Metalmeccanici: approvato il contratto, e adesso?
Dopo
qualche mese dalla firma del contratto dei metalmeccanici facciamo alcune
valutazioni a mente fredda in merito ai contenuti del'intesa e sulle prospettive
future. Di Duilio Felletti. Reds - Aprile 2006.
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Prima di entrare nel merito dei contenuti del contratto dei metalmeccanici rinnovato nello scorso gennaio è opportuno ripercorre le fasi della lotta che ne hanno preceduto la firma. Infatti molto spesso quello che si ottiene in una vertenza è il risultato dei rapporti di forza che sono stati messi in campo ed è pertanto analizzando le tappe del percorso che ha portato alla firma che si comprende il senso dei contenuti dell'accordo e come questi siano maturati cammin facendo.
Vediamole
sinteticamente
11 gennaio 2005 (la piattaforma)
I sindacati presentano a Federmeccanica le proprie richieste (130
€ complessivi)
1
aprile (controproposta delle imprese)
Federmeccanica avanza un'offerta di 59,89 €
17 maggio (le prime proteste)
Dopo una serie di incontri la trattativa è in stallo, il sindacato
proclama 10 ore di sciopero e il 10 giugno una giornata di lotta nazionale.
21
giugno (nuova offerta delle imprese)
Federmeccanica propone lo scambio tra maggiore flessibilità e aumenti
salariali. Per i sindacati la proposta è "irricevibile"
2
dicembre (sciopero generale)
E' solo l'ultimo atto di un fitto calendario di agitazioni. La trattativa
resta bloccata.
28
dicembre (la ripresa del confronto)
Si apre il nuovo round e il sindacato si divide.
13
gennaio 2006 (una sospensione)
Federmeccanica chiede una sospensione del confronto che dovrà riprendere
il 18 gennaio
16
gennaio (i blocchi stradali)
I sindacati ritrovano l'unità e avanzano una nuova controproposta.
Intanto i lavoratori sono scesi in piazza: per una settimana blocchi e proteste
a macchia di leopardo in tutta Italia.
18
gennaio (l'accordo)
Federmeccanica propone 94,5 €. L'accordo è siglato su 100 €
con un prolungamento della vigenza contrattuale di 6 mesi.
Parere positivo di padroni e sindacati.
Come
si può chiaramente vedere, i primi sei mesi del 2005 sono serviti solo
per capire le reali intenzioni delle parti in gioco: i sindacati hanno usato
questo spazio di tempo per comprendere in che situazione si stavano muovendo.
Fim Fiom e Uilm hanno scientemente deciso di non venire allo scontro duro
preferendo precorrere la via del dialogo, cercando di dare alla controparte
un segnale di senso di responsabilità e di comprensione delle esigenze
padronali, anche in relazione alla difficile situazione del settore.
Vi
sono state quindi lotte molto deboli con scarsa risonanza sui mass media e
perdite irrilevanti per i padroni. Pochi incontri con Federmeccanica e discussioni
inconcludenti su proposte padronali ridicole fatte giusto per allungare i
tempi fin oltre la pausa estiva.
Si è cominciato a fare sul serio (ed è iniziata la seconda fase),
quando dal basso sono cominciate a manifestarsi forti segnali di insofferenza
dei lavoratori, che vedevano le proprie buste paga più leggere, per
effetto di scioperi proclamati fino a quel momento senza alcuna volontà
di incidere.
Forse la paura dei vertici della Fiom di perdere l'unità d'azione con
Fim e Uilm faticosamente riconquistata dopo due tornate contrattuali senza
la sua firma, ha indotto questo sindacato a non premere troppo sull'acceleratore.
Non c'è dubbio quindi che ancora una volta sono stati i sindacati a
dover rincorrere la volontà di lotta dei lavoratori, e le conseguenze
si sono immediatamente viste: le proposte padronali si sono fatte più
consistenti e sono emersi i veri contenuti che il padronato voleva affrontare
e che intendeva perseguire come contropartita alle concessioni salariali.
Vale a dire l'ottenimento di un più elevato livello di flessibilità
nell'uso della forza lavoro.
Alla fine come vedremo i padroni hanno ottenuto gran parte di quanto volevano (vedi articolo di Calearo) nonostante che quello che si è andati a rinnovare era il biennio economico e non erano quindi oggetto di trattativa elementi di normativa. Ma vediamo più in dettaglio i contenuti dell'accordo.
Il salario
I lavoratori hanno ottenuto un aumento salariale di 85 € nella vigenza
contrattuale e altri 15 nei primi 6 mesi fuori vigenza. Questo aumento, è
bene ricordarlo, non è uguale per tutti: la categoria più bassa
ha percepito 62,5 € complessivi e quella più alta 131,25 €
secondo un rapporto 100/210.
Come arretrati per il 2005 i lavoratori hanno ricevuto 160 € (uguali
per tutti) a febbraio e ne riceveranno altrettanti a luglio.
Prenderanno altri 130 € (sempre come una tantum) nel giugno 2007, quei
lavoratori che nel 2006 hanno avuto una busta paga composta solo dal minimo
contrattuale e che sono senza contrattazione aziendale.
Questa cifra viene data a titolo sperimentale.
Facendo quindi quattro conti questo contratto nel biennio 2005-2006 porta
complessivamente nelle tasche dei lavoratori 1287 € lordi al 5° livello.
Quello che impressiona però non è la modestia di tale cifra,
quanto invece questa sia inferiore a quella ottenuta col contratto del 2003
(1460 €) e del contratto del 2001 (1300 €). Insomma, con un'inflazione
che ha ridotto pesantemente il potere d'acquisto dei salari da una parte,
con un contratto che doveva essere di rottura rispetto le vecchie logiche
dell'inflazione programmata dall'altra, alla fine si è incassato un
aumento salariale inferiore sia in termini numerici che in termini reali.
Rispetto poi l'altra questione del riconoscimento di una quota salariale (25
€) a quei lavoratori che per varie ragioni non usufruiscono della contrattazione
integrativa aziendale (quella cosiddetta di "secondo livello") il
fallimento si è tradotto in una completa disfatta.
In sostanza si è stabilito che i lavoratori senza integrativo continueranno
a non averlo e non avranno nessun risarcimento compensativo. I 130 €
dati a titolo di una tantum alla fine di giugno 2007 sono francamente un'elemosina
che non spostano nulla rispetto la situazione attuale. A essere maliziosi
si potrebbe affermare che in questo modo i padroni hanno voluto difendere
il contratto aziendale vero e non quello deciso in un luogo lontano dall'azienda.
Loro che hanno in mente una riforma delle politiche contrattuali con al centro
i contratti decentrati non hanno potuto certo accettare che l'esito dei contratti
aziendali si andasse a decidere in sede centrale.
Questi 130 €, dati in modo così anomalo, rappresentano una sfida
che il padronato ha lanciato ai lavoratori; è come se avessero detto:"
Cari lavoratori, se volete i soldi che vengono dagli aumenti di produttività,
venitemeli a chiedere, sapete dove trovarmi. Lasciate perdere i capi sindacali
romani, lasciate perdere il contratto nazionale, mettiamoci d'accordo tra
noi. Volete fare altrimenti? peggio per voi! Ecco qua 130 € e tanti saluti."
Il nuovo orario e la flessibilità
Imprese e sindacati hanno stabilito che tutte le aziende che applicano il
contratto nazionale "potranno utilizzare, per ragioni produttive e di
mercato, l'esperienza dell'orario plurisettimanale".
L'orario potrà essere modulato da un minimo di 32 ore a un massimo
di 48 ore e potrà partire, da subito, in tutte le aziende interessate.
Finora l'adozione di questa tipologia di orario era riservata solo a pochi
comparti del settore e per specifiche esigenze.
Inoltre è stato attivato da febbraio un tavolo permanente di confronto
tra le parti sulle questioni della competitività, della produttività,
dell'orario, del mercato e delle condizioni di lavoro. Dentro questo tavolo,
una specifica sessione sarà dedicata alle questioni riguardanti i contratti
a termine e quelli di somministrazione a tempo determinato. L'obiettivo è
definire una "disciplina contrattuale", sperimentale e transitoria,
con l'individuazione di percentuali di utilizzo differenziate per i singoli
comparti in relazione alle specifiche esigenze.
Un gruppo di lavoro avrà il compito di raccogliere i dati per fissare
una base comune per la trattativa sul prossimo contratto.
Vi
è quindi una questione certa e altre da stabilire.
Quella certa è che ogni azienda, se vorrà, potrà attuare
da subito la flessibilità di orario di lavoro contrattando con le RSU,
non l'opportunità dell'attuazione, bensì le modalità
dell'attuazione, con tutto ciò che questo comporta per i lavoratori.
I quali si troveranno a non avere più un orario settimanale certo,
ma legato ai capricci del mercato.
Le questioni da stabilire sono invece quelle poste dai sindacati: utilizzo
del lavoro precario e flessibile, il controllo dei livelli di produttività,
le condizioni di lavoro, ecc...
In definitiva da subito si stabilisce che le condizioni di lavoro possono
"sperimentalmente" peggiorare, e nello stesso tempo si affida a
una commissione paritetica il compito di monitorare per vedere come migliorare
quella situazione che si è deciso di voler peggiorare.
L'apprendistato
Le aziende metalmeccaniche potranno assumere i giovani di età compresa
tra i 18 e 29 anni, con contratto di apprendistato "professionalizzante"
su tutto il territorio nazionale, senza attendere la regolamentazione regionale.
Detta così sembrerebbe che non vi sia nulla di sconvolgente visto che
comunque una legge sull'apprendistato è sempre esistita e i padroni
bene o male l'hanno sempre utilizzata.
C'è da dire tuttavia che il contratto di apprendistato è ad
oggi inesistente nell’industria metalmeccanica, perchè le lotte
dei lavoratori degli ultimi decenni, volte a creare condizioni anti discriminatorie
sul posto di lavoro, l'anno resa progressivamente sempre meno applicabile.
Ma se andiamo a vedere nel dettaglio quali sono le condizioni di un apprendista
si comprendono immediatamente le forzature attuate dal padronato in sede di
trattativa per ottenere il ritorno degli apprendisti in fabbrica.
Per per le aziende l'apprendista ha un costo del lavoro inferiore alle altre
tipologie di contratto di circa il 30%, questo perchè:
- gli apprendisti non hanno diritto al versamento dei contributi per la pensione
INPS, per gli anni della
durata dell’apprendistato
- non hanno diritto inoltre alla cassa integrazione ne ordinaria, ne straordinaria,
- non hanno diritto al trattamento e alla retribuzione durante i periodi di
malattia
- non hanno diritto nè alla mobilità nè alla disoccupazione
in caso di crisi aziendali e licenziamenti
- gli anni di apprendistato non valgono per la maturazione degli istituti
legati all’anzianità di servizio
- gli apprendisti sono esclusi (salvo diverso accordo aziendale) dai benefici
della contrattazione e premi aziendali.
C’è
poi da aggiungere che questa forma di assunzione, che riguarda lavoratori
sino ai 29 anni d’età, rischia di produrre un effetto dirompente
sui lavoratori da occupare che superano la soglia dei 29 anni, visto che assumerli
costerebbe all’impresa il 30% in più di un apprendista.
L’esclusione dalle tutele sociali quali la malattia, la cassa integrazione,
i contributi Inps rendono discriminatoria e non socialmente accettabile questa
regolamentazione del lavoro, anche perché apre un pericoloso varco
per l’aggressione di queste tutele ai restanti lavoratori.
Non male per un sindacato come la Fiom che sulla questione dei diritti è
stato protagonista convinto di momenti altissimi di lotta che hanno coinvolto
interi settori della società civile ben oltre la classe lavoratrice.
La durata dell'apprendistato
Varia a seconda dell'inquadramento finale (da 38 a 60 mesi) con alcune eccezioni:
ad esempio per i lavoratori che hanno un diploma inerente alla professionalità
da acquisire e che sono destinati alla 3^, 4^ e 5^ categoria la durata è
ridotta di 6 mesi. Per i laureati che puntano alla 5^ categoria il periodo
di apprendistato è di 34 mesi.
Paradossalmente quindi, quanto più è bassa la categoria di assunzione
e quindi sono minori i contenuti professionali da acquisire, più è
lungo il periodo di apprendistato. Ad esempio, ad un operaio in catena di
montaggio con operazioni con contenuto di qualche minuto di istruzione e in
certi casi di secondi, si prevede un contratto di apprendistato di 24 mesi.
Per imparare che cosa?.
La
formazione dell'apprendista
Per l'avvio del contratto di apprendistato è necessaria la presenza
di un tutor che può essere lo stesso imprenditore. Le ore medie annue
sono pari a 120, di queste 40 sono "di formazione professionalizzante
di modalità teorica", quindi non sul posto di lavoro. Le ore complessive
possono essere distribuite nell'arco della durata del contratto. Le competenze
acquisite saranno registrate sul libretto formativo.
Per come è strutturata sembra proprio che la cosiddetta formazione
(con il tutor/padrone, le ore di teoria, il libretto), sia una cosa seria;
ma a ben vedere è in realtà un terreno scivoloso e pieno di
scappatoie messe li a posta per fare in modo che l'apprendista sia semplicemente
un lavoratore che deve pensare solo a lavorare a testa bassa con la speranza
di una possibile assunzione futura a tempo indeterminato. Assunzione a cui
potrà aspirare solo in ragione della disponibilità mostrata
nel periodo di apprendistato, ad assuefarsi alle regole aziendali.
La
retribuzione dell'apprendista
Nel primo periodo sarà corrispondente a quella minima contrattuale
prevista per il livello di due categorie più basse rispetto quella
di destinazione. Nel secondo periodo, l'inquadramento sarà inferiore
di un livello rispetto a quello di destinazione e la retribuzione sarà
corrispondente a quella minima contrattuale prevista per tale livello. Nel
terzo periodo, il salario sarà uguale a quello previsto per il livello
definitivo.
Questo significa in soldoni che ad esempio un lavoratore che ha come categoria
di destinazione la terza, passerà 14 mesi con una paga di 700 €
che è corrispondente a quella del 1° livello.
Ora
con la nuova normativa introdotta in questo contratto, per come è stata
regolata, vedrà nell’apprendistato la forma prevalente e diffusa
di assunzione, come annunciato anche da Federmeccanica.
La contropartita ottenuta dai sindacati per consentire questo scempio è
stata la clausola contrattuale secondo cui le aziende si impegnano a confermare
almeno il 70% dei lavoratori apprendisti.
Concludendo
Il contratto è stato approvato in sede di referendum con il
voto contrario del 15% dei lavoratori che hanno partecipato (circa 500mila).
Un risultato giudicato positivamente da Fim, Fiom e Uilm (pur con qualche
distinguo di alcuni settori della Fiom) dopo due tornate contrattuali che
sono andate come sappiamo.
Forse è vero che non vi erano le condizioni per portare a casa di più;
ma è altrettanto vero che per la smania di portare a casa un aumento
salariale che arrivasse ai fatidici 100 € e che ha reso l'accordo presentabile
alla massa dei lavoratori, si sono date contropartite al padronato che non
era logico e lecito dare, trattandosi questo di un rinnovo della sola parte
salariale.
L'allungamento della vigenza contrattuale, l'orario plurusettimanale, l'apprendistato,
l'abbandono dei lavoratori senza contrattazione aziendale, sono tutti elementi
che peseranno, e in parte hanno già pesato sui contratti delle altre
categorie che sono ancora in fase di rinnovo.
Grazie al peso politico che il contratto dei metalmeccanici ha sempre avuto
sull'insieme delle categorie, è facile immaginare che la fase prossima
futura riserverà come minimo un peggioramento complessivo delle condizioni
di vita e di lavoro degli operai.
La Confindustria, fin dai primi minuti dopo la firma, non ha cessato di invocare
l'apertura di un tavolo per rivedere le politiche contrattuali, capendo che
in questa fase di estrema debolezza dei lavoratori e di scarsa capacità
di rappresentanza delle sigle sindacali, può ottenere il massimo del
risultato.
Nel mirino come sappiamo c'è il contratto nazionale (che solo la Fiom
dichiara di voler difendere) per introdurre i cosiddetti contratti di area
omogenea (o qualcosa di simile) dove gli aumenti salariali vengono dati sulla
base dei risultati produttivi raggiunti dalle aziende di quell'area. Tutto
in nome della competitività.
La domanda che sorge spontanea è più o meno questa: come potranno i dirigenti sindacali, così convinti anche loro della necessità di sostenere la competitività del sistema Italia, e sulla scorta dell'esperienza fatta in questa, ma anche nelle ultime tornate contrattuali, difendere in modo intransigente (o anche solo dignitosamente) gli interessi dei lavoratori?