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PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA
V Congresso Nazionale

Tesi di maggioranza

Per la rifondazione comunista
Tesi Congressuali approvate dalla maggioranza del Comitato Politico Nazionale (link anche agli emendamenti)

TESI 1 - UNA CRISI DI CIVILTA'
TESI 2 - LA GUERRA GLOBALE
TESI 3 - SOCIALISMO O BARBARIE
TESI 4 - LA RIVOLUZIONE CAPITALISTICA RESTAURATRICE
TESI 5 - IL CAPITALE
TESI 6 - IL LAVORO
TESI 7 - LA RIVOLUZIONE INFORMATICA
TESI 8 - IL CROLLO DEL SOCIALISMO REALE
TESI 9 - LE CRISI AMBIENTALI
TESI 10 - LA CRISI DELLO STATO-NAZIONE
TESI 11 - LA DISARTICOLAZIONE DELLO STATO
TESI 12 - LA GUERRA, NUOVA DIMENSIONE DELLA POLITICA INTERNAZIONALE
TESI 13 - IL RUOLO DEGLI USA
TESI 14 - IL SUPERAMENTO DELLA NOZIONE CLASSICA DI IMPERIALISMO (vai all'emendamento sostitutivo)
TESI 15 - I NUOVI ASSETTI DEL MONDO (vai all'emendamento sostitutivo)
TESI 16 - LO STATO DELL'UNIONE EUROPEA
TESI 17 - LA CONDIZIONE DEI MIGRANTI
TESI 18 - LA RECESSIONE ECONOMICA MONDIALE
TESI 19 - IL PENSIERO UNICO SI SPEZZA
TESI 20 - LA SECONDA FASE DELLA GLOBALIZZAZIONE
TESI 21 - IL PROGETTO DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE
TESI 22 - IL MOVIMENTO DEI MOVIMENTI
TESI 23 - LE CARATTERISTICHE DEL MOVIMENTO
TESI 24 - LA GUERRA AL MOVIMENTO
TESI 25 - IL CASO ITALIANO
TESI 26 - LA QUESTIONE SOCIALE
TESI 27 - LA CRISI POLITICA
TESI 28 - LA CRISI CULTURALE
TESI 29 - IL SINDACATO
TESI 30 - IL FALLIMENTO STRATEGICO DEL CENTROSINISTRA E DEI DS (vai all'emendamento sostitutivo)
TESI 31 - LE DESTRE AL POTERE
TESI 32 - LA QUESTIONE CATTOLICA
TESI 33 - ASSOCIAZIONISMO E COOPERAZIONE
TESI 34 - L'INNOVAZIONE NECESSARIA
TESI 35 - UN NUOVO SOGGETTO POLITICO EUROPEO
TESI 36 - LA NOSTRA PROPOSTA POLITICA
TESI 37 - L'ARTICOLAZIONE DELLA NOSTRA PROPOSTA POLITICA (vai all'emendamento sostitutivo)
TESI 38 - UN NUOVO MOVIMENTO OPERAIO (vai all'emendamento sostitutivo)
TESI 39 - LA CRESCITA DEL MOVIMENTO (vai all'emendamento sostitutivo)
TESI 40 - IL PROGRAMMA FONDAMENTALE PER LA SINISTRA ALTERNATIVA
TESI 41 - I CARATTERI ESSENZIALI DELLA RICERCA PROGRAMMATICA
TESI 42 - LA PIATTAFORMA DI OPPOSIZIONE ALLE DESTRE
TESI 43 - L'OPPOSIZIONE ALLA GUERRA
TESI 44 - UNA POLITICA ECONOMICA ALTERNATIVA PER IL PAESE E PER IL MEZZOGIORNO
TESI 45 - LA LOTTA PER IL LAVORO, I NUOVI BISOGNI, I DIRITTI
TESI 46 - UN NUOVO SPAZIO PUBBLICO
TESI 47 - LA DIFESA E L'INNOVAZIONE DELLA DEMOCRAZIA
TESI 48 - PERCHE' UN PARTITO COMUNISTA E' NECESSARIO
TESI 49 - PER UN BILANCIO DEI DIECI ANNI DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
TESI 50 - ESSERE COMUNISTI, OGGI
TESI 51 - I COMUNISTI E L'OTTOBRE (vai all'emendamento sostitutivo)
TESI 52 - DOPO L'89 (vai all'emendamento sostitutivo)
TESI 53 - COMUNISMO CONTRO STALINISMO
TESI 54 - IL COMUNISMO, OGGI
TESI 55 - LA DEMOCRAZIA COME STRATEGIA
TESI 56 - L'AUTORIFORMA DEL PARTITO (vai all'emendamento sostitutivo)
TESI 57 - PER COSTRUIRE RELAZIONI SOCIALI
TESI 58 - PER VALORIZZARE IL "SAPER FARE"
TESI 59 - PER MODIFICARE L'ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO POLITICO
TESI 60 - PER RADICARE IL PARTITO NELLA SOCIETA'
TESI 61 - PER COSTRUIRE UN CONFRONTO POLITICO TRASPARENTE
TESI 62 - PER FAVORIRE L'AUTORGANIZZAZIONE DEI SOGGETTI SOCIALI
TESI 63 - PER RADICARE L'INTERVENTO TRA LE GIOVANI GENERAZIONI

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TESI 1 - UNA CRISI DI CIVILTA' torna all'indice
La crisi della globalizzazione capitalistica assume oggi il volto di una più generale crisi di civiltà. La condizione dei popoli, dei soggetti sociali e delle persone è segnata da insicurezza, incertezza, precarietà. Avanza una "modernizzazione senza modernità", che ripropone la terribile spirale guerra-terrorismo e abbatte progressivamente gli spazi di democrazia.

Il XXI secolo si è aperto all'insegna del terrorismo e della guerra. Il mondo è stato sommerso da un'ondata di violenza di eccezionale intensità distruttiva, che ha mandato in pezzi le illusioni ideologiche della globalizzazione, le sue promesse di "magnifiche sorti e progressive" per l'umanità. Di nuovo, appare minata alla base l'idea stessa di futuro. Di nuovo, un profondo senso di insicurezza pervade le pur ricche società dell'occidente e accelera i già avanzati processi di disgregazione sociale.
Una sorta di stato di emergenza endemico si va sostituendo alla normale fisiologia delle relazioni istituzionali. L' incertezza diventa la condizione più comune e diffusa. E' precarietà della condizione lavorativa, disoccupazione strutturale, pericolo costante di licenziamenti. E' blocco delle capacità di produzione e di consumo, è recessione e depressione economica. E' distruzione dell'ambiente e delle condizioni della riproduzione sociale. Più in generale, è crisi di identità, fine di valori condivisi, difficoltà di concepire progetti individuali e collettivi. E' paura del "nemico invisibile", dell'Altro e del Diverso, in una singolare commistione di irrazionalismo e scientismo, di furori neofondamentalisti e di pensiero debole.
E' la stessa nozione di modernità, intesa come processo storico di nascita del soggetto e delle pratiche di liberazione che, deformata dalla globalizzazione capitalistica, subisce una crisi verticale. Non a caso quello che ci viene presentato come uno scontro di civiltà vede contrapposti, da un lato, l'individuo nella versione egoista e insensata dell'homo oeconomicus e dall'altra, la comunità nella versione inaccettabile di comunità organica patriarcale e tribale. E' la prospettiva stessa di coniugare libertà individuale e relazioni sociali civili che viene schiacciata da questa guerra in cui i nemici dichiarati non rappresentano altro che due facce della stessa medaglia.
Quest'insieme di tendenze involutive configurano una vera e propria crisi di civiltà, dove tendono a deperire tutte le conquiste del XX secolo, i diritti come gli spazi effettivi di democrazia, e dove le varie destre trovano terreno fertile di espansione. Alla radice, vi è un processo involutivo dello stesso capitalismo. Il modo di produzione fondato sulla logica del capitale, che ha finora apportato all'umanità, insieme a straordinari progressi, devastanti processi di sfruttamento e crescenti contraddizioni, ha imboccato la strada di una regressione forse irreversibile. "Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso" (Marx)

TESI 2 - LA GUERRA GLOBALE torna all'indice
La guerra in corso ha i caratteri di un conflitto globale: non solo perché ha per teatro effettivo il pianeta, ma perché il suo vero obiettivo è la costituzione di un "nuovo ordine mondiale" unipolare. Di un governo autoritario della crisi.

Il feroce abbattimento delle Twin Towers, con migliaia di vittime incolpevoli, e la desertificazione di Kabul, con altre migliaia di vittime innocenti, ci restituiscono oggi una disperante immagine del mondo, stretto nella spirale guerra\terrorismo.
Questa situazione è definibile, appunto, come conflitto civile planetario, non solo nel senso che ha per teatro l'intero pianeta e le sue principali nazioni, come è accaduto nel '900, ma nel senso che ha come vera posta in palio il governo della globalizzazione economica. Anche per fronteggiare la crescita del "movimento dei movimenti", questo governo tende a costituirsi nella forma di un inedito dominio autoritario su scala mondiale: dove l'intreccio di espansionismo militare, manovra diplomatica, ricatto geopolitico, controllo delle risorse, appare inestricabile. In questo processo, è palese la centralità politica, strategica e militare degli Stati uniti d'America, unica superpotenza del globo. Ma la logica che presiede al conflitto, e che lo agisce, non è certo riducibile a uno scontro di tipo classico tra Stati nazionali e i loro contrapposti interessi. In effetti, dal punto di vista politico, si va realizzando un sistema di alleanze, pur conflittuale, pur a geometria variabile, del tutto nuovo, che vede oggi schierati dalla stessa parte gli Usa, l'Europa, la Russia, i regimi arabi "moderati" e la Cina. Soprattutto, quel che va emergendo è un possente meccanismo di inclusione, politica ed economica, in un più largo sistema di relazioni a dominanza nordamericana. Esso, a sua volta esclude i molti Sud, le diverse periferie, le resistenze variamente antiliberiste e anticapitaliste del mondo. L'alternativa che viene prospettata è drastica: o con il modello americano o nell'inferno dell'inciviltà. Anche questo è un effetto che si tenta di rendere stabile della nuova guerra del XXI secolo.

TESI 3 - SOCIALISMO O BARBARIE torna all'indice
Una tendenza regressiva di fondo domina il capitalismo dell'era neoliberista. Esso svalorizza il lavoro, accresce a dismisura le disuguaglianze, privatizza e mercifica i bisogni, devasta la natura e l'ambiente, riproduce modelli di relazione regressivi come il patriarcato. Esso non è dunque né riformabile né "temperabile". Si riaprono qui la possibilità e l'urgenza della trasformazione rivoluzionaria: l'alternativa torna ad essere socialismo o barbarie.

La tendenza capitalistica ad una espansione onnivora, senza freni e limiti, entra in conflitto crescente con istanze e bisogni di massa indotti dallo sviluppo stesso, ma con esso incompatibili: così i diritti sociali essenziali di salute, istruzione, cibo, mobilità, si scontrano con i processi accentuati di loro privatizzazione e mercificazione; così un progresso scientifico e tecnologico di entità straordinaria arriva a invadere, addirittura, la sfera del vivente e la vita quotidiana, ma sembra assurdamente tutto consegnato alla pura logica del profitto a breve. Così la tutela delle risorse ambientali e l'esigenza di un rapporto di equilibrio e riproduzione tra essere umani e natura, si scontra con la centralità del mercato. E' questo sistema che assoggetta la scienza per riprodurre le condizioni del profitto e non quelle ambientali ed umane.
Il contesto appare inoltre fortemente dominato dalla persistenza di negativi assetti patriarcali - ovviamente diversi a seconda delle aree storico-culturali del mondo - che si alternano con modalità sociali e simboliche di tipo arcaico. Ne consegue la condanna delle donne alla segregazione e alla subalternità giuridica, con tendenze regressive, familistiche misogine che si manifestano anche nei paesi dove più forte si è sviluppata la rivoluzione femminile del '900.
La globalizzazione neoliberista, in sostanza, non si lascia né umanizzare né riformare né, più di tanto, temperare: il fallimento della Terza Via, venuto ad evidenza politica nelle esperienze di centrosinistra europee e americane, ha alle sue radici questa verità strutturale. Ed infatti i suoi stessi protagonisti l'hanno depennata dal vocabolario politico.
A questo livello delle contraddizioni del nostro tempo si colloca la nascita del movimento antiglobalizzazione, primo frutto maturo della crisi dell'economia e della civiltà globalizzata. Sia pure in forme ancora embrionali questo movimento pone il problema dell'alternativa, di una possibile uscita in avanti dalla barbarie del neo liberismo e della sua crisi. In questo contrasto di fondo si riapre la questione della trasformazione, del superamento del capitalismo: la rivoluzione torna ad essere una possibilità, un approdo possibile della storia umana. In palio, molto più di quanto non avvenisse nelle fasi originarie del capitalismo, c'è la salvezza dell'umanità: come già diceva "il Manifesto", incombe il pericolo della "comune rovina delle classi in lotta". Per queste ragioni, possiamo dire ancora "Socialismo o Barbarie", un'espressione che definisce, allo stesso tempo, il nostro orizzonte e la nostra sfida strategica.

TESI 4 - LA RIVOLUZIONE CAPITALISTICA RESTAURATRICE torna all'indice
A partire dalla metà degli anni '70, si avvia una nuova fase nello sviluppo capitalistico: con mutamenti di tale portata, che è legittimo parlare di un "nuovo capitalismo", anzi di una "rivoluzione restauratrice", caratterizzata da una volontà di dominio tendenzialmente totalizzante.

L'epoca nella quale viviamo è caratterizzata da una profonda rivoluzione capitalistica trainata da un processo di globalizzazione con connotati ben diversi da altri che hanno contrassegnato la storia del capitalismo nelle sue differenti fasi. I cambiamenti sono così rilevanti che possiamo a ragione parlare oggi di un nuovo capitalismo. Questa rivoluzione prende le sue mosse circa a metà degli anni '70 e i suoi inizi sono segnati dallo spezzarsi dal nesso tra sviluppo economico e aumento di un'occupazione tendenzialmente stabile, dalla fine della convertibilità del dollaro in oro, dalla prima grande crisi petrolifera, ma anche della necessità del sistema capitalista di dare una risposta sia alla grande crisi economica degli anni '74 - '75 sia a quel grande movimento rivoluzionario della fine degli anni '60 che, seppur con caratteristiche, intensità e durata diversa da paese a paese, si sviluppò a livello mondiale.
Questa rivoluzione che ha aperto una nuova fase nella storia del capitalismo, ha inciso profondamente nei sistemi e nell'organizzazione produttiva, nella composizione del capitale e nella strutturazione del lavoro, nel ruolo degli stati nazionali e nel funzionamento della democrazia, nella concezione della politica e della cultura, nelle relazioni internazionali e nell'uso della guerra, nella vita materiale e nell'immaginario collettivo di milioni di persone.
L'esito cui finora è approdata questa rivoluzione è quello di avere spostato i rapporti di forza a favore del capitale e a discapito del lavoro, di avere aumentato enormemente le diseguaglianze e le ingiustizie, le differenze sociali e le distanze tra paesi ricchi e paesi poveri, la concentrazione del potere in poche mani e la lontananza delle grandi masse da quest'ultimo, di avere provocato la distruzione dell'ambiente.
Per queste ragioni appare appropriato, usando un ossimoro, parlare di rivoluzione capitalistica restauratrice, cogliendo appieno la sua estrema novità e insieme la sua funzione di ribadire in forme ancora più acute e totalizzanti il dominio del capitale nel mondo intero.
La nuova fase del capitalismo e l'attuale processo di globalizzazione pongono problemi rilevanti di analisi e di interpretazione che infatti sono oggetto di un ampio dibattito internazionale al quale partecipiamo attivamente, a partire dalla rilevazione di alcune caratteristiche essenziali.

TESI 5 - IL CAPITALE torna all'indice
Il processo di autovalorizzazione del capitale si modifica: crescita spettacolare della finanziarizzazione, intensificazione dello sfruttamento del lavoro, materiale e "immateriale" sussunzione diretta della scienza nel ciclo produttivo. Muta l'organizzazione del lavoro, con il superamento del modello taylorista. E l'espansione produttiva si articola in termini radicalmente inediti su scala internazionale.

E' intervenuta una modificazione nel processo di valorizzazione del capitale, sia nel senso di un ulteriore, enormemente accresciuto, processo di finanziarizzazione (tra il 1970 e il 2000 il volume degli scambi finanziari è passato da 20 a oltre 2000 miliardi di dollari, di cui 4/5 sono rappresentati da operazioni di durata inferiore ai 7 giorni), sia perché è diventato relativamente assai più incidente lo sfruttamento diretto e indiretto del lavoro immateriale (dal campo dell'informazione a quello delle relazioni umane) senza che sia venuto meno quello sul lavoro materiale; sia perché assistiamo ad una diretta sussunzione dello sfruttamento dell'ambiente e della natura, nonché della stessa vita vegetale, animale e umana - attraverso un asservimento della ricerca scientifica e delle sue applicazioni nel campo delle biotecnologie.
E' intervenuta una modificazione dell'organizzazione produttiva, dopo la crisi di quella basata sul principio della produzione di massa per il consumo di massa che aveva contrassegnato il ciclo fordista - taylorista - keynesiano, con la tendenziale adozione di sistemi produttivi basati sul principio del cosiddetto "just in time", ossia mutuati dall'esperienza condotta nelle aziende Toyota in Giappone.
E' in corso un'articolazione produttiva che non ha precedenti in fasi pregresse di espansione internazionale del capitale e che permette, a volte anche all'interno della stessa azienda e del suo indotto, di far convivere, seppure in diverse zone geografiche, sistemi produttivi post-fordisti, con la permanenza di quelli fordisti o addirittura pre-fordisti e arcaici.

TESI 6 - IL LAVORO torna all'indice
Contrariamente alla vulgata sulla "fine del lavoro", il lavoro dipendente è cresciuto nel mondo a ritmi grandissimi. Ma gigantesca, in parallelo, è la sua frantumazione, mentre il mercato del lavoro tende a suddividersi in un nucleo di occupati "garantiti", sempre più ristretto, un'area di lavoratori precari , "atipici", progressivamente crescente, una massa di disoccupati, più o meno, cronici.

Siamo di fronte a un gigantesco processo di frantumazione del mondo del lavoro: contrariamente alla vulgata sulla "fine del lavoro" nel mondo, sia ora che nelle previsioni future di tutti gli enti internazionali che si occupano dell'evoluzione degli scenari economici e sociali, il lavoro dipendente è cresciuto ed è destinato a crescere enormemente su scala mondiale, qualunque sia la forma giuridica o la definizione sociologica che assume da paese a paese. Questo non deriva soltanto dal diffondersi della produzione industriale e della sua articolazione sul pianeta, ma dalla sussunzione nell'ambito del lavoro dipendente di figure un tempo appartenenti al lavoro autonomo. Contemporaneamente - e questo è ovviamente più evidente nei paesi a capitalismo maturo - è in corso una tripartizione del mercato e del mondo del lavoro, tra un nucleo sempre più ristretto di lavoratori a tempo pieno e indeterminato, una crescente area di lavoratori precari e atipici, una cronica disoccupazione di massa. In alcuni paesi - come negli Stati Uniti d'America - queste ultime appaiono meno estese semplicemente perché l'estrema liberalizzazione del mercato del lavoro rende ancora più larga l'area del lavoro precario ma i criteri con cui viene censito lo fanno rientrare statisticamente nel campo dell'occupazione.

TESI 7 - LA RIVOLUZIONE INFORMATICA torna all'indice
La così detta rivoluzione informatica modifica profondamente la composizione organica del capitale e contribuisce a rendere "incontrollabili" i movimenti finanziari. Nei sette paesi più industrializzati, gli scambi di moneta elettronica superano circa sette volte le riserve delle Banche centrali.

Un volano potente dell'attuale rivoluzione capitalistica e del processo di globalizzazione è certamente rappresentato dalla rivoluzione informatica e dal peso crescente dell'informazione e del prodotto intellettuale nei processi di valorizzazione del capitale. La velocità delle trasmissioni ha fornito inoltre un impulso determinante ai processi di finanziarizzazione del capitale, alla estrema rapidità e brevità delle transazioni e quindi al loro carattere prettamente speculativo, così come alla globalizzazione della produzione.
Non si tratta solo di un aumento quantitativo, ma di una modificazione qualitativa nella composizione organica del capitale, poiché grazie all'informatizzazione, viene ridotto il peso relativo del capitale fisso, cioè dei macchinari, nella formazione dei prezzi di produzione. Allo stesso tempo l'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione e della telecomunicazione hanno allo stato dei fatti accentuato e velocizzato in modo considerevole i movimenti di capitale che risultano spesso incontrollabili da parte degli stati nazionali, rendendo più profonde e gravi le crisi alla periferia dello sviluppo capitalistico e facendo presagire in futuro una accentuazione dell'instabilità dei cambi anche tra le valute delle aree forti.

TESI 8 - IL CROLLO DEL SOCIALISMO REALE torna all'indice
La globalizzazione è stata favorita dal fallimento dei sistemi detti di "socialismo reale" e - in Italia - dalla sconfitta operaia degli anni '80: la successiva temperie ideologica neoliberista ha coinvolto la sinistra moderata. A Maastricht l'Europa è nata sotto questo segno.

Questa rivoluzione capitalistica si è accompagnata - e da un certo momento in poi è stata favorita - al fallimento dei sistemi del "socialismo reale" e a una sconfitta operaia che, almeno in Europa, ha assunto rilevanti dimensioni. A partire dagli anni '80, in particolare in Italia dopo la sconfitta alla Fiat, i processi di ristrutturazione capitalistica si sono potuti giovare degli arretramenti del movimento dei lavoratori, gli stessi che spiegano la continua regressione dei partiti della socialdemocrazia e dei partiti comunisti europei. Gli attacchi allo stato sociale europeo, il processo stesso di costruzione dell'Unione europea, i contenuti del trattato di Maastricht e del Patto di stabilità, sono stati determinati in modo prevalente da coordinate neoliberiste accettate dai partiti dell'Internazionale socialista. In questo senso la globalizzazione capitalistica non si spiega grazie ad una sorta di determinismo economico, ma anche come il risultato di una offensiva politica e sociale da parte delle classi dominanti sia a livello nazionale che sovrannazionale. Questa spregiudicatezza nell'utilizzo di strumenti diversi dimostra la capacità delle grandi forze capitalistiche di liberarsi da qualsiasi controllo sulle proprie azioni, grazie all'accresciuta forza della concentrazione internazionale del capitale, non rinunciando allo stesso tempo ad esercitare pressioni sui singoli stati o gruppi di stati, come sull'Ue, per ottenere non solo ulteriori liberalizzazioni, ma anche il diretto sostegno ai propri interessi nelle relazioni internazionali, politiche, economiche, finanziarie e militari.
Il trionfo del liberismo e il salto di qualità nel processo di globalizzazione capitalistica sono dipesi anche dal fallimento dei paesi del "socialismo reale", in particolare dal crollo dell'Urss e dall'inserimento consapevole e progressivo della Cina nei meccanismi dell'economia di mercato. Questi avvenimenti hanno facilitato l'offensiva ideologica e materiale delle borghesie occidentali che hanno potuto estendere la legge del mercato in settori e territori che fino a non molto tempo fa ne erano esclusi.

TESI 9 - LE CRISI AMBIENTALI torna all'indice
Produttivismo e consumismo stanno provocando il collasso dell'ecosfera. Le emergenze del clima, dell'acqua, dell'energia, del cibo non si superano, se non attraverso un modello di sviluppo radicalmente alternativo

Lo sviluppo scientifico e tecnologico degli ultimi secoli ha permesso ad una parte del mondo straordinari progressi accompagnati però da contraddizioni crescenti, fra quest'ultime gli squilibri sempre più evidenti nell'ecosistema. Il produttivismo da una parte e il consumismo dall'altra hanno favorito una crescita incontrollata dell'uso di risorse naturali, la distruzione di interi ambienti, cambiandone fisicamente la struttura, eliminando quantità incalcolabili di specie viventi, immettendo sostanze in qualità e quantità tali da non essere "metabolizzate" nei normali cicli naturali.
Da alcuni decenni, si sono sviluppati movimenti tesi a far prendere coscienza che è impossibile espandere all'infinito l'uso di energia e di materie prime, la trasformazione profonda del territorio e la produzione di rifiuti: è l'ecosfera a garantire la sopravvivenza dell'uomo e la continuità di tutto il suo agire e a causa delle alterazioni introdotte l'ecosfera sta avviandosi al collasso totale.
E' evidente, inoltre, il fallimento della promessa di estendere a tutti il livello di consumi dei paesi più ricchi. Lo sviluppo tecnologico dei paesi industrializzati ha favorito la divaricazione fra i paesi più ricchi e quelli più poveri, distribuendo invece a tutti le conseguenze ambientali.
Per evitare il collasso dell'ecosistema e permettere ai paesi arretrati di raggiungere livelli di vita dignitosi, occorre ridurre drasticamente il consumo di risorse naturali nei paesi più industrializzati. La globalizzazione capitalistica sta inoltre determinando non soltanto il degrado dell'ambiente ma una vera e propria rottura tra il modello economico e sociale e l'esigenza di garantire la riproduzione ambientale. Questa globalizzazione provoca, dal punto di vista ambientale, un'accelerazione dell'entropia. I cicli economici si globalizzano interferendo con i cicli ambientali. Il moltiplicarsi degli spostamenti per le esigenze della produzione globale accresce a dismisura gli impatti. Il trasferimento delle produzioni avviene ricercando condizioni di maggiore sfruttamento anche dell'ambiente. La rottura tra la produzione alimentare e la sua dimensione territoriale distrugge i territori stessi e mette a rischio l'alimentazione. Nell'insieme si è affermato un rapporto perverso tra la crescita del prodotto interno lordo (Pil) e la produzione di effetto serra, mentre al contrario il Pil si è separato dalla produzione di occupazione stabile e di benessere sociale. Sono quindi messi in discussione il significato stesso di sviluppo e i parametri tradizionalmente utilizzati per misurarlo. L'insicurezza ambientale coinvolge la generalità delle persone. Si verificano grandi crisi ambientali che si intrecciano tra loro, sommando così gli effetti negativi: quella climatica, quella energetica, quella dell'acqua, quella alimentare, sia dal punto di vista del fenomeno della fame che della degradazione dell'alimentazione. Nei prossimi venti anni, la mancanza di acqua sarà causa di guerre in molte parti del mondo. Queste crisi, per essere effettivamente affrontate, pongono il problema di una radicale messa in discussione delle logiche di fondo dell'economia capitalistica e della sua globalizzazione. Il boicottaggio degli accordi di Kyoto dimostra che le classi dominanti cercano in ogni modo di garantire la sopravvivenza dell'attuale modello, scontando una crescita degli squilibri e del degrado. Perciò l'attuale assetto globale vuole garantirsi, pur tra contrasti, ma entro un orizzonte comune, anche il controllo della riproduzione manipolata attraverso il dominio genetico. Vi è l'esigenza, non rimandabile, di mettere in campo un diverso progetto di economia e società che metta in discussione il modo attuale di produzione, nella consapevolezza che lo sviluppo non può più non rispettare i tempi biologici della natura e che è necessario arrivare ad una società basata sull'equilibrio. In questo contesto si collocano i grandi temi della salvaguardia della biodiversità e dei diritti e tutele delle diverse specie viventi. I diritti degli animali costituiscono quindi parte integrante della costruzione di un diverso mondo possibile.

TESI 10 - LA CRISI DELLO STATO-NAZIONE torna all'indice
Gli stati nazionali crescono di numero, ma vanno progressivamente smarrendo potere. La politica economica viene esercitata dalle multinazionali, da grandi organismi internazionali (dal Fmi al Wto), mentre le priorità di bilancio (ma anche le politiche di sicurezza) sono decise a livello sovranazionale (la Ue). Si svuota la tradizionale funzione di mediazione dello Stato che diventa "garante" degli investimenti del capitale internazionale e dell'espansione del mercato.

Se queste sono le principali modificazioni intervenute sul piano strutturale ed economico, quelle che riguardano il terreno istituzionale e delle relazioni internazionali possono essere riassunte nelle seguenti.
Assistiamo da tempo ad un processo di crisi dello stato-nazione. Questo non significa la sparizione degli stati - anzi il loro numero è in continuo aumento - ma una rilevante perdita di potere e di autorevolezza in molti campi ed una marcata modificazione di ruolo. Lo stato-nazione è messo in discussione da due lati e da due processi, dall'alto e dal basso.
E' messo in discussione perché perde la sovranità su molte materie che un tempo erano di sua tradizionale pertinenza. Nel campo della politica economica assistiamo ad una drastica limitazione delle stesse possibilità di programmazione economica, poiché le leve di comando dell'economia risiedono nei grandi organismi costruiti su basi a-democratiche a livello internazionale, come il Fondo monetario internazionale (FMI), l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), la Banca mondiale (BM), l'organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (OCSE). Le decisioni di politica economica e di bilancio sono condizionate in modo assolutamente prevalente da accordi sovranazionali, come, nel caso europeo, dal trattato di Maastricht e dal conseguente Patto di Stabilità. La tradizionale funzione mediatoria che lo stato ha avuto, pur nella sostanziale difesa della società capitalistica, anche sul terreno di una certa ridistribuzione del reddito e della organizzazione dei servizi sociali, tende ad essere sostituita da quella di porsi come migliore garante dell'allocazione degli investimenti del capitale internazionale e della creazione di nuovi terreni per il mercato, con la riduzione dello spazio pubblico.
Nello stesso tempo le forme sovranazionali di comando spingono verso una costante diminuzione della democrazia, verso sistemi a-democratici e di democrazia autoritaria all'interno degli stati nazionali. Questi processi sono ulteriormente amplificati dallo stato di guerra permanente instauratosi in questi ultimi anni, dai conseguenti fenomeni di militarizzazione in atto e dall'enfatizzazioni di logiche sicuritarie. Persino le funzioni di ordine pubblico che venivano gestite dai governi nazionali entro il proprio territorio, dipendono sempre più da decisioni e ordini che provengono da centri di comando internazionali, come si è verificato in occasione dei recenti vertici, come quello di Genova.

TESI 11 -LA DISARTICOLAZIONE DELLO STATO torna all'indice
I poteri decisionali dello Stato-nazione vengono erosi, in basso, dalla spinta alla frammentazione localistica, che in Italia ha assunto la forma del federalismo. Una scelta funzionale allo smantellamento progressivo del Welfare

Contemporaneamente il ruolo degli stati-nazione è attaccato dal basso, ossia da un processo di frammentazione su scala locale del residuo potere decisionale, che nel nostro paese ha assunto la forma di una modificazione in un senso cosiddetto federalista della stessa Costituzione. E' un processo che si accompagna ed è funzionale ai processi di privatizzazione - che nel nostro paese sono stati negli ultimi anni particolarmente massicci - e di distruzione del welfare state sul piano interno, nonché alle tendenze - del resto apertamente teorizzate - delle aree forti, cioè delle aree omogenee per "affari", a collegarsi direttamente tra loro saltando ogni mediazione statuale e sfruttando incentivi e legislazioni favorevoli a livello sovranazionale. Anche in questo caso non assistiamo ad un avvicinamento delle sedi decisionali al cittadino, ma al contrario ad un'ulteriore occupazione dello spazio pubblico da parte dell'interesse privato e del mercato, ad una sottrazione di democrazia, ad un ulteriore indebolimento della coesione della comunità nazionale.

TESI 12 - LA GUERRA, NUOVA DIMENSIONE DELLA POLITICA INTERNAZIONALE torna all'indice
Mentre deperiscono le sedi storiche di governo delle relazioni tra gli stati, come l'Onu, si rafforzano strutture come il G8 e la Nato. La guerra diventa la modalità stessa della politica internazionale: essa è costituente nel senso che tende a costituire sia un nuovo assetto unipolare ("amicizia" di lungo periodo tra Usa, Russia e Cina) sia i propri organi di dominio, sia alleanze a geometria variabile.

Gli organismi internazionali che erano preposti al governo delle relazioni internazionali conoscono una profonda crisi ed una cancellazione del loro ruolo sia possibile che reale. E' il caso dell'ONU sostituito sul piano politico e militare dal G8 e dalla Nato e su quello delle politiche economico - sociali dall'OMC e da altri organismi e momenti di incontro specifici tra i paesi più ricchi e dominanti.
La stessa politica internazionale subisce una profonda torsione. La guerra non è più soltanto la prosecuzione della politica con altri mezzi, secondo la celeberrima definizione, ma è sempre più - con un'accelerazione intensissima nei recenti anni '90 - la dimensione stessa della politica internazionale nell'epoca della globalizzazione: il passaggio dalla guerra minacciata alla guerra guerreggiata avviene senza soluzione di continuità, senza atti di dichiarazioni internazionali che l'annuncino, al di fuori di sedi istituzionalmente predisposte ad assumere decisioni di questa natura limitando il ruolo degli stati nazionali a quello di offrirsi come semplici pedine all'interno di strategie militari decise in altro luogo. Con la guerra del Golfo e in particolare con quella dei Balcani, la guerra ha assunto il ruolo di costituente di un nuovo ordine mondiale, che ora, nella prima guerra della globalizzazione, cominciata con l'attacco anglo-americano dell'Afganistan, sembra dotarsi di ulteriori nuovi strumenti di governo a geometria variabile (al di là degli stessi G8 e Nato, essendone evidenti, soprattutto per quest'ultima, i limiti di fronte alla nuova situazione mondiale), attorno a un asse costituito dagli Stati Uniti d'America, dalla Russia e dalla Cina.
In sostanza il processo di globalizzazione pur non essendo né lineare né privo di contraddizioni, è tutt'altro che anarchico e incontrollato. Al contrario produce e rinnova continuamente i suoi organi di governo, entro i quali cerca di compensare le contraddizioni e le tensioni che si producono al suo interno e tra i suoi stessi protagonisti. Questi organi di governo sono costruiti su base assolutamente a-democratica, estranei e contrapposti agli organi legittimamente fondati e riconosciuti da governi, nazioni e popoli, impermeabili alla volontà popolare e violentemente ostili e ferocemente repressivi verso qualunque movimento o istanza contestativi.

TESI 13 - IL RUOLO DEGLI USA torna all'indice
Una consistente eccezione alla crisi degli stati nazionali concerne gli Stati uniti d'America: paese-guida della rivoluzione capitalista e della globalizzazione, esso occupa oggi una posizione egemonica nella costruzione del nuovo ordine mondiale unipolare, anche in virtù della sua potenza militare.

Naturalmente la crisi dello stato nazione non investe tutti gli stati nella stessa misura e allo stesso modo. In aree del mondo forme di resistenza nei confronti del processo di globalizzazione, che possono accentuarsi nell'attuale fase di crisi di quest'ultimo, si muovono anche facendosi forza della dimensione statuale. Certamente questa crisi non riguarda il ruolo degli Stati Uniti d'America. Questo stato si pone come il motore del processo di globalizzazione. Le ragioni sono storiche, economiche, militari e di modello sociale. Gli Stati Uniti sono il paese che con il sistema fordista-taylorista-keynesiano e il new deal ha sperimentato e diffuso le più importanti esperienze di strutturazione e organizzazione del sistema capitalista nella prima metà del novecento; sono usciti dal secondo conflitto mondiale con una funzione di guida nel cosiddetto primo mondo nel quale si concentrava il sistema capitalista; hanno avuto un ruolo preminente in campo finanziario e monetario, anche attraverso gli accordi di Bretton Woods; hanno rafforzato la loro autorevolezza nella lunga contesa contro il campo dominato dall'Unione sovietica; sono la sede originaria di molte delle principali imprese finanziarie e delle multinazionali; hanno sviluppato una potenza militare soverchiante rispetto ad ogni altra; hanno modellato un sistema sociale ed economico che vuole apparire come l'inveramento più autentico delle dottrine neoliberiste anche se l'economia di quel paese è dipesa in modo consistente da politiche di gestione dall'alto delle dinamiche apparentemente spontanee di mercato, politiche sovente mercantilistiche e protezionistiche condotte sotto la bandiera ideologica del liberoscambismo.
Sulla base di tutto questo gli Stati Uniti d'America si sono trovati in posizione di guida nell'attuale rivoluzione capitalistica e nel processo di globalizzazione, pur essendo stato rilevante il concorso anche di altri paesi, per certi periodi in aperta competizione con gli stesi USA, come il Giappone specialmente per quanto riguarda l'innovazione dei modelli e dell'organizzazione produttiva.
Nel corso dell'esercizio pluriennale di una funzione preminente nel sistema capitalistico gli Stati Uniti hanno tuttavia conosciuto rilevanti modificazioni particolarmente per quanto riguarda la gestione dei flussi finanziari e i loro rapporti con gli altri paesi: infatti gli USA che erano la più importante fonte mondiale di liquidità e di investimenti all'estero negli anni '50 e '60, sono diventati, oggi, il maggior paese debitore e il più grande ricettore di investimenti stranieri.
L'insieme di questi processi colloca oggi gli USA in una posizione egemonica nella costruzione degli strumenti di governo unipolare e oligarchico del mondo, ruolo che è ancora più sottolineato e favorito dall'esercizio della guerra, come è stato ulteriormente confermato nell'attuale conflitto contro l'Afganistan. La potenza militare degli Usa - e lo sviluppo della tecnologia ad essa finalizzata - è assolutamente soverchiante ed essi la sfruttano appieno per ribadire la loro primazia nel processo di globalizzazione, come dimostra anche l'attuale discussione attorno alla costruzione dello "scudo spaziale".

TESI 14 - IL SUPERAMENTO DELLA NOZIONE CLASSICA DI IMPERIALISMO (approvata dal Comitato Politico Nazionale) torna all'indice
La nozione classica di imperialismo, nei termini definiti da Lenin, Luxemburg e Hilferding, appare oggi inadeguata. Essa "sintetizzava" fenomeni quali la centralizzazione capitalistica al crescente livello dello Stato, la fusione tra capitale industriale e finanziario, gli scontri anche militari tra potenze imperiali per il controllo di risorse, territori, mercati. Oggi, all'opposto, il capitalismo si muove su straordinarie concentrazioni trans e sovranazionali, che condizionano le scelte e la politica degli Stati, anche i più forti, ed è cresciuta l'autonomia dei mercati finanziari. Ma soprattutto, nella generale accettazione della globalizzazione capitalistica che coinvolge tutte le potenze a livello mondiale, i contrasti tra gli Stati non producono di per se né la costruzione di un campo antimperialista né dirompenti contraddizioni di tipo interimperialistico. Come del resto, paesi aggrediti delle grandi potenze, non si trasformano per questo in soggetti antimperialisti.

In questo quadro così mutato la nozione classica di imperialismo appare inadeguata per caratterizzare l'attuale fase dello sviluppo capitalistico. Conseguentemente catalogare i contrasti e i conflitti internazionali fra stati come effetti delle contraddizioni interimperialistiche sarebbe totalmente fuorviante. Il processo di accumulazione capitalistica ha avuto sin quasi dagli inizi una dimensione sovrannazionale. L'imperialismo, nei termini definiti da Lenin e da Rosa Luxemburg, come pure, con le distinzioni necessarie, da Hilferding, si è sviluppato a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo ed ha raggiunto il suo culmine con la Prima guerra mondiale. Dopo la Seconda guerra mondiale, ha assunto nuove forme per cui è stata pertinentemente usata la categoria di neocolonialismo o neoimperialismo. L'analisi del fenomeno imperialista, come si presentava nella prima parte del secolo scorso, si basava essenzialmente sull'osservazione della fusione tra il capitale finanziario e il capitale industriale, sulla tendenza alla creazione di monopoli, su processi di centralizzazione capitalistica che avvenivano a livello statale ed attraverso gli stati esercitavano la loro potenza a livello internazionale, sull'esportazione di merci e capitali verso nuove terre, sull'utilizzo di scontri armati e delle guerre fra stati imperialisti e capitalisti per il controllo di territori, di risorse, di mercati.
Oggi le condizioni sono radicalmente mutate. I processi di centralizzazione e concentrazione capitalistica hanno assunto un carattere sovranazionale senza precedenti con mutazioni nella strutturazione della proprietà dei mezzi di produzione e di scambio, con una diversa distribuzione territoriale e con un ruolo enormemente accresciuto dei mercati finanziari che tendono ad operare con una relativa autonomia. Le varie funzioni del denaro, quale mezzo di scambio, di risparmio e di investimento vengono strettamente compenetrate per un più totale dominio dei mercati globali. La presenza dei centri decisionali del capitale in determinati stati piuttosto che in altri - e fra i primi in modo preminente negli Stati Uniti d'America - non significa che essi si muovono sulla forza degli stati ma, al contrario, che essi ne condizionano e ne determinano non solo la politica, ma anche modi di funzionamento.
Queste tendenze contemporanee e il nuovo contesto segnato dal crollo dei paesi del "socialismo reale" e dalla fine della "guerra fredda", autorizzano la conclusione che non è affidabile ai contrasti tra paesi capitalisti e alle contraddizioni interimperialistiche la crisi e la sconfitta della globalizzazione capitalistica e che è improponibile l'ipotesi di guerre interimperialistiche. Di conseguenza i conflitti di questa fase e quelli in prospettiva non possono essere interpretati in funzione di contrapposizione tra le maggiori potenze. Vanno e andranno collocati entro l'esigenza di gestione della globalizzazione capitalistica e di salvaguardia del sistema nel suo insieme, al quale si oppone il movimento no-global.

(qui l'emendamento a questa tesi)

 

TESI 15 - I NUOVI ASSETTI DEL MONDO torna all'indice
Nella fine dell'ordine bipolare, si è consumata non solo l'idea tradizionale di divisione tra un Primo, un Secondo e un Terzo mondo, ma quella, più recente, tra Nord e Sud. Più efficace ci pare il paradigma delle contraddizioni tra i diversi Centri e le diverse Periferie della globalizzazione. Muta la stessa nozione di territorio: oggi è più corretto parlare di "luoghi-mondo", sistemi urbani collegati dalla rete e da flussi stabili di comunicazione

La contraddizioni tra grandi paesi capitalisti non hanno comportato da tempo e non comportano guerre tra loro, non solo a causa del superamento dei confini nazionali operato dalle grandi centralizzazioni capitalistiche, ma anche perché i vari organi di governo del processo di globalizzazione, seppure dominati politicamente dagli USA, servono da camera di compensazione dei contrasti e delle contraddizioni che pure permangono, ed impediscono che questi giungano alla forma acuta di un conflitto armato.
Il mondo non è più diviso in blocchi contrapposti, né tripartito tra Primo, Secondo e Terzo mondo, come veniva analizzato da una parte importante del movimento comunista internazionale nel secondo dopoguerra. Tra i paesi che erano inclusi allora nel Terzo mondo, rilevanti sono state le modificazioni sia dal punto di vista economico che politico - si pensi all'est dell'Asia - che renderebbero impossibile proporre unità di condizioni e di schieramenti del tipo di quelli sperimentati nel passato, cioè dei cosiddetti paesi non allineati.
Lo stesso contrasto fra Nord e Sud del mondo va riletto alla luce delle nuove trasformazioni. Pur avendo la globalizzazione determinato - come abbiamo già visto - l'aumento enorme delle diseguaglianze tra i paesi più ricchi e quelli più poveri, appare più giusto e fertile leggere le contraddizioni mondiali secondo un asse di contraddizione tra Centro e Periferia del processo di globalizzazione. Anzi tra più centri e più periferie, poiché gli uni e le altre possono trovarsi su scala locale entro gli stessi paesi capitalistici più sviluppati.
In questo senso muta anche la concezione tradizionale di geopolitica. E' infatti necessaria una ridefinizione dello stesso concetto di territorio riguardo al processo di globalizzazione, poiché quest'ultimo ha bisogno sì di localizzazioni, ma queste anziché riconoscersi nei territori degli stati, si concentrano in sistemi territoriali prevalentemente urbani collegati attraverso reti materiali e immateriali di comunicazione (in luoghi-mondo, secondo una felice terminologia socio-economica). Indubbiamente la scomparsa di un campo contrapposto a quello capitalista da un lato e le necessità economiche del processo di globalizzazione dall'altro, hanno esposto ulteriormente le periferie del sistema capitalista mondiale ad una ulteriore depredazione e ad uno stato continuo di guerre.
Queste ultime sono fomentate o condotte direttamente dallo stato guida della globalizzazione, gli USA, e dagli organi da esso dominati, sia per ribadire l'impossibilità di sottrarsi a quel processo e al governo unipolare del mondo e in questo caso, assumono le caratteristiche di atti punitivi, di ritorsioni e di rappresaglie sia per mantenere o conquistare il controllo e il possesso di fondamentali materie prime, tra cui fonti energetiche quali il petrolio che continuano ad avere un importanza strategica fondamentale.
Conseguentemente appare improponibile l'idea della costituzione di fronti antimperialistici tra stati. Non solo per le mutate caratteristiche dell'attuale capitalismo, ma per le indisponibilità degli stessi soggetti. Questo è dimostrato dal processo di convergenza con gli USA sulla guerra in Afghanistan di Russia e Cina, dalla disponibilità della prima nei confronti della Nato e dal comportamento tenuto anche nell'ultimo vertice dei G8 di Genova. Così come l'ingresso nel WTO della Cina conferma la sua propensione ad integrarsi nel processo di globalizzazione. In questo quadro può proseguire l'attuazione di un progetto annessionista statunitense e dell'annullamento delle sovranità statuali nel suo "cortile di casa". Dopo la creazione del NAFTA (Area di libero commercio del nord America), dopo la proposta dell'Accordo multilaterale sugli investimenti (AMI) e i negoziati dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), la creazione dell'Area di libero commercio delle Americhe (ALCA) dal Canada alla Patagonia, rappresenta oggi il più avanzato progetto commerciale, politico e militare che ridefinisce la presenza egemonica degli Stati uniti su tutto il continenente e non solo. Si tratta di un mercato potenziale di più di 800 milioni di consumatori, di una riserva strategica di risorse energetiche come il petrolio, ma anche di acqua e della biodiversità amazzonica. L'ALCA ha nel "Plan Colombia" il suo braccio armato e nell'Iniziativa andina la sua estensione regionale.
Questo non significa che nel mondo sia in corso un processo di omologazione assoluta al sistema capitalista, né che tra gli stessi stati maggiori e più forti, in Europa come in Asia, non vi siano contrasti con gli USA: ma questi oggi avvengono entro questo processo di globalizzazione non contro di esso, e l'evoluzione futura di questi contrasti, in senso ulteriormente integrativo o nuovamente conflittuale, è legata all'esito della crisi nel processo di globalizzazione, di cui ora stiamo avvertendo consistenti manifestazioni.

(qui l'emendamento a questa tesi)

 

TESI 16 - LO STATO DELL'UNIONE EUROPEA torna all'indice
Drammatica è la crisi della costruzione europea, mera unità monetaria sempre più prigioniera dei suoi vincoli di compatibilità, sempre meno soggetto politico dotato di autonomia. Sempre più evidente la sua natura a-democratica, a cui non ha certo ovviato la Carta di Nizza.

L'attuale situazione mondiale mostra per intero la debolezza politica della costruzione europea. Di fronte alla attuale guerra, come già successe nel caso dei Balcani, i vari governi della Unione Europea (UE) si sono messi in gara nell'offrire i migliori servizi agli Usa. Questi ultimi hanno così potuto risottolineare la loro totale preminenza politica sui singoli paesi europei e sull'Unione in modo addirittura mortificante per quest'ultima. Il comportamento dell'Italia è stato un esempio lampante.
In sostanza l'Unione Europea è sempre più un'unità monetaria e una potenza commerciale e sempre meno un soggetto politico dotato di autonomia sulla scena internazionale.
Non solo, ma anche sul terreno squisitamente economico l'UE si rivela priva di qualunque capacità di iniziativa autonoma. Mentre negli USA vengono riproposte politiche economiche di deficit spending, seppure di destra, i paesi europei sono paralizzati dall'osservanza dei vincoli imposti dal Patto di Stabilità. La Banca Centrale Europea si è finora rifiutata infatti di avviare politiche anticicliche con la scusa di prevenire il rilancio dell'inflazione.
Contemporaneamente in molti paesi europei vengono portati avanti processi di privatizzazione, di distruzione dello stato sociale, di liberalizzazione del mercato del lavoro che tendono ad omologare il modello sociale europeo a quello americano o comunque ad assumere ed applicare nella loro interezza le dottrine neoliberiste.
Intanto è sempre più evidente il carattere a-democratico dell'attuale processo di costruzione europea. Il Parlamento Europeo che pure è un organo elettivo, per di più secondo una legge elettorale di tipo proporzionale, è privato di poteri decisionali a vantaggio di organismi (come la commissione europea) a carattere non elettivo. Questo carattere a-democratico non è stato affatto modificato dalla Carta dei diritti approvata a Nizza nel 2000 che infatti abbiamo già criticato per le sue caratteristiche del tutto astratte dalla condizione sociale che si vive in Europa. Nello stesso tempo assistiamo ad un'impasse della discussione sull'allargamento dell'UE a nuovi Stati.
In sostanza la costruzione europea versa in una grave crisi, che rischia, data l'attuale stretta mondiale, di farsi irreversibile. L'unica possibilità per rilanciare l'idea di un'Europa unita, soggetto democratico e attivo politicamente sulla scena mondiale, è rappresentata dal protagonismo di movimenti di massa, di nuovi attori sociali e politici che sappiano, assieme alla battaglia per la democratizzazione della costruzione europea - e quindi per una Costituzione europea capace di affermare i diritti universali e la partecipazione dei cittadini - portare al più alto livello le conquiste della civiltà e del modello sociale del nostro continente frutto di lotte ormai secolari del movimento democratico e delle classi subalterne. Anche la realizzazione di questa possibilità, oltre che riguardare la crescita dei movimenti su scala europea e mondiale, nonché di un nuovo soggetto politico europeo capace di unire le forze politiche dell'alternativa, dipende dall'evoluzione della nuova fase di crisi del processo di globalizzazione che è sotto i nostri occhi.

TESI 17 - LA CONDIZIONE DEI MIGRANTI torna all'indice
La guerra globale si nutre di razzismo e xenofobia, anzi della "razzizzazione" del nemico, e del nemico interno. Si aggrava drammaticamente la condizione dei migranti e dei profughi, che vengono privati di diritti fondamentali e ridotti a forzalavoro usa-e-getta.

La prima guerra globale esalta e al tempo stesso si nutre dell'eterofobia e del razzismo. Non è certo un fenomeno inedito: la "razzizzazione" del nemico, il sospetto o la caccia contro il "nemico interno", in definitiva il nesso fra guerra e razzismo hanno caratterizzato anche i conflitti bellici del Novecento. Ma nel caso dell'attuale conflitto civile planetario v'è qualcosa di più: non trattandosi di una guerra fra Stati sovrani, l'evanescenza del Nemico si traduce in una diffusa e pervasiva "nemicizzazione" dell'Altro, di chiunque sia reputato estraneo alla "Civiltà occidentale". La xenofobia e il razzismo divengono così parte integrante ed essenziale della struttura che regge la guerra planetaria.
Inoltre: il ciclo terrorismo - guerra - minaccia del terrorismo, tendenzialmente instaura uno stato di eccezione generalizzato e permanente, che ha come corollari un nuovo "maccartismo", la riduzione o cancellazione di libertà democratiche, l'enfatizzazione dei miti e dei dispositivi di sicurezza. E quando si rafforzano l'ideologia e le pratiche sicuritarie, le prime vittime sono i migranti, i profughi, gli "estranei", additati come complici del nemico e al tempo stesso come causa di insicurezza.
Nei paesi dell'Unione europea, questo clima contribuisce ad aggravare le condizioni materiali dei migranti e dei profughi, e ad esaltare la tendenza a privarli di diritti fondamentali, a cominciare dal diritto all'asilo e da quello ad avere uno status e un soggiorno legali. Il clima da caccia al nemico interno, inoltre, rallenta il pur lento processo di cittadinizzazione dei "residenti non cittadini" presenti in Europa -almeno tredici milioni di persone- e favorisce il tentativo, costantemente perseguito dal padronato, di ridurli a forza-lavoro "bruta", a manodopera usa-e-getta, come è evidente in Italia nel disegno di legge Bossi - Fini.
Appare chiaro allora che la difesa dei migranti e dei profughi, della loro sicurezza, dei loro diritti, del loro lavoro, è parte ineludibile della strategia contro la guerra civile planetaria e permanente. Ma c'è di più. Oggi è indispensabile praticare una modalità di conflitto che sia sempre transculturale, ed occorre essere consapevoli che la creazione di uno schieramento sociale d'alternativa non può fare a meno dei migranti, e che da essi non può prescindere la stessa composizione, singolare e collettiva, della soggettività comunista nel nuovo secolo.
Del resto, sostenere il movimento di lotta delle immigrate e degli immigrati per la completa parità dei diritti (in Italia come in Europa), non è pura questione di umanitarismo ne di semplice solidarietà. E' al contrario una questione essenziale di autodifesa che le lavoratrici e i lavoratori italiani devono condurre contro l'imbarbarimento della vita, della società e della politica. Le politiche neoliberiste hanno infatti operato una generale precarizzazione delle condizioni di vita e di lavoro e puntano strategicamente sulla guerra tra i poveri, sostituendo al conflitto di classe il conflitto interetnico. D'altra parte è evidente che l'immigrata/o senza diritti, o con diritti estremamente limitati, è oggettivamente più concorrenziale in certi settori del mercato del lavoro. E' soprattutto l'immigrata/o che subisce maggior sfruttamento, incidenti, condizioni di lavoro ai margini della legalità e la sua condizione di minorità giuridica e sociale è tale da erodere, in tempi più o meno rapidi, le stesse condizioni di lavoro delle/i lavoratrici/ori italiani. Per questo la ricomposizione di classe tra tutti i lavoratori, nativi e migranti, costituisce un punto fondamentale del nostro progetto politico.

TESI 18 - LA RECESSIONE ECONOMICA MONDIALE torna all'indice
L'economia americana non tira, dopo quasi dieci anni di crescita ininterrotta: ritornano politiche di "deficit spending" di destra e di guerra . L'Europa è ferma. Il Giappone ha rallentato. Manca la possibile locomotiva dello sviluppo: perciò, la "grande depressione" non è impossibile.

Il grande elemento di novità che si è ora introdotto è una crisi nel processo di globalizzazione. Non siamo di fronte né ad un arresto, né ad un possibile ritorno indietro, ma certamente ad una crisi evidente sotto molti aspetti, che apre una nuova fase nella stessa globalizzazione. Il processo di globalizzazione ha conosciuto più di un episodio di crisi economica e finanziaria, si può ricordare il crack borsistico del 1987 o la grande crisi finanziaria che prese le mosse dalle cosiddette Tigri asiatiche nel 1997. Ma ora siamo di fronte a qualcosa di più profondo e di più grave, antecedente alla distruzione delle Twin Towers, ma da quell'episodio ulteriormente amplificato. In sostanza in mondo ha preso coscienza di essere entrato in una fase di recessione economica - se non peggio - solo dopo l'11 settembre, benché lo fosse realmente già da prima.
Se guardiamo la situazione economica mondiale a partire dagli Stati Uniti d'America, vediamo che la crisi era ben antecedente all'attacco terroristico e ha finito con il colpire tanto la "nuova" quanto la "vecchia" economia, di fatto inestricabili. Sotto questo profilo siamo di fronte - seppure in un modo nuovo - ad una tipica crisi di sovrapproduzione (negli Usa, ad esempio, gli investimenti enormi fatti nelle infrastrutture ottiche sono stati utilizzati solo per un'infima quantità). La grande bolla finanziaria sulla quale il mondo capitalistico siede aveva peraltro iniziato a sgonfiarsi all'inizio del '2000 e gli effetti non hanno tardato a manifestarsi nelle Borse di tutto il mondo. E' certo comunque che l'attuale "ritorno dello stato" avviene aggravando e non attenuando la feroce redistribuzione a danno dei ceti meno abbienti, e senza rimessa in questione della qualità dello sviluppo.
La crescita economica mondiale, pur calcolata con i criteri dominanti che contestiamo, indica un pesante rallentamento rispetto al decennio passato. L'economia americana dopo 9 anni di crescita non tira, quella europea neppure, il Giappone è fermo da tempo. Gli effetti sono evidenti: i consumi si riducono, i licenziamenti si moltiplicano, la disoccupazione cresce, la povertà aumenta ancora di più tra le classi lavoratrici. L'Agenzia delle Nazioni unite che osserva l'evoluzione del lavoro (ILO) prevde che nel 2002 vi saranno 24 milioni di posti di lavoro in meno nel mondo, per lo più concentrati in Asia e nei paesi poveri.
Gli USA cercano di reagire con una manovra anticiclica costituita da un rilancio dell'intervento pubblico a sostegno delle aziende, in particolare quelle connesse alla produzione di tipo bellico, e di un aumento dei consumi interni, favoriti anche da una restituzione del precedente prelievo fiscale. In sostanza essi praticano politiche di deficit spending. Questo ritorno a una manovra attiva della spesa pubblica, dopo anni di propaganda ideologica a favore delle dottrine liberiste, avviene in una chiave marcatamente di destra. Ora la produzione e il consumo di ordigni bellici di ogni tipo hanno un ruolo centrale. Nello stesso tempo la crisi della new economy spinge l'economia americana verso soluzioni inaccettabili per gli equilibri ambientali, come anche destabilizzazioni avventuristiche sul piano geopolitico: da qui il rifiuto americano dell'osservanza degli accordi di Kyoto nell'ambiente e l'accentuazione di un interesse primario - peraltro mai sopito - per il petrolio e le fonti energetiche non rinnovabili e conseguentemente per il controllo di quelle zone del mondo decisive a questo riguardo.
Invece negli altri paesi capitalisti continua la predicazione del liberismo allo stato puro e la sottomissione ai vincoli di bilancio.
Così è per l'Europa, prigioniera - malgrado qualche impazienza - del Patto di Stabilità.
Le previsioni per un'uscita dalla crisi sono incerte; anche perché manca l'individuazione di un paese e di una zona del mondo che funzioni da locomotiva. L'attuale recessione - e ciò è già presente nelle considerazioni di numerosi analisti - può perciò trasformarsi in una grande depressione, con incalcolabili conseguenze sul piano sociale.

 

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