La
riforma del lavoro
Ancora
una riforma del lavoro, ancora una restrizione dei diritti, un altro passo
verso l'annullamento di tutte le regole. (di Duilio Felletti).
Reds - Novembre 2010
Dopo
sette letture parlamentari, nei giorni scorsi l'Aula della Camera ha definitivamente
approvato il ddl lavoro, che era stato rinviato alle Camere dal presidente
della Repubblica. Il ddl a Montecitorio è passato con 310 sì,
204 no e due astensioni. L'Udc ha votato a favore del testo con la maggioranza;
Pd e Idv hanno, invece, espresso un voto contrario.
Il titolare del Welfare Maurizio Sacconi difende l'impianto, da lui considerato
come una sorta di apripista allo Statuto dei lavori più volte annunciato
e che sepellirà una volta per tutte lo “Statuto dei Lavoratori”
del 1970.
Questo provvedimento segue altri in uno stillicidio che continua e cammina
diritto verso il rapporto di lavoro così come lo intendono i padroni.
Licenziamento libero e zero regole.
Elenchiamo per titoli i contenuti del provvedimento.
Arbitrato
Quando parliamo di arbitrato intendiamo una nuova procedura che consentirà
al lavoratore di dirimere le controversie di lavoro senza passare attraverso
i meccanismi dei processi. Il lavoratore potrà decidere se ricorrere
o meno all’arbitrato subito o solo quando insorge una controversia.
La scelta, comunque, non potrà avvenire prima della conclusione del
periodo di prova, dove questo è previsto, oppure dopo almeno 30 giorni
dalla data di stipulazione del contratto. Dalle controversie da comporre davanti
a un arbitro sono esclusi i licenziamenti: i lavoratori potranno continuare
a impugnarli davanti al giudice. Nei casi di «licenziamento invalido»
lo si potrà impugnare entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione
scritta.
Processi del lavoro
I processi del lavoro tornano ad essere gratuiti (con un precedente
provvedimento era stato tolto il gratuito patrocinio). Nei casi di violazione
nella trasformazione del contratto da tempo indeterminato a tempo determinato,
il datore di lavoro dovrà risarcire il lavoratore con una indennità
onnicomprensiva fissata tra 2,5 a 12 mensilità.
Apprendistato
Al posto dell’ultimo anno di obbligo scolastico (cioè dai 15
ai 16 anni di età) il giovane potrà andare a lavorare con un
contratto di apprendistato in un'azienda. Ma al giovane dovrà essere
garantito (in teoria) un congruo numero di ore di formazione con un tutor.
Lavori usuranti
Il governo è delegato ad adottare una disciplina sul pensionamento
anticipato dei lavoratori impegnati in attività usuranti (minimo 57
anni di età e 35 di contributi). Una clausola di salvaguardia garantisce
il rispetto degli equilibri di spesa. Vale a dire che questo potrà
essere attuato compatibilmente con le esigenze di bilancio della spesa pubblica.
Ammortizzatori sociali
Dopo 24 mesi dall'entrata in vigore della legge, il governo esercita le deleghe
sulla riforma degli ammortizzatori sociali per il riordino degli strumenti
a sostegno del reddito, così come dei servizi per l'impiego, degli
incentivi all'occupazione e dell'apprendistato e, più in particolare,
dell'occupazione femminile.
Sacconi, a tale proposito, non ha escluso di voler aumentare le trattenute
in busta paga per i contributi. Insomma, ci saranno più soldi per gli
ammortizzatori, ma questi soldi verranno dalle tasche dei lavoratori.
Borsa nazionale del lavoro
Rafforzata la Borsa nazionale del lavoro, con l'inserimento on line anche
dei curricula degli studenti da parte dell'ateneo per i 12 mesi successivi
alla laurea; prevista anche la pubblicazione telematica dei bandi e dei concorsi
della Pa oltre ai dati relativi ad assunzione, proroga, trasformazione o cessazione
dei rapporti di lavoro.
Che le cose siano cambiate in peggio per i lavoratori è fin troppo
evidente e ciò spiega la soddisfazione del ministro Maurizio Sacconi,
il quale ha affermato, subito dopo l’approvazione, che «L'arbitrato
per equità si configura come uno strumento in più a disposizione
della contrattazione collettiva e, in base ad essa, dei lavoratori e delle
imprese. Lo scopo è quello di semplificare con tempi certi la soluzione
del contenzioso in modo da superare la logica del conflitto nei rapporti di
lavoro». Sacconi ha ricordato che la prima idea di adottare e rafforzare
lo strumento dell'arbitrato fu di Marco Biagi e ha proseguito annunciando
che «Ora il governo proporrà all'esame del parlamento il disegno
di legge delega sullo Statuto dei lavori, per realizzare compiutamente il
sogno di Marco Biagi per un diritto del lavoro moderno a misura della persona».
Il Pd, da parte sua, per bocca di Cesare Damiano, dopo aver visto respinte
tutte le sue pregiudiziali di costituzionalità, fa sapere che il Collegato
sul lavoro rappresenta una «controriforma che fa compiere un passo indietro
ai diritti dei lavoratori». Secondo l'ex ministro del Lavoro, l'arbitrato
secondo equità «nei fatti, costringerà il lavoratore a
non avere a disposizione la libera scelta tra arbitrato e magistratura ordinaria
mentre si consegna al collegio arbitrale la facoltà di derogare da
leggi e contratti».
Per la Cgil si tratta di «una legge sbagliata che colpisce il futuro
dei lavoratori» e annuncia«nuove e immediate iniziative di contrasto».
Cisl, Uil e Ugl riconoscono il valore delle nuove norme considerate accettabili;
Giorgio Santini, segretario confederale della Cisl, le ha commentate positivamente
«in quanto sono state in gran parte recepite sia le osservazioni del
capo dello Stato (quando dopo una prima stesura le aveva rimandate alle camere)
sia l'avviso comune firmato dalle parti sociali, lo scorso 11 marzo, che ha
escluso la materia del licenziamento dall'applicazione delle nuove norme».
Ma al di là di queste timide prese di posizione delle principali forze
politiche e sindacali possiamo tranquillamente dire che il provvedimento è
passato in un clima di scarso interesse generale, in una fase in cui il dibattito
politico, era rivolto in maggiore misura sulle priorità dell’agenda
del Governo, tutte incentrate sul Lodo Alfano e la riforma della giustizia.
Ma vediamo di fare alcune riflessioni a mente fredda su quanto sta accadendo.
La questione dell’arbitrato
Come è noto, la questione principale che aveva sollevato inizialmente
anche le critiche del presidente Napolitano, riguardava la questione dell’arbitrato.
Nella prima stesura si diceva che il lavoratore neo assunto doveva esprimere
la sua volontà di ricorrere all’arbitrato nel momento della stipula
del contratto di assunzione. Ma è chiaro che il rifiuto da parte del
lavoratore di fare questa opzione ne avrebbe compromesso la possibilità
di accedere al posto di lavoro.
Il governo è stato quindi costretto a riformulare l’articolo
31 precisando che dall’arbitrato sarebbero state escluse le cause in
cui in oggetto vi è il licenziamento e che comunque la scelta dell’arbitrato
doveva essere fatta dopo il periodo di prova e/o comunque non prima di trenta
giorni dall’inizio del rapporto di lavoro.
Le procedure previste dall’arbitrato prevedono che, in caso di controversia,
il lavoratore e la direzione aziendale debbano giungere ad un accordo secondo
equità in un determinato tempo (18 mesi), trascorso il quale, in assenza
di accordo, interverrà il ministero del lavoro con un suo decreto.
Da ciò emerge la strategia antioperaia praticata da questo governo
in materia di lavoro, consistente non soltanto in una riforma del processo
del lavoro orientata a circoscrivere e condizionare il potere del giudice
di accertare i fatti oggetto della controversia, ma anche in un progetto di
riassetto del rapporto tra legge e contratto, tra contrattazione nazionale
e decentrata, con uno sbilanciamento progressivo verso le situazioni locali,
ma anche verso il livello individuale.
Le contrattazioni decentrate e individuali verranno utilizzate, non a completamento/miglioramento
della contrattazione nazionale, ma in contrapposizione a questa. Per dirla
in poche parole, il concetto che si vuole far passare è che se il lavoratore
è d’accordo (e l’accordo si ottiene con modalità
non troppo ortodosse) potrà essere possibile fare carta straccia di
tutte le leggi e i contratti e la magistratura non potrà fare nulla.
Vi è poi una questione di non secondaria importanza; ci riferiamo in
particolare alla incostituzionalità di questa norma. Infatti questo
provvedimento intende aggirare gli articoli 24 e 25 della Costituzione che
affermano che è diritto di tutti i cittadini agire in giudizio per
la tutela dei propri diritti e dei propri interessi legittimi.
I precari
Un’altra questione estremamente grave contenuta nel “Collegato
lavoro” è quella che limita a 60 giorni il periodo in cui è
possibile fare causa a un'impresa dopo la fine di un contratto temporaneo
che si ritiene irregolare. Un’alta mannaia che si abbatte sui precari,
l'ennesima.
Il Collegato (all'articolo 32) parifica sostanzialmente la fine di un contratto
a un licenziamento: così se fino a oggi si potevano aspettare 5 anni
prima che intervenisse la prescrizione, avendo tempo per riflettere sull'opportunità
di fare causa, e potendo raccogliere il materiale, dal 24 novembre in poi
(data di entrata in vigore della legge) ci saranno solo 60 giorni per l'impugnativa
generica (e successivamente ulteriori 270 per accedere alla causa con il materiale
di prova, come appunto funziona per i licenziamenti).
Ma la fine di un contratto, e il licenziamento, sono due cose ben diverse:
e questo i lavoratori precari lo sanno. Quando il precario, che non si vede
riconfermato il contratto e, per questo, ritiene di avere subito un’ingiustizia,
sarà costretto a fare causa all’azienda in tempi molto ristretti,
pregiudicandosi in questo modo le possibilità di un possibile rinnovo.
In presenza di tempi lunghi, come prevedeva la normativa precedente, potrebbe
riservarsi la facoltà di adire per le vie legali successivamente mantenendo
nello stesso tempo le porte aperte a un possibile rinnovo del contratto.
Questo provvedimento può anche essere letto come una enorme «sanatoria»,
un favore alle imprese, che sia per la scarsa informazione (molti lasceranno
passare i 60 giorni senza avere mai neppure saputo che i termini di legge
sono cambiati) che per la debolezza dei precari, si vedranno regalata la possibilità
di farla franca dopo tanti anni di profitti maturati alle spalle dei loro
dipendenti (o collaboratori) sfruttati.
Ma non basta: la legge è pure retroattiva, e così dal 24 novembre
scattano i 60 giorni anche per chi ha finito il suo contratto a inizio 2010,
o chissà magari anche nel 2009, e pensava di avere ancora qualche anno
per poter decidere se fare causa o meno.
Spicca, in questa fanghiglia di immobilismo, la Fiom che all'ultimo comitato
centrale ha deciso uno sciopero di due ore contro il Collegato, e distribuirà
a tutti i lavoratori un modulo per l'impugnativa. Il problema non riguarda
solo i contratti a termine, ma anche interinali, cocoprò, e tutte le
figure del variegato mondo precario.
Apprendisti al lavoro a 15 anni
Dopo avere abbassato l’età dell’obbligo scolastico a 15
anni, con questo provvedimento si apre la strada al mondo del lavoro, con
un contratto di apprendistato, agli adolescenti in corrispondenza dell’ultimo
anno di scuola. In controtendenza, quindi, con le scelte degli altri paesi
e con gli obiettivi dello stesso Trattato di Lisbona, che si propone la riduzione
e la prevenzione della dispersione scolastica attraverso l’innalzamento
del livello scolastico, il Governo Berlusconi, non solo svuota di ogni contenuto
culturale e didattico l’obbligo scolastico, ma attribuisce competenze
formative e la relativa certificazione alle imprese. Imprese che nel nostro
paese non hanno mai avuto particolare propensione alla formazione (come rilevato
dal Sole 24 ore, solo il 4,8% delle imprese, quasi tutte di media-grande dimensione,
investono in formazione). Il paradosso è quello di affidare la possibilità
di assolvere l'ultimo anno dell'obbligo scolastico ad imprese di piccola e
piccolissima dimensione che non credono nella formazione che diventa un inutile
dispendio di tempo e risorse perché il loro unico obiettivo è
produrre a costi più contenuti possibili!
Concludendo
Ciò detto, resta poco da aggiungere a commento di un provvedimento
la cui portata antioperaia è fin troppo evidente. Suscita preoccupazione
la presa d’atto che questo rappresenta, non il punto di arrivo di un
processo, che ha visto protagonisti governi di diversi colori, ma il punto
di partenza per ulteriori altri interventi nel campo della legislazione che
regola il rapporto di lavoro. Il ministro Sacconi lo ha dichiarato a chiare
lettere. La preoccupazione viene dal fatto che, chi dovrebbe difendere i lavoratori,
non pone questioni di principio in opposizione; al contrario, continuiamo
ad assistere a teatrini, anche interni alla stessa Cgil, in cui i burocrati
si dividono sui livelli di disponibilità a entrare, comunque, nel merito
delle questioni. Non vi è, ripetiamo, un’opposizione di principio.
E questo fa accapponare la pelle se cerchiamo di immaginare le prospettive
future per la classe lavoratrice.