TESI 19 - IL PENSIERO UNICO SI SPEZZA torna all'indice
Si è irimediabilmente incrinato uno dei miti portanti della globalizzazione: quello di una crescita continua, di una vita più facile. In questa disillusione collettiva, la crisi assume forme contradditorie: esplode il terrorismo, ma cresce anche l'opposizione sociale e politica.In ogni caso si è definitivamente incrinato uno dei miti del processo di globalizzazione, quello di una crescita forse non sempre travolgente, ma continua e sicura; quello che cercava di espungere la parola crisi dal vocabolario economico e dall'immaginario collettivo, quello che avrebbe dovuto assicurare, almeno alla porzione degli abitanti della zona più fortunata del pianeta, una esistenza senza incertezza. La globalizzazione - per bocca dei suoi apologeti e dei suoi propagandisti - prometteva l'allargamento della sfera dei consumi e una vita più facile, pur in un clima di competizione.
Questa promessa era sostenuta da un apparato ideologico potente e articolato, tale da costituire una sorta di "pensiero unico", come è stato felicemente definito, capace di intervenire in ogni campo e di proporsi come risolutivo per ogni problema. Insomma il processo di globalizzazione è stato sospinto e a sua volta ha alimentato una vera e propria egemonia delle classi dominanti su scala mondiale fondata sul primato del calcolo economico, sulla logica dell'interesse e dell'impresa, sull'imperativo del mercato e della competitività.
Tutto questo conosce oggi una profonda crisi. La promessa di sicurezza nel futuro è irrimediabilmente incrinata per milioni di persone cui era stato fatto credere; l'esclusione da una condizione di benessere - anche se relativa - è invece drammaticamente confermata per la maggioranza dell'umanità. La logica dell'impresa continua ad essere l'unico modo con cui viene organizzata la produzione, ma la sua egemonia sulla società e sul sistema conosce delle profonde incrinature. Le grandi crisi ambientali mordono nel profondo le condizioni di vita e la riproduzione sociale.
Il terrorismo è un progetto politico nemico mortale di un'esigenza di trasformazione, ma allo stesso tempo è esso stesso prodotto e manifestazione della crisi della globalizzazione. Nei paesi più poveri cresce una opposizione in diverse forme alla sottomissione dei rispettivi governi alle politiche neoliberiste. Nel mondo prende corpo un vasto, duraturo, articolato movimento contro la globalizzazione, che unisce varie figure sociali, diverse culture e opzioni ideali e politiche. Insomma la normalizzazione del mondo sotto l'egida del dominio del capitale non è riuscita.TESI 20 - LA SECONDA FASE DELLA GLOBALIZZAZIONE torna all'indice
Dopo lo sviluppo imperioso il capitale deve di gestire direttamente la sua crisi. Alla ricerca di nuovi strumenti di comando e di controllo sceglie la strada dello "stato di guerra" e della repressione.Il processo di globalizzazione non è sbaragliato, ma inizia una nuova fase: dopo quella del suo sviluppo imperioso e diffuso, entra in una seconda fase, quella della gestione della sua crisi.
A quanto si vede questa gestione viene affidata al prolungamento di uno stato di guerra, dal quale ottenere un dominio che non è più conquistabile solo per via egemonica. Per questo sono necessari nuovi strumenti di comando del processo di globalizzazione, il soffocamento - anche attraverso la stretta tra terrorismo e guerra - dei movimenti contestativi e alternativi, l'assunzione nel processo di globalizzazione, a diversi e variamente subordinati livelli, di tutti i seppur timidi tentativi di differenziazione e di autonomia di singoli paesi o gruppi di essi.
E' decisivo per il futuro dell'umanità se questa crisi evolverà in un superamento del capitalismo o in un imbarbarimento della società umana mondiale. Lo scioglimento di questa alternativa dipende in gran parte dallo sviluppo del movimento mondiale contro la globalizzazione.TESI 21 - IL PROGETTO DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE torna all'indice
Anche l'attuale insorgenza terroristica internazionale, è un fenomeno che nasce nella sfera separata della Politica. Esso intende sfruttare la situazione di disagio e oppressione dei popoli musulmani, ma non ne costituisce né l'espressione politica né la rappresentanza.Il terrorismo non è certo un fenomeno nuovo e si è presentato più volte e in modi diversi sulla scena della storia. In ogni caso esso ha rappresentato un progetto politico, costruito entro un'accentuata concezione dell'autonomia della politica, che lo ha portato a contrapporre l'azione di pochi a quella delle masse. In questo senso esso non deriva meccanicamente e necessariamente né dal disagio sociale né dalle varie forme di fondamentalismo o di integralismo religioso. Ma certamente il terrorismo cerca di mettersi in connessione e di utilizzare le condizioni di sofferenza e ingiustizia sociale, l'intolleranza etica e l'integralismo religioso per diffondersi e cercare consensi e appoggi.
L'attuale fenomeno terroristico internazionale - che sfrutta particolarmente il diffondersi dell'islamismo radicale, lo stato di oppressione, di disagio, e la volontà di riscossa di quelle
popolazioni e di quella parte del mondo a prevalente religione musulmana - si avvale anche di una forza economica che è data in massima parte dallo sfruttamento e dal controllo dei giacimenti e delle vie del petrolio, che costituiscono allo stesso tempo un terreno di sfida nei confronti del governo oligarchico della globalizzazione e delle maggiori potenze.
Per questi motivi la scelta della guerra oltre che eticamente, politicamente e umanamente inaccettabile, risulta del tutto inefficace nella lotta al terrorismo.
Questa richiede invece un impegno ben diverso da parte della comunità internazionale, che deve intervenire contemporaneamente su molteplici terreni.
In particolare è decisivo lavorare per rimuovere le enormi diversità e ingiustizie sociali ampliate dal processo di globalizzazione al fine di eliminare ogni spazio di conquista di disperati consensi da parte del terrorismo. Vanno risolti i punti di crisi presenti nella situazione internazionale, a partire dalla composizione del conflitto palestinese-israeliano, per avviare la quale sono indispensabili l'immediato ritiro da tutti i territori occupati delle truppe israeliane, il rapido smantellamento degli insediamenti coloniali israeliani e l'invio di una forza di interposizione internazionale, come chiede da più di un anno l'Autorità Nazionale Palestinese, al fine di realizzare il diritto di entrambi i popoli ad avere uno stato proprio. Bisogna ricostruire le ragioni della solidarietà tra le nazioni basate su legittimi organi internazionali. L'ONU dovrà essere profondamente riformata con l'eliminazione della funzione di membri stabili del Consiglio di Sicurezza, con una priorità decisionale all'Assemblea generale e con l'abolizione del diritto di veto. A quest'ultimo, quindi, e alla collaborazione fra tutti gli stati, va affidata l'opera specifica di prevenzione e di repressione del fenomeno terroristico, con l'impegno delle capacità investigative e di azioni di polizia internazionale, nel pieno rispetto dei diritti e della democrazia, che sono l'unica condizione per ottenere un attivo sostegno in quella lotta da parte delle popolazioni. E' necessario risolvere il problema dell'esercizio della giustizia a livello internazionale e quindi è indispensabile la costituzione di quel Tribunale Penale Internazionale alla cui nascita si oppongono proprio gli Stati Uniti d'America.TESI 22 - IL MOVIMENTO DEI MOVIMENTI torna all'indice
La nascita dei popoli di Seattle costituisce l'evento positivo del nostro tempo: il primo movimento, dopo la lunga sconfitta, che pone le basi per una risposta da sinistra alla crisi della globalizzazione, avanza una critica radicale al sistema dominante, afferma la possibilità, qui ed ora, di "un altro mondo". Da qui può rinascere un nuovo movimento operaio.La nascita dei "popoli di Seattle", del "movimento dei movimenti", costituisce l'evento positivo del nostro tempo, il primo movimento dopo la lunga fase della sconfitta che indica la possibile nascita di un nuovo movimento operaio.
Questo movimento - di cui i prodromi si erano potuti vedere già nell'esperienza zapatista come nella conferenze delle donne tenutasi a Pechino nel 1995 - avanzando una critica radicale all'attuale sistema di relazioni economiche, sociali e politiche dominanti e affermando che "un altro mondo è possibile", pone le basi per una risposta "da sinistra" alla globalizzazione capitalistica e alla sua crisi.
Dopo anni in cui l'egemonia del pensiero unico aveva operato una gigantesca campagna ideologica di occultamento dei meccanismi di sfruttamento presentando i rapporti sociali capitalistici come naturali, oggettivi, immodificabili, il movimento è stato in grado di rendere evidente - a livello di massa - che le sofferenze, lo sfruttamento, la perdita di diritti, non sono un processo naturale ma il frutto di precise scelte politiche operate a partire dalle decisioni assunte dagli organismi internazionali a-democratici che guidano il processo di globalizzazione capitalistico. L'aver individuato nel Fondo Monetario Internazionale, nella Banca Mondiale, nell'Organizzazione Mondiale del Commercio i corresponsabili principali dei grandi potentati economici nella distruzione dei diritti del lavoro, delle persone e dell'ambiente, ha dato un volto all'avversario "di tutti" e nel contempo ha posto i presupposti per l'apertura di un dialogo tra i diversi soggetti sfruttati e la costruzione di comuni percorsi di lotta. L'aver delegittimato e demistificato la funzione di governo mondiale da parte di organismi antidemocratici quali il G8, l'aver contestato la natura iniqua della globalizzazione neoliberista, l'aver reso visibili le scelte politiche che generano l'insicurezza a livello globale, l'aver dato un volto ed un nome all'avversario e per questa via l'aver reso possibile percorsi di unificazione dei conflitti prodotti dalle diverse contraddizioni generate dal processo di globalizzazione, costituiscono il vero dato storico di questo movimento, che ha segnato la possibilità di riproporre il tema dell'alternativa a livello mondiale. Si tratta di un processo certo non compiuto, con diversa forza e diversi gradi di consapevolezza da paese a paese, ma il tema è stato posto.TESI 23 - LE CARATTERISTICHE DEL MOVIMENTO torna all'indice
Il movimento ha natura mondiale e potenzialmente maggioritaria. Contesta l'ordine capitalistico, ma progetta anche nuove relazioni sociali e politiche (Porto Alegre). Ripropone in termini inediti la questione della democrazia, della partecipazione e dell'unità, come si è visto nell'esperienza del Social Forum. Non aggrega soltanto le nuove generazioni, ma componenti significative del movimento operaio.Da questo dato centrale discendono le caratteristiche di fondo di questo movimento:
1) Ha caratteristiche mondiali; nasce da contestazioni specifiche ma immediatamente si è espresso a livello globale, cioè al livello di sviluppo del capitale.
2) E' potenzialmente maggioritario, in quanto tende a formare una grande alleanza per l'umanità che partendo dagli esclusi del pianeta (e ponendo il problema della terra, della sovranità alimentare e del cibo come diritto universale), si propone come motore aggregativo di tutte le soggettività sociali e correnti di pensiero che non si rassegnano ad un sistema di violenza e di mercificazione delle relazioni umane, sociali e statuali. Da questo punto di vista fondamentale è potenzialmente presente, anche se non ancora pienamente operante, la consapevolezza del carattere fondativo delle contraddizioni di genere nei processi di emancipazione e liberazione umana.
3) Esprime, a partire dalla contestazione di fondo degli aspetti caratterizzanti l'attuale modello di accumulazione capitalistico, una carica anticapitalistica e mette in discussione il pensiero unico. Le categorie culturali in cui il movimento esprime la propria opposizione al neoliberismo sono certo assai variegate ed assistiamo ad una grande diversificazione e ricchezza di linguaggi e di riferimenti ideologici e culturali. Del resto dopo anni di deserto culturale, dominati dal pensiero unico e dal fallimento dell'esperienza dei socialismi reali, è del tutto normale che la critica al capitalismo si esprima attraverso una notevole dose di empiria e non sia sistematizzata compiutamente. La crisi del comunismo ha reso possibile anche la marginalizzazione culturale di larga parte degli strumenti analitici del marxismo ed è compito nostro - nella prospettiva della rifondazione comunista - quello di ricostruire strumenti analitici, utilizzabili a livello di massa, che pongano la critica all'economica politica alla base della contestazione al neoliberismo e al mercato.
4) Il movimento non si è limitato ad una azione contestativa ma in questi anni si è cimentato nella costruzione di proposte di modifica qualitativa degli attuali assetti sociali. Il Forum di Porto Alegre ha rappresentato uno snodo significativo di questo percorso e ha costruito una piattaforma che da un lato oltre a porre problemi di redistribuzione del reddito mette in discussione nodi di fondo dell'assetto capitalistico (pensiamo alle questioni relative alla socializzazione della proprietà intellettuale e delle risorse fondamentali come l'acqua) e dall'altra costituisce la potenziale base di unificazione progettuale dei diversi soggetti sociali coinvolti nel movimento (dalle questioni del lavoro a quelle dalla terra, dell'ambiente, del genere, del consumo) ponendo il problema del ridisegno delle condizioni della produzione e della riproduzione sociale.
5) Ha riproposto in termini inediti la questione della democrazia e della partecipazione, mettendo in discussione le forme classiche della rappresentanza sempre di più svuotate dalla concentrazione verso il vertice della piramide del potere globale, mettendo al centro i nodi della democrazia diretta, del controllo popolare dal basso, la costruzione di spazi pubblici che siano al contempo forme di partecipazione e luoghi di pratiche economico-sociali alternative. Questa volontà di riappropriazione dei processi decisionali che passa per una critica della politica come attività separata e ripropone una politica come impegno personale, pratica dell'obiettivo, controllo sociale, autogestione, ha al centro sia una forte connessione tra il dire e il fare che il superamento della tradizionale dicotomia tra tattica e strategia, della politica dei due tempi. Da questo punto di vista il movimento pone - ovviamente senza averlo compiutamente risolto, nemmeno per sè - un problema radicale di riforma della politica. Il movimento eredita cioè quel lento accumulo di elaborazioni ed esperienze avvenuto nel corso degli ultimi venti anni nei mondi dell'impegno civile, dei saperi sociali democraticamente strutturati, dell'associazionismo, del volontariato.
6) Ha espresso - in particolare nell' esperienza del Genoa Social Forum - una significativa capacità di costruire forme nuove di coalizione tra diversi, dando vita ad un "patto" paritario tra oltre 1000 associazioni, partiti, sindacati, che ha permesso la costruzione del percorso di manifestazioni che abbiamo conosciuto e di governare positivamente le differenze sia di impostazione che di pratiche politiche che all'interno di queste si sono espresse.
7) Sempre l'esperienza genovese ha riportato al centro una caratteristica fondante il movimento: la coalizione che si era espressa a Seattle. La partecipazione al movimento di significative componenti del movimento operaio organizzato, a partire dalla FIOM e dall'insieme del sindacalismo autorganizzato ed extraconfederale, è stata infatti una caratteristica centrale dell'appuntamento genovese. Questo fatto positivo e su cui dobbiamo investire fortemente in termini politici e organizzativi non ci deve far pensare però che tutti i problemi siano risolti. La crisi strategica del sindacalismo confederale, imbrigliato nella concertazione e incapace di aprirsi realmente all'organizzazione dei lavoratori non garantiti, la forza che mantiene tutt'ora l'ideologia dell'impresa come unico modo di organizzare la produzione e lo stesso ricatto occupazionale che scaturisce dalla crisi del processo di globalizzazione ci segnalano che accanto ad evidenti e positivi segnali di "disgelo", permane un problema di ripresa allargata del conflitto sociale nel mondo del lavoro e di coinvolgimento più forte dello stesso dentro il movimento "antiglobal".TESI 24 - LA GUERRA AL MOVIMENTO torna all'indice
Dopo l'11 settembre, la sfida del movimento si è fatta assai più difficile. La guerra è anche una risposta di "normalizzazione autoritaria". E il rifiuto della guerra, anche come scelta etica, è un antidoto alla crisi della politica.L'attentato terroristico e lo stato di guerra determinano una situazione di maggiore difficoltà per lo sviluppo del movimento medesimo. Lo straordinario successo della Perugina-Assisi e della manifestazione del 10 novembre, dimostrano che il movimento è vivo. Dobbiamo però essere consapevoli che la guerra tende a coartarne le aree d'influenza, a renderlo minoritario militarizzando l'informazione e sterilizzando le coscienze critiche. La guerra nell'epoca globale, lungi dall'essere un incidente di percorso, è in primo luogo occultamento dei reali problemi alla base dell'insicurezza e della precarietà della comunità umana. L'individuazione nel terrorismo di un nemico diverso da quello del sistema neoliberista assolve alla sua funzione di depistaggio e concentra su un fine funzionale l'apprensione, lo sdegno o più semplicemente la rassegnazione della pubblica opinione. Il rischio del terrorismo percepito e politicamente strumentalizzato scatena i bisogni di sicurezza per la cui soddisfazione si è disponibili a rinunciare alla democrazia o alla libertà di movimento e d'informazione.
Per questo, dopo l'11 Settembre, la sfida per il movimento si è fatta in salita e più difficile. La martellante campagna contro il pacifismo, presentato come imbelle o, nel migliore dei casi, come un'accezione etica che non può essere assunta nella sfera della politica, l'insistenza anche rozza con il quale il movimento di opposizione alla guerra viene immediatamente bollato come antiamericano, denotano che da parte del potere si è percepita questa difficoltà. Già a Genova, con la spaventosa scelta della repressione poliziesca, si era capito che la risposta dei poteri forti della globalizzazione neoliberista stava mutando, assumendo le forme della criminalizzazione del dissenso. L'occasione della guerra amplifica questa tendenza, proprio perché ogni slittamento e defezione dal fronte bellico globale avrebbe l'effetto di svelare tutta la debolezza di una avventura - la guerra contro l'Afghanistan - che oltre ad essere sbagliata in sè è anche del tutto inefficace rispetto all'obiettivo dichiarato di combattere il terrorismo.
Il movimento si trova quindi di fronte il problema di una sua crescita in un contesto in cui gli organismi che gestiscono il potere politico, economico e militare a livello globale hanno scelto lo stato di guerra come condizione "normale" di gestione della crisi del processo di globalizzazione. In questo contesto una risposta positiva alle istanze poste dal movimento non è nemmeno presa in considerazione dai nostri avversari e il tentativo di espellere il movimento dalla politica, di ridurlo all'impotenza trasformandolo in un problema di ordine pubblico o in un afflato etico-morale, sono più che mai in corso. Tanto più risulta quindi corretta la scelta del movimento di proporre una politica che sia guidata anche da scelte etiche, che lungi dall'essere viziata dal fondamentalismo, ne è il suo antidoto in quanto pone al centro il rispetto della persona.TESI 25 - IL CASO ITALIANO torna all'indice
Dopo la sconfitta degli anni Ottanta, non c'è più l'"anomalia italiana". Anche nel nostro paese, la crisi ha galoppato sul triplice versante, sociale, politico, culturale.Se, per quasi tutti gli anni '60 e '70, è stato legittimo parlare di "caso italiano", intendendo per esso una accentuata autonomia (anomalia) politica e sociale rispetto alla "normalità" europea, nei due decenni successivi si è andata piuttosto intensificando una crisi allo stesso tempo profonda e complessa. Alla sconfitta del movimento operaio e della sinistra degli anni '80 (il cui corposo simbolo resta la vicenda dei 35 giorni della Fiat), è seguito il crollo del sistema politico - e istituzionale - della Prima Repubblica: al quale non è sopravvissuto alcuno dei partiti di massa che avevano segnato in profondità tutta la storia repubblicana.
In questa fase è avanzata una ristrutturazione dell'apparato produttivo guidata più dalla volontà di riprendere il completo controllo sulla forza lavoro che non dalla capacità di progettare un rafforzamento del paese all'interno della divisione internazionale del lavoro. Lo schieramento di classe si frantuma e perde protagonismo politico e sociale: sia per ragioni soggettive che per processi strutturali, come la crescita di una disoccupazione di massa ormai endemica, la persistenza in forme nuove dell'antica "questione meridionale", l'ondata di nuova immigrazione. Mentre la condizione giovanile assume i caratteri prevalenti della precarietà e mentre il sistema scolastico, ai suoi livelli superiori, tende ad una progressiva dequalificazione, restano insoluti anche i principali nodi della "modernizzazione". L'Italia, che pure è tra le principali potenze sviluppate del pianeta, si configura come un Paese in crisi. Una crisi che si manifesta, in termini profondi, almeno su tre versanti: quello sociale, quello politico e quello culturale.TESI 26 - LA QUESTIONE SOCIALE torna all'indice
Negli ultimi dieci anni, i salari e gli stipendi hanno perso il 5 per cento del loro valore, mentre è emersa, al Sud, una disoccupazione di massa endemica e la nuova occupazione ha il timbro della precarietà. Un paese più povero, instabile, incerto. Con una risposta istituzionale di tipo regressivo e "sicuritario"Nell'Italia del XXI secolo la "questione sociale" si presenta con questi caratteri: impoverimento accentuato del lavoro dipendente (in dieci anni, i salari e gli stipendi hanno perso, mediamente, il cinque per cento del loro potere d'acquisto); basso tasso di occupazione (tra i più bassi dell'Unione Europea); disoccupazione elevata e concentrata sia nel Mezzogiorno che tra le nuove generazioni, crescita accelerata della condizione di precarietà lavorativa (la maggioranza assoluta dei nuovi assunti configura contratti a vario titolo "atipici", comunque non a tempo indeterminato) Sono dati che configurano nel loro insieme, una società più povera e più diseguale, frammentata, in preda a evidenti processi disgregativi. Una società, per dirla con una formula, nella quale una parte molto ampia delle nuove generazioni sono ben consapevoli del fatto che staranno peggio dei loro padri. In breve: l'insicurezza sociale e di vita, determinata soprattutto dalla perdita progressiva di diritti, garanzie, certezze che ha caratterizzato tutti gli anni '90, è oggi la "cifra" reale del paese.
Una condizione generale che accomuna l'Italia agli altri paesi del capitalismo sviluppato, attraversati dal nuovo capitalismo e dalle politiche neoliberiste. Tuttavia, tanto il sistema produttivo quanto il sistema di protezione sociale italiano soffrono da sempre di limiti strutturali, rispetto al resto dell'Europa: un dato che ha contribuito fortemente ad accentuare il disagio, la spaccatura sociale, l'instabilità. A partire dai primi anni '90 - accordi di luglio, varo della concertazione, abolizione della scala mobile, tregua sociale e moderatismo salariale - inizio dei governi così detti "tecnici" - il blocco sostanziale di ogni politica redistributiva, nonché di ogni politica attiva dello sviluppo e del lavoro - ha determinato, cioè, una situazione quasi "senza rete", sempre più priva di meccanismi di compensazione. In realtà, l'unico sostanzioso meccanismo compensativo è tornata ad essere la famiglia: è l'istituto familiare, soprattutto nell'Italia centro meridionale, che sostituisce il Welfare, "assorbe" la disoccupazione giovanile, offre una combinazione attiva di servizi, sicurezze economiche ed affettive, stabilità. Una parte cospicua della regressione del paese nasce proprio in questo peculiare processo: che tende a risospingere le donne nel loro ruolo "naturale", domestico, di cura e che è una delle basi materiali dell'attacco ideologico alla libertà femminile.
Della crisi sociale fa parte anche la crescente destrutturazione del sistema formativo e culturale, la crescente subordinazione di tali settori alle logiche privatistiche e del mercato, la dequalificazione dei contenuti effettivi di conoscenza e di sapere critico che vengono offerti alle giovani generazioni e in generale la risposta riduttiva alla domanda sociale d'istruzione e di cultura.
Anche la crisi ambientale è spia della modernità distorta costruita dal nostro paese, a scapito di un intreccio tra natura e cultura che ne costituirebbe uno sbocco positivo. Le scelte neoliberiste dei governi di questi ultimi decenni hanno aggravato la situazione riaggiornando il patto tra sfruttamento del lavoro, cementificazione, grandi opere pubbliche e interessi privati.
Mentre viene smantellato lo stato sociale, cresce, anche in Italia, sul modello statunitense, la tendenza ad una organica risposta di stampo regressivo e repressivo ai fenomeni di esclusione, povertà, disagio sociale. Viene, passo dopo passo, a configurarsi una concezione sicuritaria che, sul piano della forma istituzionale allude, come tendenza, allo "stato penale" statunitense. Non si tratta solo dell'espansione delle politiche penali e carcerarie ma di una ridefinizione del ruolo dello stato nei confronti della società. La giustizia è sempre più classista, la pena sempre più vendetta e non reinserimento sociale, il carcere sempre più metafora di una società che affronta con la segregazione, l'autoritarismo, il proibizionismo i crescenti fenomeni di povertà ed esclusione. Contro i migranti così contro i tossicodipendenti e gli emarginati in genere, lo stato mostra sempre più il volto truce della "tolleranza zero", delle campagne di "legge ed ordine", non previene il crimine ma lo utilizza strumentalmente per organizzare campagne populiste e demagogiche. La sicurezza non è più vista come bene sociale della comunità che traccia un percorso collettivo e democratico ma diventa concezione di difesa dalla povertà, condannata come una colpa in sè e come motivo intrinseco di insicurezza. Tali politiche costituiscono il retroterra materiale e culturale dei fenomeni di progressiva involuzione e autonomizzazione dei corpi separati dello stato.TESI 27 - LA CRISI POLITICA torna all'indice
Principale controriforma di questi anni, l'introduzione del sistema elettorale maggioritario ha aggravato la crisi della politica e imposto un bipolarismo dell'alternanza, unito a crescenti tentazioni bipartisan.Sono le istituzioni repubblicane ad aver subito in questi anni le maggiori trasformazioni. In particolare dopo Tangentopoli abbiamo assistito ad una ossessiva riproposizione della centralità delle "riforme" del sistema politico, del meccanismo elettorale, dell'assetto dello Stato. Nel volger di meno di dieci anni, questo processo si è largamente affievolito, perdendo in spinta propulsiva e, soprattutto, in consenso attivo di massa, come hanno dimostrato tutte le ultime consultazioni referendarie. Ciononostante, ha prevalso tra le principali forze politiche un vero e proprio patto consociativo per consolidare il maggioritario, introdurre controriforme (di fatto) come la elezione diretta del presidente del consiglio, lavorare allo spezzettamento federalista del Paese, che sta già fungendo da leva privilegiata per lo smantellamento del Welfare.
Il bipolarismo ha determinato una grave involuzione della politica, in quanto tale, con i fenomeni ormai plurianalizzati della fine dei partiti di massa, della drastica riduzione della partecipazione, della leaderizzazione e personalizzazione crescente (che si è estesa a tutti i livelli istituzionali, dal parlamento nazionale alle municipalità ). Un processo degenerativo che non è nato e cresciuto nelle stanze dei Palazzi, ma nel cuore dei processi reali, della rivoluzione capitalistica di questi anni, che ha bruciato i residui margini di autonomia della politica, la sua funzione storica di mediazione tra interessi sociali e costruzione del consenso: il caso dell'imprenditore Berlusconi che "scende in politica", assume direttamente la gestione degli interessi propri e della propria parte, assume la leaedership del governo è, da questo punto di vista, emblematico. Così come è significativa la tendenza di Confindustria a proporsi come soggetto governante del Paese, nonché come sede produttiva di ideologia e "disegno sociale".
In questo quadro, la debolezza dell'assetto politico bipolare viene supportata da una crescente tendenza consociativa e bipartisan, che si produce sulle scelte di fondo: guerra, politica internazionale, politica economica. Un altro fattore che aggrava la crisi di credibilità di cui soffrono la politica e la sua qualità democratica.
E tuttavia l'assetto attuale non costituisce, a tutt'oggi, un esito stabile per il Paese. Non solo non ha realizzato uno dei suoi obiettivi essenziali, l'espulsione dalle assemblee elettive delle forze antagoniste, ma non è riuscito a dare vita a coalizioni solide e omogenee. Soprattutto, non ha costruito un'egemonia diffusa. Dal disgelo sociale dell'ultimo anno e dall'insorgere dei movimenti, è emersa una domanda di democrazia che confligge con ogni "normalizzazione" bipolaristica.TESI 28 - LA CRISI CULTURALE torna all'indice
Il pensiero unico ha prodotto i suoi intellettuali organici, che hanno occupato l'industria culturale, i media, la Tv. Ma sta producendo anche veri e propri anticorpi: il disagio di una intellettualità critica di massa, che riscopre la politicità eversiva intrinseca alla propria collocazione.Si pone in questo contesto l'antica "questione degli intellettuali" , del ruolo della cultura e delle sue istituzioni, della definizione attuale del sistema dei saperi, della nuova centralità dell'informazione. I mutamenti strutturali, prima che delle soggettività, appaiono rilevantissimi: in questi ultimi anni la rivoluzione capitalistica ha invaso e tendenzialmente occupato tutte le sfere della produzione culturale. Parliamo dell'industria culturale, dove il processo di mercificazione di tutto ciò che è spettacolo, arte, intrattenimento, subisce accelerazioni perfino simboliche come i romanzi che veicolano nelle loro pagine messaggi pubblicitari. Né ci riferiamo soltanto all'esplosione della comunicazione globale - dalla TV alla rete - che incidono sulla formazione del senso comune, sul linguaggio, sulle relazioni, sui modelli di vita e sui consumi culturali in senso lato. Vogliamo parlare della modificazione del ruolo dell'intellettuale dentro la società della comunicazione: del processo di massificazione, per un verso, che ha distrutto la funzione classica di mediazione del consenso dei "produttori di idee" e\o detentori del sapere; della sussunzione diretta, nel capitale, per l'altro verso, delle risorse del sapere e della scienza, che tende a ridurre ogni "lavoratore della mente" in operatore diretto al proprio servizio. Una tendenza già a suo tempo definita come "pensiero unico", che ha alle spalle questo tipo di fondamento materialistico, prima che l'ennesimo "tradimento dei chierici".
Si colloca in questo quadro la martellante campagna revisionistica basata sulla rilegittimazione dell'esperienza fascista e sulla conseguente cancellazione dell'antifascismo e della stessa Costituzione nata dalla resistenza come fondamento della convivenza civile nel nostro paese.
Muore così l'intellettuale classico, ivi compreso quello di sinistra., sempre sospeso tra apocalissi e integrazione. Nascono, al suo posto, i nuovi intellettuali organici. A destra, si tratta di veri e propri funzionari dell'establishment, variamente collocati negli snodi cruciali del sistema: media e Tv, scienza, tecnologia, spettacolo, sport. Sono i portatori diretti e senza veli dell'ideologia dominante, che è coerentemente "naturalistica" e si presenta, appunto, nelle vesti falsamente neutrali dell'oggettività: il messaggio centrale, costantemente veicolato nelle sue più diverse articolazioni, è che c'è un unico mondo possibile, quello attuale. Un messaggio di singolare potenza, se e in quanto affidato all'anchorman piuttosto che allo scrittore paludato.
A sinistra, un processo simmetrico e opposto coinvolge un numero crescente di lavoratori e professionisti intellettuali. Le crepe dell'egemonia neoliberista sono visibili nella crescita di una nuova criticità di massa che, diversamente dal passato, è interna (e non esterna, o sovrapposta) al proprio ruolo, al proprio mestiere, al senso del proprio stesso agire culturale. Si colloca qui un soggetto come quello degli insegnanti, spinto alla lotta non soltanto e forse neppure prevalentemente dalla miseria salariale, ma dal bisogno di rilanciare la funzione specifica della scuola pubblica. laica, pluralistica. E ancora: figure professionali come medici, avvocati, biologi, architetti, ricercatori, insomma forzalavoro qualificata e dotata di conoscenze specialistiche, riscoprono oggi la policitità intrinseca del loro mestiere - talora, perfino la sua alternatività. Nel popolo di Seattle - dai "Medici senza frontiere" agli avvocati del Gsf, agli scienziati che rifiutano la manipolazione genetica - questa componente è apparsa, non casualmente come costitutiva.TESI 29 - IL SINDACATO torna all'indice
Dopo un decennio, la politica della concertazione viene attaccata frontalmente da destra e dal nuovo estremismo di Confindustria. Si apre nel sindacato, e nella Cgil in specie, una fase di profonda riflessione strategica: sui temi della rifondazione di un sindacalismo di classe, e di una rappresentanza democratica del lavoro. Ma i gruppi dirigenti oscillano tra l'incapacità di revisione critica e la scorciatoia politicista.La politica della concertazione - culminata negli accordi del '92-'93, ma variamente praticata negli anni precedenti - ha costituito, a sua volta, una delle "riforme" più significative del sistema politico. Grazie ad essa, i diversi governi che si sono succeduti nella fase più tumultuosa della "transizione italiana", hanno potuto usufruire di una lunga fase di tregua sociale. In parallelo, la crisi del sindacalismo confederale trovava in essa lo sbocco di una legittimazione dall'alto: il prezzo, pagato soprattutto dalla Cgil, era un processo di istituzionalizzazione del sindacato, che via via lo svuotava di contenuti rivendicativi, sociali e di classe, ne impoveriva drammaticamente la vita democratica, ne riduceva drasticamente la capacità di rappresentanza.
Oggi la concertazione è messa in causa, pressoché irreversibilmente, da destra, dalla sferzata iperliberista di Confindustria che, sostanzialmente, "vuole tutto": comando totale della forza lavoro, fine dei contratti nazionali, libertà di licenziamento. In quest'ottica, al sindacato confederale è consentito soltanto un ruolo marginale, o di complemento, come sembrano avviate a fare Cisl e Uil..
Nella Cgil, dunque, è aperta necessariamente una riflessione strategica. Essa, per essere davvero efficace, non può non comprendere un bilancio veritiero del decennio concertativo, nel corso del quale tutto il lavoro dipendente ha perduto in forza contrattuale, diritti, salari, stipendi, garanzie, dignità. Per questo riteniamo necessaria una svolta, nella direzione di un nuovo sindacalismo democratico e di classe: al centro del quale ci siano i contenuti, le piattaforme, l'iniziativa sociale e rivendicativa oggi necessaria, la ricomposizione di classe del lavoro - e del non lavoro - oggi disperso e frammentato. La sinistra della Cgil ha iniziato un percorso di mobilitazione e di confronto per rivendicare questa svolta. Questa è una battaglia di grande rilevanza per il futuro della Cgil e che comincia a maturare i suoi risultati. Questo è anche l'impegno verso il quale è avviata la Fiom e che il più grande sindacato confedederale non può eludere né con la riproposizione delle scelte passate né con fughe di tipo politicistico, che rischiano, oltre tutto, di minare gravemente l'autonomia sindacale e il suo valore strategico. Il problema rimane quello della rifondazione di un sindacato di classe. Come tale, concerne anche le diverse realtà del sindacalismo extraconfederale di base: il quale ha sicuramente raggiunto in alcuni settori (scuola, trasporti) punti di eccellenza e capacità rappresentativa, ma soffre di un limite organico di frammentazione.
Ciò significa che nei prossimi anni permarrà l'obiettivo strategico della ricostruzione di un sindacato confederale unitario, democratico e di classe adeguato ai nuovi compiti derivanti dalla frammentazione del lavoro e non lavoro, e dall'obiettivo di una ricomposizione della classe scomposta, sia nel lavoro più tradizionale come nei servizi e nel pubblico impiego, dalle politiche liberiste e di liberalizzazione/privatizzazione.
La nostra parola d'ordine deve tornare ad essere: "lavoratori di tutto il mondo unitevi".
Per questo è importante che la sinistra sindacale, ovunque collocata, sperimenti azioni e percorsi unitari, anche attraverso la ricomposizione del sindacalismo di base, e approfondisca la ricerca di una nuova linea politica-rivendicativa e di un nuovo modello sindacale, nazionale e sovranazionale, adeguato alla globalizzazione e all'obiettivo dello sviluppo più complessivo del movimento e della sinistra d'alternativa. Azioni e percorsi unitari che rompano con logiche d'apparato, il prevalere di tattiche interne alle varie burocrazie, rendite di posizione d'apparati piccoli o grandi, confederali, spostando il baricentro nel conflitto, nella ricomposizione di classe, nella costruzione del movimento, nella sperimentazione di nuove forme di unità sindacale democratiche di base e di reti europee e internazionali dei lavoratori. In primo luogo costruendo le condizioni di una mobilitazione generale per riconquistare l'effettivo esercizio del diritto di sciopero gravemente compromesso nei servizi e per i lavoratori precari. In secondo luogo con la formazione di RSU liberamente elette e la costruzione di modalità di controllo delle lavoratrici e dei lavoratori sulle piattaforme rivendicative. In questo senso l'appartenenza di iscritti al partito a sindacati quali l'Ugl e sindacati di destra appare inconciliabile con gli obiettivi generali delineati.
Al fine di rifondare un sindacato di classe decisivo è il ruolo delle Rsu, la loro legittimazione ed il loro riconoscimento che deve essere perseguito anche attraverso l'approvazione di una legge sulla rappresentanza che rispecchi le reali volontà dei lavoratori e lavoratrici, eliminando le attuali rendite di posizione.
Tuttavia, come già affermato nella conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori di Treviso, il livello sindacale appare insufficiente a rideterminare la ricomposizione delle frammentate forze del lavoro.
Si tratta infatti di ricostruire, al fine della ricomposizione di classe, una nuova regolamentazione, nuovi diritti in opposizione al Libro Bianco del Ministro Maroni ed alle leggi federaliste in materia di lavoro. Ciò deve avvenire anche per via legislativa in quanto la deregolamentazione è avvenuta in gran parte attraverso leggi e normative italiane ed europee. La via legislativa è altresì necessaria a supportare e integrare la socializzazione e politicizzazione dello scontro nel momento in cui l'impresa chiama in causa la necessità di un'iniziativa nel mondo del lavoro che non sia solo sindacale ma direttamente politica che affronti i temi della guerra e dell'ambiente e della necessità della trasformazione. La questione di genere deve connotare e attraversare l'intero mondo del lavoro. Si tratta dunque, di dispiegare nuovamente lo scontro sociale e politico fra lavoratori e padroni, tra condizioni del lavoro e modello di società complessivo. Per questo il partito deve essere luogo di discussione, elaborazione e di orientamento unitario di tutti i comunisti che operano nel mondo del lavoro.
TESI 30 - IL FALLIMENTO STRATEGICO DEL CENTROSINISTRA E DEI DS torna all'indice (approvata dal Comitato Politico Nazionale)
La sconfitta elettorale del maggio 2000, subita in proprio dall'Ulivo, ha reso evidente l'inconsistenza dell'ipotesi (mondiale) di "riformismo neoliberista temperato". In questo quadro, spicca la crisi dei Ds che, al recente congresso di Pesaro, hanno riproposto una ricetta nominalmente socialdemocratica, ma nella sostanza centrista e neoliberale. Che ha registrato un'opposizione interna significativa.La sconfitta elettorale del centrosinistra, nella primavera del 2001, è stata prima di tutto una sconfitta in proprio. Non è stata cioè determinata dalla crescita di consensi del centrodestra, ma dal mancato recupero di una parte consistente del proprio elettorato, deluso dal quinquennio di governo dell'Ulivo. Un esito critico non solo nazionale: il centrosinistra "mondiale", da Clinton a Blair, ha fallito nella sua scommessa principale, quella di realizzare un neoriformismo di tipo liberista, sia pure graduale e temperato. In Italia, questo fallimento ha assunto la fisionomia di scelte economiche, sociali e istituzionali distinguibili da quelle del centrodestra soltanto dal punto di vista quantitativo: in particolare, ha prevalso la logica delle privatizzazioni, delle liberalizzazioni, del progressivo deperimento del ruolo redistributivo dello Stato, della subalternità ai grandi potentati economici. L'Ulivo è apparso alternativo al centrodestra solo sul terreno di alcuni valori di civiltà, senza che ne siano per altro seguite pratiche politiche davvero caratterizzanti.
In questo contesto, spicca la crisi dei Democratici di sinistra, che il recente congresso di Pesaro non ha risolto, ma se mai aggravato: giacchè, analogamente a quello che accade nel sindacato, non si tratta di difficoltà occasionali, ma di uno spiazzamento e di un disorientamento di fondo. Nel dibattito interno che ha preceduto il congresso, il "correntone" che si è contrapposto alla maggioranza di D'Alema e Fassino, non ha espresso, come tale, né un'ipotesi strategica né una linea politica alternative, come tali riconoscibili. E sulla guerra globale di Bush, mentre la deriva neoatlantica della nuova leadership si manifestava con accentuata nettezza ideologica, è emersa una differenza, non una vera lotta politica e ideale. Tuttavia le varie espressioni della sinistra Ds, oltre che dello schieramento verde, vanno considerate con attenzione quando si sottraggano ad una deriva neoliberale ed incontrino le istanze di lotta contro il liberismo e contro la guerra.
Più in generale, i gruppi dirigenti della sinistra moderata appaiono non solo incapaci di uscire dalla gabbia dell'alleanza di centrosinistra e di avviare una revisione critica del proprio orizzonte liberale e liberista, ma sostanzialmente prigionieri di una continua rincorsa verso il centro, e verso la ricollocazione neocentrista dell'Ulivo. La crisi d'identità e di fisionomia dei Ds, che tormenta il partito ormai da più di dieci anni - dalla svolta della Bolognina e dallo scioglimento del Pci - si va sciogliendo quasi interamente in direzione liberale e centrista.BERTINOTTI, CRIPPA, FERRERO, FRALEONE, GRASSI, PEGOLO,ZUCCHERINI, BELLUCCI, CACCIARI, CAMMARDELLA, CAPPELLONI, CAPRILI, CASATI BRUNO, CERBONE, CURZI, DE CRISTOFARO, DE SIMONE TITTI, DEIANA, EMPRIN , FAVARO, FORGIONE, GAGLIARDI, GHIGLIONE, GIANNI, GIORDANO, GUAGLIARDI, LOCATELLI, MAITAN, MALABARBA, MANGIANTI, MANTOVANI RAMON, MASCIA, MASELLI, MIGLIORE, MUSACCHIO, NARDINI, NESCI, NOCERA, PAPANDREA, RICCI MARIO, RUSSO FRANCO, RUSSO SPENA, SENTINELLI, SIMONETTI, SORINI, TURIGLIATTO, VACCARGIU,VALENTINI,VENDOLA,VINCI,VINTI, ABBA', ACERBO, ACETO, AITA, ALASIA, ALBONETTI, ALFONZI, ALLOCCA, ALTAVILLA, AMATO, ANTONAZ, ANTONIELLA, ARMENI, ATTILIANI, AURORA, AZZALIN, BALDI, BARACCO, BARASSI, BARBAGELATA, BARONTI, BARZAGHI, BELISARIO, BELLOFIORE, BENVEGNU', BERLINGUER, BERTOLO, BERTORELLO, BOGHETTA, BONADONNA, BONATO, BONFORTE, BONOMETTI, BRACCI TORSI, BRISTOT, BURGIO, BUTTIGNON, CAMPANILE, CANCIANI, CANONICO, CANTONI, CAPELLI, CAPACCI, CARDONE, CARRAZZA, CARTA, CARTOCCI, CATALANO, CATANIA, CHECCHI, CIMASCHI, CIMMINO, CO', COGODI, COLOMBINI, COMMODARI, CONSOLO, CONTI, CORRENTE, COSIMI, CRISTIANO, D'ACUNTO, D'AIMMO, D'ALESSANDRO, D'ANGELI, DANINI, D'AVOSSA, DE CESARIS, DE PALMA, DE PAOLI, DE SANTIS, DE SIMONE PAOLO, DI GIOIA, DI SABATO, DONDA, DUCCINI, FABIANI, FANTOZZI, FASOLI, FAZZESE, FERRARA, FERRARI GIANLUCA, FERRETTI, FIRENZE, FONDELLI, FRATOIANNI, FRENDA, GABRIELE, GALLO, GAMBUTI, GELMINI, GIANNINI, GIAVAZZI, GIORGI, GITTO, GRANOCCHIA, GROSSO, GUGLIELMI, JERVOLINO, JORFIDA, KIWAN, LEONI, LIBERA, LICHERI, LINGUITI, LOMBARDI ALDO, LOMBARDI ANGELA, LOMBARDI MIRKO, LOMBARDI ROBERTO, LONGO, LOSAPPIO, LUCINI, LUNIAN, MACRI', MAJORANA, MALENTACCHI, MALINCONICO, MAMMARELLA, MANGIA, MARAIA, MARCHETTINI, MARCHIONI, MARCONE, MARCONI, MAROTTA ANGELO, MAROTTA ANTONIO, MARTINO, MASELLA, MELIS, MENCARELLI, MERLINI, MILANI, MINISCI, MITA, MONTANILE, MONTECCHIANI, MORANDI, MORDENTI, MORETTI, MORINI, MORO, MOSCATO, MOZZETTA, MUGNAI, MULAS, MULLIRI, MURA, NICOTRA, NIERI, NINCHERI, NUCERA, NOVARI, OKROGLIC, OREFICE, ORTU, PACE, PALOZZA, PAOLINO, PASI, PATELLI, PATRITO, PECORINI, PEDUZZI, PERUGIA, PESACANE, PESCE, PETRUCCI, PETTENO', PIERINI, PIETRANGELI, PINTUS, PIOMBO, PLATANIA, POETA, POSELLI, POZZOBON, PRIMAVERA, PUCCI ALDO, PUCCI ROBERTO, RAZZANI, RICCI ANDREA, RICCIONI, RIGACCI, RIVELLI, RIVERA, ROSSI, SACCHI, SANSOE', SANTORUM, SARDONE, SAVELLI, SCONCIAFORNI, SCREPANTI, SEMERARO, SGHERRI, SIMEONE, SIMINI, SIRONI, SOBRINO, SPECCHIO, SPERANDIO, SPERANZA, STERI, STUFARA, TANARA, TANGOLO, TAVELLA, TEDDE, TETTAMANTI, TORRESAN, TORRICELLI, TOSI, TRIA, TRIBI, TRIVELLIZZI, TRONI, TROTTA, TROVATO, TRUFFA, VALENTI, VALLEISE, VALPIANA, VERZEGNASSI, VIANI, VLACCI, VOCCOLI, VOZA.
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TESI 31 - LE DESTRE AL POTERE torna all'indice
Il centrodestra al potere ha aperto una fase nuova e pericolosa, che va fronteggiata con un'opposizione sociale e politica risoluta. Per evitare che si trasformi in un vero e proprio regime.Il passaggio di governo dall'Ulivo al centrodestra ha aperto in Italia una nuova e pericolosa fase politica. Tuttavia la vittoria delle destre del 13 maggio non costituisce di per sè l'avvio di un ciclo lungo o di un vero e proprio regime. Questo per almeno due ragioni: in primo luogo, perché si è trattato prima di una sconfitta dell'Ulivo che di una vittoria del Polo; in secondo luogo, perché comunque al successo politico ed elettorale del centrodestra non corrisponde un blocco sociale ad oggi maggioritario. La stessa unificazione elettorale realizzata dalla Casa delle libertà non ha dato vita ad un soggetto politico unitario della destra: al di là della leadership di Silvio Berlusconi, le destre erano e restano almeno due. Due tendenze, non due partiti; anzi, due anime che variamente convivono all'interno della stessa forza politica, talora in un impasto efficace, talora in un cocktail contradditorio Nel comune orizzonte neoliberista, l'una è internazionalista, americana, borghese, l'altra è localista, nazionale, populista.
Nasce qui l'incertezza che ha caratterizzato tutti i primi mesi del nuovo governo: realizzare uno sfondamento violento del blocco storico delle sinistre, con un'aggressione generalizzata all'intero sistema di diritti e garanzie sociali, oppure procedere con una tattica più graduale, di erosione continua e progressivo smantellamento delle conquiste (e degli istituti) del mondo del lavoro. Dopo una prima fase in cui l'atteggiamento prevalente è stato quello della prudenza, prende sempre più consistenza una linea che punta alla destrutturazione dello stato sociale, delle tutele del lavoro e degli istituti contrattuali, come si evince dalla volontà di modificare l'art.18 dello statuto dei lavoratori e le normative sul mercato del lavoro, così come dal decreto sul contenimento della spesa sanitaria.
Allo stesso tempo, si inviano segnali forti ai soggetti sociali più atomizzati, come i pensionati poveri e il "popolo delle partite Iva" e si sperimentano scelte estremiste sul terreno "dell'attacco alla civiltà", sul quale il consenso è già (o si ritiene) acquisito: come è avvenuto sulla legge dell'immigrazione, come, prima o poi, rischia di avvenire sulla legge 180, o sulla legge 194. Occorre inoltre segnalare come l'abbandono della concertazione nelle relazioni sindacali si accompagni ad un forte dialogo concertativo con le amministrazioni regionali all'interno della conferenza stato - regioni.
Nell'insieme, pur in un contesto in cui le contraddizioni interne alla borghesia si mischiano ad una forte dose di empirismo reazionario e di attenzione da parte di Berlusconi alla tutela dei propri interessi personali, il governo sta comunque agendo per operare una saldatura di un blocco sociale reazionario maggioritario, cementato da interessi materiali e dal tema della sicurezza. L'attacco sistematico alla magistratura, la richiesta di impunità per le classi dirigenti e la proprietà, la ripresa di un forte controllo sul territorio da parte della malavita organizzata, sono tutti aspetti - non coincidenti ma non privi di superfici di contatto - che caratterizzano questo processo. Occorre ora impedire, attraverso una dura lotta di opposizione sociale e politica, che si dia avvio ad un ciclo lungo di dominio delle destre o ad un vero e proprio regime. Solo la ripresa del conflitto e del protagonismo sociale possono infatti impedire a questo disegno reazionario di fare significativi passi in avanti.TESI 32 - LA QUESTIONE CATTOLICA torna all'indice
Il pontificato di Wojtyla si caratterizza per un lato, con la crociata antimoderna contro la libertà femminile e per la restaurazione di valori oscurantisti, e con i ripetuti accenti, dall'altro lato, di "anticapitalismo moralista e interclassista" e di pacifismo. Il mondo cattolico non cessa, nel suo insieme, di esser terreno di contraddizioni ed esperienze rilevanti.In un contesto di forte messa in discussione della Chiesa conciliare, il pontificato di Giovanni Paolo II segna una fase di aperta ed esplicita lotta alla modernità: ne sono simboli corposi la crociata contro l'aborto, contro la libertà femminile e la libertà di orientamento sessuale, così come l'ossessiva e aggressiva campagna per il finanziamento pubblico delle scuole private. Dal punto di vista culturale, è evidente la piena coerenza di queste scelte con una linea di restaurazione teologica già fortemente affermatasi. Dal punto di vista politico e degli equilibri di potere, ancora, è esplicita la collocazione a fianco del centrodestra della maggioranza delle alte gerarchie ecclesiastiche.
Tuttavia, il ruolo della Chiesa cattolica e di papa Wojtyla non è riducibile a questa pur esplicita collocazione di destra. Non solo nel senso che il mondo cattolico è, a tutt'oggi, assai più ricco di articolazioni e contraddizioni interne - come si è visto, per altro, nella nascita e nello sviluppo del movimento antiglobalizzazione - ma anche nel senso che la stessa cultura antimoderna del Papa esprime una forte critica alla mercificazione integrale delle relazioni umane: una sorta di anticapitalismo moralista e interclassista capace di significative prese di posizione sulla guerra e lo sfruttamento.
L'impianto culturale vaticano non è però l'unico metro di misura della complessa realtà della Chiesa cattolica. E' infatti evidente che il mondo cattolico, nonostante i ripetuti tentativi di normalizzazione e anche forme esplicite di repressione da parte dell'istituzione, non ha affatto cessato di essere terreno di contraddizioni e di esperienze che hanno alimentato e che presumibilmente continueranno a farlo per lungo tempo, i movimenti di critica sociale, di solidarietà, di liberazione, dando contributi importanti che giungono fino ad una consapevole scelta anticapitalistica e all'impegno in prima fila nella costruzione dell'alternativa.
Da parte nostra, riteniamo necessario confrontarci con l'insieme di questi contributi ed esperienze per trarne occasione di crescita del progetto dell'alternativa, che fonda il suo carattere profondamente laico non su una qualche forma di ateismo ma nel suo porre - qui ed ora - l'esigenza della liberazione degli individui e della trasformazione sociale.TESI 33 - ASSOCIAZIONISMO E COOPERAZIONE torna all'indice
Da almeno vent'anni, il mondo del volontariato e dell'associazionismo è in pieno sviluppo. Il "Terzo Settore" non definisce un soggetto omogeneo, ma un terreno di iniziativa dove si scontrano diverse ipotesi politiche. Anche il movimento cooperativo deve essere rifondato.
Agli inizi degli anni Ottanta si apre per l'associazionismo, le cooperative ed il volontariato una nuova fase della loro secolare storia. Da allora infatti, quell'insieme di realtà e di pratiche che comunemente viene definito oggi terzo settore, entrerà in una stagione di sviluppo sia sul piano quantitativo sia qualitativo, che durerà fino alla seconda metà dei Novanta. In anni, segnati dalla sconfitta operaia e dal conseguente disincanto verso la politica, per molti uomini e donne, soprattutto giovani, l'adesione alle organizzazioni di volontariato e all'associazioni costituì un'alternativa al disimpegno. Attraverso il terzo settore, centinaia di migliaia di persone, iniziarono a sperimentare e praticare nuove modalità di partecipazione alla vita collettiva, basate sul fare, sull'agire insieme qui ed ora, diverse da quelle che avrebbero potuto offrire i canali classici di una militanza politica in crisi. Nascono da questo processo di autorganizzazione sociale legata al territorio esperienze importanti come le unità di strada, le case famiglia, le cooperative sociali di disabili, i consultori per combattere nuove e vecchie esclusioni, per affermare diritti, le iniziative di sport popolare finalizzate all'aggregazione sociale sul territorio.
Il processo di ristrutturazione del Welfare consolidatosi negli anni '90 e tendente alle privatizzazioni, sviluppando la sussidiarietà e costruendo un mercato dei servizi, ha inciso profondamente su questo mondo. Le pratiche concertative del Forum del terzo settore hanno così cominciato a coesistere con quelle conflittuali dell'autorganizzazione sociale. Le logiche di impresa e di sfruttamento del lavoro hanno preso stabilmente posto accanto agli esperimenti di liberazione del lavoro e alla pratica del vero volontariato. Per non fare che un esempio, le pratiche reazionarie della Compagnia delle Opere coesistono con quelle di liberazione messe in opera dal gruppo Abele.
In questo contesto abbiamo assistito anche alla crisi del movimento cooperativo, che ha in parte perso le sue caratteristiche originarie, perseguendo un modello acritico di impresa subalterno a quello capitalistico. La cooperazione si presenta quindi debole di fronte ad un attacco della destra che punta a realizzare anche in questo settore una vasta politica di privatizzazioni di quel grande patrimonio pubblico costituito dalle riserve cooperative. L'uscita da questa crisi può darsi unicamente riaffermando e riattualizzando i valori fondativi dell'esperienza cooperativa, a partire dalla costruzione di forme di lavoro liberato, dalla centralità della mutualità, dalla difesa dei consumatori e dei produttori a partire da quelli del Sud del mondo, dalla tutela dell'ambiente e dell'alimentazione.
Il mondo del cosiddetto terzo settore non è quindi oggi un mondo omogeneo: Il terzo settore non definisce un soggetto ma un terreno in cui si scontrano diversi ipotesi sociali, culturali, politiche.
Compito nostro è quello di favorire - anche in relazione alla crescita del movimento - lo sviluppo delle pratiche e delle esperienze che si collocano al di fuori della logica del mercato, in una posizione di integrazione, di allargamento e non di sostituzione del welfare, contrastando sul piano sociale e su quello istituzionale (a partire dagli Enti Locali), quei trasferimenti di servizi e lavori pubblici ad associazioni e cooperative, attuati con il solo scopo di abbassare il costo del lavoro; che distinguono chiaramente lavoro e volontariato tutelando pienamente i diritti dei lavoratori; che operano per uno sviluppo del protagonismo, della partecipazione e del controllo sociale diffuso, contro le pratiche e le logiche concertative e neocorporative.TESI 34 - L'INNOVAZIONE NECESSARIA torna all'indice
In un'epoca tanto mutata, l'innovazione è una necessità vitale. Soprattutto per una forza, come il Prc, che punta su una radicale rifondazione della politica, fondata sulla priorità dei contenuti, il rapporto con i movimenti, la crescita dei soggetti sociali, rispetto alla tradizionale centralità delle alleanze e dei ruoli istituzionali. In questo senso, la rottura con il governo Prodi è stata una tappa del percorso della rifondazione.Se le analisi fin qui svolte hanno un fondamento, siamo dunque all'interno di un ciclo tanto nuovo e complesso, che non è possibile affrontarlo soltanto con strumenti tradizionali e con il patrimonio teorico fin qui accumulato. L'innovazione è una necessità primaria, nel metodo e nei contenuti. Per noi, essa, all'opposto delle mode "nuoviste" di questi anni, resta legata ad un'ispirazione rigorosamente anticapitalistica e di classe. Ma, allo stesso tempo, essa deve affrontare, senza confini precostituiti, la verifica delle ipotesi politiche e dei paradigmi generali. In sostanza: innovare significa uscire risolutamente da ogni atteggiamento di difesa e di resistenza, valori tutt'ora essenziali ma insufficienti, da soli, allo sviluppo di una forza di alternativa.
Rifondazione comunista, del resto, ha superato il guado dei dieci anni di vita politica anche e soprattutto perché non è stata la guardiana di un passato quand'anche glorioso, ma una forza in costante tensione innovativa, sia pure con limiti grandi e risultati parziali. Questa tensione si è espressa su due terreni, tra di loro strettamente correlati: da un lato, il primato dei contenuti sugli schieramenti; dall'altro lato, una pratica politica che ha costantemente privilegiato la centralità della "questione sociale". In un senso preciso, la battaglia di Rifondazione comunista, in questi dieci anni, è stata un contributo attivo alla vitalità della politica, contro la separatezza crescente tra il "cittadino astratto" e gli uomini e le donne reali. Ne sono esempi significativi l'assunzione di obiettivi, normalmente classificati come "sindacali", prospettati invece - nel loro intreccio con la contraddizione di genere, con l'ambientalismo e il pacifismo - nella loro funzione sociale e politica generale e perfino di civiltà: esemplari, da questo punto di vista, le rivendicazioni per la riduzione d'orario, il salario, le pensioni, il "salario sociale".
Sul terreno politico e istituzionale, nacque in questa logica di non separazione tra "questione sociale" e "questione democratica" il primo conflitto con la sinistra moderata, quando, nel '95, Rifondazione comunista si rifiutò di appoggiare il governo Dini. Qui, ancora, si colloca la scelta più rilevante di questi anni: la rottura del '98 con il governo Prodi, e l'opposizione ai successivi centrosinistra di D'Alema e Amato. Non è stato il risultato di un'antica (o mai sopita) propensione di fuga dalle "responsabilità" politico-istituzionali, e neppure il frutto, semplicemente, di una coerenza politica e politico-morale: ma una tappa del percorso della rifondazione comunista. Uno strappo, cioè, rispetto allo schema consolidato, a sinistra, secondo il quale un compromesso, pur insoddisfacente, è comunque sempre preferibile alla rottura, se e quando la rottura non prefiguri un equilibrio politico "più avanzato". E una risposta, sia pure in nuce, alla necessità di ricostruire una politica non separata dalle soggettività e dai bisogni sociali, come impongono i processi attuali di globalizzazione, di espansione onnivora dell'economico, di drastica riduzione dei poteri effettivi dei governi nazionali.
In questa chiave, l'innovazione può e deve esercitarsi sulla concezione (e sulla pratica) che ha influenzato in profondità la sinistra italiana, tanto da risultare egemone nei gruppi dirigenti del Pci, del Psi e di parte della "nuova sinistra" degli anni '70: la politica istituzionale come sfera privilegiata e sovraordinatrice della politica stessa, come momento costitutivo dell'identità dei soggetti sociali e delle classi subalterne, come "inveramento" della funzione stessa del Partito.
Non sono in discussione, sia chiaro, né la necessità né l'utilità della battaglia democratica nelle istituzioni, nelle assemblee elettive, in generale nella sfera della rappresentanza. Né si tratta di coltivare astratte e sbagliate propensioni extraparlamentari. Si tratta di operare uno spostamento del fuoco della centralità politica dal livello dello Stato, delle istituzioni e delle forze organizzate alla dinamica delle forze sociali, di movimento e delle lotte di massa, in coerenza con i mutamenti della società, dei nuovi bisogni di massa, e fuori dai vincoli di eredità pur importanti, come quella togliattiana.
In molte fasi della storia italiana, antiche e perfino recenti, l'iniziativa istituzionale ha mantenuto una connessione positiva con i processi sociali, strappando risultati significativi, spostando in avanti i rapporti di forza, agendo come momento effettivo di ricomposizione sociale e culturale. Ma oggi questa connessione organica è spezzata, così come si è spezzato il rapporto automatico tra collocazione sociale subalterna e scelta a sinistra. Così come non agisce più, nella realtà, un'onda lineare di progresso, emancipazione, formazione della coscienza. Oggi, la politica prevalente è ridotta o ad ancella dei poteri e degli interessi forti, o a mediazione autoreferenziale: anch'essa, in realtà, proprio perché va amplificando i propri caratteri oligarchici e separati, non è "riformabile" dall'interno. L'omologazione, prima che un rischio della soggettività, è una tendenza forte della realtà.
Questo richiama la necessità di una battaglia strategica, di lungo periodo. Un processo di rifondazione della politica, che sia capace anche di interloquire con le domande di una nuova generazione, non può dunque che assumere dentro di sé il nodo della trasformazione sociale, tradizionalmente riservata agli orizzonti lontani, alla cultura o, per altri versi, a parziali pratiche sociali . Da un lato, insomma, la trasformazione rivoluzionaria si pone come la sola risposta davvero credibile che la politica possa dare: capace cioè di andare alla radice delle contraddizioni del capitale nella sua fase neoliberista, ma capace anche di collocare in un'ottica di libertà e liberazione le istanze concrete dell'antagonismo sociale e di classe . Dall'altro lato, una politica comunista che non si riduca ad essere la variante estrema dei contesti istituzionali non può che essere eterodeterminata dagli interessi o dalle cause sociali che intende rappresentare.
La rappresentanza del conflitto nelle istituzioni non si può quindi esaurire nell'attività tradizionale e nella pratica della "mediazione": è necessario attuare una svolta in cui il tratto istituzionale del nostro agire sia parte esso stesso delle vertenze sociali e del movimento. In un contesto innovativo, la nostra radicata presenza istituzionale può diventare protagonista della spinta alla trasformazione, nel quadro della lotta alla globalizzazione capitalista: intersecando il movimento anche sul terreno delle questioni locali, sia nella proposta del "bilancio partecipato" sia nella capacità di rilanciare, anche mediante la pratica della "disobbedienza civile", la lotta alle privatizzazioni dei servizi e dei diritti, o quella per l' ambiente sano e pulito.
Una pratica istituzionale quindi che ritmando accordi e rotture, patti e conflitti, compromessi e scontri, assuma una prospettiva - non lineare - funzionale ai movimenti, ai soggetti del lavoro, alla crescita delle lotte.TESI 35 - UN NUOVO SOGGETTO POLITICO EUROPEO torna all'indice
L'obiettivo è ambizioso, ma necessario: costruire un nuovo soggetto politico, capace di unire, sulle discriminanti della lotta alla globalizzazione e alla guerra, le forze della sinistra alternativa e antagonista.La nostra proposta politica si colloca in un contesto e in una dimensione europea, intendendo per questa uno spazio territoriale e sociale aperto e comunicante con il mondo. Questa è la nuova dimensione dell'agire politico nel mondo moderno e nell'epoca della globalizzazione.
Lo spazio europeo è quello più consono, come già le prime esperienze dimostrano, per portare ad unità le diverse figure sociali, tradizionali e nuove, che costituiscono l'insieme delle persone sottoposte a sfruttamento e alienazione, quindi è il terreno migliore per la costruzione di un nuovo movimento operaio.
Non è solo necessario pensarsi come una forza politica europea, progettare la propria iniziativa politica in un quadro sovranazionale, stabilire contatti e collaborazioni con altre forze, come pure abbiamo positivamente fatto in questi anni, e continueremo a fare, evitando giustamente di basare le nostre relazioni internazionali su discriminanti ideologiche. Bisogna proporsi un obiettivo certamente ambizioso quanto necessario: quello della costruzione di un nuovo soggetto politico europeo.
Non pensiamo ovviamente né ad una nuova Internazionale, né ad una fusione organizzativa delle forze esistenti, né ad un compattamento su base ideologica. Pensiamo invece di portare avanti - dopo le iniziative positive di questi ultimi mesi costruite grazie al nostro gruppo europeo GUE sinistra verde nordica - un processo complesso, ma determinato, per unire, lungo le discriminanti della lotta alla globalizzazione neoliberista e alla guerra, le forze della sinistra comunista, antagonista e alternativa su scala europea in un processo da subito comune di ricerca, di elaborazione, di promozione di iniziative politiche, istituzionali (si pensi alla scadenza della legislatura) e sociali, in sintonia con la crescita di un movimento antiglobalizzazione, pacifista, ambientalista, di lavoratrici, di lavoratori, di precari, di disoccupati, di giovani, di donne e intellettuali su scala continentale. Del resto, questa direzione di lavoro è resa necessaria dalle comuni difficoltà che le nostre formazioni politiche vivono nei rispettivi paesi.TESI 36 - LA NOSTRA PROPOSTA POLITICA torna all'indice
In Italia, avanziamo la proposta della costituzione di una sinistra di alternativa, capace di invertire la tendenza degli ultimi vent'anni e di diventare protagonista della vita pubblica del paese. Decisiva, per questo obiettivo, è la crescita del movimento, anche per rompere le barriere che separano il dibattito politico dalla concreta condizione dei soggetti sociali. Un processo che dovrà dotarsi di modalità nuove, dal basso e dall'alto.In Italia avanziamo la proposta politica della costruzione di una sinistra di alternativa capace di invertire il corso degli ultimi 20 anni, per diventare protagonista della vita pubblica del paese. Al fine di conseguire questo obiettivo è decisiva la crescita e l'allargamento del movimento e quel necessario e possibile processo di ricomposizione sociale delle diverse figure, divise e contrapposte dalla ristrutturazione capitalistica, del lavoro e del non lavoro, di giovani, di donne e di tutti coloro che sono oppressi ed emarginati dal sistema liberista ed a-democratico.
Questo processo deve diventare il motore di una nuova connessione con figure sociali e settori di società che avvertono la mancanza di prospettiva di questa modernizzazione e che si collocano perciò in posizione di interrogazione e di ricerca.
Inoltre, da un lato la crisi della politica e, al suo interno, la crisi della sinistra di governo e, dall'altro, l'irrompere nella società di nuove domande, di nuovi bisogni di cultura, di politica e di vita non integrabili nella governabilità dell'ordine esistente propongono il tema di una nuova soggettività politica capace sia di intercettare l'esodo dalle prime, che di organizzare le seconde in progetto politico e partecipazione.
La costituzione della sinistra di alternativa è perciò il nostro obiettivo strategico di fase.
Questo obiettivo, che contraddistingue la nostra proposta politica non certo da oggi, assume una più chiara centralità proprio a partire dall'esperienza del movimento, che ci permette di fare un decisivo passo in avanti. La concreta possibilità di intrecciare il lavoro di costruzione della sinistra di alternativa con quello dello sviluppo del movimento è la novità politica che ricaviamo dalla nostra analisi di fase.
Si tratta di un'occasione decisiva per rompere le barriere che separano il dibattito politico, compreso quello più radicale, dalla concreta condizione sociale. La costruzione della sinistra alternativa è quindi un processo per la creazione di un campo di forze politiche, associazioni, gruppi, strutture reticolari, forze che agiscono direttamente nel sociale.
Per il modo stesso in cui si costruisce, la sinistra di alternativa deve saper rispondere alla crisi della politica. Così come, per il modo originale con cui va organizzata la sua soggettività politica deve saper rispondere all'esigenza di far coesistere la molteplicità delle esperienze e delle diverse culture politiche che la possono comporre con l'unitarietà del suo progetto politico.
Il PRC si propone di essere uno dei protagonisti di questo processo di costruzione della sinistra di alternativa in Italia che dunque lo comprenda sapendo andare ben al di là dei nostri confini, per aggregare tutte e tutti coloro che sono contro la guerra e contro le politiche neoliberiste per "un altro mondo possibile".
Diventa perciò decisivo costruire esperienze e appuntamenti, anche sul piano locale che vadano in questa direzione; la sinistra di alternativa deve essere costruita dall'alto e dal basso.TESI 37 - L'ARTICOLAZIONE DELLA NOSTRA PROPOSTA POLITICA torna all'indice (approvata dal Comitato Politico Nazionale)
L'ipotesi della costruzione di una sinistra plurale - un campo più largo di forze, che includa settori della sinistra moderata - si fa oggi più ardua. E' tuttavia da respingere l'alternativa perdente tra settarismo e politicismo: in mezzo, c'è la pratica a tutto campo della nostra proposta, contenuti, capacità di dialogare con chiunque sia portatore di istanze alternative.In questo quadro la prospettiva della sinistra plurale, cioè la concreta attivazione di un campo più ampio di quello fin qui descritto e il coinvolgimento in esso di settori consistenti della sinistra moderata e riformista, pur rimanendo irrinunciabile ai fini della costruzione di una alternativa di governo, appare un cammino reso più difficile e tormentato dalle scelte compiute dalla maggioranza dei DS e dell'Ulivo di schierarsi con la guerra e con l'ingresso diretto nel conflitto da parte del nostro paese, cui si aggiunge una crescente insensibilità verso le questioni sociali e la subordinazione culturale e politica ai paradigmi del liberismo.
Tuttavia le conseguenze dell'aggravarsi della crisi economica, del prolungarsi della guerra e dell'appesantirsi del coinvolgimento del nostro paese in essa, possono ulteriormente allargare divergenze che già appaiono all'interno della sinistra moderata e soprattutto aprire una crisi di consenso. Allo stesso tempo gli esiti di questi processi dipendono dalla nostra capacità di iniziativa politica di consolidare una piattaforma di opposizione al governo delle destre, dalla crescita del movimento, dalla evoluzione del rapporto della sinistra moderata stessa, da un lato, con la società nel suo complesso e con il movimento sindacale in particolare, e dall'altro con il blocco di potere che attualmente sorregge le destre e che non nasconde la sua ambizione di cooptare questa forza, in posizione subordinata, all'interno del governo allargato della società.
Per tutti questi motivi dobbiamo sapere articolare la nostra proposta politica, trovare le forme per portarla sul terreno, per noi strategico e decisivo, della società e dei movimenti, ove dobbiamo spostare con decisione il baricentro della nostra iniziativa per una uscita plurale e dal basso dalla crisi della sinistra. Nello stesso tempo dobbiamo praticare la nostra proposta nelle istituzioni e nel sistema delle relazioni politiche a ogni livello.
Dobbiamo perciò sapere condurre direttamente vertenze territoriali, sulla base di un'articolazione di obiettivi che nessuna piattaforma per quanto perfetta può da sola risolvere, ma da cui anzi quest'ultima deve essere continuamente arricchita.
Dobbiamo intendere e praticare la nostra presenza negli Enti Locali sia come costruzione di elementi di controtendenza rispetto al quadro politico nazionale - nelle modalità di governo e nelle relazioni e alleanze politiche -; sia come capacità di fare avanzare in modo concreto gli obiettivi e le rivendicazioni che partono dalla individuazione dei bisogni popolari; sia per mantenere aperta e viva l'interlocuzione tra i movimenti e gli organi di governo locale, sia per avanzare nuove esperienze che permettano di tradurre in pratica un incrocio tra democrazia diretta e delegata, e quindi per iniziare dal basso un processo di ridemocratizzazione su basi nuove della nostra società. L'istituto del "bilancio partecipato" che ci giunge dall'esperienza della municipalità di Porto Alegre, rappresenta in questo quadro un'esperienza preziosa e paradigmatica da generalizzare e applicare alle nostre condizioni.BERTINOTTI, CRIPPA, FERRERO, FRALEONE, GRASSI, PEGOLO, ZUCCHERINI, BELLUCCI, CACCIARI, CAMMARDELLA, CAPPELLONI, CAPRILI, CASATI BRUNO, CERBONE, CURZI, DE CRISTOFARO, DE SIMONE TITTI, DEIANA, EMPRIN , FAVARO, FORGIONE, GAGLIARDI, GHIGLIONE, GIANNI, GIORDANO, GUAGLIARDI, LOCATELLI, MAITAN, MALABARBA, MANGIANTI, MANTOVANI RAMON, MASCIA, MASELLI, MIGLIORE, MUSACCHIO, NARDINI, NESCI, NOCERA, PAPANDREA, RICCI MARIO, RUSSO FRANCO, RUSSO SPENA, SENTINELLI, SIMONETTI, SORINI, TURIGLIATTO, VACCARGIU,VALENTINI,VENDOLA,VINCI,VINTI, ABBA', ACERBO, ACETO, AITA, ALASIA, ALBONETTI, ALFONZI, ALLOCCA, ALTAVILLA, AMATO, ANTONAZ, ANTONIELLA, ARMENI, ATTILIANI, AURORA, AZZALIN, BALDI, BARACCO, BARASSI, BARBAGELATA, BARONTI, BARZAGHI, BELISARIO, BELLOFIORE, BENVEGNU', BERLINGUER, BERTOLO, BERTORELLO, BOGHETTA, BONADONNA, BONATO, BONFORTE, BONOMETTI, BRACCI TORSI, BRISTOT, BURGIO, BUTTIGNON, CAMPANILE, CANCIANI, CANONICO, CANTONI, CAPACCI, CAPELLI, CARDONE, CARRAZZA, CARTA, CARTOCCI, CATALANO, CATANIA, CHECCHI, CIMASCHI, CIMMINO, CO', COGODI, COLOMBINI, COMMODARI, CONSOLO, CONTI, CORRENTE, COSIMI, CRISTIANO, D'ACUNTO, D'AIMMO, D'ALESSANDRO, D'ANGELI, DANINI, D'AVOSSA, DE CESARIS, DE PALMA, DE PAOLI, DE SANTIS, DE SIMONE PAOLO, DI GIOIA, DI SABATO, DONDA, DUCCINI, FABIANI, FANTOZZI, FASOLI, FAZZESE, FERRARA, FERRARI GIANLUCA, FERRETTI, FIRENZE, FONDELLI, FRATOIANNI, FRENDA, GABRIELE, GALLO, GAMBUTI, GELMINI, GIANNINI, GIAVAZZI, GIORGI, GITTO, GRANOCCHIA, GROSSO, GUGLIELMI, JERVOLINO, JORFIDA, KIWAN, LEONI, LIBERA, LICHERI, LINGUITI, LOMBARDI ALDO, LOMBARDI ANGELA, LOMBARDI MIRKO, LOMBARDI ROBERTO, LONGO, LOSAPPIO, LUCINI, LUNIAN, MACRI', MAJORANA, MALENTACCHI, MALINCONICO, MAMMARELLA, MANGIA, MARAIA, MARCHETTINI, MARCHIONI, MARCONE, MARCONI, MAROTTA ANGELO, MAROTTA ANTONIO, MARTINO, MASELLA, MELIS, MENCARELLI, MERLINI, MILANI, MINISCI, MITA, MONTANILE, MONTECCHIANI, MORANDI, MORDENTI, MORETTI, MORINI, MORO, MOSCATO, MOZZETTA, MUGNAI, MULAS, MULLIRI, MURA, NICOTRA, NIERI, NINCHERI, NUCERA, NOVARI, OKROGLIC, OREFICE, ORTU, PACE, PALOZZA, PAOLINO, PASI, PATELLI, PATRITO, PECORINI, PEDUZZI, PERUGIA, PESACANE, PESCE, PETRUCCI, PETTENO', PIERINI, PIETRANGELI, PINTUS, PIOMBO, PLATANIA, POETA, POSELLI, POZ-ZOBON, PRANDINI PRIMAVERA, PUCCI ALDO, PUCCI ROBERTO, RAZZANI, RICCI ANDREA, RICCIONI, RIGACCI, RIVELLI, RIVERA, ROSSI, SACCHI, SANSOE',SANTORUM,SARDONE, SAVELLI, SCONCIAFORNI, SCREPANTI, SEMERARO, SGHERRI, SIMEONE, SIMINI, SIRONI, SOBRINO, SPECCHIO, SPERANDIO, SPERANZA, STERI, STUFARA, TANARA, TANGOLO, TAVELLA, TEDDE, TETTAMANTI, TORRESAN, TORRICELLI, TOSI, TRIA, TRIBI, TRIVELLIZZI, TRONI, TROTTA, TROVATO, TRUFFA, VALENTI, VALLEISE, VALPIANA, VERZEGNASSI, VIANI, VLACCI, VOCCOLI, VOZA.
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TESI 38 - UN NUOVO MOVIMENTO OPERAIO torna all'indice (approvata dal Comitato Politico Nazionale)
La contraddizione capitale-lavoro è sempre più acuta e generalizzata, ma i soggetti del lavoro si moltiplicano in segmenti sempre più separati. Il problema principale è oggi quello della ricomposizione sociale e politica delle figure sociali oppresse e spezzate dal capitalismo globale. Un compito inedito.Dal punto di vista sociale il nostro agire si rivolge in primo luogo a tutti i soggetti sociali vittime di uno stato di sfruttamento e di alienazione. Come abbiamo visto la rivoluzione capitalistica restauratrice intervenuta in questi anni ha provocato uno sconvolgimento nella morfologia delle classi subalterne e in particolare un processo di ampliamento e di frantumazione del lavoro a diverso titolo subordinato. Da un lato infatti le figure sociali hanno perso contorni netti -si pensi alla moltiplicazione e allo sminuzzamento delle posizioni contrattuali-, dall'altro lato assistiamo ad una sussunzione diretta nel processo di valorizzazione del capitale di figure, o di attività in capo alle stesse persone, che un tempo si collocavano nel campo della riproduzione della forza lavoro, cioè fuori dal lavoro produttivo inteso in senso stretto. Non si tratta di fenomeni assolutamente nuovi, come non è un'invenzione di adesso, il dibattito sui confini che separano il lavoro produttivo da quello improduttivo, quello materiale da quello intellettuale, ma è indubbio che questi fenomeni sono oggi assai ampliati rispetto al passato. Il lavoro, che è sempre astratto dal punto di vista del capitale, oggi assume una forma che concretamente si avvicina a questo suo carattere.
Accanto all'enorme crescita della precarizzazione, aumenta la disoccupazione di massa che è più che raddoppiata rispetto agli anni '70. Si manifesta un processo di crisi nell'estensione del rapporto di lavoro salariato, nel senso che molte attività sono a tutti gli effetti lavori al servizio diretto del capitale - e dunque il lavoro non solo non finisce, ma si estende -, anche se non vengono economicamente e socialmente riconosciute come tali. Questo fenomeno conferma in sé una carica potenzialmente rivoluzionaria, poiché indica l'irriducibilità di fondo del lavoro vivo ad essere integralmente sottomesso al capitale. La contraddizione capitale-lavoro è dunque sempre più acuta e generalizzata nella società, ma i soggetti che investe sul versante del lavoro, e sui quali si articola sono molteplici e divisi. Conseguentemente l'individuazione dei referenti sociali nella costruzione dell'alternativa non può essere affidata ai paradigmi del passato, né si può concepire lo schieramento sociale dell'alternativa come una semplice riedizione dei classici concetti di blocco sociale, per cui attorno alla classe rivoluzionaria per eccellenza, che costituiva il motore umano del processo produttivo, andavano uniti ceti superiori o le classi che avevano perso di centralità a causa del pieno avvento del capitalismo industriale. Il problema principale è oggi ricomporre l'insieme dei soggetti vittime dello sfruttamento e dell'alienazione che sono divisi e contrapposti dalla ristrutturazione capitalistica, in un nuovo movimento operaio. Le recenti esperienze di lotta che vedono assieme i metalmeccanici con il nuovo movimento no-global, anche grazie ad un comune tratto generazionale, indicano che questo obiettivo è non solo necessario ma possibile.
In esso possono avere più peso le figure sociali che occupano i luoghi decisivi della produzione di plusvalore all'interno del processo di accumulazione capitalistica, ma la loro individuazione resta un compito, non solo un dato di partenza. Per queste ragioni l'individuazione dei referenti sociali della nostra azione politica comincia con il lavoro di inchiesta: perché solo attraverso questo è possibile conoscere le condizioni e i bisogni di queste figure sociali e stabilire con esse una relazione dinamica che già di per sé costituisce una pratica politica e non solo conoscitiva.BERTINOTTI, CRIPPA, FERRERO, FRALEONE, GRASSI, PEGOLO, ZUCCHERINI, BELLUCCI, CACCIARI, CAMMARDELLA, CAPPELLONI, CAPRILI, CASATI BRUNO, CERBONE, CURZI, DE CRISTOFARO, DE SIMONE TITTI, DEIANA, EMPRIN , FAVARO, FORGIONE, GAGLIARDI, GHIGLIONE, GIANNI, GIORDANO, GUAGLIARDI, LOCATELLI, MAITAN, MALABARBA, MANGIANTI, MANTOVANI RAMON, MASCIA, MASELLI, MIGLIORE, MUSACCHIO, NARDINI, NESCI, NOCERA, PAPANDREA, RICCI MARIO, RUSSO FRANCO, RUSSO SPENA, SENTINELLI, SIMONETTI, SORINI, TURIGLIATTO, VACCARGIU,VALENTINI,VENDOLA,VINCI,VINTI, ABBA', ACERBO, ACETO, AITA, ALASIA, ALBONETTI, ALFONZI, ALLOCCA, ALTAVILLA, AMATO, ANTONAZ, ANTONIELLA, ARMENI, ATTILIANI, AURORA, AZZALIN, BALDI, BARACCO, BARASSI, BARBAGELATA, BARONTI, BARZAGHI, BELISARIO, BELLOFIORE, BENVEGNU', BERLINGUER, BERTOLO, BERTORELLO, BOGHETTA, BONADONNA, BONATO, BONFORTE, BONOMETTI, BRACCI TORSI, BRISTOT, BURGIO, BUTTIGNON, CAMPANILE, CANCIANI, CANONICO, CANTONI, CAPACCI, CAPELLI, CARDONE, CARRAZZA, CARTA, CARTOCCI, CATALANO, CATANIA, CHECCHI, CIMASCHI, CIMMINO, CO', COGODI, COLOMBINI, COMMODARI, CONSOLO, CONTI, CORRENTE, COSIMI, CRISTIANO, D'ACUNTO, D'AIMMO, D'ALESSANDRO, D'ANGELI, DANINI, D'AVOSSA, DE CESARIS, DE PALMA, DE PAOLI, DE SANTIS, DE SIMONE PAOLO, DI GIOIA, DI SABATO, DONDA, DUCCINI, FABIANI, FANTOZZI, FASOLI, FAZZESE, FERRARA, FERRARI GIANLUCA, FERRETTI, FIRENZE, FONDELLI, FRATOIANNI, FRENDA, GABRIELE, GALLO, GAMBUTI, GELMINI, GIANNINI, GIAVAZZI, GIORGI, GITTO, GRANOCCHIA, GROSSO, GUGLIELMI, JERVOLINO, JORFIDA, KIWAN, LEONI, LIBERA, LICHERI, LINGUITI, LOMBARDI ALDO, LOMBARDI ANGELA, LOMBARDI MIRKO, LOMBARDI ROBERTO, LONGO, LOSAPPIO, LUCINI, LUNIAN, MACRI', MAJORANA, MALENTACCHI, MALINCONICO, MAMMARELLA, MANGIA, MARAIA, MARCHETTINI, MARCHIONI, MARCONE, MARCONI, MAROTTA ANGELO, MAROTTA ANTONIO, MARTINO, MASELLA, MELIS, MENCARELLI, MERLINI, MILANI, MINISCI, MITA, MONTANILE, MONTECCHIANI, MORANDI, MORDENTI, MORETTI, MORINI, MORO, MOSCATO, MOZZETTA, MUGNAI, MULAS, MULLIRI, MURA, NICOTRA, NIERI, NINCHERI, NUCERA, NOVARI, OKROGLIC, OREFICE, ORTU, PACE, PALOZZA, PAOLINO, PASI, PATELLI, PATRITO, PECORINI, PEDUZZI, PERUGIA, PESACANE, PESCE, PETRUCCI, PETTENO', PIERINI, PIETRANGELI, PINTUS, PIOMBO, PLATANIA, POETA, POSELLI, POZ-ZOBON, PRANDINI PRIMAVERA, PUCCI ALDO, PUCCI ROBERTO, RAZZANI, RICCI ANDREA, RICCIONI, RIGACCI, RIVELLI, RIVERA, ROSSI, SACCHI, SANSOE',SANTORUM,SARDONE, SAVELLI, SCONCIAFORNI, SCREPANTI, SEMERARO, SGHERRI, SIMEONE, SIMINI, SIRONI, SOBRINO, SPECCHIO, SPERANDIO, SPERANZA, STERI, STUFARA, TANARA, TANGOLO, TAVELLA, TEDDE, TETTAMANTI, TORRESAN, TORRICELLI, TOSI, TRIA, TRIBI, TRIVELLIZZI, TRONI, TROTTA, TROVATO, TRUFFA, VALENTI, VALLEISE, VALPIANA, VERZEGNASSI, VIANI, VLACCI, VOCCOLI, VOZA.
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TESI 39 - LA CRESCITA DEL MOVIMENTO (approvata dal Comitato Politico Nazionale) torna all'indice
Per il Prc, l'impegno della crescita del "movimento dei movimenti" si pone su diversi terreni: il suo allargamento, la sua unità, il suo radicamento nei Social Forum cittadini. L'estensione del conflitto sociale e la costruzione di un forte intreccio tra il movimento operaio "tradizionale" e il movimento no global rappresenta la vera sfida strategica.L'irrompere sulla scena mondiale del "popolo di Seattle" non ha trovato impreparata Rifondazione comunista: per merito sia dell'impianto analitico di cui il partito si era da tempo dotato (sulla rivoluzione capitalista, sui nuovi processi di globalizzazione, sui segnali di crisi di questi processi) sia della sua capacità di essere, con la propria soggettività, parte integrante del movimento, contro ogni antica tentazione di coscienza esterna. Grazie anche alla pratica politica dei Giovani comunisti, il ruolo del Prc all'interno del Genoa Social Forum è risultato evidente ed importante, proprio perché non determinato da pretese egemoniche.
In questa fase, in cui il movimento ha dato in più occasioni ottima prova di sè e della sua capacità di tenuta e nel contempo sta affrontando una impegnativa discussione sulle proprie prospettive e sulle proprie modalità organizzative, riteniamo utile precisare il nostro indirizzo. Riconfermando la scelta strategica della nostra internità al movimento, il nostro impegno organizzativo, politico e culturale finalizzato alla sua crescita, noi riteniamo che i nodi prioritari di questa fase siano:1. LA CRESCITA DEL MOVIMENTO, intesa come la sua capacità di persistenza, sviluppo, efficacia, al di là delle scadenze imposte dall'avversario costituisce l'obiettivo centrale. Per questo non vi è un problema di sbocco politico del movimento separabile dalla sua crescita e dal suo sviluppo, nella consapevolezza che i movimenti di massa non hanno necessariamente un andamento lineare, né sono a fortiori tenuti al "confronto" con appuntamenti istituzionali: insomma, nella scelta autonoma dei tempi e dei ritmi della lotta, si esercita fino in fondo la loro sovranità.
2. L'UNITA' DEL MOVIMENTO, così ricco di articolazioni interne, così variegato nelle sue anime e nelle sue opzioni generali, è un bene prezioso, comunque da salvaguardare in termini reali, politici e non "politicistici". Una sfida non semplice, che non potrà svilupparsi su basi puramente soggettivistica o volontaristica: le tendenze alla divisione, se non alla scomposizione e\o all'autonomizzazione delle singole componenti, sono forti e fondate sul pluralismo delle soggettività che compongono il "popolo no global". La costruzione - non frettolosa e consensuale - di un profilo programmatico alto, unito ad un profondo rispetto delle differenze presenti nel movimento, alla capacità di far vivere obiettivi riconoscibili, all'allargamento continuo del movimento oltre i suoi confini, è un impegno che proponiamo, al tempo stesso, a noi e ai soggetti attivi della protesta.
3. LA COSTRUZIONE DEI SOCIAL FORUM cittadini, di paese, di quartiere è, anche rispetto ai fini di questa crescita, uno strumento indispensabile. Essi sono da sviluppare e potenziare con l'attenzione a non trasformarli nei fatti in intergruppi, ma in sedi reali di aggregazione e proposta, capaci ogni volta di coinvolgere soggetti e soggettività finora esclusi - o autoesclusi - dalla politica. Qui si colloca quel lavoro di unificazione tra figure sociali diverse - tra i lavoratori e i giovani, prima di tutto, tra i garantiti e i non garantiti, tra gli operai e gli studenti, tra i "nativi" e i migranti - di cui il movimento non può fare a meno. Si tratta, appunto, di un livello di unità, di interlocuzione diretta, di confronto ravvicinato che non può che avvenire dall'interno delle soggettività e dei bisogni, ma anche in rapporto a eventi concreti, come vertenze di zona, di territorio, di ambiente, che costruiscano via via una conflittualità generale e articolata.4. L'ALLARGAMENTO DELLA PRATICA DELLA DISUBBIDIENZA CIVILE E SOCIALE. Non si tratta solo di una metodologia, ma di un contenuto: la capacità di trasferire e rielaborare la violazione delle zone interdette dai grandi summit del potere alla messa in discussione delle infinite "zone rosse" che compongono la vita quotidiana, e la sfera della vita civile. La capacità di mettere in campo pratiche di disubbidienza civile, dagli scioperi alla rovescia dei disoccupati alla valorizzazione sociale degli spazi urbani dismessi all'obiezione fiscale alle spese militari, è una delle leve di radicamento sociale e territoriale del movimento e di avanzamento del medesimo. La "pratica dell'obiettivo" deve essere tolta dalla dimensione estetica del "gesto esemplare" per essere riconsegnata alla pratica collettiva di un percorso di lotta che intreccia rivendicazione e autogestione.
5.LA NONVIOLENZA, pratica di lotta non distrutttiva e, insieme, disubbidienza a leggi ingiuste, è la metodologia da un lato più in sintonia con l'anima profonda del movimento e dall'altra più efficace per combattere un potere che si presenta fortemente caratterizzato dal suo volto repressivo e che punta a trasformare la questione sociale in questione di ordine pubblico. Essa non va intesa come negazione del conflitto, e neppure della forza, ma all'opposto gestione altra, e più alta, del conflitto stesso: per essere efficace, infatti, questa scelta chiede un'organizzazione più e non meno forte, più e non meno capillare. Essa è parte integrante di quella riforma della politica - che riguarda i partiti come i movimenti - che implica il rifiuto di ogni militarizzazione del proprio agire e che assume la coerenza tra fini e mezzi come dato d'identità. In questo senso, nell'epoca della globalizzazione neoliberista, la pratica disubbidiente della nonviolenza è, in verità, ubbidienza ai valori più radicali della democrazia, della fratellanza, insomma, dell'umanità.
6. UNIFICARE I MOVIMENTI. La ripresa del conflitto operaio (e più in generale dell'iniziativa di lotta dei lavoratori) costituisce l'altra grande novità, insieme alla nascita del movimento pacifista e no global, della fase che si è aperta. Di ciò sono testimonianza lo sciopero e le grandi manifestazioni dei metalmeccanici del 6 luglio e del 16 novembre, quelli della scuola e del pubblico impiego, la compatta sospensione del lavoro con i cortei interni alla Fiat e più in generale le mobilitazioni che si stanno producendo in difesa dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, contro la destrutturazione delle regole del mercato del lavoro e dello stato sociale, caratterizzata da una asfissiante pratica concertativa.
Il conflitto non torna soltanto ad investire realtà in cui le capacità di lotta si erano affievolite, ma coinvolge una giovane generazione di lavoratori che per la prima volta si affaccia sulla scena politica, e vede partecipi fasce rilevanti di precariato che dimostrano la propria disponibilità a lottare pur in presenza dei ricatti derivanti da un rapporto di lavoro frammentato in misura sempre maggiore. Infine, risulta evidente, che tale conflitto trascende l'immediatezza della condizione di lavoro assumendo un carattere più generale.
Non solo. La ripresa di un conflitto di classe nel nostro Paese crea le premesse per la costruzione di uno schieramento sociale ampio. Da questo punto di vista, un obiettivo fondamentale è rappresentato dalla saldatura fra mondo del lavoro e movimento no global. Tale saldatura fino ad oggi si è verificata, ancora troppo saltuariamente, a partire da Genova, con il concorso determinante della Fiom oltre che del sindacato extraconfederale. Non vi è dubbio, tuttavia, che nella prospettiva della costruzione di uno schieramento sociale in grado di sostenere una piattaforma di opposizione, molto resta da fare. E non solo perché va coinvolto in modo più esteso lo stesso mondo del lavoro, ma perché occorre che emergano proposte programmatiche unificanti e occorre che tale unificazione si esprima compiutamente sul terreno della lotta e della mobilitazione comune.
E' necessario appoggiare, dentro e fuori le istituzioni, le vertenze a difesa dei posti di lavoro oggi sotto attacco; rilanciare le nostre proposte per il riallineamento periodico e automatico delle retribuzioni e delle pensioni all'inflazione reale; favorire l'incontro di lavoratori "tipici" e "atipici", reclamando nuove "rigidità" nei rapporti di lavoro e l'estensione dei diritti garantiti dallo Statuto dei lavoratori ai precari e alle aziende sotto i 15 dipendenti; porre ancora all'ordine del giorno l'acquisizione di livelli normativi e contrattuali certi e valorizzare il ruolo delle Rappresentanze Sindacali Unitarie in ogni luogo di lavoro, investendovi risorse umane. In questa prospettiva, poi, la riproposizione forte della questione salariale e della riduzione d'orario a parità di salario rappresentano terreni oggettivamente unificanti.
L'impegno per la crescita del movimento dei lavoratori, per la realizzazione di uno schieramento sociale più ampio, per la convergenza all'interno di una comune piattaforma sociale costituiscono obiettivi fondamentali dell'iniziativa del partito. Senza questo orizzonte il suo stesso ruolo come soggetto politico sarebbe inadeguato rispetto alla complessità della fase. Peraltro, solo in questa prospettiva è possibile seriamente porsi il problema dell'opposizione al governo delle destre. La natura dell'attacco che infatti viene condotto dal governo, investendo elementi essenziali della vita sociale, dall'aggressione allo stato sociale all'attacco ai diritti del mondo del lavoro impone infatti una risposta di massa che si generalizzi e duri nel tempo passando per la convocazione di una mobilitazione generale.BERTINOTTI, CRIPPA, FERRERO, FRALEONE, GRASSI, PEGOLO, ZUCCHERINI, BELLUCCI, CACCIARI, CAMMARDELLA, CAPPELLONI, CAPRILI, CASATI BRUNO, CERBONE, CURZI, DE CRISTOFARO, DE SIMONE TITTI, DEIANA, EMPRIN , FAVARO, FORGIONE, GAGLIARDI, GHIGLIONE, GIANNI, GIORDANO, GUAGLIARDI, LOCATELLI, MAITAN, MALABARBA, MANGIANTI, MANTOVANI RAMON, MASCIA, MASELLI, MIGLIORE, MUSACCHIO, NARDINI, NESCI, NOCERA, PAPANDREA, RICCI MARIO, RUSSO FRANCO, RUSSO SPENA, SENTINELLI, SIMONETTI, SORINI, TURIGLIATTO, VACCARGIU, VALENTINI, VENDOLA, VINCI, VINTI, ABBA', ACCARDO, ACERBO, ACETO, AITA, ALASIA, ALBONETTI, ALFONZI, ALLOCCA, ALTAVILLA, AMATO, ANTONAZ, ANTONIELLA, ARMENI, ATTILIANI, AURORA, AZZALIN, BALDI, BARACCO, BARASSI, BARBAGELATA, BARONTI, BARZAGHI, BELISARIO, BELLOFIORE, BENVEGNU', BERLINGUER, BERTOLO, BERTORELLO, BOGHETTA, BONADONNA,BONATO, BONFORTE, BONOMETTI, BRACCI TORSI, BRISTOT, BURGIO, BUTTIGNON, CAMPANILE, CANCIANI, CANTONI, CAPELLI, CARDONE, CARRAZZA, CARTA, CARTOCCI, CATALANO, CATANIA, CHECCHI, CIMASCHI, CIMMINO, CO', COGODI, COLOMBINI, COMMODARI, CONSOLO, CONTI, CORRENTE, COSIMI, CRISTIANO, D'ACUNTO, D'AIMMO, D'ALESSANDRO, D'ANGELI, DANINI, D'AVOSSA, DE CESARIS, DE PALMA, DE PAOLI, DE SANTIS, DE SIMONE PAOLO, DI GIOIA, DI SABATO, DONDA, DUCCINI, FABIANI, FANTOZZI, FASOLI, FAZZESE, FERRARA, FERRARI GIANLUCA, FERRETTI, FIRENZE, FONDELLIFRATOIANNI, FRENDA, GABRIELE, GALLO, GAMBUTI, GELMINI, GIANNINI, GIAVAZZI, GIORGI, GITTO, GRANOCCHIA, GROSSO, GUGLIELMI, JERVOLINO, JORFIDA, KIWAN, LEONI, LIBERA, LICHERI, LINGUITI, LOMBARDI ALDO, LOMBARDI ANGELA, LOMBARDI MIRKO, LOMBARDI ROBERTO, LONGO, LOSAPPIO, LUCINI, LUNIAN, MACRI', MAJORANA, MALENTACCHI, MALINCONICO, MAMMARELLA, MANGIA, MARAIA, MARCHETTINI, MARCHIONI, MARCONE, MAROTTA ANGELO, MAROTTA ANTONIO, MARTINO, MASELLA, MELIS, MENCARELLI, MERLINI, MILANI, MINISCI, MITA, MONTANILE, MONTECCHIANI, MORANDI, MORDENTI, MORETTI, MORINI, MORO, MOSCATO, MOZZETTA, MUGNAI, MULAS, MULLIRI, MURA, NICOTRA, NIERI, NINCHERI, NUCERA, OKROGLIC, OREFICE, ORTU, PACE, PALOZZA, PAOLINO, PASI, PATELLI, PATRITO, PECORINI, PEDUZZI, PERUGIA, PESACANE, PESCE, PETRUCCI, PETTENO', PIERINI, PIETRANGELI, PINTUS, PIOMBO, PLATANIA, POETA, POSELLI, POZZOBON, PRIMAVERA, PUCCI ALDO, PUCCI ROBERTO, RAZZANI, RICCI ANDREA, RIGACCI, RIVELLI, RIVERA, ROSSI, SACCHI, SANSOE', SANTORUM, SARDONE, SAVELLI, SCONCIAFORNI, SCREPANTI, SEMERARO, SGHERRI, SIMEONE, SIMINI, SIRONI, SOBRINO, SPECCHIO, SPERANDIO, SPERANZA, STERI, STUFARA, TANARA, TANGOLO, TAVELLA, TEDDE, TETTAMANTI, TORRESAN, TORRICELLI, TOSI, TRIA, TRIBI, TRIVELLIZZI, TRONI, TROTTA, TROVATO, TRUFFA, VALENTI, VALLEISE, VALPIANA, VERZEGNASSI, VIANI, VLACCI, VOCCOLI, VOZA.
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