane, la contaminazione fra il movimento palestinese
e al-Qaeda e le dichiarazioni di Bush e del suo segretario alla Difesa affermano
sia che Arafat è un ostacolo alla pace, sia che egli è squalificato...
La politica israeliana mira a mettere Arafat
nell'impossibilità di rispondere alle richieste che gli vengono fatte,
al fine di squalificarlo. A partire da ciò, ci si può chiedere
se non sia stata presa la decisione di aprire un secondo fronte in Medio Oriente.
Cominciando dalla Palestina, oltrepasserebbe le sue frontiere e giungerebbe
ad una crisi più vasta, di cui l'Iraq sarebbe un bersaglio. La contaminazione,
intollerabile per i palestinese, fra il loro movimento e al-Qaeda non può
che condurre a legittimare avventure militari in Palestina e nei Paesi limitrofi.....Rimane
la guerra civile. Ma il suo spettro si allontana con l'intensificarsi dei
bombardamenti israeliani che non possono che compattare la società
palestinese.
La scommessa di fare esplodere la guerra civile per stroncare le aspirazioni
palestinesi e far accettare le condizioni di Sharon per la pace ha mostrato
i suoi limiti. Lo stato maggiore israeliano che continua a contare esclusivamente
sulla forza non ne ha tratto alcuna lezione. Le rappresaglie non sono la via
per la pace, ma conducono all'escalation del conflitto.
Se si verificasse il peggio i fondamentalisti
islamici della Palestina e dintorni sarebbero in prima posizione per coglierne
i frutti. Ci si ritroverebbe nella situazione in cui i fondamentalisti, Sharon
e l'amministrazione americana otterrebbero quello che cercavano: una crociata.
Se questa politica continua l'avranno, mentre i democratici e i sostenitori
della pace e della riconciliazione saranno per lungo tempo fuori gioco
Solo due cose: da un lato continuare a contare
sul suo popolo; dall'altro sperare che gli Stati Arabi prendano posizione
per fermare l'escalation. Infine sperare che un certo numero di attori internazionali,
in particolare l'Europa, non si contentino più di lanciare appelli,
ma passino all'azione, affinché una forza terza intervenga e imponga
alle parti una desistenza.
Una certa speranza era nata dalle dichiarazioni
di Colin Powell. Ma oggi prevale la sensazione che ad interessarlo sia la
linea dura, quello che chiede l'allargamento della guerra dell'Afghanistan
ad altri territori...
Quanto agli arabi, è effettivamente un paradosso qualificare come urgente
una riunione che si svolgerà tra cinque giorni! Bisogna augurarsi che
gli Stati arabi che, con l'invasione del Libano, nel 1982, hanno constatato
che la politica di Sharon costituisce una minaccia per l'intera regione, passino
dalle grandi dichiarazioni di solidarietà verso la Palestina a misure
concrete e soprattutto immediate. Poiché la destabilizzazione che comincia
dalla Palestina non si fermerà alle sue frontiere.
Israele, che va ripetendo di voler altri interlocutori, dovrebbe
sapere che tutti i possibili successori di Arafat sono più "duri"
di lui. Un'altra questione fondamentale che va al di là della persona
di Arafat si pone alla società israeliana.
Che farà Israele se Sharon arriverà a smantellare l'Autorità
palestinese, a stabilire il suo ordine militare sui palestinesi, a imporre
all'insieme della regione araba la sua soluzione? Si lancerà in altre
avventure verso la Giordania e l'Egitto? Al contrario degli americani che
conducono una guerra terribile in, ma un giorno torneranno a casa, gli israeliani
sanno che loro devono vivere in questa regione, che il loro avvenire è
la e non altrove. Come faranno a coabitare con i loro vicini e a vivere riconciliati,
in armonia e nel reciproco rispetto con i palestinesi?