Sinistre alla prova.
Dal luglio 2001 al giugno 2003 abbiamo vissuto una fase per certi versi straordinaria, di radicalizzazione sociale, che però si è chiusa con la vittoria di Bush, la sconfitta del referendum, il rilancio del gruppo dirigente del centrosinistra. In questa sede tentiamo un primo bilancio delle correnti politiche della sinistra che in questa fase si sono mosse mettendo alla prova dei fatti le proprie idee e la propria forza. REDS. Settembre 2003. Seconda parte.


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La maggioranza Prc

La maggioranza sorta con l'ultimo congresso Prc non costituisce una corrente omogenea. Al suo interno, oltre ai bertinottiani "doc", vi troviamo un'area di provenienza Pci (Mascia, Rocchi, ecc.), un'area di provenienza Dp (Ferrero, ecc.), l'area di Bandiera Rossa (Maitan, Turigliatto, ecc.), ed altri. Nonostante le differenze, questo settore ha affrontato il biennio appena trascorso con un blocco di convinzioni simili, discese dalle tesi approvate in occasione dell'ultimo congresso. Il discorso cambia se esaminiamo l'attuazione concreta di queste "sottocomponenti" nei movimenti, dove ognuno ha giocato il suo gioco.
Il Prc aveva praticato nella fase precedente una politica che "implicava" l'esistenza dei movimenti e, in qualche modo, li "invocava”, anche se i movimenti, nella realtà, non erano ancora (ri)partiti. Dalla rottura del governo Prodi in poi, la linea del partito era tutta basata sulla scommessa che a breve sarebbe cominciata una nuova stagione di lotte, scommessa sulla quale si basava e "giustificava" la rottura con il centrosinistra. Ogni "barlume" di movimento che ha preceduto l'ultimo biennio è stato valorizzato dalla corrente di maggioranza, che ha cercato di sviluppare buoni rapporti "diplomatici" con quei settori, in gran parte esterni al partito, che parevano condividere la stessa impostazione "movimentista". Risale a questa fase, ad esempio, l'alleanza dei Giovani Comunisti con le "tute bianche" cioé con i centri sociali del Nord-Est (e non solo) e poi la formazione di un cappello, quello dei "disobbedienti", che raccoglieva le due componenti. Questo atteggiamento di apertura ha fatto sì che, quando con Genova il movimento noglobal è esploso, il Prc fosse ottimamente posizionato per starci dentro e giocarvi un ruolo. Ma, per una serie di errori di impostazione politica e di limiti di "natura" non modificabili nel breve periodo, non ha saputo cogliere i frutti di questa buona partenza.
Il Prc è risultato complessivamente "simpatico" alla gran parte degli attivisti noglobal. Oggi il Prc è rispettato in ambiti completamente diversi: dai settori cattolici ai centri sociali. Come risulta da varie inchieste, gran parte degli attivisti noglobal al momento del voto scelgono il Prc.
Questo atteggiamento non si è tradotto però in alcun modo in un rafforzamento del partito, sia in termini di iscritti, che di influenza. Ciò si deve certo al fatto che ci troviamo, secondo la nostra ottimistica previsione, solo all'inizio di un nuovo periodo di ascesa, e, storicamente, il bisogno della "politica", sorge solo dopo che le vaste masse hanno vissuto l'esperienza concreta dei limiti di un' azione di "movimento", slegata da una prospettiva politica. MA la povertà di risultati si deve anche all'impostazione con cui la corrente di maggioranza chiedeva ai propri militanti di impegnarsi: non come singoli costruttori di strutture di base del movimento (social forum, botteghe, associazioni territoriali, ecc.), ma collettivamente, come partito. Questa indicazione si è accompagnata alla teorizzazione del superamento delle differenze tra il piano del politico e quello del movimento, teoria certo non nuova nella tumultuosa tradizione italiana, ma che ha portato a molta confusione, tra l'altro ostacolando nel movimento la presa di coscienza sul ruolo della "politica": se il partito può stare nel movimento con pari ruolo insieme agli altri soggetti, qual è la sua specificità? In poche parole: a che serve? Ai massimi vertici del movimento (gruppi preparatori di Porto Alegre, di Genova, ecc.) dopo qualche mugugno, la presenza "in quanto partito" è stata mandata giù, ma nei territori ha creato equivoci e diffidenze. L'ansia di esserci "in quanto partito" nelle reti e nei coordinamenti ha dato l'impressione, spesso sbagliata, di un tentativo di strumentalizzazione. I militanti del Prc che hanno esercitato un'influenza nel movimento (parecchi) sono stati in maniera pressoché esclusiva coloro che dal basso (o dall'alto) creavano o dirigevano "strutture di movimento", e che non stavano certo nel movimento "in quanto partito". Del resto anche l'esperienza dei Giovani Comunisti si è sviluppata nello stesso segno: agivano in un fronte largo di movimento (i "disobbedienti"), mantenendo però una propria autonomia di vita, elaborazione, progetto "di partito". Questa suddivisione dei piani ha permesso ai GC in questi due anni di vivere esperienze significative e di accrescere il proprio radicamento. Inoltre, il fatto di essere, contrariamente ai centri sociali, "organizzazione", ha permesso loro di superare i periodi di stanca, consolidare il lavoro svolto, ecc. E ciò grazie ad una intuizione di carattere organizzativo, e non per merito di una identità che, per quel che riguarda i GC, è tuttora di una fragilità preoccupante.
Del resto, quella dell'identità, è un problema di tutto il Prc. Essendo nel suo complesso un partito di sola "tattica", e che non ha alle spalle fondamenti programmatici di un qualche spessore, né tradizione teorica cui far riferimento, ed essendo inoltre una sorte di "federazione di correnti" con intenti strategici spesso opposti, il Prc non ha mai avuto nei momenti delle scelte decisive una sua "linea", in quanto partito, da proporre all'interno del movimento, e ciò perché scegliere avrebbe implicato la rottura tra le sue componenti interne, ognuna delle quali, invece, ha la sua propria "linea", e se la tiene ben stretta. Gente del Prc infatti si è trovata in tutte le componenti di movimento, nessuna esclusa, componenti che, come si sa, erano spesso in grave contrasto tra loro. Basti pensare alle liti sull'atteggiamento da tenere verso la Cgil e le sue manifestazioni (facciamo una manifestazione separata o assieme?), o alla questione delle forme di lotta di piazza (con i Gc che erano parte dei "disobbedienti", e dunque spesso in contrasto con tutto il resto del movimento). In buona sostanza la maggioranza del Prc ha dato "battaglia" per stare nel movimento "in quanto partito", ma poi, una volta dentro, non ha saputo che dire, e molti nel movimento hanno in effetti cominciato a domandarsi "se" il partito avesse qualcosa da dire. A ciò, infine, s'è aggiunta una cronica incapacità da parte di molti circoli di essere qualcosa di diverso e di più in sintonia con le nuove generazioni, spesso ridotti a comitati elettorali o a spazi tutti tattici di discussione sulla presenza nelle istituzioni.
L'atteggiamento verso il movimento noglobal da parte del Prc comunque è stato nell'insieme positivo, se raffrontato alla storia dei partiti "comunisti", diffidenti e spesso ostili ai movimenti che si sviluppavano fuori dal loro controllo. Gli errori e i limiti in fondo sono recuperabili e non hanno compromesso granché. Il problema è che il biennio trascorso non ha visto in campo solo il movimento noglobal, ma anche quello sindacale e quello "democratico" ("girotondi"). E nei confronti di questi due movimenti il partito era impreparato da ogni punto di vista. La Cgil veniva considerata dal partito sino a due anni fa "concertativa" in maniera più o meno irreversibile, e la linea del partito era a favore della "rifondazione di un sindacato di classe", formulazione volutamente ambigua che poteva andar bene sia a quelli che volevano cambiare la Cgil, sia a quelli che volevano costituire un altro sindacato. Così quando il sindacalismo di base due anni fa è uscito di scena e la Cgil ha preso in mano la direzione dell'opposizione a Berlusconi, il Prc è rimasto spiazzato. Il partito si è trovato dentro un biennio in cui la Cgil, con la sua capacità di mobilitazione, era protagonista indiscussa, e si è accorto di non avere alcuna influenza in quella organizzazione, e "quindi" nella lotta di classe. Un particolare questo, per un partito comunista, di non secondaria importanza. In Cgil conta di più una piccola organizzazione come Lotta Comunista che il Prc. Le ragioni per cui il partito non è riuscito a condurre una propria politica sindacale non le affronteremo qui, registriamo solo il fatto che negli anni precedenti l'ultimo biennio, tutta una serie di capaci quadri Prc hanno lasciato la Cgil per raggiungere piccoli sindacati, spesso valorosi, ma dalla scarsa influenza di massa ed egemonizzati per di più in gran parte da gruppi politici concorrenti al Prc, e tutto ciò senza che vi fosse nessun organismo autorevole o documento nel partito a discutere questa tendenza. Anzi, si lasciava intendere che la "deriva" della Cgil fosse ormai senza ritorno, e dunque, quelli che la lasciavano, erano i più "coerenti". Così il Prc è arrivato al biennio 2001-2003, senza "truppe" nei luoghi decisivi della lotta di classe, e scontando la propria irrilevanza nel portentoso scontro che ha opposto Berlusconi e la Cgil: il cofferatismo ha potuto condurre indisturbato la sua politica, senza "concorrenti". E' in questa situazione di impotenza che il gruppo dirigente del Prc (e del sindacalismo di base, analogamente impotente) ha concepito l'idea del referendum per l'estensione dell'art.18: era una maniera per ritornare in campo, utilizzando una strumentazione politica, dato che da quella più strettamente sindacale era escluso. La sconfitta è figlia di questa scommessa, la battaglia non è servita a recuperare il deficit di radicamento sindacale, anche se ha portato allo scoperto una fetta piuttosto enorme (10 milioni) di cittadinanza collocata su posizioni radicali.
Nei confronti del movimento dei girotondi poi, il Prc ha mostrato all'inizio una diffidenza e un settarismo degno di miglior causa, causato dall'aver confuso le caratteristiche della direzione politica di questo movimento (siamo d'accordo: insopportabili), con la spinta politico-sociale che questo esprimeva. Il girotondismo ha rappresentato la reazione di ampi settori di classe media (che i comunisti dovrebbero ambire a rappresentare, dato il peso preponderante che la classe media ha in un Paese imperialista) alle malefatte di Berlusconi e ad un centrosinistra giustamente percepito come consociativo e poco disposto ad una opposizione dura. Gran parte di questa stessa gente ha partecipato poi, a dimostrazione delle sue potenzialità, sia al movimento a difesa dell'art.18 che a quello contro la guerra. Il Prc non ha cavalcato l'onda "democratica" dell'antiberlusconismo radicale per timore che ciò facesse dimenticare i disastri del centrosinistra nei precedenti governi: il timore era certo fondato, ma si doveva affrontare il problema in altra maniera. L'ondata di opposizione, morale prima ancora che politica, al berlusconismo è positiva, ha una portata progressiva e destabilizzante, dato che alla fin dei conti delegittima in profondità un governo che in teoria dovrebbe comandare ancora tre anni: ed è esattamente per il suo potenziale destabilizzante che il centrosinistra esita a colpire in profondità e con ogni mezzo a disposizione Berlusconi e la sua banda. Ed esattamente per le stesse ragioni il Prc dovrebbe cavalcare l'onda, criticando in profondità i tentennamenti delle direzioni moderate del centrosinistra. Oggi il centro della critica al centrosinistra non va condotta sul piano del suo passato (che non va comunque nascosto), altrimenti si rischia di apparire agli occhi delle masse come un ostacolo alla lotta contro Berlusconi, va condotta invece sul piano della lotta all'attuale governo: dobbiamo essere quelli che chiedono la cacciata della destra, subito, e l'utilizzo di ogni mezzo necessario per il raggiungimento di questo fine.
Alcune componenti interne alla maggioranza, comunque, anche se dal punto di vista del dibattito interno hanno sempre difeso l'impostazione della maggioranza, nei fatti agivano in senso opposto, e, per questo, pur essendo minoranze con un numero di quadri assai ridotto (200-300, forse) hanno giocato un ruolo non secondario nel movimento noglobal (ma: solo in questo).

L'area di Bandiera Rossa è una di queste componenti. Essa è parte di un raggruppamento internazionale, la Quarta Internazionale, che è la maggior corrente trotskista mondiale. Grazie alla particolarità di questa organizzazione (sezione di una sorta di partito mondiale) e di un atteggiamento non settario, i suoi quadri, generalmente ben preparati, hanno potuto utilizzare a piene mani l'esperienza di cui già disponevano: da anni promuovono campeggi della gioventù cui partecipano centinaia di giovani da tutta Europa, sono stati tra gli organizzatori delle marce europee contro la disoccupazione, sono molto attivi nella rete della Marcia delle Donne. La loro riflessione inoltre, sempre aperta alle novità, ha permesso a questa corrente di essere in sintonia con il "sentire comune" del movimento. Ciò ha contribuito a far sì che diversi suoi quadri svolgessero un ruolo di primo piano nel movimento. L'hanno svolto però evitando di mettere in pratica le indicazioni di partito che pure teoricamente difendevano, e attuando sempre come membri di strutture e reti (Social Forum locali, Sin Cobas, Marcia Mondiale...). In un movimento come quello noglobal che non ha struttura, non è impossibile per una corrente omogenea e con le idee chiare, occupare sin dal principio spazi ai massimi vertici, pur non essendo espressione di pezzi consistenti di base. Ciò ha facilitato anche, insieme alla fedeltà formale alla linea Bertinotti, l'inserimento in ruoli dirigenti di primo piano nel partito. Questa collocazione nelle zone alte della politica e del movimento è però avvenuto senza disporre alle spalle di una base sufficiente a garantire il mantenimento di questi spazi anche in caso di dissidenza forte dalle scelte dei settori maggioritari del movimento e del partito, e per questo lentamente la corrente ha via via perso pezzi della propria identità programmatica ed anche di consistenza organizzativa, e non ha dispiegato le potenzialità della propria tradizione politica e, così, ben pochi tra coloro che si sono "radicalizzati" in questo biennio hanno capito "cosa vogliono quelli della Quarta”. Ne è segnale evidente la nuova rivista della corrente, Erre, che pur presentando materiali di notevole interesse, ha un tratto troppo marcatamente eclettico, luogo dove diplomaticamente si dà la parola a tutte le componenti del movimento e della maggioranza del partito, cioé ai loro vertici, ma dove si fa fatica ad indovinare la linea della quale è portatrice. Come è tipico di ogni corrente del Prc, inoltre, l'influenza di questa area non giunge in settori decisivi della lotta di classe: il sindacato da loro egemonizzato, il Sin Cobas, che è tra i più piccoli dei già piccoli sindacati di base, raggruppa tutta una serie di validi quadri che sarebbero utilissimi nella battaglia interna alla Cgil, ma che, fuori, hanno difficoltà ad esercitare influenza anche solo nell'ambito del sindacalismo di base, dove il Sin Cobas viene visto con sospetto per essere il più "filoPrc" e comunque troppo disponible all'unità d'azione con la Cgil. La loro stessa educazione politica inoltre, impedisce a questi compagni di comprendere l'importanza di costruirsi anche alla base e ciò li porta a sopravvalutare le posizioni di direzione, dove, senza base alle spalle, si ha solo l'illusione di "contare" quando molto più spesso si è, semplicemente, diventati un po' più simili a quelli che prima si criticavano, e nel peggiore dei casi si diventa ostaggi. Per questo Bandiera Rossa esce dal biennio con grosse esperienze individuali di direzione, ma indebolita come corrente.

L'area Punto Rosso/Attac raccoglie parte del gruppo dirigente che viene da DP, e integra la maggioranza bertinottiana. Al contrario di Bandiera Rossa che ha delle modalità formali di funzionamento interno (congressi, elezione organismi dirigenti, ecc.) questa corrente è molto più "vaga" sul piano organizzativo. Ha solidi referenti di territorio che arrivano sino ai singoli circoli, ma legati da una serie di contatti personali, più che da una struttura vera e propria. Ciò ha contribuito a far sì che la base programmatica di questa corrente mantenesse la stessa disomogeneità di Democrazia Proletaria che, come oggi il Prc, ha sempre evitato di imbarcarsi in serie e approfondite discussioni ideologiche di fondo per timore di spaccarsi in mille pezzetti. Anche a causa di questa scarsa coesione organizzativa, il settore sindacale (la corrente Patta) che con tanta fatica DP aveva costruito, ad un certo punto se n'è andata per conto suo (e dunque anche questa corrente non ha avuto alcuna influenza nella lotta di classe di questo biennio), e i militanti rimasti, impegnati sul piano politico, hanno vissuto più difendendosi dagli altri e costruendo "spazi" di influenza, nel partito e nei movimenti, che approfondendo il proprio profilo di corrente. Nonostante la scarsa definizione ideologica, alcune cose questa corrente ce le ha sempre avute chiare, e costituiscono una buona eredità degli anni settanta: una forte sensibilità nei confronti dei movimenti, una certa capacità "pratica" di prendere iniziative politiche in sintonia col momento, la totale assenza di riflessi da "vecchio pci", il che implica, ad esempio, un utilizzo "creativo" delle rappresentanze istituzionali, l'idiosincrasia nei confronti di misure autoritarie dentro il partito, un antistalinismo spontaneo, una sana curiosità verso le novità intellettuali. Anche per queste sue caratteristiche all'inizio del biennio s'è ritrovata ottimamente posizionata: il tipo di lavoro "culturale" portato avanti da Punto Rosso, ad esempio, ha dato spazio con largo anticipo a molte delle tematiche che poi sarebbero diventate popolari nel movimento noglobal. Questo settore non s'è distinto certo per una sua particolare interpretazione di queste tematiche, ma, grazie a risorse finanziarie, al vuoto di iniziativa degli altri e a qualche contatto internazionale, è stato tra i soggetti che più hanno immesso materiale di riflessione, inaugurando quella modalità particolare di riunione del movimento che sono le assemblee-maratona con molti relatori e la massa di pubblico che ascolta, non interviene e prende appunti. Data però la fondamentale debolezza programmatica di questa corrente, essa non ha saputo stimolare nel movimento discussioni vere tra posizioni teoriche diverse, accontendandosi di presentarle più o meno tutte. Il concetto stesso di "definizione programmatica" fa orrore ai suoi esponenti, perché l'associano a qualcosa di "vetero", "sorpassato" e "terzinternazionalista". Una volta partito il movimento, questo settore ha sentito il bisogno, giustamente dal suo punto di vista, di darsi gambe organizzative (ha scelto dunque anch'esso di non presentarsi "in quanto partito") ed ha (ri)fondato Attac Italia, dandogli una struttura che fosse il più possibile sotto il proprio controllo. La modalità di funzionamento che caratterizza questa corrente è stata però pari pari trasferita alle strutture di movimento che essa influenza (oltre Attac, diversi social forum), ma con il risultato di apparire fautrice di modalità assai poco trasparenti. Attac è oggi poco più di un guscio vuoto, dove ben pochi militanti di base si illudono di avere un qualche peso nelle decisioni di vertice. Questa disattenzione per la base ha fatto sì che questa corrente non sfruttasse le occasioni da essa stessa propiziate. Chi ha partecipato alla riuscita campagna di raccolta firme per la Tobin Tax (e sono tanti) sa bene come sia difficile persino riuscire a capire che fine abbiano fatto le firme, quando la campagna sarebbe stata un'ottima occasione per creare rete, conoscenza reciproca e appoggi tra la miriade di comitati e gruppi locali che hanno partecipato all'iniziativa. La corrente si trova dunque in una situazione simile a quella di Bandiera Rossa: molti dei suoi esponenti sono oggi "famosi", la corrente esce invece dal biennio con la stessa consistenza di prima.

La corrente de L'Ernesto

Si tratta della minoranza "moderata" del partito, che si raccoglie intorno alla rivista L'Ernesto. All'ultimo congresso ha raggiunto quasi il 30% dei voti. La sua cultura è togliattiana: stalinista per quanto riguarda la politica estera, moderatissima per quanto riguarda le scelte di politica interna. La tecnica è la stessa utilizzata dal PdCI di Cossutta (in effetti la corrente dell'Ernesto, è la fetta del cossuttismo che è rimasta nel Prc), e, prima ancora dal Pci: una linea estera apparentemente "dura" serve a far digerire le posizioni “destre” sul piano interno. Il PdCI ad esempio, così come la corrente in questione, ha sempre considerato quello di Milosevic un partito realmente socialista, la "sinistra" serba, ma ciò non ha impedito affatto al PdCI di continuare a stare nel governo D'Alema mentre questo partecipava alla guerra della Nato contro la Serbia. Così la corrente de L'Ernesto, nelle regioni dove è maggioranza si distingue per una politica così moderata da non riuscire più a far comprendere la differenza tra Ds e Prc, ciò non le impedisce di essere tra i più intransigenti difensori di Cuba, e, se è il caso, anche della Corea del Nord. In una situazione di perdita di punti di riferimento, dobbiamo dire che questa politica ha dato un qualche frutto: molti giovani radicalizzati, che si considerano "comunisti", trovano "coerente", da "duri e puri", un atteggiamento di difesa dei più improbabili "comunisti", da Milosevic a Kim Dae-jung, solo perché duramente attaccati dagli USA e sottovalutano la politica moderata della corrente su tutti gli altri piani. Si è creato negli ultimi anni, rafforzandosi negli ultimi due, una sorta di "asse stalinista" in politica estera che ha legato questa corrente, e il PdCI, a formazioni che invece sono più radicali sul piano della politica interna, ad esempio la Rete dei Comunisti. Questo "asse" ha trovato un momento di espressione comune nella manifestazione filocastrista del giugno scorso. Lì si è visto che la forza complessiva che queste correnti riescono a mettere in campo, non è un granché: nella più ottimistica delle ipotesi a quell'evento non hanno partecipato piu' di 2000 persone da tutta Italia. Ma ci sono, e costituiscono un elemento di attrazione per giovani maschi radicalizzati che si ritengono comunisti, e ai quali nessun’altra corrente offre un sistema di interpretazione globale della realtà, con solidi punti di riferimento programmatici.
Naturalmente essere stalinisteggianti non è certo la miglior carta d'identità ideologica per chi voglia avvicinarsi alla composita realtà del movimento noglobal, che nel suo insieme, per quanto confusamente, possiede un deciso dna antiautoritario. Uno che dissertasse su "Stalin, luci e ombre" verrebbe visto dai più come un marziano. Le possibilità dunque che i gruppi stalinisti o stalinisteggianti hanno, in generale, di incidere nel movimento sono scarse. Così, la corrente de L'Ernesto non ci ha nemmeno provato, come del resto il PdCI. La Rete dei Comunisti che ha un'attitudine più movimentista e una politica di alleanze più vivace, oltre che qualche piccola "organizzazione di massa" da mettere in campo (pezzi di RdB) c'è stata, ma senza vere possibilità di espansione e influenza.
L'Ernesto ha giocato così sino in fondo la carta della propria autoesclusione dal movimento, facendola apparire come scelta "di sinistra". La direzione bertinottiana è stata accusata (anche se non apertamente negli organismi dirigenti) di essere, con il suo movimentismo, liquidazionista nei confronti del partito, di correre dietro a preti e centri sociali anarchicheggianti, di sacrificare i compiti e le esigenze di costruzione "di partito". L'alleanza tra Gc e "disobbedienti" è stata costantemente sotto tiro, perché avrebbe compromesso l'identità dei "giovani comunisti". Dati gli scarsi risultati elettorali ottenuti dal Prc, la corrente de L'Ernesto ha avuto buon gioco a girare il coltello nella piaga arrivando all'assurdo si affermare che "il movimento non ha votato il Prc". Ma il dato di fatto è che questa corrente è stata estranea, nel senso che non ha avuto alcuna voce in capitolo, anche sul terreno a lei certo molto più congeniale della lotta contro la guerra: quella mobilitazione è stata gestita dall'inizio alla fine dal movimento noglobal e/o dalle sue varie componenti interne. L'Ernesto, che dell'antiamericanismo ha fatto una delle sue caratteristiche costitutive, è stato fuori dalla prima vera autentica ondata di massa "antistatunitense" che si vedesse in Italia da più di un decennio.
Sul terreno sindacale questa corrente ha sempre difeso l'importanza della presenza in Cgil. La sua visione di questa presenza però è tipica del vecchio Pci: l'occupazione di pezzi di apparato. In ogni caso, anche nel caso de L'Ernesto, il problema è che non ha i mezzi per fare ciò che predica: le sue forze si limitano sostanzialmente al partito, e la sua influenza in Cgil è quasi nulla. Questa corrente ha accolto l'entrata in campo di Cofferati con un entusiasmo tale da far pensare ai maligni che, se Cofferati avesse costituito un suo partito, anche questa corrente non avrebbe saputo resistere all'appello. Dopo l’abbandono del Cinese è rimasta spiazzata (come il PdCI), ma la nuova linea del Prc, che ne accoglie sostanzialmente le richieste di avvicinamento al centrosinistra, l'ha in qualche modo tolta dall'imbarazzo.
Come esce questa corrente dal biennio? Diremmo: abbastanza bene, anche se il biennio, come spostamento di masse in movimento, non l'ha sfiorata affatto. E' una corrente diffidente verso il movimento noglobal, sostanzialmente esterna al movimento sindacale, e fuori da quello dei girotondi. Ma ha saputo abilmente sfruttare i limiti degli altri. In una situazione in cui le correnti del Prc sono prive o si stanno privando del proprio profilo ideologico, questa corrente offre sicurezza, solidità, un sistema di pensiero in sé coerente, una tradizione che, per chi non si diletta troppo di storia, può apparire gloriosa. L'Ernesto cresce sulla debolezza del Prc. L'ultimo congresso del Prc ha fatto superare a questa corrente i timori di essere esclusa dalla gestione (la maggioranza quando ha potuto non ha esistato a farlo) ed è uscita allo scoperto, seppur con una serie di emendamenti e non con un documento globalmente alternativo: da quel momento è in pratica una frazione aperta (ci sono anche feste de L'Ernesto), con un proprio sistema di finanziamento, una organizzazione efficiente, una gerarchia interna precisa, e, appunto, una rivista che dà la linea (seppur con una intelligente politica di apertura di spazi anche a chi non è della corrente).

La minoranza di ProgettoComunista e di Falce e Martello

Si tratta di minoranze che in occasione dell'ultimo congresso avevano superato il 10% con un documento che avevano presentato congiuntamente. Progetto Comunista è più forte e strutturata di Falce e Martello, e insieme raccolgono intorno ai, forse, 600 militanti. Esse si considerano la "minoranza rivoluzionaria" del Prc, la sua "sinistra" interna; si dichiarano trotskiste, anche se con due "versioni" differenti.
Anche queste correnti hanno criticato la politica maggioritaria del partito riguardo al movimento, a volte con accenti che apparentemente sembravano simili a quelli de L'Ernesto. In realtà, mentre L'Ernesto, nella pratica anche se non sempre nella teoria, era decisamente esterno al movimento e ben contento di esserlo, queste due correnti, dopo un iniziale (e fatale, perché i tempi in politica sono essenziali) rifiuto, hanno sostenuto la necessità di essere dentro il movimento, ma criticando il Prc perché non ambiva ad esserne "direzione" autocollocandosi alla pari con i movimenti e teorizzando la reciproca "contaminazione". Per queste due organizzazioni il rapporto movimento/partito è chiaro: il partito è l'organismo determinante e sovrastante e il suo compito nei movimenti è di guadagnarne l'egemonia. La critica al partito era facilitata da un punto debole del Prc, di cui abbiamo già parlato: alla voglia di stare "in quanto partito" nel movimento non corrispondeva una identica capacità di spiegare il perché. Il problema però è che Progetto Comunista e Falce e Martello non hanno dimostrato nella pratica che quel che predicavano lo si poteva fare. Non si tratta certo di forze che hanno paura a muoversi senza il via libera del partito: funzionano in pratica come partito nel partito sin dalla fondazione del Prc. Ma la loro influenza nel movimento è stata pari a zero, e non hanno compiuto alcuno serio sforzo per cambiare la situazione. Ragion per cui la loro critica alla maggioranza è risultata sempre piuttosto astratta. Il problema non sta nella loro consistenza: abbiamo già visto che altre forze con un numero di militanti forse inferiore (Bandiera Rossa e Attac/Punto Rosso) hanno svolto un ruolo di primo piano nel movimento (un ruolo di "direzione", come direbbero le due correnti di cui stiamo parlando). Il problema sta nella loro pratica politica: si sono limitate ad una presenza propagandistica in occasione dei principali appuntamenti di massa del movimento (formazione di propri "spezzoni", risultati drammaticamente piccoli, distribuzione di opuscoli e riviste, ecc.), restando sempre fuori da ogni livello decisionale, non solo sul piano nazionale, ma anche nelle principali città. Del resto per essere influenti si doveva essere portavoce di una qualche organizzazione di movimento, per quanto piccola, disporre di una militanza educata a stare in movimenti non strettamente controllati, gruppi dirigenti pronti a cogliere le occasioni fuori dai propri ambienti protetti, e una storia di relazioni (magari conflittuali...) con le altre componenti. Questi due gruppi non potevano vantare nessuna di queste condizioni. Di fronte alla propria militanza, abituata ad un certo grado di isolamento, la situazione veniva giustificata con l'"arretratezza" ideologica del movimento, il successo al suo interno di teorie ben poco marxiste, ecc. ma quando il movimento noglobal si è trasformato in movimento contro la guerra assumendo parole d'ordine che non potevano non sembrare corrette anche al più ortodosso tra i marxisti, l'autoesclusione, al pari di quella de L'Ernesto, è risultata ben pesante. Nell'ondata antiguerra che ha scosso l'Italia queste due organizzazioni non hanno giocato, come in tutto il biennio, alcun ruolo. Leggendo queste righe qualcuno potrebbe anche dire: per fortuna! Noi però non lo pensiamo. L'autoesclusione di queste e di altre forze che si rifanno al marxismo ha contribuito alla povertà intellettuale del movimento, e alla totale mancanza di discussione tra posizioni teoriche diverse, che è l'unica maniera per far emergere idee nuove. Lo scadenzismo e una giusta preoccupazione unitaria che però troppe volte vedeva privilegiare gli accordi diplomatici ai vertici invece di una trasparente discussione sugli obiettivi, hanno fatto sì che da questo biennio la gran parte dei militanti siano usciti con ben poche idee in testa in più rispetto a quelle che avevano prima di entrarvi. Queste organizzazioni, invece, il marxismo lo masticano e lo applicano in analisi molto spesso di tutto rispetto, anche se non sempre, da noi, condivisibili. La presenza delle loro idee avrebbe certo arginato o per lo meno aiutato a costruire una alternativa al dilagare di luoghi comuni privi di fondamento scientifico, come quelli sull'"impero" e la "moltitudine". Ma per far circolare queste idee Progetto Comunista e Falce e Martello avrebbero dovuto rinunciare al puro propagandismo, e dedicarsi anche alla costruzione leale del movimento. La presenza non propagandistica di forze di questo tipo avrebbe spinto inoltre le altre componenti ad una maggiore attenzione verso la propria base: queste due organizzazioni (come anche Lotta Comunista, Socialismo Rivoluzionario, ecc.), danno infatti una grande importanza al reclutamento del singolo e valorizzano ogni "conquista", cioé ogni "recluta"; questo atteggiamento ha alle volte aspetti che paiono piuttosto fastidiosi, simili a quelle di certe sette religiose; dobbiamo dire però che l'atteggiamento elitario di altre componenti che "si filano" qualcuno solo e solamente se sa parlare in pubblico o ha un qualche incarico da qualche parte o mette a disposizione delle truppe, è parimenti insopportabile, e, per quanto ci riguarda, peggiore.
Considerando quel che è accaduto nel biennio, dobbiamo anche segnalare che queste due correnti sono restate fuori dallo scontro sindacale. Progetto Comunista fa una certa fatica a produrre un proprio intervento sindacale perché al proprio interno ha diversi militanti che costruiscono il sindacalismo di base; inoltre privilegia costantemente la presenza nel partito e sottostima l'importanza della presenza in altri ambiti. Falce e Martello è un'organizzazione un po' troppo giovane e numericamente scarsa per sperare di esercitare una qualche influenza sindacale, anche se la sua impostazione è nettamente orientata alla Cgil (e per questo non è rimasta affatto spiazzata dal movimento a difesa dell'art.18).
Progetto Comunista e Falce e Martello dunque escono dal biennio con le stesse forze di prima e quindi con una influenza relativamente minore, dato che il biennio è stato di radicalizzazione e la massa della gente che si interessa di politica è seccamente aumentata. Il loro problema è stato semplice: quando le masse hanno riempito l'arena della politica, queste due correnti sono restate fuori, a distribuire volantini: la gente li prendeva, li metteva in tasca e poi entrava nell'arena, dove loro non c'erano.

I disobbedienti

Come abbiamo già detto la "sigla" raccoglie anche i Gc (o per lo meno quelli che fanno riferimento alla maggioranza del Prc). Qui ci occuperemo però dei disobbedienti "doc", espressione di una parte dei centri sociali. Scriviamo di questa corrente perché essa non è solo "di movimento", ma, pur non trattandosi di partito, è comunque una formazione "politica", con una propria omogeneità, cultura, leadership, modalità di funzionamento interno: viene da una tradizione che rifiuta la separazione tra il piano del politico e quello dei movimenti, e agisce conseguentemente, cercando di politicizzare i movimenti, e di "movimentare" la politica. Con la politica istituzionale mantiene un atteggiamento di "scambio": non ha in mente la fondazione di chissà che forza politica, ma ha utilizzato Verdi e Prc per eleggere delle proprie rappresentanze spese come "copertura politica". Nel biennio hanno presentato liste proprie, ma con nessuna fortuna: la loro influenza non va al di là di settori giovanili non ampi, e non lambisce la classe lavoratrice sindacalizzata (neppure il piccolo settore legato al sindacalismo di base). Alcune sue caratteristiche hanno permesso che divenisse una componente protagonista del movimento noglobal: ha una militanza tutta orientata su scadenze di mobilitazione, una storia di solidarietà con il Chiapas che l’ha resa vicina nella sensibilità e nel linguaggio a molte teorizzazioni presenti nel movimento, una attenzione alla dimensione relazionale più che a quella organizzativa (importanza data alla musica, alla festa, al vivere insieme fuori dagli schemi). Per questi e altri fattori è il settore di movimento che più è stato in grado di mobilitare gli studenti medi. All'interno del movimento questa corrente ha spesso contestato il verticismo, l'eccesso di parole, ecc. e ciò certamente in sintonia con coloro (molti, troppi) che si sono allontanati criticando appunto l'eccesso di diplomatismo e verbosità degli appuntamenti di movimento. Di gran lunga è stato il settore che più ha goduto di esposizione mediatica nel biennio, pagandone comunque anche qualche prezzo (arresti arbitrari, ecc.). Infine, vengono in gran parte da questa componente molte delle idee e dell'impegno a favore di nuovi media, della comunicazione, di forme di espressione creativa della protesta. Dunque, si potrebbe dire che questa corrente esce dal biennio terribilmente rafforzata. Nella realtà ne esce, più o meno, come prima, e per suoi limiti "strutturali". Si tratta infatti di una componente organicamente refrattaria all'"organizzazione". E ciò significa che quando il movimento "tira", i suoi militanti ci sono, crescono, e contano. Appena il movimento cala, possono anche letteralmente sparire. Tutta la giovanissima generazione di medi che in qualche modo è stata coinvolta su iniziativa dei disobbedienti, in realtà non è rimasta con loro, né con nessun altro, perché avrebbe avuto bisogno di un ambito protetto e continuativo che offrisse un terreno di crescita, e che questa componente non sarà mai in grado di offrire. Per questo dall'alleanza con i Gc, sono soprattutto questi ultimi ad averci guadagnato: non per meriti particolari se non quelli di essere più "organizzazione". Anche questa corrente inoltre non riesce a offrire un sistema di idee coerenti e complesse, se non una certa tendenza ad un linguaggio a volte troppo "poetico", carismatico, che attrae in prima battuta, ma che poi a molti non basta più. In più, il fatto di essere presenti solo in un pezzetto di società (i giovani "alternativi", studenti e/o precari) fa sì che abbiano, della realtà, una visione molto parziale e che il mondo in cui si riconoscono la gran parte degli oppressi (il mondo dei sindacati, ad esempio), risulti loro, in ultima analisi, vecchio, o incomprensibile. Ciò ha fatto sì che questa corrente uscisse dal biennio molto conosciuta nel vasto mondo (è famosa anche in altri Paesi, con qualche tentativo di imitazione), ma senza sostanzialmente essersi rafforzata.

L'area antagonista

Così come per i disobbedienti, anche per quest'area possiamo parlare di una componente "politica", sotto le fattezze di movimento. Del resto, in parte, le due correnti derivano dalla stessa tradizione, quella dell'Autonomia. All'inizio del movimento, quest'area, molto più frammentata di quella "disobbediente", ha agito in maniera coordinata, poi gran parte dei vari pezzetti s'è sfilacciata, e, sostanzialmente, se ne è stata alla larga dal movimento, continuando le proprie normali attività come centri sociali e delegando nei fatti alla sua parte più solida e strutturata la "rappresentanza" della propria visione politica all'interno del movimento: la Confederazione Cobas. I Cobas sono uno dei soggetti del variegato mondo del sindacalismo di base, e non il più consistente; dopo qualche tentennamento si sono gettati nel movimento con crescente energia, guadagnando un sempre maggior spazio. E' alla loro pressione (e a quella della Cub-RdB) che si deve il fatto che in occasione delle manifestazioni Cgil il movimento abbia quasi sempre scelto di marciare in separatamente. L'impostazione ideologica è classicamente marxista, pur rifiutando tutta la tradizione legata all'idea di "partito". A differenza dei disobbedienti però, i cobas hanno un'idea molto precisa di "organizzazione", e puntano nei fatti a fare dell'organizzazione sindacale una sorta di partito che si occupa di tutto, fuorché di scadenze elettorali. I cobas escono politicamente rafforzati per quanto riguarda il movimento (e presso l'area "antagonista"), dove il loro ruolo è cresciuto, anche se, al pari degli altri, ciò non si è tradotto in un incremento numerico dei suoi militanti. Il prezzo pagato in questo investimento di energie, però, è piuttosto salato per una forza che si propone di giocare un ruolo in quello che essa riconosce essere il principale terreno di scontro: quello tra capitale e lavoro. Questo scontro nel biennio c'è stato, acutissimo, ma i cobas ne sono stati completamente fuori. La loro presenza è confinata alla scuola, e, dato lo spostamento totale della loro attenzione sul movimento noglobal, non hanno svolto in categoria un lavoro paragonabile a quello degli anni precedenti, nemmeno di supporto ai numerosi delegati che erano riusciti a far eleggere nell'ultima tornata elettorale delle rsu. Inoltre la volontà di costituirsi in referente sindacale unico del movimento, tenendo alla larga i "concorrenti" della Cgil, ha fatto sì che i cobas, e con loro l'intero movimento, si distanziassero dalla massa dei lavoratori che la Cgil influenza, con una politica di manifestazioni separate, e facendo in realtà alla burocrazia della Cgil un grandissimo favore: milioni di lavoratori non hanno visto negli appuntamenti centrali di questo biennio nemmeno una bandiera dei cobas, o un loro volantino. Nello scontro di classe che ha opposto i lavoratori alla destra in questo biennio, i cobas non c'erano.

La direzione di Lavoro e Società.

E' la componente di minoranza della Cgil, si tratta di un'area dove sono predominanti alla base gli iscritti del Prc, ma dove comanda, a causa dell'incapacità da parte di questo partito di darsi una politica sindacale, un settore politico di provenienza Dp, e che oggi è una frazione della burocrazia Cgil, alla ricerca di referente politico. All'inizio del movimento noglobal ha svolto un utile ruolo di presenza che ha poi facilitato l'aggancio di tutta la Cgil, e dunque l'unità d'azione tra movimento e sindacato in tutta una serie di eventi. Nel biennio ha tentato un'incursione nella politica, quando a gennaio ha dato vita ad un raggruppamento (Lavoro e libertà) che si proponeva di costituirsi come “ala sinistra” dell'eventuale e futuribile Partito del Lavoro di Cofferati. Eclissatosi Cofferati, i suoi esponenti sono rimasti un po' disorientati. Dato il completo appiattimento prima su Cofferati e poi su Epifani, questa corrente esce dal biennio più o meno come prima, ma con qualche domanda in più sulle ragioni della sua esistenza.

Lotta comunista.

E' la piu' forte organizzazione di sinistra esterna al Prc, di origini bordighiste. Anche questa corrente non ha "approfittato" dei due anni di radicalizzazione sociale. La forte presenza in Cgil, non è certo servita loro ad aumentare il numero di militanti o ad accrescere la propria influenza. Per quanto possa sembrare paradossale a chi si limita a leggere la loro stampa (dove definiscono la Cgil un sindacato "socialimperialista"), la loro politica sindacale è moderatissima, senz'altro più moderata di quella di Cofferati ed Epifani. Da un biennio come questo, dunque, potevano ricavar poco. I giovani lavoratori che si avvicinano al mondo sindacale imparano rapidamente a conoscere questa organizzazione, non certo per le sue "conquiste teoriche" (e in effetti molte analisi che compaiono sul loro giornale - ad esempio circa il funzionamento del capitalismo - sono utili e raffinate), ma per la disinvoltura con cui ampliano i loro spazi nella burocrazia Cgil alleandosi di volta in volta con la maggioranza o la minoranza. Del resto il movimento contro la guerra, nell'opinione di Lotta Comunista, era sostanzialmente un movimento a sostegno dell'imperialismo europeo, quindi qualcosa da cui stare ben alla larga. Dato che però i suoi militanti sono ormai gli unici ad applicarsi ad un lavoro propagandistico sistematico casa per casa (e scuola per scuola, fabbrica per fabbrica), si sono avvantaggiati della caduta verticale della capacità delle altre correnti di produrre ed elaborare analisi e materiali e soprattutto della voglia di distribuirli. Quindi hanno pescato qui e là diversi giovani, che, dopo esser stati sottosposti a terribili sedute di alta teoria marxista, immaginiamo faranno la stessa fine di tanti altri che si sono avvicinati in passato a questa organizzazione: se ne scapperanno a gambe levate. Lotta Comunista conquista militanti per metterli nel congelatore della lotta di classe.

Piccola conclusione

Noi pensiamo che compito di una forza di sinistra sia di rafforzare i movimenti, cioè far sì che crescano e consolidino la propria autonomia, anche dalle stesse forze di sinistra che li promuovono. E ciò perché riteniamo questa una condizione necessaria affinché le stesse forze di sinistra evolvano positivamente tenendo conto solo degli interessi che dovrebbero difendere. Ciò sarà possibile solo se vi sarà una società civile, sufficientemente strutturata, forte e autonoma per poterle "controllare" e spingere nella giusta direzione. Sappiamo che questa è una concezione condivisa da ben pochi nella sinistra. Per questo abbiamo affrontato in questa sommaria rassegna il bilancio delle varie correnti di sinistra, anche dal loro punto di vista, dal punto di vista cioé di quel che loro considerano "successo". E dunque ci pare indubitabile che anche dal loro punto di vista in un biennio straordinario di lotte e mobilitazioni senza precedenti negli ultimi venti anni, le correnti politiche della sinistra abbiano dato di sè una prova rovinosa, specie quelle che ci interessano, e cioé quelle più radicali, "comuniste". Nessuna di loro ha educato una nuova leva di militanti, nessuna di loro si è preoccupata di rafforzare il movimento, a meno che ciò non coincidesse con gli interessi particolari della propria corrente. Molti non hanno buttato nello scontro le proprie forze, scegliendosi invece obiettivi mediocri.
Pensiamo che la ragione principale risieda in un fattore “generazionale”: i gruppi dirigenti delle correnti di sinistra sono ancora quelli della generazione degli anni settanta. Magari molti di loro sono più giovani, ma dei fratelli più vecchi hanno adottato le modalità politiche. E’ una generazione che ha enormi meriti (aver resistito, e non è poco) grandi capacità (di manovra, di cogliere le occasioni, di leggere la politica, ecc.), ma difetti macroscopici e tra questi: il disprezzo per criteri scientifici di interpretazione della realtà e l’attrazione invece per il linguaggio ad effetto, debordante e vacuo; l’amore per la filosofia e l’ignoranza della storia; l’assemblearismo unito al leaderismo, e la paura della democrazia partecipata; il settarismo esasperato e l’incapacità di immaginare progetti di largo respiro … Non sappiamo se la nuova generazione che sta crescendo sarà meglio o peggio della vecchia, quel che è certo è che ha dimostrato di essere troppo debole e ingenua per poter imporre il nuovo anche tra i comunisti delle più diverse specie. Speriamo che le correnti di cui abbiamo parlato, e le diverse generazioni che le costituiscono, abbiano la forza, il coraggio, l'intelligenza di fare meglio, nella fase che verrà.