I palestinesi in Israele.
Intervista a Majid Kanaana, palestinese in Israele, sulla situazione politica e le organizzazioni della sinistra palestinese, i rapporti coi pacifisti israeliani, l'apartheid nei confronti della popolazione araba e altro. A cura di Reds. Maggio 2002.


Majid Kanaana è un compagno palestinese che vive nella zona di Nazareth in Galilea, dove lavora come psicologo scolastico. Ha studiato in Italia, a Padova, dove si è laureato alla fine degli anni '90 in psicologia, con una tesi sulla percezione identitaria dei palestinesi in Israele, che pubblichiamo in questo stesso numero. È attivista di Abnaa el Balad, un movimento politico dei palestinesi in Israele, che pubblica un sito in lingua araba (http://www.abnaa-elbalad.org) e con qualche materiale in inglese. In questa fase ampio spazio è dedicato al sostegno all'Intifada. È anche membro dell'associazione culturale Al Jeel al Jadeed con sede a Haifa e di Dounia, un'associazione internazionale per la tutela dei diritti umani, che ha sede in Italia, a Padova.

Puoi tracciare un quadro delle organizzazioni della sinistra palestinese sia in Israele che nei territori occupati? Che ruolo hanno oggi nelle relazioni politiche interne alla comunità palestinese e nei rapporti con Israele?
Il Partito Comunista Israeliano, Rakah, è stata la prima organizzazione di massa ad accettare al suo interno gli arabi come membri uguali agli ebrei e a permettere loro di praticare l'attività politica e organizzarsi in partito.
Oggi il Rakah, insieme a Hadash (Fronte Democratico per la pace e l'Uguaglianza), ha una presenza significativa tra i palestinesi in Israele, ed è radicato in importanti centri arabi, come Nazareth e Sakhnin. Inoltre, il Partito è rappresentato nella Knesset, il parlamento israeliano, con tre membri.
Il Rakah, nel suo programma, non va oltre le rivendicazioni per l'uguaglianza e i diritti civili dei palestinesi in Israele, e non vede che il loro problema principale deriva dalla natura dello Stato d'Israele come Stato degli ebrei. Infatti, il Rakah riconosce Israele come stato ebraico che contiene una grande minoranza araba.
Inoltre, il Rakah è stato uno dei primi partiti a chiedere la creazione di due stati per due popoli, cioè la creazione di uno Stato palestinese nei confini del '67 accanto allo Stato d'Israele. Su questa linea, il Partito vedeva negli accordi di Oslo una conquista per il popolo palestinese.
Il partito è ancora oggi ambiguo sulla questione del diritto al Ritorno dei rifugiati palestinesi, perché continua a non essere chiaramente schierato per l'applicazione della risoluzione 194 che prevede tale diritto.
La seconda forza politica di sinistra è il movimento di Abnaa el Balad (Figli della patria), di ispirazione marxista, che rappresenta la sinistra radicale e progressista all'interno della comunità palestinese del '48. Il movimento crede che i palestinesi in Israele costituiscano una parte integrante del popolo palestinese e si considera come parte del movimento di liberazione nazionale palestinese e arabo. Il movimento è nato nel 1969, nella cittadina di Umm el Fahem, poi, dopo le manifestazioni della Giornata della terra nel 1996, si è unito ad una organizzazione studentesca, il Movimento Patriota Progressista, attivo tra gli studenti universitari arabi in Israele.
Il movimento rifiuta di far parte del gioco della democrazia israeliana, per cui non partecipa alle elezioni parlamentari; infatti il parlamento israeliano rappresenta la legalità dello Stato e la sua legittimità, e la partecipazione alle sue elezioni è un riconoscimento da parte nostra della legittimità di questo Stato, che è costruito sulla rovina del nostro popolo e della nostra società.
Inoltre, per partecipare alle elezioni della Knesset bisogna pronunciare il giuramento di fedeltà allo stato di Israele e, soprattutto, bisogna ammettere l'ebraicità dello Stato. Secondo la Legge Fondamentale delle Elezioni, punto 7 comma A, modificato nel 1984, vengono escluse tutte le liste che non ammettono chiaramente la natura dello Stato, come stato degli ebrei.
Per questo noi ci rifiutiamo di partecipare a questo gioco, e con la nostra astensione alle elezioni proclamiamo al mondo la nostra sfiducia nel sistema israeliano e denunciamo la natura razzista dello Stato. Israele è uno stato etnico religioso, non democratico; è cioè Stato degli ebrei, che discrimina sistematicamente l'Altro, i nativi (suoi cittadini palestinesi).
Il movimento, invece, crede nella lotta popolare e crede nella forza che le masse hanno, se sono unite, di ottenere i loro diritti, sia quotidiani che nazionali.
Il movimento prevede che ogni soluzione del conflitto arabo israeliano, per avere successo, deve prendere in considerazione la questione dei profughi palestinesi, sulla base della risoluzione 194 che prevede chiaramente il diritto al Ritorno.
All'interno delle comunità arabo-palestinesi in Israele, in questi ultimi anni, si è affermata un'altra forza politica, l'Assemblea Nazionale Democratica, Al Tajamua, che è un partito liberale che si considera nazionalista e partecipa alle elezioni parlamentari israeliane secondo le regole democratiche dello stato. Questo partito riconosce che Israele rappresenta il diritto di autodeterminazione del popolo ebraico e chiede il cambiamento dello Stato di Israele da uno Stato degli ebrei a uno stato dei suoi cittadini.
Al Tajamua è considerato il partito delle élite degli arabi in Israele e assume delle posizioni reazionarie nei confronti della questione operaia e del socialismo. Il leader di questo gruppo, Azmi Bishara, per esempio, ha dichiarato che Che Guevara aveva fallito e che non rappresenta nessuno stato rivoluzionario, e che l'identificazione giovanile con il Che, attraverso le bandiere che lo rappresentano e i suoi ritratti, è soltanto un atteggiamento idealista e insignificante. Inoltre, Bishara ha attaccato, in varie occasioni, la festa del primo maggio e quello che rappresenta per la classe operaia.
Nei territori occupati nel 1967 sono attive numerose organizzazioni; in questo particolare momento storico di lotta di liberazione nazionale, alcune di queste organizzazioni collegano il piano della lotta nazionale con quello della lotta di classe.
Tra questi ultimi abbiamo, innanzitutto, il "Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina", FPLP, che è una forza centrale nel panorama politico palestinese, che adotta il marxismo come metodo di analisi e crede nella lotta armata come una via per la liberazione della Palestina. Il Fronte Popolare crede che la soluzione del conflitto in Palestina passi attraverso la creazione dello Stato Democratico Laico nella Palestina storica.
Il "Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina", FDLP, si considera un'organizzazione marxista e, negli ultimi anni, è diventato un gruppo di élite. Il Fronte Democratico si è trovato, in varie occasione, molto vicino alla destra palestinese, in particolare per quanto riguarda gli accordi di Oslo, e chiede la creazione di uno stato palestinese accanto allo stato di Israele.
Abbiamo anche il "Partito del Popolo Palestinese", ex partito comunista, che concentra le sue attività nell'associazionismo, nelle ONG, e nelle istituzioni della società civile. Le posizioni politiche del Partito seguono molto le posizioni del Partito Comunista Israeliano, in particolare la questione della creazione di due stati per due popoli; inoltre, il Partito non adotta la lotta armata, cosa che lo ha reso abbastanza lontano dalle masse palestinesi.

L'inizio della seconda Intifada è stato caratterizzato da numerosi morti e da forti proteste dei palestinesi cittadini di Israele. Questo ha messo in evidenza la difficile situazione dei cittadini arabi in Israele. Puoi spiegarci in dettaglio, anche con esempi, quali sono le limitazioni dei diritti dei palestinesi cittadini di Israele?
Innanzitutto non va dimenticato che lo stato di Israele si definisce come lo Stato degli ebrei; definisce quindi i suoi cittadini arabi come non ebrei, e rifiuta di riconoscere la loro identità nazionale e di considerarli come una collettività, li considera solo come minoranze religiose. Da questo fatto, cioè dalla natura ebraica di Israele, tutti i progetti e gli interessi dello Stato sono proiettati verso la realizzazione di uno Stato ebraico, senza prendere in considerazione, neanche minimamente, la presenza dell'Altro, i nativi palestinesi.
In Israele ci sono varie leggi che discriminano direttamente i cittadini palestinesi in tutti i settori della vita, dall'educazione alla sanità, dai servizi pubblici ai fondi destinati a municipi e comuni arabi, e soprattutto sul piano della confisca delle terre arabe e della pianificazione urbanistica.
Per esempio, più del 40% delle terre arabe venne confiscato con la Legge sulla Proprietà Assente del 1950. Con questa Legge i palestinesi che non riuscivano a far ritorno alle proprie case o terre poiché i militari israeliani glielo impedivano, vennero classificati come proprietari assenti, dando così modo allo Stato di requisire le loro terre abbandonate. Questi Assenti-Presenti, assenti dalle loro proprietà e presenti come cittadini nello Stato, costituiscono oggi tra il 30 e il 40% della popolazione palestinese in Israele e sono conosciuti come i profughi interni.
La Legge del ritorno del 1950 concede automaticamente agli ebrei la cittadinanza israeliana, da qualunque parte del mondo essi provengano, mentre i cittadini arabi, quando si sposano con non ebrei, si vedono rifiutare la richiesta di ricongiungimento famigliare, quando non vengono addirittura minacciati di espulsione dal paese. Per non parlare del diritto al Ritorno dei profughi palestinesi che viene negato categoricamente!
Ci sono altre decine di Leggi che discriminano direttamente i cittadini arabi, come la Legge Fondamentale dell'elezione e la Legge di emergenza che vengono applicate solo ai cittadini arabi; la negazione della libertà di movimento, che impedisce arbitrariamente a tanti attivisti palestinesi di muoversi liberamente (è il caso del segretario generale di Abnaa el Balad, il compagno Muhamad Kanaana, che da circa 3 anni non può entrare nei Territori per un ordine militare, e non può partire per la Giordania e l'Egitto, sempre per ordini militari). Le leggi che regolano il sistema scolastico (nel settore arabo questo sistema è sotto il diretto controllo dei servizi di sicurezza interni, lo Shin Beit) stabiliscono come uno dei principali obiettivi la promozione della cultura ebraica e sionista e la negazione della cultura nazionale palestinese e araba, cercando di formare così uno studente arabo sottomesso, insicuro e alienato. Proprio una settimana fa è arrivata una intimidazione da parte del ministro dell'educazione che minacciava i presidi delle scuole arabe di bloccare immediatamente tutte le forme di raccolta di fondi e di aiuti umanitari per i palestinesi nei Territori.
Abbiamo anche il problema dei Villaggi Arabi non Riconosciuti, in cui mancano gli elementari servizi che ogni stato deve garantire ai suoi cittadini, come elettricità, acqua potabile, fognature, scuole, centri di sanità e strade asfaltate. Ancora oggi lo stato si rifiuta di riconoscere un centinaio di questi villaggi in cui vivono circa 80mila persone, che non sono segnati su nessuna mappa dello stato nonostante la maggior parte di loro esistano da decine di anni prima della creazione dello stato di Israele.
Ci sono molti casi in cui lo stato offre agevolazioni ai suoi cittadini, come l'acquisto di una casa o un terreno, l'università, il posto di lavoro, dalle quali gli arabi vengono esclusi perché non possono in nessun modo garantire le condizione richieste per usufruire di queste agevolazioni, come l'essere un nuovo immigrato, essere un Haridi (religioso ebraico) o aver fatto il servizio militare.

La solidarietà tra i palestinesi di Israele e quelli dei territori occupati è ancora forte come all'inizio di questa Intifada oppure, come sembra a noi dall'esterno, è andata diminuendo? Puoi fare esempi concreti?
Il tipo di solidarietà dei palestinesi all'interno di Israele con i loro fratelli nei territori occupati ha visto dei cambiamenti secondo la fase e la situazione politica del momento, ma il momento più significativo si è verificato durante la prima settimana di questa Intifada, cioè nell'Ottobre del 2000, quando si è ribellata tutta la Palestina, ai due lati della linea verde. La reazione degli israeliani a questa forma di solidarietà è stata molto dura: sono stati uccisi 13 giovani palestinesi, ne sono stati feriti centinaia e arrestati a migliaia, e questa reazione ha portato i leader politici arabi in Israele a intraprendere l'iniziativa di bloccare e controllare le proteste e le manifestazioni popolari nei villaggi e nelle città arabe. Noi pensiamo che questo sia avvenuto per il fatto che il movimento delle masse stava superando le linee dei partiti e delle leadership arabe e questo ha spaventato le leadership stesse e le ha condotte prendere in mano il controllo della situazione e a trasformare la solidarietà in una semplice raccolta di fondi e di viveri e in numerose manifestazioni pacifiche programmate in anticipo.

Oggi in Italia quasi tutte le organizzazioni che solidarizzano con il popolo palestinese si schierano per l'ipotesi "due popoli due stati". È davvero l'unica prospettiva possibile o esiste la possibilità di uno stato unico? La consideri, magari a lungo termine, una soluzione migliore di quella di un Mini-Stato Palestinese nei soli territori del '67?
Oggi tutte le forze democratiche e progressiste in tutto il mondo si schierano e lottano per l'abbattimento di tutti i Muri e per l'eliminazione dei confini tra i popoli, ma non si capisce perché solo in Palestina, tante di queste forze, accettano di alzare un Muro e impiantare un grande filo spinato su tutta la Linea Verde (la linea che divide la Palestina occupata nel '48 da quella occupata nel '67)!
Noi di Abnna el Balad pensiamo che la soluzione di "due popoli due stati" non sia l'unica soluzione; anzi, questa soluzione, a lungo termine, sarà un ostacolo per lo sviluppo dell'area e della prosperità dei due popoli. Inoltre, come facciamo a creare due stati in una zona così piccola con delle popolazioni intrecciate ai due lati della Linea Verde? La natura geopolitica del paese e la sua composizione demografica, a lungo termine, contrasta con questa divisione. L'unica soluzione che tiene in considerazione i legami dei due popoli con questa terra sta nella creazione di un unico stato, lo Stato Democratico e Laico della Palestina, in cui si danno uguali diritti sia agli arabi che agli ebrei. Questa soluzione diventa ancora più praticabile se pensiamo ai profughi palestinesi e al loro diritto di ritorno alle proprie case e terre da cui sono stati cacciati via nel '48, diritto sancito dalla risoluzione numero 194 del 1948, dalla Assemblea Generale dell'ONU.
Questa soluzione risolve anche il problema degli arabi palestinesi in Israele che, invece, con la creazione di due stati continuerebbero a vivere in un status di non ebrei e come cittadini nello Stato, ma non dello Stato in quanto non sono, appunto, ebrei.
La possibilità che una soluzione del genere diventi praticabile comincia dal momento in cui le due parti arrivano a una sorta di riconciliazione storica, come è avvenuto in Sudafrica, e dal riconoscimento della responsabilità storica e morale dello Stato di Israele e del movimento sionista (ma non degli ebrei, naturalmente) di quanto è accaduto nel '48 e negli anni seguenti.
Noi crediamo che nel momento in cui eliminiamo le conseguenze del conflitto, cioè il problema dei profughi palestinesi e il controllo militare di uno stato etnico religioso sull'intera zona, e arriviamo alla creazione di un unico stato democratico che dia uguali diritti sia agli arabi che agli ebrei, gli abitanti di questa terra potranno vivere insieme pacificamente.
Come vedete tu e la tua organizzazione l'iniziativa dei pacifisti israeliani in questa fase politica e in prospettiva? Avete rapporti con loro? Quali reali possibilità hanno di incidere sull'azione di governo e sull'opinione politica israeliana?
Possiamo dividere, a grande linee, le forze pacifiste israeliane in due campi. Il primo, il più forte, si muove da posizioni sioniste ed è attivo solo perché vede che l'esistenza di Israele dipende da un accordo con i palestinesi e con il mondo arabo. Con questo campo noi non abbiamo nessun rapporto, in quanto costituiscono parte del movimento sionista e sono d'accordo con esso sul fatto che Israele deve continuare a preservare la sua natura ebraica ed essere l'avamposto della borghesia ebraica e dell'imperialismo USA nel mondo arabo, e soprattutto, perché rifiuta categoricamente il diritto di ritorno dei profughi palestinesi.
Il secondo campo, che è ancora debole nella società israeliana, è quello della sinistra radicale, che rifiuta la natura ebraica dello stato e ammette il diritto dei profughi palestinesi e lotta per la creazione di un unico stato in Palestina per i due popoli.
Con questo campo abbiamo dei buoni e forti rapporti e cerchiamo, insieme, di aumentare la sua forza all'interno della società israeliana. Voglio ricordare che all'interno del nostro movimento ci sono dei compagni ebrei.
In questo momento stiamo cercando insieme di costituire un fronte comune, di arabi ed ebrei, sulla base dell'applicazione del diritto di ritorno dei profughi palestinesi, della lotta comune contro l'apartheid israeliano e della creazione di un unico stato democratico in Palestina.
In Italia e in Europa, la destra sostenitrice di Israele e della politica imperialista (insieme a gruppi e intellettuali di centro e di sinistra) gioca strumentalmente la carta dell'antisemitismo, propagandando l'inaccettabile equazione filopalestinese = antisemita = terrorista. A dire il vero all'interno della sinistra europea persistono venature antiebraiche mai del tutto chiarite e risolte. Quale peso ha, se ne ha, questo sentimento nei rapporti tra palestinesi ed ebrei in Israele?
È sicuramente sbagliato e fuorviante considerare ogni persona filopalestinese, e che si opponga alle politiche di Israele in Palestina, un antisemita. Noi arabi discendiamo da origine semita, ed è una cosa ridicola accusarci di antisemitismo. Il movimento sionista e i sui sostenitori hanno usato in modo strumentale il concetto di antisemitismo per coprire i crimini di Israele in Palestina. Infatti, ogni persona che si opponga alle politiche di Israele e del suo esercito viene accusato di antisemitismo, e non importa se sia un arabo o un occidentale o perfino un ebreo, come è successo con una famosa cantante israeliana che aveva dichiarato che i soldati israeliani si stanno comportando con i prigionieri palestinesi allo stesso modo dei nazisti con gli ebrei.
Sicuramente, sentimenti antiebraici, ma anche antiarabi e antipalestinesi, hanno un forte peso nelle relazioni tra arabi ed ebrei, e alimentano le diffidenze, che sono già enormi, tra le due parti, anche se i palestinesi, generalmente, non hanno atteggiamenti antisemiti e tantomeno antiebraiche, ma principalmente la loro posizione è antisionista.