Milosevic & Sharon: un feeling inevitabile.
Similitudine o addirittura un'identità tra l'atteggiamento di Milosevic nei confronti del Kosovo e quello di Sharon nei confronti dei palestinesi comprovato dalla stampa israeliana. A cura di Andrea Ferrario, "Notizie Est", #543 - 14 aprile 2002.


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Sono molti gli elementi palesi che legano due personaggi come l'ex presidente jugoslavo Milosevic e l'attuale premier israeliano Sharon, innanzitutto i massacri perpetrati a sangue freddo contro civili inermi. Quello che è meno noto, invece, è che tra i due esiste un "feeling" esplicito, come testimoniano alcuni fatti.
Lo "Hàaretz Magazine" di Tel Aviv pubblicava un anno fa, e più precisamente il 23 marzo 2001, una lunga intervista a Milosevic. Tra le tante altre domande dell'intervistatore, una riguardava direttamente Israele. Alla richiesta di esporre la sua opinione nei confronti di Israele in generale e più in particolare della posizione di Israele riguardo alla Jugoslavia, Milosevic rispondeva quanto segue: "Abbiamo sempre avuto un atteggiamento positivo nei confronti dell'esigenza del popolo israeliano di vivere in pace ed essere libero. Ma devo ammettere che, sfortunatamente, la nostra buona volontà non è stata contraccambiata da Israele nei momenti difficili per il popolo serbo, quando quest'ultimo era esposto a ogni tipo di pressione - da quelle mediatiche ed economiche, a quelle armate. In realtà, vi è stato chi ha alzato la propria voce contro il separatismo albanese. Sharon, per esempio. Ma si è trattato di rare eccezioni". Si noti bene che Milosevic, mentre si premura di citare a esempio Sharon, non spende nemmeno mezza parola per i palestinesi.
Nel suo commento, che accompagnava l'intervista pubblicata da "Hàaretz Magazine", Adar Primor scriveva che "Milosevic ha ricordi positivi di Ariel Sharon. L'attuale primo ministro israeliano, quando era ministro degli esteri, ai tempi della guerra del Kosovo, si era apertamente dissociato dalla campagna militare della NATO. Sharon aveva messo in guardia dalla creazione di una "Grande Albania" che avrebbe diffuso il terrore islamico in tutta l'Europa, aggiungendo che Israele non doveva dare legittimità a un coinvolgimento militare intervenzionista del tipo di quello messo in atto dai membri della NATO". Essendo Sharon uno degli ultimi uomini al mondo che si può opporre a una guerra per motivi di convinzioni morali o politiche, il suo messaggio risulta del tutto chiaro: un Kosovo indipendente avrebbe costituito un precedente per una Palestina indipendente e gli albanesi, come i palestinesi, sono solo dei "terroristi" islamici che si meritano unicamente di essere presi a cannonate. Ma non è tutto, dietro le sue dichiarazioni si può leggere a chiare lettere il timore che, per quanto improbabile, un domani anch'egli potrebbe essere oggetto di un voltafaccia da parte dei suoi amici occidentali, proprio come è accaduto al suo collega serbo. Come osservava Arjan El Fassed, attivista palestinese impegnato nella difesa dei diritti dei profughi, "ironicamente, con le sue parole, Sharon ha reso chiaro a tutto il mondo che vi è una similitudine, forse addirittura un'identità, tra l'atteggiamento di Milosevic nei confronti del Kosovo e quello di Sharon nei confronti dei palestinesi" (A. El Fassed, "Sanctioning Sharon", http://www.mediamonitors.net/arjan13.html). D'altronde, c'è un filo conduttore unico che lega non solo Milosevic e Sharon, ma anche lo stesso presidente statunitense George Bush, e più precisamente quello della lotta contro il terrorismo islamico, un filo conduttore tornato attuale con le battute di apertura del processo all'ex presidente jugoslavo, quando quest'ultimo ha rivendicato il suo ruolo di "pioniere" nella lotta globale contro il terrorismo di Bin Laden, alla quale ha dato il suo "modesto" contributo deportando e massacrando gli albanesi. Certo, la posizione personale dei tre oggi è ben diversa: il primo sta chiudendo la propria carriera con un mega-show miliardario all'Aia, il secondo è ancora impegnato a portare avanti la politica di massacri e distruzioni del suo collega di Belgrado, mentre il terzo supervisiona il tutto dalla stanza dei bottoni più grande del mondo. Quello che li accomuna indissolubilmente, tuttavia, rimane ancora oggi il cumulo di cadaveri e distruzioni che si lasciano dietro.
Dell'intervista concessa da Milosevic a "Hàaretz Magazine" vale la pena di citare un altro interessante passo, anche se non riguarda Israele, bensì il maggiore protettore del governo di Tel Aviv, gli Stati Uniti. Alla domanda del perché un uomo apprezzato personalmente da molti dei più alti politici occidentali sia caduto in un "conflitto di dimensioni quasi inesplicabili" con gli americani, l'ex presidente jugoslavo risponde: "Per essere sincero, io stesso mi sono meravigliato di questa animosità. Ma la risposta non è complicata: [la causa] non è stata la politica americana. È stata la politica personale dei massimi vertici della precedente amministrazione. Spero sinceramente che la nuova amministrazione americana vorrà, basandosi sui propri interessi e sull'interesse nazionale americano, trovare la verità essenziale dei motivi della vicinanza tra i suoi predecessori e la narcomafia albanese, [formata da] trafficanti in schiave bianche, assassini e terroristi. [...] Comunque, ho avuto una cooperazione eccellente con gli americani. Come banchiere, ho avuto svariati e positivi contatti con loro per molti anni. Anche all'inizio della crisi nell'Europa Orientale e in Jugoslavia ho avuto in quasi tutti gli incontri con rappresentanti dell'amministrazione americana contatti buoni e cordiali. Li ho avuti anche successivamente, in particolare durante i negoziati di Dayton. Perfino dopo di essi". Più chiaro di così...