I contenuti dell'accordo tra governo e direzione FIAT.
In mancanza di una strategia coerente in difesa dell’occupazione, e contro le logiche del mercato, non resta altro da fare che la trattativa su come licenziare i lavoratori. La vicenda Fiat insegna che se si segue questa via l’unico fatto certo è che il sindacato non serve. Di Duilio Felletti. Gennaio 2003.


Dopo dure lotte e inutili trattative tra Governo, padroni e sindacati, da lunedì 9 dicembre sono finiti in cassa integrazione 5600 lavoratori della Fiat e altri 2400 nei prossimi giorni andranno in mobilità. Il tutto grazie a un accordo separato che il Governo si è arrogato il diritto di stipulare con la dirigenza Fiat. Ma prima di entrare nel merito dell’accordo raggiunto è opportuno che ci sia ben chiaro di che cosa parliamo quando parliamo di Cassa integrazione e quando parliamo di Mobilità (leggi anche La riforma degli ammortizzatori sociali).

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Cassa integrazione
La cassa integrazione è un intervento a sostegno delle imprese in difficoltà che garantisce al lavoratore un reddito sostitutivo. Si distingue in ordinaria (Cig), nel caso di una momentanea sospensione dell’attività produttiva, e in straordinaria (Cigs) nel caso invece di una sospensione o di una riduzione dell’attività motivata da una crisi aziendale, da una ristrutturazione, dal fallimento o dalla liquidazione della società.
La Cigs per crisi aziendale dura un anno e può essere prorogata per altri 12 mesi.
Spesso si usa come riferimento il costo che lo stato sostiene per la Cigs per capire l’andamento della fase economica, e in questo senso i dati degli ultimi 3 anni sono particolarmente allarmanti in quanto vedono un aumento che dai 350 mln di euro del 1999 è arrivato a poco meno di 533 mln del 2001. I dati del 2002 non sono ancora disponibili, ma ci sono già sufficienti elementi per stimare lo sfondamento dei 650 mln.
Durante il periodo di Cassa il lavoratore continua a essere dipendente della ditta per cui in qualsiasi momento potrebbe in teoria venire richiamato a lavorare.
Ma quanto prende un lavoratore in Cigs?
Secondo una campagna di disinformazione che in questi ultimi mesi i mas media alimentano, durante la Cassa integrazione straordinaria il lavoratore riceverebbe l’80% dell’ultima retribuzione mensile. In realtà le cose stanno in modo diverso, in quanto la Cigs ha un tetto alla retribuzione mensile. Oggi questo tetto è di poco superiore ai 770 euro lordi al mese per 12 mensilità, e sono comprensivi anche di tutti gli istituti indiretti.
Tale cifra corrisponde a circa 650 euro netti al mese, pari a 7800 euro l’anno.
Per stare nel caso Fiat, un operaio di 3° livello percepisce circa 1050 euro netti al mese per 13 mensilità, più il premio annuale e la quota di tfr accantonata. Complessivamente la sua retribuzione netta è di circa 15200 euro l’anno.
In conclusione, se si fa il conto sulla retribuzione netta annua un cassaintegrato Fiat di 3° livello percepirà il 51% della propria retribuzione.
Ovviamente, per i livelli superiori il terzo (per effetto del tetto a 770 euro) la perdita è maggiore.

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Mobilità
La mobilità è come la Cigs, uno strumento utilizzato come ammortizzatore sociale in caso di crisi aziendale.
A differenza però della Cigs, con la mobilità il lavoratore cessa di essere un dipendente dell’azienda, per cui non può più essere richiamato dalla stessa, ma entra in apposite liste da cui altre aziende possono attingere avendo in questo modo sgravi fiscali.
L’iscrizione alle liste di mobilità permette di ricevere un’indennità di mobilità che è pari all’ammontare della Cigs per i primi 12 mesi. Dal 13° mese è l’80% della Cigs.
La mobilità può essere corta, e in questo caso la durata può variare da un minimo di un anno a un massimo di quattro, oppure lunga, e cioè fino al raggiungimento della pensione.

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Il governo, come dicevamo, ha trovato un accordo con il padrone d’Italia, ed è riuscito a suo dire a far modificare il piano industriale della Fiat, il tutto con il pieno disaccordo ed emarginazione dei sindacati. I sindacati, nella trattativa, hanno preferito insistere sulla richiesta di una modifica vera del piano industriale, con l’obbiettivo di dimostrare che la Fiat in realtà, dietro ai licenziamenti aveva e ha in animo di abbandonare il settore auto; ma per questa via, questa volta, si sono trovati spiazzati.

Non ha più funzionato la linea del "prima di tutto il piano industriale", quella fino a ieri sempre seguita dalle burocrazie sindacali, le quali in questo modo hanno potuto, nelle precedenti occasioni, giocare un ruolo, e addivenire ad accordi che comunque alla fine hanno prodotto tagli agli organici con riduzioni e dismissioni di interi stabilimenti (Maserati di Lambrate, Autobianchi di Desio, Lancia di Chivasso, Alfa di Arese, Rivalta e Mirafiori). Ma ogni volta in quel modo i sindacati erano sempre riusciti a dimostrare che con la loro azione avevano costretto la Fiat a mantenere la produzione delle auto, seppure con dolorosi sacrifici per l’occupazione.

Il questo frangente invece il giochetto (accettazione dei licenziamenti in cambio di garanzie a mantenere la produzione) non ha funzionato. Le decisioni fondamentali sul futuro di Fiat auto erano già state prese con la General Motors nel 2000 e con le banche creditrici. Questa volta si è trattato della classica situazione del muro contro muro, dove gli spazi per la mediazione si sono rivelati inesistenti e che pertanto doveva essere risolta esclusivamente sul piano dei rapporti di forza e delle forme di lotta. Piano su cui i sindacati non hanno inteso agire con determinazione. La rottura con i sindacati e la stipula di un accordo di programma tra esecutivo e azienda erano quindi nell’ordine delle cose.

Il Governo presentando con orgoglio il risultato raggiunto si è vantato di aver, lui, difeso i lavoratori che, se si fossero lasciati guidare dalle posizioni massimaliste della Cgil, non avrebbero ottenuto nulla di buono e sarebbero stati licenziati in massa. "La Cgil ha fatto politica e non ha difeso i lavoratori", ha detto il Presidente del Consiglio, affermando che il Governo ha "operato come doveva per fare modificare il piano", che "era difficile non ipotizzare la cassa integrazione per la Fiat" e che "l’auto resterà in Italia". La realtà, ovviamente è ben diversa.

Cosa dice l’accordo

L’accordo è un testo di 16 pagine dove vengono indicati gli interventi del governo (leggi: soldi alla Fiat) e i progetti di Torino sui vari stabilimenti coinvolti nella crisi (leggi: tagli all’occupazione). Per tentare di contenere la cassa a zero ore, il Governo ha messo sul piatto 60 milioni per finanziare l’innovazione, la ricerca, e la formazione per riqualificare i lavoratori che verranno espulsi dal processo produttivo; una proroga dei sempre ben accolti eco incentivi, e soldi per finanziare la mobilità lunga che, come abbiamo detto sopra, riguarderà circa 2400 persone, accompagnandole fino alla pensione. Di fatto un prepensionamento. Il Governo emanerà un provvedimento ad hoc (i costi potranno essere per lo Stato di 90 milioni per tre anni). Dove il Governo recupererà questi fondi, rimane nel mistero.

Sono sempre più insistenti le voci secondo cui i soldi verranno presi dal fondo che dovrebbe servire per finanziare la riforma degli ammortizzatori sociali così come era stata pensata nel Patto per l’Italia firmato da Cisl e Uil. In pratica anche quel miserabile patto rischia di non venire applicato in presenza delle esigenze del grande capitale. È inutile dire che Pezzotta e Angeletti si sono incazzati, ma neanche più di tanto visto che Berlusconi e Maroni non hanno mostrato di preoccuparsene.

Ma passiamo in rassegna come la Fiat ha inteso intervenire nelle varie situazioni produttive.

Termini Imerese (Palermo) — 1900 dipendenti — produzione Punto
La Fiat ha promesso che lo stabilimento ripartirà nel settembre 2003 con un solo turno giornaliero (e quindi con la metà dei lavoratori) e da dicembre a pieno ritmo, ma con solo il personale che servirà per far fronte al mercato che il nuovo modello della Punto riuscirà a conquistare.
Molto elegantemente si spiega che "il rientro di tutti i lavoratori avverrà in funzione dei volumi di vendita del nuovo modello e della riduzione delle eccedenze".
Intanto il mese di dicembre i lavoratori (tutti), compresi quelli della Comau e della Magneti Marelli se lo sono passato in cassa integrazione e la prospettiva che hanno per i primi tre mesi del 2003 è quella di lavorare 5 settimane (non consecutive) per produrre la vecchia Punto e vuotare i fondi di magazzino.
Tra aprile e settembre si svilupperà un piano di formazioni per la riqualificazione dei lavoratori con una durata media di 12-30 giorni per addetto.
A questo proposito va detto che l’esperienza ci insegna che dopo un periodo di formazione c’è l’espulsione definitiva. In pratica al lavoratore viene detto:" ti ho formato, ti ho istruito, ora sai fare un nuovo mestiere, quindi cercati un altro posto." E giù, una pedata nel sedere…

Un elemento molto importante che ha convinto la Fiat a non chiudere Termini Imerese è stata la promessa fatta da parte del Governo secondo cui verrà consentita l’applicazione del modello organizzativo e salariale già utilizzato per i lavoratori di Melfi i quali, grazie a precedenti accordi di area tra le parti, guadagnano un salario più basso del 19% rispetto a quello che percepiscono normalmente gli altri lavoratori.

Mirafiori (Torino) — 9900 dipendenti — produzione Punto, Marea, Panda, Multipla, Lybra, Alfa 166
In questo stabilimento sono stati individuati il grosso degli esuberi "strutturali" cioè di lavoratori che, comunque vadano le cose se ne devono andare, perché l’azienda intende organizzarsi in un modo tale da poterne fare a meno per sempre.
Da subito comunque sono stati messi in cassa a zero ore 1000 operai della Fiat Auto e 350 della Comau e Magneti Marelli mentre tutta la partita della riduzione del personale dovrà essere un argomento di discussione con i sindacati a partire dal giugno 2003, discussione per la quale, bontà sua, l’azienda si è dichiarata disponibile.
Per quella data è prevista la messa in produzione della nuova Punto (di cui una parte verrà comunque prodotta Termini Imerese) e della dismissione della produzione della Panda che verrà sostituita da un nuovo modello che però verrà prodotto in Polonia (dove gli operai costano decisamente meno di quelli italiani).
A Mirafiori si farà largo uso della mobilità lunga mentre la cassa integrazione sarà possibile, a rotazione.
A proposito della rotazione, è bene precisare che questa non è una concessione di una Fiat mossa a compassione, ma è una cosa che è tenuta a fare perché c’è una legge che glielo impone, ma questa comunque non riguarderà chi ha i requisiti per la mobilità.

Arese (Milano) — 750 dipendenti — produzione Vania (vettura a minimo impatto ambientale)
I 750 dipendenti di cui sopra sono quelli direttamente impegnati nella produzione di auto, mentre ve ne sono altri 250 che costruiscono motori. Complessivamente si arriva comunque a 2500 perché in quell’area vi è un centro direzionale/progettazione e altre attività terziarizzate e comunque collegate alla produzione di auto.
Con questo accordo si dice senza mezzi termini che "l’azienda (la Fiat) parteciperà alle iniziative proposte dal Governo per le politiche attive del lavoro e alla costruzione del tavolo permanente per Arese".
In pratica si dice che dall’area di Arese la Fiat esce, e tanti saluti; tant’è che dal 9 dicembre sono in Cigs 1000 persone, mentre 500 resteranno per adesso per attività di progettazione (per progettare cosa?) e i restanti resteranno come presidio (un modo elegante per dire che, pur restando dentro, non lavoreranno)
Ma forse per l’Alfa Romeo converrebbe ricordare alcune cose che solo sapendole è possibile capire le ragioni della lotta di questi lavoratori che non si ferma e non sembra conoscere limiti.
La svendita di questa fabbrica è avvenuta nel 1986 durante il governo Craxi e con Prodi (proprio lui) presidente dell’IRI (l’ente di stato proprietario dell’Alfa), fu definita all’epoca un vero e proprio ‘regalo di Stato alla famiglia Agnelli’. La Ford fece un’offerta di 3.300 miliardi di lire in contanti (valore dell’epoca), ma si preferì l’offerta Fiat di 1.072 miliardi, pagati in 5 rate e senza interessi… a decorrere dal 1993 (un valore reale di soli 400 miliardi di lire tra l’altro non ancora interamente versato).
Da allora tutti in governi che si sono succeduti (ed i collegati sindacati confederali e ‘autonomi’) hanno sempre avallato il sistematico saccheggio aziendale di decine e decine di migliaia di miliardi di lire di finanziamenti pubblici erogati dallo Stato ‘a perdere’, senza alcun vincolo o controllo sui Piani Industriali e delle ricadute sociali ed occupazionali.
Sono state portate le produzioni della 166 a Mirafiori e della Spyder alla Pininfarina con le conseguenti riduzioni degli organici che si sono andate ad aggiungere a quelle precedenti e che hanno portato il numero dei lavoratori al 10% di quello della fine degli anni 80.
Perché lo Stato non chiede conto alla Fiat del finanziamento di 350 miliardi di vecchie lire per la produzione, ad Arese, delle vetture ecologiche? E perché la Regione Lombardia non chiede conto dei ben 700 miliardi dati per la stessa ragione? Non dovevano questi soldi (specie quelli della Regione) essere spesi per difendere i posti di lavoro ad Arese?
Perché è stato consentito alla Fiat di portare a termine l’affare della vendita dell’area di Arese che ha portato nelle sue casse oltre 1000 miliardi?
Grazie a questa politica del lasciar fare, oggi la Fiat è l’azienda privata che ha ricevuto più finanziamenti pubblici di qualsiasi altra azienda in Italia (280mila miliardi di lire solo per Gig e Cigs) , e ancora ‘batte cassa’ per spuntare l’ennesimo buon affare per la ‘Famiglia Agnelli & Soci’ nella già concordata vendita del Gruppo alla GM.

Cassino (Roma) — 4500 dipendenti — produzione Stilo
Anche in questo stabilimento è iniziato un vigoroso processo di "smagrimento" con il 25% della forza lavoro in Cigs; anche qui si parla di rotazione che deve essere gestita per via sindacale; si parla anche di rientri che dovrebbero iniziare con la primavera prossima e terminare a luglio. In teoria quindi a settembre tutti i lavoratori saranno di nuovo in fabbrica.
Il tutto sembra francamente poco credibile visto il flop che la Stilo ha fatto sul mercato.
La storia di Cassino assomiglia invece a quella vissuta dall’Alfa di Arese.
A luglio ci sarà una bella riunione Direzione — Sindacati; i dirigenti piangeranno sulle perdite per la mancanza di mercato per la Stilo, che la concorrenza è agguerrita, e che sarebbe più giusto portare la produzione in qualche stabilimento dove ci sono capacità produttive inutilizzate, ecc. ecc. Altri scioperi, altri blocchi, altre eroiche lotte che comunque incideranno meno in quanto qualche migliaio di lavoratori sarà stato nel frattempo buttato fuori, e i nostri amici sindacalisti che non sapranno fare di meglio che arrendersi alle compatibilità del dio mercato.

Per gli stabilimenti di Pomigliano (Napoli) e di Melfi (Potenza) per un totale di 10mila lavoratori non sono previsti interventi di tagli agli organici, anzi, questi stabilimenti assieme ad altri che sul territorio nazionale sono specializzati nella produzione di motori, e sono già in sinergia con la Opel, stanno funzionando a pieno ritmo e non conoscono soste.

Questo il quadro drammatico della situazione generale.

Come si stanno muovendo i sindacati.

Pensiamo, come abbiamo già detto, che questa questione che ha dimensioni ben più ampie degli 8100 lavoratori in esubero di cui si è parlato, doveva e deve essere risolta mettendo in campo la forza e l’intelligenza del movimento sindacale e dei lavoratori. Così non è stato. I lavoratori lasciati a se stessi si sono mossi come hanno potuto pagando costi altissimi e portando a casa i risultati che abbiamo cercato di illustrare nelle linee fondamentali.

Questo giudizio potrà sembrare troppo aspro, perché l'immagine che hanno dato i sindacati è di combattività. Ma non è il tipo di combattività che serve per vincere. I sindacati si sono limitati a "coprire" la volontà di lotta dei lavoratori coinvolti. Non è poco, ma non è quel che serviva. Di fronte ad un padrone con le idee assolutamente solide sulla propria strategia, i sindacati non dovevano limitarsi a promuovere iniziative sfogatoio che non avevano alcuna possibilità di incidere sulla FIAT per la semplice ragione che esse avvenivano in settori produttivi dove l'azienda ritiene ci sia un eccesso di produzione. Ed anche gli scioperi generali di solidarietà fatti o invocati, sono senz'altro utili per non far sentire soli gli operai FIAT, ma, di nuovo, non servono a piegare l'azienda. L'unico modo era (ed è) far perdere soldi ad Agnelli là dove lui fa più profitti. Per far questo però avremmo bisogno di direzioni sindacali che pensano strategicamente, come i padroni, che prevedono le mosse dell'avversario, ne indagano i punti deboli e colpiscono duro. Significa ad esempio raccogliere soldi per sostenere le lotte dei pezzi dell'impero FIAT che dovrebbero scioperare e che hanno scioperato pochissimo, anche perché nessuno gliel'ha chiesto: Iveco, New Holland, Rinascente, Alpitour...

I sindacati non hanno mai preso in mano la gestione delle lotte (a parte "coprire" le spinte che venivano dalla base) e si sono limitati a presenziare a riunioni con il governo e i padroni ripetendo sempre lo stesso ritornello :"vogliamo la modifica del piano industriale" senza tentare di mettere in atto alcuna forma di lotta che andasse a incidere veramente sugli interessi del gruppo Fiat.

Sono proseguite le schermaglie tra confederazioni e da parte sua la Cgil ha aspettato che si riproducesse lo scenario che ha portato all’accordo separato del Patto per l’Italia per scaricare su Cisl e Uil la responsabilità di un accordo bidone e venirne fuori bella come il sole. Questa volta le cose non sono andate così: quando la situazione non consente margini di mediazione anche sindacati come Cisl e Uil sono "stretti" e vanno quindi scaricati, ma anche sindacati come la Cgil rischiano alla fine di trovarsi con in mano un pugno di mosche.

Ora sembra che per gennaio verrà proclamato uno sciopero generale, ma non è chiaro quale sarà il livello di coinvolgimento del mondo del lavoro, e soprattutto non è chiara la strategia che il sindacato intende portare avanti. Per quanto ci riguarda noi riteniamo che oggi debba essere raccolta la sfida e il padronato vada combattuto sul terreno della lotta che deve essere necessariamente portata avanti nei punti e nelle situazioni in cui il profitto è alto, e soprattutto non devono essere lasciati soli i lavoratori più colpiti.

La Cgil, che negli ultimi due anni ha indubbiamente conquistato credibilità tra le masse lavoratrici, deve assumersi questo compito. Questo sindacato. che si è speso per la difesa a livello di principio dei diritti, ora deve trasformare questa difesa in azioni concrete, perché non è possibile difendere il diritto a non essere licenziati se poi non si riesce a difendere anche il lavoratore a cui questo diritto è già stato negato.