La mobilità sociale
in Italia.
Ci
occuperemo qui di un libro divulgativo di Maurizio Pisati, ricercatore nella
Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento, "La mobilità
sociale", edito quest'anno da Il Mulino di Bologna (L.18.000). Dal testo
emergono dati molto utili per contrastare l'ideologia dominante nel sistema
capitalista che vuol far credere che "arrivare" socialmente in alto
dipende esclusivamente dalle capacità individuali. REDS. Ottobre 2000.
Ci occuperemo qui di un libro divulgativo di Maurizio Pisati, ricercatore nella Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento, "La mobilità sociale", edito quest'anno da Il Mulino di Bologna (L.18.000).
La mobilità sociale, utilizzando le stesse parole dell'autore, può essere definita come "il processo mediante il quale gli individui si muovono tra le diverse posizioni sociali all'interno della società cui appartengono". Più oltre aggiunge: "vuol dire occuparsi della disuguaglianza sociale da un particolare punto di vista. Precisamente, significa analizzare la misura in cui le disuguaglianze fra le classi sociali in termini di risorse disponibili si traducono in disuguaglianze di classe in termini di opportuintà di accedere - nel corso della vita adulta - alle diverse destinazioni sociali possibili". In poche parole questo settore della ricerca sociologica studia ad esempio le probabilità che ha un figlio di operai di divenire insegnante o capitalista rispetto al figlio di medici o di dirigenti.
Si tratta di un campo di particolare interesse per noi marxisti. Il marxismo sta purtroppo attraversando una fase di povertà di elaborazione senza precedenti. Dopo una lieve fiammatata non spettacolare negli anni sessanta e settanta si sono viste poche cose notevoli. Ciò è dovuto a vari fattori: spesso i marxisti preferiscono fare politica che scrivere libri, per ricerche in campo economico e sociologico occorrono mezzi che certo non vengono forniti a "sovversivi", le università europee non abbondano di professori marxisti e i pochi che ci sono concentrano i propri interessi in campo storico-filosofico. Per questo dobbiamo fare ampio ricorso agli studi non marxisti e trarne il maggior numero di insegnamenti possibili.
La sociologia è uno dei tanti campi in cui il pensiero dominante ha suddiviso l'ampio raggio degli studi sull'uomo: storia, antropologia, sociologia, politologia, economia, ecc. ecc. Ognuno di questi settori ha prodotto un infinito numero di specialisti che cercano le risposte ai fenomeni sociali rigorosamente all'interno dei confini che essi stessi si sono dati. Si tratta di confini che per i marxisti non hanno alcun senso e sono anzi dannosi perché impediscono di ricostruire un quadro d'insieme che stabilisca le relazioni e le influenze reciproche tra i fatti sociali. Questo però non comporta che dobbiamo ignorarne i risultati. Lo sforzo che dobbiamo compiere è di non farci recintare dai limiti autoimposti da quelle discipline e utilizzare i loro risultati depurandoli dall'abbondante dose di ideologia che contengono, come pezzi del nostro puzzle.
Il libro è interessante perché ha un carattere divulgativo e non presenta le difficoltà classiche per i non addetti ai lavori dei saggi sociologici. Inoltre l'autore adotta un taglio e si rifà ad una tradizione di studi sulla mobilità sociale che, pur non essendo marxista, utilizza la categoria di classe sociale, seppur con criteri diversi dai nostri.
La mobilità intergenerazionale in Italia
Il libro presenta una selezione di dati sulla mobilità intergenerazionale. Questi dati sono stati ricavati da indagini campione su migliaia di cittadini. Studiando l'"albero genealogico" dell'appartenenza di classe dei nostri nonni, genitori, fratelli e figli, possiamo noi stessi verificarne l'attendibilità. In pratica ci si domanda: rispetto alla posizione sociale occupata dai padri, come è cambiata quella dei figli? Sono "ascesi" socialmente? O sono restati nella classe di origine?
La mobilità
intergenerazionale in Italia: classe occupazionale attuale secondo la classe
occupazionale del padre . Individui occupati al momento dell'intervista, 1997
Classe del padre
classe occupazionale attuale borghesia classe media impiegatizia piccola borghesia urbana piccola borghesia agricola classe operaia urbana classe operaia agricola totale borghesia 31,2 45,3 15,0 1,2 6,9 0,4 100,0 classe media impiegatizia 18,5 51,4 13,2 0,2 16,2 0,5 100,0 piccola borghesia urbana 10,5 29,0 34,7 0,7 24,3 0,8 100,0 piccola borghesia agricola 4,2 21,1 20,5 13,1 36,5 4,6 100,0 classe operaia urbana 5,1 30,2 18,1 0,5 45,1 1,0 100,0 classe operaia agricola 1,4 17,9 19,6 2,9 46,8 11,4 100,0 totale 9,3 32,0 21,1 2,1 33,6 1,9 100,0 fonte: Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 1997, Roma, ISTAT, 1998, p.239
Rispetto ad una suddivisione classicamente marxista quella proposta dagli studiosi della mobilità sociale è sensibilmente diversa. Nella borghesia infatti essi includono, oltre ai capitaisti e ai dirigenti (sui quali siamo d'accordo), anche i liberi professionisti che per noi sono borghesi solo nel momento in cui si servono di lavoro dipendente in maniera indispensabile per svolgere il proprio lavoro: un geologo che viene chiamato ogni tanto per compiere dei rilevamenti non può essere paragonato ad un avvocato che ha uno studio con una quindicina di dipendenti (anche se metà dei quali non vengono pagati). La classe media impiegatizia per noi fa parte della classe lavoratrice cioé del moderno proletariato, all'interno del quale certo operiamo una suddivisione tra operai e impiegati (non è un caso, ci pare, che gli uni e gli altri si servano degli stessi strumenti di rappresentanza, i sindacati, e non sarebbe così se non appartenessero alla stessa classe). In ultimo per i marxisti non ha molto senso suddividere la piccola borghesia e la classe operaia in urbana e agricola. Un bracciante agricolo è un operaio quanto lo è il minatore o l'operaio di fabbrica. Tanto più che con l'ammodernamento dell'agricoltura un bracciante agricolo è spesso un manovratore di macchine, e risiede in un contesto urbano. Detto questo la suddivisione proposta ha per noi comunque un senso. Prima di tutto si riconosce l'esistenza di classi sociali. E questo non solo non é scontato nel dibattito politico dove appena uno parla di classe sociale spuntano dei sorrisetti di compatimento, ma anche nel dibattito sociologico. Non a caso il nostro autore si sente obbligato a giustificare l'uso di questo termine. Vi sono fior di sociologi che negano l'esistenza di classi sociali e parlano invece ad esempio di "posizioni occupazionali" trovandone, ovviamente, migliaia e rinunciando dunque a cercare un criterio per raggrupparle. Inoltre i raggruppamenti operati da questi studiosi ammettono l'esistenza di una piramide, di una gerarchia, anche se non arrivano a parlare di rapporti di dominazione.
Venendo alla tabella riportata sopra la si deve leggere in questo modo. Prendiamo ad esempio la prima riga: troviamo che il 31, 2% dei figli e delle figlie dei borghesi rimane nella classe di origine, mentre il 45,3% diverrà impiegato o insegnante, il 15,0 % aprirà un negozio, ecc. La mobilità dall'agricolo all'urbano è un portato dell'industrializzazione e ha spinto i figli degli operai agricoli a divenire operai urbani. Notiamo che quasi la metà dei figli degli operai è rimasta immobile dal punto di vista sociale. La conclusione che ne trae l'autore è:
"Tutti questi dati mostrano chiaramente che in Italia le opportunità di mobilità sociale sono distribuite in modo diseguale e dipendono in misura significativa dalla classe di origine. Per fare un solo esempio, possiamo vedere che essere figlio di un medico (cioé avere un origine borghese) oppure di un tornitore (cioé provenire dalla classe operaia urbana) non è la stessa cosa: le probabilità di diventare libero professionista, imprenditore o dirigente - cioé di accedere alle posizioni di vertice della gerarchia sociale - nel primo caso sono relativamente alte (31,2%), mentre nel secondo sono decisamente basse (5,1%). I figli della borghesia sono in netto vantaggio sui figli degli operai dell'industria e dei servizi anche nella competizione per l'accesso alla classe media impiegatizia (45,3% contro 30,2%)." p.47
Queste conclusioni potrebbero sembrare scontate per molti di noi, ma non lo sono all'interno della stessa classe lavoratrice. Se non teniamo conto di una minoranza politicizzata e sindacalizzata, la gran parte, specie i più giovani, è convinta che se uno "ce la fa" è perché particolarmente in gamba, oppure perché "ha avuto fortuna". Questi dati dimostrano il contrario.
L'autore nota poi che ciò non ha comunque impedito un'ascesa sociale di una fetta consistente di figli della classe operaia verso la classe "impiegatizia", ma nota che:
"Il processo di industrializzazione prima e quello di terziarizzazione poi hanno determinato da un lato una forte contrazione delle classi agricole e della classe operaia urbana, dall'altro la crescita altrettanto consistente della classe media impiegatizia e della borghesia. Cò significa che, almeno in parte, le opportunità di mobilità ascendente di cui hanno goduto i figli delle classi svantaggiate erano 'inevitabili': se le posizioni sociali che si rendono disponibili sono in alto, non si può fare altro che abbandonare la classe di orgine e salire".
L'apparenza di mobilità sociale verso l'alto di una parte della classe operaia è però anche un difetto della classificazione adottata. Pensiamo ad alcuni esempi a partire dai nostri incontri quotidiani. Se due figlie di operai sono riuscite una a frequentare un corso da estetista e un'altra da dattilografa, avranno forse trovato lavoro da una parrucchiera e in una piccola fabbrica come impiegata esecutiva. Si può seriamente considerare una ascesa sociale questa nuova collocazione? Eppure nella classificazione adottata dai sociologi esse risulteranno "ascese" rispetto alla collocazione di classe del padre e saranno collocate nella classe media impiegatizia. E' un limite di una classificazione che raggruppa le classi non secondo la posizione di dominazione o subalternità nel sistema, ma solo in base al fatto che si usino o no le mani.
La concorrenza sociale
Dalla tabella che abbiamo riportato sopra si possono comunque dedurre i coefficienti concorrenziali medi cioé il vantaggio medio che gli individui provenienti da una data classe di origine ha su quelli provenienti da altre classi di origine nella competizione per l'accesso ad una determinata classe sociale. Il grafico sotto rappresenta le posizoni di partenza che i figli delle varie classi di origine occupano. Possiamo immaginare sia la linea di partenza di una corsa dei cento metri, alcuni partono qualche decina di metri davanti agli altri ed altri alcune decine di metri dietro la linea di partenza.
L'autore: "Nella situazione ideale di perfetta uguaglianza delle opportunità di mobilità tutti i coefficienti concorrenziali medi sarebbero uguali a zero, indicando che la competizione per l'occupazione dello spazio sociale è equa e non dipende in alcun modo dalla classe di origine". Prosegue: "Come si può notare dal grafico della borghesia i figli della borghesia sono davanti a tutti nella corsa per collocarsi nella borghesia. In poche parole le possibilità che i figli di imprenditori liberi professionisti dirigenti di accedere ai vertici della gerarchia sociale superano di oltre dodici volte le analoghe possibilità su cui possono contare coloro che provengono dalle altre classi di origine. Si vede come "le classi più elevate riescano ad assicurare ai loro figli da un lato un netto vantaggio nella competizione per l'occupazione delle posizioni sociali più desiderabili, dall'altro una forte protezione contro i rischi di "bocciatura" sociale, cioé di discesa verso posizioni più svantaggiate".
La mobilità sociale nel tempo
Come sono cambiate nel tempo le opportunità di mobilità intergenerazionale degli italiani? L'autore analizza a questo fine l'andamento delle opportunità di mobilità intergenerazionale negli ultimi 35 anni in occasione di sei indagini nazionali. L'indice di disuguaglianza delle opportunità di mobilità esprime in modo sintetico l'inflenza della classe del padre su quella del figlio e riassume in un unico valore le informazioni sui coefficienti concorrenziali medi.
Uno dei limiti delle ricerche sociologiche è che non interagiscono mai con la storia. Anche il nostro autore afferma che: "complessivamente negli ultimi trent'anni la fluidità sociale ha fluttuato in modo erratico, senza esibire alcuna tendenza univoca." In realtà il grafico sopra riportato è perfettamente leggibile con gli occhi della storia della lotta di classe in Italia. Si vede come la disuguaglianza sia calata tra il 1968 e il 1975, gli anni dell'ascesa del movimento operaio e della radicalizzazione giovanile, e abbia ricominciato a crescere subito dopo. Quegli anni hanno rappresentato per i figli della classe operaia l'opportunità di compiere un salto di classe, opportunità che si è chiusa con l'inizio del riflusso.
Altre tabelle presenti nel libro ci parlano della mobilità intragenerazionale in che percentuale cioé un individuo cambia classe sociale nel corso della sua esistenza. Risulta che dopo circa dieci anni la tendenza più diffusa è come minimo a collocarsi al livello del padre. L'autore: "Esiste un meccanismo di 'apprendistato sociale' in base al quale i soggetti, prima di assumere la stessa posizione del padre, trascorrono un po' di tempo in una posizione inferiore, presumibilmente al fine di accumulare risorse ed esperienze di lavoro. Questo meccanismo ha una certa rilevanza fra i figli della borghesia: circa uno su sette, infatti, prima di andare a occupare posizioni di vertice svolge per qualche tempo mansioni di livello inferiore, prevalentemente nella classe media impiegatizia".
Mobilità sociale e istruzione
Il libro passa poi ad analizzare i meccanismi che favoriscono la disuguaglianza nelle opportunità di ascesa sociale. Tra questi vi è il sistema scolastico. I padri mettono tre tipi di risorse in campo per far vincere i figli nella competizione sociale: economiche, culturali e sociali. Le prime sono i soldi e i mezzi di produzione (dall'impresa agli studi professionali), le seconde sono risorse quali il livello di istruzione dei genitori, la circolazione di libri in casa, ecc. e le terze infine sono le reti di relazioni sociali in cui la famiglia è inserita e che permettono di attivare conoscenze e canali di promozione a favore dei figli.
Classe del padre
titolo di studio fino licenza elementare licenza media diploma laurea totale casi borghesia 6,8 18,2 39,2 35,8 100,0 176 classe media impiegatizia 14,0 27,5 38,6 19,9 100,0 306 piccola borghesia urbana 40,0 30,4 21,8 7,8 100,0 657 piccola borghesia agricola 70,5 17,4 8,5 3,6 100,0 804 classe operaia urbana 44,2 33,6 17,8 4,4 100,0 1334 classe operaia agricola 77,9 16,9 4,0 1,2 100,0 402 totale 48,6 26,4 17,7 7,3 100,0 3679 fonte: elaborazione di Pisati su dati tratti da Indagine nazionale sulla mobilità sociale, di M.Barbagli, Capecchi, A.Cobalti, A. de Lillo, 1985
Secondo una indagine basata su un campione rappresentativo di oltre 3600 italiani nati tra il 1920 e il 1960 svolta nel 1985, sono stati ricavati i dati sopra riportati. Seguendo la colonna della laurea si vede come la probabilità di ottenerla diminuisca scendendo nella scala sociale. Seguendo in orizzontale la riga della borghesia notiamo percentuali crescenti a seconda del prestigio del titolo di studio, il contrario avviene nella riga della classe operaia urbana. In particolare un figlio su tre della borghesia ha la probabilità di laurearsi, ma la probabilità scende a una su venti nel caso dei figli di operai. Quando un figlio di borghesi non riesce a laurearsi si diploma (più di uno su tre), ma la stessa cosa accade solo a uno su sette figli di operai.
Si potrebbe contestare che ciò avviene non grazie alla classe di origine, ma all'alto numero di laureati che già in partenza si trovano nella borghesia, e che dunque è l'istruzione dei genitori ad essere determinante e non la loro classe sociale. In parte è così ma ulteriori dati presentati per esteso nel libro ci mostrano ad esempio che a parità di titolo di studio del padre (laurea o diploma) la probabilità di conseguire una laurea è pari al 42% quando il genitore appartiene alla borghesia o alla classe media impiegatizia, ma scende al 30,4% quando il genitore laureato è membro della classe operaia urbana.
Si potrà dire che oggi i diplomati figli della classe operaia sono molti di più di una volta. Ciò è vero. Ma lo stesso autore commenta illustrando il grafico che riproduciamo sotto:
"Le riforme hanno ampliato considerevolmente l'accesso a tutti i livelli di istruzione, ma poihé gli effetti esercitati dalle disuguaglianze di classe in termini di risorse economiche e culturali disponibili sono rimasti immutati, dalle nuove opportunità hanno tratto vantaggio - in misura proporzionale al loro tasso corrente di scolarità - tutte le classi indistintamente , comprese quelle superiori. Come dire: la torta dell'istruzione si è allargata, ma la fetta destinata a ogni classe ha mantenuto le proporzioni iniziali".
Percentuale di individui che hanno conseguito almeno il diploma di scuola media superiore, secondo l'anno di nascita e la classe occupazionale del padre. Italia 1985.
fonte: elaborazione di Pisati su dati tratti da Indagine nazionale sulla mobilità sociale, di M.Barbagli, V.Capecchi, A.Cobalti, A. de Lillo, 1985
La figura mostra che nell'arco di quarant'anni la percentuale di italiani che ha conseguito il diploma di scuola media superiore è aumentata in maniera regolare, ma che questo aumento ha avvantaggiato i figli di tutte le sei classi di origine, il divario dunque permane anche se collocato a livello più alto.
E' vero che un laureato ha più possibilità di ascendere socialmente di un non laureato. Ma la percentuale di laureati che riescono a diventare liberi professionisti, imprenditori e dirigenti diminuisce regolarmente a mano a mano che si scendono i gradini della scala sociale del padre. I figli laureati dei borghesi riescono ad accedere alla classe più alta in 6 casi su 10, i figli degli operai in 2 su dieci.
Percentuale di laureati che sono diventati imprenditori, dirigenti o liberi professionisti, secondo la classe occupazionale del padre. Individui nati fra il 1920 e il 1960, Italia 1985
classe del padre borghesia classe media impiegatizia piccola borghesia urbana piccola borghesia agricola classe operaia urbana classe operaia agricola totale
%
60,3
50,0
36,0
32,1
22,4
20,0
40,3 fonte: elaborazione di Pisati su dati tratti da Indagine nazionale sulla mobilità sociale, di M.Barbagli, .Capecchi, A.Cobalti, A. de Lillo1985
Afferma l'autore:
"Possiamo vedere che fra gli individui che possiedono un titolo di studio inferiore alla laurea i figli di imprenditori, liberi professionisti e dirigenti sono quasi sempre in vantaggio su tutti gli altri nella competizione per l'accesso alla borghesia, indipendentemente dal livello di istruzione posseduto. Che le cose stiano così lo dimostra il fatto che perfino i figli della borghesia che hanno conseguito al più la licenza elementare hanno una probabilità di accedere alle posizioni di vertice uguale o superiore a quella di cui godono i discendenti delle altre classi dotati di un diploma di scuola media superiore."
Nell'indagine del 1985 i discendenti della borghesia rappresentavano il 5% del campione totale mai il 24% dei laureati e l'11% dei diplomati. In altri termini il 13% più agiato della popolazione italiana possedeva nel 1985 quasi la metà delle lauree esistenti e circa il 30% dei diplomi.
Sposarsi bene
I dati presentati nel libro dimostrano che ci si sposa all'interno della propria classe. Gli individui si accoppiano nell'80% dei casi con partner che hanno o la stessa classe sociale -54,2%- o lo stesso livello di istruzione -60,8%- (e le due condizioni spesso coincidono). Dunque solo una coppia su cinque è formata da coniugi socialmente eterogenei tra loro. Oltretutto questa eterogeneità è dentro certi limiti. L'autore: "quando gli individui si sposano con partner appartenenti a una diversa classe sociale o dotati di un diverso livello di istruzione, la tendenza è comunque quella di non esagerare troppo la differenza." Ad esempio gli uomini laureati si sposano con una laureata nel 40% dei casi, ma il rimanente 48% non si sposa con donne che posseggono la licenza media ma con quelle in possesso di diploma di scuola superire. Del resto gli uomini che hanno licenza elementare riescono a sposare donne diplomate solo in 4 casi su cento e la loro possibilità di sposare una laureata sono di una su mille. Del resto su cento imprenditrici, dirigenti e libere professioniste, ottanta scelgono uno sposo della stessa classe e solo otto scelgono uno della classe operaia. Tre operaie su cento si sposano con un borghese, e solo dieci con uno appartenente alla classe media impiegatizia. Settanta su cento si sposano un operaio.
Conclusioni
Il libro di Pisati si conclude con considerazioni per noi interessanti. Naturalmente il punto di vista di Pisati è quello della sociologia illuminata e riformista che concepisce le riforme sociali come un modo per far funzionare meglio l'"organismo sociale". Quindi vedono l'immobilità sociale come un male perché l'"organismo sociale" (che noi chiamiamo capitalismo) funzionerebbe meglio se i migliori delle classi inferiori potessero ascendere a livello di vertice. Naturalmente non è il nostro punto di vista. A noi non piacciono le classi sociali e dunque lottiamo per eliminarle e non per dare a tutti le stesse opportunità per divenire degli sfruttatori. Ma gli studi sulla mobilità sociale ci interessano perchè scoprono l'ideologia delle "pari opportunità", che è falsa. A questo fine riproduciamo le conclusioni dell'autore, tanto più significative in quanto non provengono certo da un combattente della nostra classe sociale:
"Vantaggi e svantaggi goduti dai padri tendono a ricadere sui figli, condizionando in misura determinante il loro destino sociale. Nelle società premoderne questa tendenza all'ereditarietà sociale era molto diffusa e spesso assunta come manifestazione inevitabile di qualche ordine naturale o, addirittura, della volontà divina. Così, chi nasceva in una casa di contadini sapeva fin dall'inizio che quasi certamente avrebbe trascorso l'intera vita a lavorare nei campi; similmente i figli dei nobili erano ben consapevoli che il loro destino sarebbe stato quello di seguire le orme privilegiate dei propri padri. Il processo di modernizzazione che investì la società occidentale a partire dal XVII secolo contribuì a modificare profondamente questo quadro di sostanziale vischiosità dello spazio sociale, accrescendo le opportunità complessive di mobilità. Lentamente le concezioni naturali o divine di disuguaglianza vennero messe da parte e sostituite da nuovi principi di selezione sociale, basati sulle idee di univesalismo, meritocrazia e uguaglianza di opportunità. [...] Sebbene la svolta impressa dalla modernità sia innegabile e abbia mutato profondamente i sistemi di stratificazione sociale delle società contemporanee, è altrettanto evidente che in queste società le disuguaglianze di classe continano ad avere un carattere ereditario e a trasmettersi di padre in figlio".
sullo stesso argomento vedi anche: Immobilità sociale e sovversivismo popolare in Italia. "Quanto più una classe dominante è capace di assimilare gli uomini più eminenti delle classi dominate, tanto più solida e pericolosa è la sua dominazione." (Marx, libro III del Capitale) Sulla base degli studi sulla mobilità sociale che attestano come l'Italia sia, tra i paesi imperialisti, quello a più basso tasso di mobilità sociale, verifichiamo se e in che misura questo fattore può aver inciso in un secolo di intense mobilitazioni operaie e giovanili.