Cosa ha fatto Israele.
Israele può essere una stato come tutti gli altri? E' questa la vera domanda da porsi sulla sua esistenza. Di Edward Said, traduzione di Nicoletta Elli. Aprile 2002.


Nonostante gli sforzi di Israele per limitare la diffusione attraverso i media dell'invasione straordinariamente distruttiva delle città e dei campi profughi palestinesi della Cisgiordania, le informazioni e le immagini sono trapelate comunque. Internet ha fornito centinaia di testimonianze audio-visive, così come hanno fatto le televisioni arabe ed europee, diversamente dalle principali reti televisive USA per le quali tali testimonianze sono state bloccate o rese indisponibili. Questa evidenza fornisce la prova eclatante dell'obiettivo attuale (e di sempre) della campagna di Israele: la conquista irreversibile del territorio palestinese e della sua società. La linea ufficiale (sostenuta dagli USA attraverso quasi tutti i suoi commentatori televisivi) è che Israele si è difeso, compiendo azioni di rappresaglia, dagli attentati suicidi che hanno minato la sua sicurezza e minacciato addirittura la sua esistenza. Questa affermazione ha acquisito lo status di verità assoluta e non è stata intaccata né da quanto Israele ha fatto né da quanto in realtà è stato fatto in nome di questa verità.

Sopprimere la rete terroristica, distruggere l'infrastruttura terroristica, attaccare i covi dei terroristi (notate la disumanità implicata in ciascuna di queste affermazioni): le parole sono state ripetute così frequentemente e così sconsideratamente da fare in modo che Israele si arrogasse il diritto di fare ciò che ha voluto, ovvero distruggere la società civile palestinese, ottenendo il maggiore danno possibile, la distruzione, l'uccisione, l'umiliazione, il vandalismo, la violenza tecnologica più ingiustificati. Nessun altro stato al mondo avrebbe potuto compiere ciò che Israele ha fatto, avendo dalla sua tutto l'appoggio e l'approvazione degli USA. Nessun altro stato ha potuto essere più intransigente e distruttivo di Israele, così sconsiderato nei confronti delle proprie realtà sociali.
Tuttavia, si avverte la sensazione che la natura sorprendente, per non dire grottesca, di queste affermazioni ("combattiamo per la nostra esistenza") sia stata lentamente erosa dalla devastazione inclemente ed inimmaginabile compiuta dallo stato ebraico e dal suo Primo Ministro omicida, Ariel Sharon. Prendiamo ad esempio l'articolo di Serge Schmemann (che non è un propagandista della causa palestinese) intitolato "Gli Attacchi Trasformano gli Insediamenti Palestinesi in un Ammasso di Polvere e Detriti"comparso in prima pagina sul New York Times l'11 aprile: "Non è possibile stabilire la gravità dei danni recati alle città e ai paesi - Ramallah, Betlemme, Tulkarm, Qalqilya, Nablus e Jenin - tuttora assediati da pattuglie e cecchini che sparano nelle strade. Ma è certo che le infrastrutture della vita civile e di qualsiasi futuro stato palestinese - strade, scuole, tralicci dell'elettricità, acquedotti, linee telefoniche - sono stati devastati". Grazie a quale disumano progetto ha potuto l'esercito israeliano, con 50 carri armati, 250 lanci di missili al giorno e dozzine di raid aerei con gli F-16, assediare per oltre una settimana il campo profughi di Jenin, un chilometro quadrato di baracche in cui abitavano 15.000 rifugiati e qualche decina di uomini armati con fucili automatici e senza alcun mezzo di difesa, nessuna organizzazione, nessun missile, nessun carro armato, senza niente, e definirla un'azione di risposta alla violenza terrorista e alla minaccia della sopravvivenza di Israele? In centinaia sono sepolti sotto quelle macerie che i bulldozer israeliani stanno cercano di ammassare fra le rovine.

I civili palestinesi, gli uomini, le donne, i bambini, sono forse topi o scarafaggi che possono essere attaccati e uccisi a migliaia senza nemmeno una parola di compassione o in loro difesa? E cosa dire della cattura di migliaia di uomini palestinesi, prelevati dai soldati israeliani e di cui si è persa traccia, l'indigenza della gente comune che cerca di sopravvivere fra le rovine create dai bulldozer israeliani in tutta la Cisgiordania, l'assedio che dura da mesi e mesi, la mancanza di elettricità e di acqua in tutte le città palestinesi, le lunghe giornate di coprifuoco totale, la carenza di cibo e di medicinali, i feriti che hanno sanguinato fino alla morte, gli attacchi sistematici alle ambulanze e agli operatori sanitari che persino il mite Kofi Annan ha biasimato come scandalosi? Queste azioni non si dimenticheranno facilmente. Gli amici di Israele devono chiedere al governo israeliano come queste politiche suicidarie possano fargli ottenere pace, accettabilità e sicurezza.

La mostruosa trasformazione di un'intera popolazione in "militanti" e "terroristi" ad opera della più formidabile e temuta macchina propagandistica al mondo ha permesso, non solo a Israele ma alla flotta dei suoi sostenitori, di cancellare la terribile storia di sofferenze e abusi, con lo scopo di distruggere impunemente l'esistenza civile della popolazione palestinese. Sono scomparsi dalla memoria collettiva la distruzione della società palestinese operata nel 1948 e la creazione di un popolo spodestato; la conquista della Cisgiordania e di Gaza e la loro occupazione militare nel 1967; l'invasione del 1982 che ha causato la morte di 17.500 libanesi e palestinesi e i massacri di Sabra e Shatila; i continui assalti alle scuole palestinesi, ai campi profughi, agli ospedali e agli impianti civili di qualsiasi tipo. Quale proposito anti-terroristico si persegue distruggendo la sede del Ministero dell'Istruzione e prelevandone i registri, la sede dell'amministrazione comunale di Ramallah, l'Istituto di Statistica, oltre a vari altri istituti di Diritto, Salute e Sviluppo economico, ospedali, stazioni radio e televisive? Non è chiaro che Sharon è determinato non solo nella "distruzione" dei palestinesi, ma nell'eliminazione della società palestinese e delle sue istituzioni nazionali?

In un contesto di disparità e di potere asimmetrico, come in questo caso, appare demenziale continuare a chiedere ai palestinesi , che non hanno un esercito, né una forza aerea, né carri armati, né difese di alcun tipo, o una struttura di comando, di "rinunciare" alla violenza e di non esigere una restrizione equivalente alle azioni di Israele. Anche la questione degli attentati suicidi, a cui mi sono sempre opposto, non può essere valutata da un punto di vista che consenta a un velato presupposto razzista di dare più importanza alle vite degli israeliani rispetto a quelle, più numerose, dei palestinesi che sono andate perdute, sono state menomate, stravolte e falciate dalla lunga occupazione militare israeliana e dalla sistematica barbarie apertamente operata da Sharon contro i palestinesi dall'inizio della sua carriera, negli anni '50, fino ad oggi.

Secondo me, non si può concepire una pace che non prenda in considerazione la questione di fondo: l'assoluto rifiuto di Israele di accettare la sovranità ed i diritti della popolazione palestinese sui territori che Sharon e la maggior parte dei suoi sostentatori considerano esclusivo territorio di Israele, ovvero la Cisgiordania e Gaza. Un profilo di Sharon pubblicato sul Financial Times del 6-7 aprile concludeva con il seguente brano, estremamente significativo, tratto dalla sua autobiografia, nella cui prefazione si legge tra l'altro "ha scritto con orgoglio della convinzione dei suoi genitori che ebrei ed arabi possono vivere gli uni accanto agli altri". Il brano tratto dall'autobiografia riporta quanto segue: "Ma essi ritenevano senza ombra di dubbio che solo loro avevano diritti sulla terra. E nessuno li avrebbe obbligati ad andarsene, malgrado il terrorismo o qualsiasi altra forza. Quando la terra ti appartiene fisicamente #.. allora detieni il potere, non solo il potere fisico, ma il potere spirituale".
Nel 1988, l'OLP ha concesso, ritenendola accettabile, la ripartizione dello storico territorio palestinese in due stati. Questa concessione è stata riaffermata in molte occasioni e sicuramente nei documenti di Oslo. Ma solo i palestinesi hanno esplicitamente riconosciuto il concetto di ripartizione. Israele non lo ha mai fatto. Ecco perché oggi vi sono circa 170 insediamenti sulle terre palestinesi, ecco perché esiste una rete stradale di 450 km che collega fra di loro questi insediamenti, ostacolando i movimenti dei palestinesi (secondo Jeff Halper del Comitato Israeliano Contro la Demolizione delle Case, la costruzione delle strade è costata $ 3 miliardi ed è stata finanziata dagli USA), ecco perché nessun primo ministro israeliano, da Rabin in poi, ha mai concesso alcuna sovranità reale ai palestinesi, e naturalmente questo è il motivo per cui gli insediamenti sono aumentati su base annua. Dando un'occhiata veloce ad una mappa recente dei territori si riesce a comprendere ciò che Israele ha fatto durante tutto il processo di pace, e le conseguenze in termini di discontinuità geografica e di restringimento dei territori palestinesi. Israele si considera infatti proprietario della terra di Israele nella sua totalità, così come lo è la popolazione ebraica: esistono leggi in Israele che garantiscono questo diritto, ma sui territori della Cisgiordania e a Gaza sono gli insediamenti, le strade e la mancanza di concessioni edilizie ai palestinesi che garantiscono questo diritto.

Ciò che stupisce maggiormente è che nessuna nazione o organizzazione mondiale (USA, Palestina, Paesi Arabi, ONU, Europa) abbia mai contestato Israele su questo punto, che invece è stato ampiamente trattato nei documenti di Oslo e nel relativo accordo. Questo è il motivo per cui, dopo quasi 10 anni di "negoziazioni per la pace", Israele controlla ancora la Cisgiordania e Gaza. Queste località sono attualmente controllate (possedute?) più direttamente da circa 1.000 tank israeliani e migliaia di soldati, ma il concetto di fondo è lo stesso. Nessun leader israeliano (e certamente non Sharon e i suoi sostenitori della Terra di Israele che costituiscono la maggioranza nel suo governo) ha mai ufficialmente riconosciuto i territori occupati come territori occupati o il fatto che i palestinesi potrebbero o dovrebbero in teoria avere diritti di sovranità, il che significa non subire il controllo israeliano sui confini, sull'acqua, sull'aria, sulla sicurezza di ciò che la maggior parte dell'opinione mondiale considera terra palestinese. Per cui parlare della "visione" di uno stato palestinese, così di moda ultimamente, rimane una mera visione purtroppo, a meno che la proprietà terriera e la sovranità sui territori vengano apertamente ed ufficialmente riconsciute dal governo israeliano. Nessun governo israeliano ha mai fatto una concessione di questo tipo e, se ho ragione, nessun governo la farà nel prossimo futuro. Bisogna ricordare che Israele è attualmente l'unico stato al mondo a non avere dichiarato alla comunità internazionale i propri confini territoriali; è l'unico stato a dichiararsi tale non rispetto ai suoi cittadini, ma dell'intera comunità ebraica; l'unico stato in cui più del 90% della terra è affidata ad uso esclusivo della popolazione ebraica. Che sia inoltre l'unico stato al mondo a non aver mai riconosciuto nessuno dei principali provvedimenti giuridici internazionali (come ha recentemente fatto notare Richard Falk su queste pagine) fornisce un'indicazione della profondità e della difficoltà strutturale che i palestinesi devono fronteggiare.

Questo è il motivo per cui sono scettico sull'utilità delle discussioni e degli incontri che si sono fatti in nome della pace, che sicuramente è una parola deliziosa ma, nel contesto attuale, significa semplicemente che i palestinesi dovranno smettere di opporre resistenza al controllo degli israeliani sui loro territori. Questa è una delle molte carenze della terribile leadership di Arafat (per non parlare degli ancora più deplorevoli leader arabi in generale), cioè il non aver mai focalizzato l'attenzione, nel decennio di trattative che hanno portato al trattato di Oslo, sulla questione della proprietà terriera, e quindi il non aver mai obbligato Israele a dichiararsi favorevole a perdere i diritti sulla terra palestinese; Arafat non ha nemmeno richiesto di obbligare Israele ad assumersi le proprie responsabilità per le sofferenze inferte alla sua gente. Penso che adesso Arafat stia solo cercando di salvare se stesso un'altra volta, mentre ciò di cui abbiamo realmente bisogno è di osservatori internazionali che ci proteggano e di elezioni che garantiscano un effettivo futuro politico alla popolazione palestinese.
La questione profonda che Israele e la sua gente deve affrontare è questa: sono intenzionati ad assumersi giuridicamente i diritti e gli obblighi di una nazione come qualsiasi altra, e a rinunciare alle dichiarazioni di proprietà terriera per le quali Sharon e i suoi genitori e i suoi soldati stanno lottando dal giorno uno? Nel 1948 i palestinesi hanno perso il 78% della Palestina. Nel 1967 hanno perso il restante 22%, entrambe le volte a beneficio di Israele. Ora, la comunità internazionale deve obbligare Israele ad accettare il principio della ripartizione vera, in contrapposizione a quella fittizia, e ad accettare il principio di limitazione degli insostenibili pretesti extra-territoriali, assurde pretese dai presupposti biblici, e delle leggi che hanno permesso loro, sino ad oggi, di avere il sopravvento su un'altra popolazione. Perché questo tipo di fondamentalismo è tollerato incondizionatamente? Tutto ciò che sentiamo è che i palestinesi devono fermare la violenza e condannare il terrorismo. Viene chiesto qualcosa di tangibile a Israele? Può continuare a fare ciò che ha sempre fatto senza pensare alle conseguenze? Questa è la vera domanda da porsi sulla sua esistenza: se può esistere uno stato israeliano che sia come tutti gli altri o se questo stato deve sempre essere al di sopra di tutte le restrizioni e i doveri che tutti gli altri stati al mondo hanno. I precedenti non sono rassicuranti.