Israele
si muove per schiacciare il movimento nazionale palestinese.
Le origini e gli sviluppi del disegno politico di creare una rappresentanza
politica palestinese supina agli interessi dello Stato di Israele. Di Sergio
Yahni, AIC. Dicembre 2001.
Giovedì 6 dicembre, parlando di fronte
al Comitato degli Affari Esteri e della Difesa del Knesset, il Ministro della
Difesa Benjamin Ben-Eliezer ha enfatizzato la sua idea e cioè che in
questo momento Israele non ha partner per dei negoziati politici. Ha anche
affermato che i vecchi ufficiali palestinesi tra cui il portavoce del
Parlamento Abu Ala, l'incaricato dei negoziati Abu Mazen e i Capi della Sicurezza
Preventiva Jibril Rajoub e Mohammed Dahlan credono che il rappresentante
dell'ANP Yasser Arafat stia conducendo il popolo palestinese al disastro. Il nuovo asse della politica israeliana, sostenuto
dal Primo Ministro Sharon e dal Ministro della Difesa Ben Eliezer, consiste
nel rivisitare il vecchio progetto, poi fallito, di creare un'alternativa
alla leadership nazionale palestinese. Dall'accordo di pace con l'Egitto,
che parlava della creazione di un'entità autonoma nei Territori Palestinesi
Occupati, Israele ha sempre cercato un corpo politico che guidasse questa
entità autonoma secondo le regole dettate da Israele. Nei primi anni
'80 Menachem Milson, responsabile dell'Amministrazione Civile del West Bank
e della striscia di Gaza, ha fondato la "Villages Association".
L'associazione era formata da collaboratori palestinesi armati da Israele
e aveva lo scopo di ricoprire questo ruolo dopo che Israele avesse distrutto
l'OLP in Libano. Il progetto di Milson è stato un totale fallimento:
l'associazione venne scoperta dal movimento nazionale, i suoi membri furono
assassinati dalle diverse fazioni palestinesi e i sopravvissuti dovettero
cercarsi un rifugio in Israele pagati dal Shabak. Milson stesso si è
dimesso. Sette anni dopo, con Rabin come Primo Ministro,
il sistema di sicurezza israeliano si è convinto che Hamas, la nuova
organizzazione islamica, sarebbe stata in grado di svolgere questo compito.
Avevano le loro ragioni: l'organizzazione madre dei Fratelli Mussulmani era
nota per essere più incline, in quanto organizzazione islamica, verso
i cambiamenti socio-religiosi all'interno della società palestinese
che non verso la liberazione nazionale. Hamas si diffuse all'esterno dell'OLP,
che da anni aveva un suo orientamento, ed entrò in competizione con
essa. Ci volle un anno alla polizia dell'IDF e ai servizi di sicurezza israeliani
per capire che da questa prospettiva, la medicina era peggiore della malattia. La prospettiva israeliana degli accordi di Oslo
può essere analizzata dal punto di vista della ricerca di un'alternativa
all'OLP. Ci si aspettava che l'AP negoziasse il progetto di liberazione nazionale
dell'OLP in cambio della sovranità statale. Arafat era pronto a fare
questo scambio, ma Israele non poteva consegnare la merce: riconoscere la
sovranità statale della Palestina significava strozzare il progetto
coloniale sionista e smantellare gli insediamenti. Questa ipotesi risultò
improponibile quando la società politica israeliana rifiutò
di ridimensionare il progetto di colonizzazione dimostrandosi pronta ad imporre
ad Arafat uno stato palestinese insostenibile dal punto di vista geografico,
strozzato da blocchi di insediamenti e diviso da circonvallazioni. Questa realtà impossibile da realizzare
portò all'intifada nel settembre del 2000, un movimento popolare contro
l'occupazione israeliana e la repressione e contro il regime non democratico
che si veniva delineando sotto l'AP. Con l'11 settembre sono cambiate sia la strategia
di Israele riguardante i Palestinesi sia l'architettura della sua politica
interna. Israele ha imposto nuove regole del gioco nel contesto della guerra
guidata dall'America contro il "terrorismo". Con Bush, è
scomparso il sostegno al diritto dei Palestinesi all'indipendenza e alla sovranità
ed è scomparso anche il diritto a resistere all'ingiustizia. In risposta ad un'affermazione del Ministro degli
Esteri egiziano Ahmed Maher, il quale spingeva i Palestinesi e gli Israeliani
a porre fine al ciclo di violenza, il Primo Ministro israeliano Sharon ha
detto che "non c'è nessun ciclo di violenza; c'è da una
parte il terrore fatto dai Palestinesi e dall'altra ci sono gli sforzi di
Israele di interromperlo". Il presidente Bush ha aggiunto che Arafat
deve "usare ogni mezzo in suo potere per prevenire futuri attacchi terroristici
in Israele" e che non ci si può aspettare che lo stato ebraico
conduca dei negoziati sotto il fuoco dei terroristi. Le dichiarazioni di Ben Eliezer indicano le linee
della futura politica di Israele verso la leadership palestinese: o Arafat
scaverà la fossa al movimento nazionale palestinese oppure Abu Ala,
Abu Mazen, Rajub e Dahlan svolgeranno questo compito. Se il signor Arafat
non vuole essere spodestato, deve essere pronto ad accettare le condizioni
di pace imposte da Israele e fare guerra ad ampi settori della società
palestinese che hanno intenzione di continuare a resistere all'occupazione. Gli Stati Uniti e i loro alleati nel Medio Oriente
Giordania, Egitto e Arabia Saudita sostengono questa politica.
Anthony Zinni ha incontrato Arafat giovedì [si riferisce alla prima
missione, fallita, di Zinnin N.d.R.], in seguito a una pressione americana
senza precedenti sul leader palestinese, il quale deve usare la mano pesante
e agire in maniera veloce e decisa sui militanti delle aree sotto il suo controllo. I leader di Giordania, Egitto e Arabia Saudita
la scorsa settimana hanno evitato ogni critica diretta agli attacchi di elicotteri
e aerei da guerra israeliani. Invece hanno pubblicamente richiamato entrambe
le parti alle loro responsabilità per sedare le violenze. I tre Paesi
hanno privatamente messo in guardia Arafat sul fatto che ha poco spazio di
manovra per quanto riguarda la questione di Hamas, della Jihad islamica e
di altri gruppi militanti palestinesi. "Gli stanno dicendo in modo brusco la stessa
cosa che gli sta dicendo il segretario di Stato Colin Powell", sostiene
un ufficiale dell'Occidente, come riferisce il "Washington Post"
del 6 dicembre. Come reazione a queste pressioni, le prime mosse
di una possibile guerra civile sono avvenute giovedì, quando centinaia
di sostenitori di Hamas si sono scontrati con la polizia palestinese fuori
della casa del leader del gruppo. Un sostenitore di Hamas è stato ucciso
sul posto. Gli scontri sono avvenuti dopo la mossa esplicita di Arafat contro
Hamas, quando cioè il fondatore del movimento e leader spirituale,
Sheik Ahmed Yassin, è stato messo agli arresti domiciliari. Giovedì
la polizia palestinese ha messo dei checkpoint attorno alla sua casa di Gaza,
scontrandosi per ore con 1.500 sostenitori di Hamas. La forza di sicurezza palestinese ha detto di
aver compiuto delle retate che hanno portato al fermo di 180 militanti islamici
a partire da domenica, da quando è cominciata l'ondata degli arresti.
Alcuni degli arresti sono stati effettuati durante la notte. Abdel Aziz Rantisi, uno dei leader di Hamas entrato
in clandestinità all'inizio dell'ondata di arresti, ha pubblicato un
messaggio su un sito web legato ad Hamas, rivolto agli uomini ricercati del
gruppo, nel quale dice che questi non devono trasformarsi in poliziotti. Fatah, il movimento legato ad Arafat, in seguito
a questa situazione ha organizzato una contro-dimostrazione per sostenere
il leader palestinese. Un aiutante di campo di Arafat, Tayeb Abdel Rahim,
ha detto ad una folla di diverse migliaia di persone che si devono sollevare
contro coloro che cercano "di sabotare le decisioni della leadership
palestinese", con riferimento palese ai militanti islamici. In ogni caso, le contraddizioni del movimento
israelo-internazionale esistono. Non è affatto certo che - nonostante
il loro disaccordo con la strategia della guerra aperta contro Israele - ad
Abu Ala, Abu Mazen, Rajub e Dahlan piacerebbe prendere il posto dell'Association
of Villages. Anche se fossero d'accordo, non è sicuro che il loro destino
sarà diverso da quello di quella originale. D'altra parte Israele e
gli Stati Uniti non concedono abbastanza ad Arafat perché questi ceda
e si svenda. Non solo Israele non è pronta a ritornare alla questione
originale della sovranità per la liberazione nazionale, ma Yasser Arafat
e i suoi servizi di sicurezza hanno paura che Israele bombardi la prigione
dove sono tenuti in arresto i sospettati di far parte di Hamas e della Jihad
islamica. Se i prigionieri venissero uccisi durante un attacco da parte di
Israele, Arafat e i suoi uomini sarebbero immediatamente ritenuti responsabili
per questo. La gente palestinese sospetterebbe anche un collegamento tra Arafat
da una parte e gli Israeliani e gli Americani dall'altra, per eliminare gli
attivisti dell'intifada detenuti nelle prigioni dell'AP. Né Arafat né Abu Ala, Abu Mazen,
Rajub o Dahlan, sono pronti o capaci di entrare nella storia come coloro che
hanno svenduto la causa palestinese, senza aver ottenuto uno stato palestinese.
Nonostante la pressione di oggi, quando verrà il momento di scegliere,
essi non avranno altra alternativa se non quella di scegliere il campo dell'insurrezione
popolare o di farsi da parte. Se Israele vuole mandare a rotoli tutto questo,
dovrà farlo da sola e pagarne l'intero prezzo.
"Questa è l'ultima chance (per i Palestinesi e per Arafat) di
fare quello che ci si aspetta che facciano", ha detto Raanan Gissin,
un consigliere del Primo Ministro Ariel Sharon.