Metalmeccanici 2005: dieci mesi dopo.
Il
biennio contrattuale dei metalmeccanici è scaduto da dieci mesi. La
più importante categoria di lavoratori è senza contratto: le
lotte morbide, i tentennamenti di fim e uilm, le chiusure di Federmeccanica,
rendono difficile prevedere uno sbocco positivo della vertenza. Di Duilio
Felletti. Novembre 2005.
Lunedì
17 ottobre 2005 si é svolto il settimo incontro di trattativa per il
rinnovo del biennio economico 2005/2006 del contratto e 10 giorni dopo si
è tenuto un ulteriore incontro a delegazioni ristrette, dopo di che
ne è già stato fissato un'altro (sempre a delegazioni ristrette)
per l'8 novembre.
L'11 novembre si terrà l'assemblea nazionale dei delegati per fare
il punto della situazione.
Ma, a oggi, dopo dieci mesi dalla scadenza del contratto non si intravedono
elementi che possano far pensare alla vicinanza di un'ipotesi di intesa.
Il
punto della trattativa.
Dopo i primi tre mesi dell'anno in cui la trattativa non è esistita,
grazie anche al fatto che i lavoratori non hanno messo in atto iniziative
di lotta, con il mese di aprile si sono cominciate a delineare le intenzioni
reali di Federmeccanica in merito al rinnovo del contratto e sono emersi gli
elementi fondamentali di scontro tra i due interessi in campo: da una parte
i lavoratori che vedono nel rinnovo del contratto lo strumento per avanzare
richieste in difesa del salario, dall'altra i padroni che invece lo considerano
un ambito per mettere al centro della discussione la necessità di una
riduzione del salario, unitamente a meccanismi di incremento dello sfruttamento
per una più elevata competitività.
Le trattative si sono protratte stancamente fino alla pausa estiva. Con l'autunno
si sono visti in piazza i metalmeccanici in momenti di lotta centralizzati
e articolati sul territorio. So state effettuate 12 ore di sciopero e altre
6 sono già state proclamate.
In
trattativa la delegazione padronale rifiuta in buona sostanza di discutere
di aumenti salariali e si sofferma invece a piangere sulle miserie delle aziende
del settore.
Il quadro complessivo descritto da costoro rappresenta un tessuto industriale
che si muove con grandi difficoltà e che continua a perdere volumi
produttivi a causa della scarsa competitività dei propri prodotti,
non solo rispetto la Cina, ma anche rispetto la Francia e la Germania.
Il percorso che, conseguentemente, indicano non è certo quello di un
aumento dei salari quanto invece quello di una riduzione complessiva del costo
del lavoro e un aumento della flessibilità degli orari e della precarietà
del rapporto di lavoro attraverso un intesivo uso della legge 30 (Biagi).
L'aumento di salario che si rendono disponibili a corrispondere è di
circa 60€ mensili, che secondo i loro calcoli vanno a coprire sufficientemente
l'erosione del potere d'acquisto subito dai salari.
I sindacati da parte loro insistono sulla richiesta della piattaforma di un aumento di 105€ più altri 25€ come anticipo sui contratti aziendali. I rappresentanti sindacali sostengono che tali aumenti dovrebbero essere dati ai lavoratori senza alcuna contropartita in quanto si tratta di un rinnovo contrattuale solo della parte economica. Rifiutano pertanto di trattare su questioni di altro tipo (flessibilità, orari, ecc..)
Proprio perchè le posizioni sono apparse subito inconciliabili, il primo tentativo fatto da Federmeccanica è stato quello di cercare di isolare le posizioni della Fiom e di lanciare segnali di intesa con Fim e Uilm. Non certo per contrastare particolari contenuti sostenuti dalla Fiom, quanto invece perchè questo sindacato fin dalle prime battute ha voluto fare intendere di non volere andare ad accordi al ribasso rispetto le quantità fin troppo "responsabili" della piattaforma approvata dai lavoratori.
C'è da dire che effettivamente vi è stato un momento in cui Fim e Uilm hanno avuto dei tentennamenti e hanno cercato di cogliere l'occasione per discutere con la controparte anche di questioni non strettamente salariali (flessibilità, orari, inquadramenti) e mostrando disponibilità a allungare la vigenza contrattuale ritornando alle vecchie scadenze di 4 anni. Ma poi di fronte all'opposizione di principio della Fiom la situazione complessiva è ritornata su binari normali.
Poi, come dicevamo, ci sono state le ferie, è arrivato l'autunno, ci sono stati due incontri allargati e uno ristretto, ma le posizioni delle parti non sembrano essersi sostanzialmente modificate; l'unico elemento di novità scaturito, dopo una decina di ore di sciopero fatte dalla categoria in modo differenziato sul territorio nazionale, è la disponibilità padronale a riconsiderare l'aumento salariale innalzandolo di qualche euro, e la richiesta come contropartita della non corresponsione di soldi come anticipo sul contratti aziendali e di una maggiore flessibilità dell'orario di lavoro senza la preventiva contrattazione con le rappresentanze sindacali aziendali (RSU).
E'
chiaro a questo punto che lo scontro sta diventando politico. Obbiettivo padronale
sta diventando quello azzerare la funzione contrattuale e di rappresentanza
delle RSU per avere mano libera sulla gestione della forza lavoro; e per perseguire
questo obbiettivo si rende perfino disponibile ad allargare (poco) i cordoni
della borsa.
La questione posta da Federmeccanica sembrerebbe di scarsa rilevanza, in quanto
quello che chiede è semplicemente di gestire le 64 ore di flessibilià
dell'orario di lavoro già stabilite nello scorso contratto, dando comunicazione
alle RSU "dopo".
Per chi mastica questioni sindacali, è fin troppo evidente, che una
cosa è chiedere di contrattare con le RSU le esigenze di flessibilità
del lavoro, e un'altra cosa è comunicare a posteriori che una determinata
flessibilità è stata attuata.
Nel primo caso lo scontro è tra padroni e sindacati, mentre nel secondo
caso questo è direttamente tra padroni e lavoratori, che con ricattati
di vario tipo vengono messi in condizione di sottostare alla protervia padronale.
Si potrebbe obbiettare che questa manovra verrebbe attuata su un pacchetto
di ore relativamente ridotto (64 ore), ma è chiaro che una volta passato
il principio sarà più semplice andare verso un ulteriore peggioramento
della situazione. Così come è avvenuto altre volte su altri
istituti contrattuali (la scala mobile ad esempio).
C'è da tenere presente inoltre che se si dovesse concedere ad padrone
la possibilità di allungare e accorciare l'orario di lavoro a seconda
delle esigenze aziendali e di mercato, sparirebbe nei fatti il lavoro straordinario,
pertanto il disagio del lavoratore non sarebbe in nessun modo compensato.
E' chiaro che se una linea di questo tipo passasse, rappresenterebbe un pericoloso
precedente per il mondo del lavoro, vista l'importanza che riveste nel panorama
economico complessivo il contratto di lavoro dei metalmeccanici.
La situazione dello scontro.
Ciò che impressiona è il silenzio "assordante" che
aleggia attorno alla vicenda contrattuale dei metalmeccanici.
Si tratta di capire se il silenzio è dovuto alla scarsa radicalità
e visibilità delle iniziative di lotta o se, viceversa, è invece
il silenzio dei mezzi di comunicazione a scoraggiare le lotte.
Di certo c'è che questa
situazione si sta incancrenendo e mentre è sempre più difficile
elevare il livello dello scontro, cresce sempre di più l'arroganza
della delegazione padronale che si trova oggettivamente nelle condizioni migliori
per dettare al tavolo del negoziato le proprie condizioni.
Non va dimenticato inoltre che i lavoratori tutti e non solo i metalmeccanici,
stanno subendo un indebolimento strutturale della propria forza contrattuale,
anche per via dei continui attacchi (fisco, carovita, servizi sociali) alle
condizioni di vita, senza che i sindacati tentino di andare oltre i proclami
verbali e/o iniziative di lotta all'acqua di rose.
D'altra
parte, è difficile dire se in questa situazione caratterizzata dal
riflusso generale e di lotte eroiche ma isolate (Melfi, Termini Imerese, Alfa
Romeo,...) i lavoratori darebbero la propria adesione ad un inasprimento dello
scontro, magari con un aumento drastico delle ore di sciopero, considerando
anche che, se da un lato è pur vero che parecchie aziende macinano
profitti, dall'altro non passa giorno in cui non si venga a conoscenza di
aziende o settori di queste in cui i lavoratori vengono messi in cassa integrazione
se non espulsi dalla produzione.
Fatalmente e lentamente tra i lavoratori si sta insinuando la sindrome dell'ennesima sconfitta anche per la caduta di fiducia nei confronti della Fiom nelle due precedenti tornate contrattuali non è riuscita a radicalizzare la maggioranza della categoria sui contenuti che proponeva.
Questa
è la classica situazione le cui prospettive sono segnate: o i sindacati
firmano un accordo bidone, spacciandolo come grande vittoria, per chiudere
la faccenda in attesa di tempi migliori, o fanno i duri non accettando alcun
compromesso, facendo stancare i lavoratori in logoranti forme di lotta inconcludenti
che altro non faranno che aumentare l'isolamento della categoria, per poi
andare alla firma del solito contratto bidone "costretti dalla scarsa
volontà di lottare dei lavoratori". Sia nel primo che nel secondo
caso si tratterebbe di soluzioni non certo nuove per i lavoratori e che hanno
determinato divisioni e ultriori passi indietro della classe lavoratrice.
Ma per evitare queste prospettive l'unica possibilità l'hanno ancora
in mano ai sindacati e non è certo quella degli incontri a delegazioni
ristrette; bisognerebbe fare esattamente il contrario: allargare la delegazione,
divulgare i verbali delle riunioni per fare diventare patrimonio di tutti
le proposte provocatorie del padronato.
Ma occorre soprattutto evitare che i metalmeccanici siano soli in questo frangente.
Anni fa i sindacati uscivano da situazioni analoghe proclamando momenti e
forme di lotta che vedevano unificati tutti i lavoratori che avevano in corso
la vertenza per il rinnovo del contratto e quasi mai le organizzazioni padronali
riuscivano a reggere l'onda d'urto dello scontro in quanto ogni iniziativa
di lotta assomigliava a una sorta di sciopero generale. A questo punto interveniva
il Governo in un'opera di mediazione proprio perchè non poteva restare
inerte di fronte all'acuirsi dello scontro di classe.
Oggi la strada da percorrere è la stessa. Non ci sono solo i metalmeccanici
in lotta, vi è quasi la metà dei lavoratori dipendenti che hanno
in corso le rispettive vertenze per i rinnovi contrattuali e sono tutti in
situazioni analoghe; proprio come se il padronato nel suo insieme avesse stretto
un patto volto a respingere in blocco le richieste dei lavoratori.
C'è quindi da una parte un attacco che unitariamente i padroni rivolgono
contro i lavoratori, e dall'altra i lavoratori che rispondono alla spicciolata.
Per questa strada e in questa situazione è fin troppo facile prevedere
come andrà a finire. Occorre invece rispolverare i vecchi sistemi e
ricominciare a pensare che di fronte a un'offensiva di tutto il padronato
si risponde con una controffensiva di tutti i lavoratori.