Tesi 25 - INTERVENTO NEL MOVIMENTO ANTIGLOBALIZZAZIONE IN ITALIA (torna all'indice)
Il movimento antiglobalizzazione in Italia ha conseguito una reale dimensione di massa e racchiude rilevanti potenzialità anticapitalistiche. Ma è decisiva la sua convergenza di lotta con la classe operaia come condizione dell'affermazione delle sue stesse ragioni. Lavorare nella classe operaia per l'assunzione delle istanze del movimento antiglobalizzazione entro un programma di classe. Lavorare nel movimento antiglobalizzazione per la sua aperta proiezione di lotta verso il movimento operaio entro il conflitto centrale tra capitale e lavoro. Questa è oggi una necessità centrale della battaglia di egemonia dei comunisti per la ricomposizione di un blocco sociale anticapitalistico. Ma richiede un impegno di lotta, entro la costruzione del movimento, contro le posizioni prevalenti nelle sue attuali direzioni.

Il movimento antiglobalizzazione ha conquistato un ruolo obiettivo di grande rilevanza nello scenario italiano. Più che in altri Paesi europei esso ha conseguito una reale dimensione di massa, in particolare tra i giovani, testimoniata dalla grande manifestazione di Genova; ha coinvolto reali settori di avanguardia della classe lavoratrice e delle sue rappresentanze sindacali; ha esercitato ed esercita un rilevante impatto politico sull'intera situazione nazionale. Più in generale esso si circonda di una diffusa simpatia popolare, quale effetto indiretto della crisi di egemonia del liberismo presso ampi settori di massa. Per questo il movimento rivela un potenziale prezioso di ulteriore espansione, che gli eventi di guerra non hanno pregiudicato.

Ma proprio questa realtà e potenzialità sottolineano i problemi irrisolti dell'orientamento del movimento. La sproporzione tra il livello complessivamente arretrato della coscienza politica diffusa del movimento e l'elevato livello di scontro con l'apparato dello Stato e lo stesso governo, documentata dai fatti di Genova; lo scarto tra l'elementare pulsione critica antiliberista e il livello di confronto imposto dalla precipitazione della guerra imperialistica in Afghanistan, descrivono una contraddizione obiettiva e pericolosa, in parte inscritta inevitabilmente nell'inesperienza della giovane generazione, in parte amplificata dalla cultura riformistico-paficista della direzione maggioritaria del movimento.
Il nostro partito, forte di una presenza diffusa nel movimento, può e deve impegnarsi ad affrontare e superare in avanti quella contraddizione, nell'interesse del movimento e delle sue ragioni. Non può concepire il proprio ruolo né come pura rappresentanza istituzionale delle istanze di movimento; né come mediatore tra movimento e istituzioni; né come puro collante dell'unità del movimento intesa come blocco politico-diplomatico con le componenti associative centrali della sua leadership. Ma deve invece combinare un'azione leale di costruzione quotidiana del movimento di massa antiglobalizzazione con un'aperta battaglia di orientamento politico nel movimento stesso: una battaglia tesa a sviluppare la coscienza politica del movimento sul terreno anticapitalistico e antimperialista, la sua autonomia e contrapposizione a centrodestra e centrosinistra, la sua convergenza di lotta con la classe operaia sul terreno del blocco sociale alternativo. Una battaglia aperta di egemonia alternativa.

L'azione di costruzione del movimento implica innanzitutto un'aperta responsabilità di proposta sullo stesso terreno delle forme di lotta e di organizzazione del movimento. In questo ambito va contrastata ogni posizione, ciclicamente affiorante, che di fatto propone al movimento una sorta di ripiegamento seminariale e un arretramento dei suoi livelli di mobilitazione (come nella fase successiva alle manifestazioni di Genova, alla vigilia della manifestazione di Napoli contro la NATO, in relazione alla stessa manifestazione di Roma del 10 novembre). Va posta invece la centralità delle manifestazioni, pacifiche e di massa, quale terreno di lotta indispensabile ai fini dell'aggregazione, dell'impatto politico, della stessa visibilità e popolarizzazione delle ragioni del movimento. Va affrontata seriamente, in questo quadro, la problematica dell'autodifesa delle manifestazioni da qualsiasi forma di aggressione, quale strumento di tutela del carattere pacifico e di massa delle manifestazioni medesime (v. servizi d'ordine). Va inoltre affrontata la questione dell'organizzazione democratica nazionale di un movimento che proprio per la sua espansione, non può più reggersi su un puro patto di vertice inter-associativo, ma deve coinvolgere democraticamente la massa degli attivisti, oggi privi di ogni potere decisionale, nella definizione delle scelte del movimento stesso e delle sue rappresentanze ad ogni livello: pena il combinarsi di una crisi di democrazia, di un'elusione delle scelte, di una debole rappresentatività delle decisioni.

Sul piano politico è necessario sviluppare, nel movimento la proposta di convergenza di lotta con la classe operaia, sul terreno dell'opposizione aperta al padronato e al governo Berlusconi. Non si tratta semplicemente di rappresentare la nostra "sensibilità" di classe entro il mosaico del movimento. Si tratta di lottare per conquistare il grosso del movimento ad una prospettiva di classe, quale condizione dell'affermazione delle sue stesse ragioni, e quale terreno di valorizzazione delle sue stesse potenzialità d'impatto.
Nell'attuale quadro, il movimento antiglobalizzazione, già forte di una diffusa simpatia in settori vasti della società, potrebbe realmente trasformarsi nel detonatore di un'esplosione sociale: ma alla condizione che dal movimento emerga un indirizzo nuovo e una proposta nuova. L'incontro con i lavoratori non può ridursi ad una somma di buone relazioni con le rappresentanze del sindacalismo di classe, né ad un'azione di pressione su Cofferati o alla semplice registrazione dell'adesione FIOM al GSF (che certo è importante). Ma può e deve tradursi in una pubblica proposta di azione comune, basata su una piattaforma di rivendicazioni semplice e unificante, che sappia stabilire un rapporto di sintonia con le domande sociali delle più vaste masse e che proprio per questo possa sfidare all'unità d'azione le stesse organizzazioni sindacali ponendo ognuna di fronte alle proprie responsabilità. In questo senso la proposta della vertenza generale del mondo del lavoro e dei disoccupati va posta apertamente non solo tra i lavoratori ma nello stesso movimento antiglobalizzazione, indicando così da entrambi i versanti, il possibile terreno comune di un'azione di lotta unitaria e concentrata. La stessa prospettiva dello sciopero generale contro padronato e governo va indicata come occasione straordinaria di una preziosa convergenza di lotta tra lavoratori e giovani, in una dinamica di rottura con la borghesia.

La lotta per l'egemonia di classe nel movimento antiglobalizzazione implica un'azione politica costante per la sua autonomia e alternatività al centrosinistra borghese. L'apparato DS e le forze dell'Ulivo lavorano a produrre un condizionamento esterno del movimento nel tentativo di sussumerlo come fattore subalterno di una futura alternanza liberale. L'operazione avviata in occasione della marcia Perugia-Assisi, attraverso la piattaforma della cosiddetta Tavola della Pace, si inquadra apertamente in questa strategia di fondo, che trova sponde e interlocutori in settori dirigenti del movimento o risposte deboli e difensive. Il PRC può e deve contrastare nel movimento, con tutte le proprie forze, le operazioni dei DS e del centrosinistra. Può farlo alla condizione di rivedere a fondo l'impostazione attuale e di prospettiva. Non si tratta di proporre ai liberali del centrosinistra una contaminazione di movimento nella logica della sinistra plurale. Si tratta di sviluppare nel movimento una politica di autonomia e di rottura col centrosinistra e l'apparato DS. Non si tratta di arginare e diplomatizzare le contraddizioni tra movimento e Ulivo, o di teorizzare la non ingerenza in questa contraddizione (come nel caso della marcia di Perugia): si tratta all'opposto di lavorare ad approfondirla. Combinando la più ampia proiezione di massa verso i lavoratori e i giovani, fuori da ogni cultura minoritaria, con la spiegazione costante dell'inconciliabilità tra le ragioni di fondo del movimento e i custodi liberali della società borghese e della sua barbarie. In questo quadro il voto dell'apparato DS e dell'Ulivo a sostegno della guerra imperialista contro il popolo afghano va assunto pubblicamente come riprova inequivocabile e definitiva di quella inconciliabilità. Più in generale la lotta per l'egemonia anticapitalistica e antimperialistica nel movimento antiglobalizzazione rappresenta il terreno centrale di azione per la difesa e lo sviluppo della sua autonomia.

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Tesi 26 - SCUOLA (torna all'indice)
La scuola è un terreno nevralgico dell'attacco dominante. Ma è anche un settore strategico per la ricomposizione del blocco sociale alternativo.

Il governo Berlusconi punta ad un autentico salto delle politiche reazionarie contro l'istruzione pubblica. Ancora una volta eredita le politiche sviluppate dalla legislatura di centrosinistra e i loro punti di sfondamento (si pensi alle scelte del governo D'Alema nel '98 in ordine alla parità scolastica) per estenderle e radicalizzarle contro l'insieme dei lavoratori della scuola e degli studenti, e contro l'interesse sociale delle classi subalterne. La scuola pubblica è colpita innanzitutto dai nuovi tagli operata dalla Finanziaria, direttamente travasati in investimento di guerra (5 mila mld); dalla programmata riduzione delle spese per il personale della scuola nell'arco di cinque anni, connessa anche ad una riduzione secca dell'occupazione nel settore; dall'estensione dei processi di "autonomia finanziaria" legati alla riduzione dei fondi pubblici; dalla programmata riduzione, da cinque a quattro anni, dell'istruzione superiore combinata con l'equiparazione della formazione professionale a liceo e istituti professionali, in funzione degli interessi d'impresa. Parallelamente il governo delle destre assume la rappresentanza diretta del blocco d'interessi della scuola privata, in piena sintonia col Vaticano, come articolazione del proprio blocco sociale di riferimento. La politica dei buoni scuola tende a generalizzarsi anche a livello territoriale per opera dei governi regionali. E il federalismo regionalista sottraendo allo Stato l'esclusiva competenza in fatto di istruzione cerca di produrre un vero e proprio sfondamento sia sul terreno della privatizzazione della scuola pubblica sia sul terreno complementare del privilegiamento della scuola privata, aziendale e confessionale.

Questo attacco alla scuola pubblica, combinato con l'analoga politica universitaria, è destinato tuttavia ad incontrare resistenze sociali crescenti. La scuola è il terreno su cui le politiche liberiste, persino nella fase della loro ascesa generale, hanno maggiormente faticato a conquistare un consenso sociale maggioritario. Oggi, nella nuova fase aperta dalla crisi più generale dell'egemonia liberista, la scuola si conferma come uno dei possibili terreni centrali di resistenza e controffensiva. La ripresa delle lotte degli insegnanti negli ultimi anni (dopo il lungo periodo di stasi intercorso dopo la stagione dell'87-'88) è rivelatrice di una controtendenza in atto, tanto più significativa a fronte della frammentazione della rappresentanza sindacale. Parallelamente, proprio l'affacciarsi di una nuova generazione sul terreno delle lotte trova un significativo riflesso nella ripresa del movimento degli studenti e soprattutto nel maturare al suo interno di più visibili spunti di politicizzazione. L'intersezione frequente tra movimento degli studenti e movimento antiglobalizzazione è sotto questo profilo indicativa.

Tanto più oggi i comunisti devono assumere la scuola come uno dei terreni prioritari di ricomposizione di un blocco alternativo anticapitalistico. Per questo il nostro partito non può limitarsi a sostenere e rivendicare lo sviluppo del movimento e dei movimenti contro le politiche reazionarie sull'istruzione, cosa naturalmente preziosa e insostituibile. Ma deve combinare la propria partecipazione alla costruzione attiva del movimento con una assunzione di responsabilità di proposta in funzione della ricomposizione unitaria della lotta e della costruzione di uno sbocco.
Occorre innanzitutto lavorare a una piattaforma unificante delle mobilitazioni che favorisca la ricomposizione di lotta tra insegnanti e studenti e leghi le rivendicazioni immediate a un programma più complessivo di alternativa di classe. La rivendicazione degli aumenti salariali per i lavoratori della scuola, della riduzione del numero massimo di alunni per classe e di classi per insegnante; lo sviluppo e risanamento delle strutture scolastiche; l'estensione della scuola pubblica (a partire dalla scuola per l'infanzia) e del suo servizio in rapporto alla popolazione adulta, agli immigrati, agli anziani; vanno nel loro insieme collegate all'obiettivo dell'abolizione di ogni forma di finanziamento diretto o indiretto, anche a livello di giunte locali (di centrodestra e centrosinistra), alla scuola privata e confessionale, alla prospettiva di una riacquisizione su basi pubbliche e gratuite di tutta l'istruzione, alla rivendicazione della tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite e profitti, come fonte di finanziamento della scuola. Così la lotta contro lo smantellamento degli organi collegiali -promosso dal governo Berlusconi- va sviluppata non in una logica difensiva e conservativa ma in nome di una proposta di controllo sociale sull'istruzione pubblica basata sulla partecipazione degli insegnanti, degli studenti, dell'insieme della popolazione scolastica in alternativa al controllo delle imprese e dei loro interessi.

Congiuntamente i comunisti debbono avanzare la proposta di una unificazione del movimento studentesco in atto sul terreno dell'autorganizzazione democratica. Una situazione di atomizzazione del movimento e delle occupazioni, senza piattaforma unificata, senza un quadro democratico di verifica della rappresentatività delle diverse posizioni e proposte, sarebbe priva di sbocchi vincenti. Ed anzi spianerebbe la strada, come l'esperienza insegna, ai vertici dell'Uds e al relativo riflusso del movimento. Si può invece imparare dall'esperienza degli studenti francesi: proporre che ogni assemblea di scuola occupata designi democraticamente i propri delegati, permanentemente revocabili, e che i coordinamenti dei delegati, ai vari livelli, sino al livello nazionale siano la sede democratica di definizione della piattaforma rivendicativa del movimento. Solo così il peso delle diverse posizioni, organizzazioni ed aree sarà misurato dall'effettivo livello di rappresentatività democratica. Solo così potrà svilupparsi una vertenza nazionale vera tra movimento e governo. Solo così le stesse forme di lotta e la loro continuità saranno finalizzate su obiettivi chiari, rappresentativi, verificabili.

Tesi 27 - QUESTIONE MERIDIONALE (torna all'indice)
Le masse meridionali sono un alleato strategico decisivo della classe operaia nella prospettiva anticapitalistica, ed una forza determinante per l'affermazione di tale prospettiva. La questione meridionale si ripropone come questione centrale della vita nazionale e uno dei punti di massima intersezione di questione sociale e questione democratica.

Già la storia degli anni Ottanta ha segnato la continuità del processo di emarginazione economico e sociale del Sud all'interno della divisione nazionale e internazionale del lavoro. La svolta degli anni Novanta e l'avvio della II Repubblica ha indotto la situazione meridionale a una vera e propria precipitazione: il taglio dei trasferimenti assistenziali, il disegno liberista del federalismo, la flessibilizzazione dilagante (v. i contratti d'area esemplari di Manfredonia, Crotone, Castellamare) si pongono su uno sfondo sociale già segnato da una profonda deindustrializzazione e dall'ulteriore espansione di una disoccupazione di massa, specie giovanile già da tempo drammatica. L'ingresso nell'Europa di Maastricht consolida e accentua queste tendenze di fondo: confermando una volta di più che là crescente marginalità dell'economia meridionale lungi dall'essere un'espressione di arretratezza e di "ritardo" è il risvolto di una reale integrazione nel moderno mercato capitalistico e un laboratorio di sperimentazione delle forme più avanzate di sfruttamento.

Peraltro l'ulteriore declino del Sud produce al suo interno una polarizzazione della ricchezza e del contrasto di classe. Da un lato abbiamo una borghesia meridionale emergente legata alle costruzioni, al terziario e all'economia turistica, protagonista spregiudicata delle operazioni speculative sulle aree industriali dismesse e che moltiplica i propri capitali attraverso i meccanismi della rendita. Al polo opposto il pesante ridimensionamento della classe operaia industriale si accompagna ad un processo di più ampia pauperizzazione segnato dal peso crescente dei disoccupati, dalla precarietà del lavoro stagionale, dal declassamento del pubblico impiego, dal supersfruttamento del lavoro femminile.

In questo quadro la criminalità organizzata trova il suo spazio naturale di riproduzione sociale: essa si intreccia profondamente con la borghesia meridionale di cui è organica frazione, attraverso un complesso rapporto: da un lato esercita su di essa un prelievo fiscale illegale e diffuso, largamente sostitutivo del fisco statale, entrando così in contraddizione con l'interesse complessivo della borghesia nazionale, ma dall'altro le assicura protezione sociale e credito bancario (anche attraverso l'utilizzo di settori dello Stato). Inoltre la criminalità agisce come ufficio di collocamento di giovani disoccupati e quindi, paradossalmente, come ammortizzatore sociale, tanto più in una fase in cui lo Stato borghese, da sempre esattore e gendarme, giunge a negare persino l'assistenza. In questo quadro nessuna sentenza di tribunale o iniziativa giudiziaria, nessun proclama solenne di lotta alla mafia possono rimuovere peso sociale e radici della criminalità organizzata, obiettivamente incorporata al blocco storico dominante.

Il nuovo governo delle destre costituisce oggi un fattore di ulteriore aggravamento della situazione meridionale. Le politiche di flessibilizzazione selvaggia del lavoro e di attacco alle conquiste sociali ricadranno in forma concentrata sulle condizioni materiali di ampi settori di giovani e di donne meridionali. Parallelamente il rilancio delle politiche delle "grandi opere" mira a rafforzare il blocco affaristico speculativo con l'aperto coinvolgimento di settori malavitosi del capitale, a scapito dell'ambiente e della stessa occupazione (v. ponte sullo stretto).

La piattaforma di lotta per la vertenza generale unificante di lavoratori e disoccupati acquista dunque una valenza centrale per le masse del Mezzogiorno. Le rivendicazioni del salario garantito ai disoccupati e ai giovani in cerca di prima occupazione, della trasformazione dei lavoratori precari in lavoratori a tempo indeterminato, dell'abolizione del "Pacchetto Treu" e delle leggi di flessibilizzazione del lavoro vanno assunte, tanto più oggi, come terreno di unificazione del blocco sociale alternativo nel sud e come ambito di ricomposizione in esso dell'egemonia di classe. In questo senso vanno ricondotte a un programma anticapitalistico più complessivo, basato su un vasto piano di rinascita e di sviluppo generale del Mezzogiorno, e sulla necessita di un'azione di lotta radicale a suo sostegno da parte dell'insieme del movimento operaio, in rottura con la logica delle politiche concertative adottate fino ad oggi dal sindacato. Occorre organizzare comitati di lotta che vedano come protagonisti ovunque possibile lavoratori, disoccupati, precari, migranti e studenti, che sostengano scelte occupazionali in netta controtendenza con quelle attualmente dominanti, ponendo anche l'obiettivo della nazionalizzazione delle fabbriche che licenziano, evadono, sfruttano mano d'opera a basso costo (con scarse norme di sicurezza, bassi salari, scarsa specializzazione, part-time, ecc. Occorre rivendicare come politica sociale per la rinascita del Mezzogiorno l'eliminazione dei privilegi di classe della borghesia: l'abolizione del segreto bancario, commerciale, finanziario quale unica condizione per la lotta all'elusione ed evasione fiscale; l'imposizione di una patrimoniale ordinaria e straordinaria sulle grandi ricchezze; la tassazione fortemente progressiva dei profitti e delle grandi rendite; l'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese, vera assistenzialismo di Stato che sottrae ogni anno all'erario pubblico decine di migliaia di miliardi.

In conclusione al blocco storico dominante tra la grande borghesia del Nord e la borghesia meridionale, ivi inclusa la sua frazione criminale, occorre contrapporre il blocco storico tra la classe operaia e le masse popolari del Sud, a partire dai lavoratori e dai disoccupati, sulla base di un programma anticapitalistico. Ed anzi questo blocco di classe è il solo che può trasformare la questione meridionale in una leva decisiva dell'alternativa anticapitalista.

Tesi 28 - PER UN MOVIMENTO DI MASSA DELLE DONNE (torna all'indice)
Il PRC può e deve impegnarsi per lo sviluppo di un movimento di massa delle donne sul terreno della ricomposizione dell'opposizione di classe e anticapitalistica.

Negli anni Settanta l'ascesa della classe operaia italiana aprì un varco importante allo sviluppo del movimento delle donne. E a sua volta la lotta delle donne fece un'irruzione forte nel dibattito politico, nella cultura, nella società italiana, favorendo la maturazione di una esperienza di massa più avanzata sullo stesso terreno democratico e ottenendo anche risultati importanti, seppur limitati, dal punto di vista del costume e del diritto (v. legislazione sulle lavoratrici madri, L. 194/78).

Con gli anni Ottanta l'arretramento del movimento operaio trascinò con sé un'involuzione più generale della sensibilità democratica e della coscienza di massa e, con esse, un arretramento del movimento delle donne.
Ma soprattutto su quello sfondo si svilupparono nel movimento femminile orientamenti culturali di distacco progressivo dai temi sociali e di classe, di rifiuto della contraddizione capitale/lavoro, di ripiegamento intellettualistico-elitario. Le teorie idealistiche oggi presenti in una parte rilevante del pensiero femminista -che riconducono l'oppressione femminile a una radice biologica e a un codice simbolico maschile- nacquero in quel clima sociale e culturale.

Oggi l'inizio di una ripresa del movimento operaio, la crisi di egemonia delle politiche liberiste, l'affacciarsi di una giovane generazione, creano uno spazio nuovo per il possibile rilancio di un movimento di massa delle donne, capace di coinvolgere in primo luogo i settori più oppressi e sfruttati della popolazione femminile. E tanto più oggi il PRC deve impegnarsi in questa direzione fuori da ogni adattamento a espressioni elitarie del pensiero femminista.

Le politiche sociali dell'intera legislatura di centrosinistra hanno determinato un attacco profondo alle condizioni di vita di milioni di donne (Legge 40/98 del governo Prodi, Legge Bassanini del '97 a favore della sussidiarietà, purtroppo sostenute dal voto del PRC). Oggi il governo Berlusconi da un lato dà fiato all'arroganza del peggiore integralismo cattolico (v. l'attacco alla 194), dall'altro innesta il rilancio della "centralità della famiglia" su un ulteriore smantellamento dello Stato sociale. Attraverso detrazioni fiscali e assegni irrisori il nucleo familiare, cioè la donna, è incentivato a farsi carico di compiti di cura prima propri del Welfare State. La privatizzazione del sistema sanitario e degli asili nido va nella medesima direzione. Le donne sono costrette a subire doppiamente sulla propria pelle il carico di lavoro di cura nei confronti dei soggetti a rischio e marginalizzati di questa società (anziani, malati terminali, sieropositivi, portatori di handicap). E questo nel mentre subiscono come prime vittime l'attacco ai posti di lavoro (licenziamenti) e la compressione dei salari.
Da più versanti l'oppressione di milioni di donne ha sempre più un contenuto sociale riconoscibile e inequivoco.

Su Questo terreno va costruito un intervento di classe teso a ricomporre la più vasta opposizione di massa, a partire dalle donne. La lotta alle privatizzazioni e contro l'attacco allo Stato sociale; la lotta per il diritto al lavoro e per un salario garantito quando il lavoro non c'è; la lotta per il diritto alla salute garantito dal servizio pubblico e gratuito; la lotta per gli asili nido e contro la chiusura dei consultori, possono coinvolgere, in prima fila, i settori più oppressi della popolazione femminile. Ma è essenziale che il movimento operaio assuma queste tematiche all'interno delle proprie lotte come terreno di egemonia e ricomposizione. E che il PRC ponga queste tematiche congiuntamente all'interno del movimento operaio (contro ogni logica concertativa) e come ambito di sviluppo di un movimento di massa delle donne.

Il PRC ha il compito di monitorare tutte le espressioni di lotta delle donne, di radicarsi al loro interno, di lavorare a estenderle e unificarle. Ma costruendo sempre una connessione viva tra obiettivi immediati e prospettiva anticapitalistica, entro la logica transitoria. E quindi riconducendo ogni lotta delle donne al processo più generale di emancipazione della classe lavoratrice, per un'alternativa di società e di potere.

Tesi 29 - INTERVENTO SULL'IMMIGRAZIONE (torna all'indice)
Il fenomeno dell'immigrazione ­uno dei prodotti più macroscopici del carattere ineguale e squilibrato dello sviluppo capitalistico­ è utilizzato dalla classe dominante per dividere e indebolire la classe operaia. L'impegno dei comunisti per i diritti sociali e politici degli immigrati e contro la xenofobia e il razzismo è parte integrante della lotta per la ricomposizione dell'unità della classe e per la costruzione del blocco sociale alternativo.

Le migrazioni sono uno degli effetti più macroscopici delle contraddizioni dello sviluppo capitalistico, ed oggi anche delle guerre e delle catastrofi ambientali.
Anche l'Italia conosce da tempo una presenza crescente di lavoratori provenienti da Paesi dell'Europa dell'Est e del Terzo mondo che la classe dominante punta ad utilizzare come forza lavoro disponibile a basso costo e con poche pretese.
Chiusura delle frontiere, flussi programmati, controllo poliziesco sono i punti salienti delle politiche dell'immigrazione attuate nell'ultimo decennio e condivise, al di là delle differenze di tono e di accento, dal centrosinistra e dal centrodestra.
Lungi dal disciplinare il fenomeno, questa linea repressiva aggrava le già difficili condizioni di vita dei migranti, crea i cosiddetti clandestini, contribuisce a costruire una percezione distorta dell'immigrazione come fenomeno criminale e criminogeno e ad alimentare la xenofobia e i pregiudizi razzisti. Peraltro, la condizione di clandestinità, il ricatto dell'espulsione, la minaccia della xenofobia sono funzionali a rendere gli immigrati disponibili per qualsiasi lavoro e a qualsiasi condizione, a farne cioè un elemento di indebolimento e di divisione della classe operaia.
Di fronte alla novità dell'immigrazione, la risposta delle forze del movimento operaio è stata del tutto subalterna alle tendenze politiche dominanti, limitandosi al più, a generici sussulti di impegno umanitario. Anche il PRC, nel quadro dell'appoggio al governo Prodi, porta la responsabilità della legge Turco-Napolitano che uniforma il nostro Paese alla legislazione poliziesca di Schengen e introduce per gli immigrati irregolari i campi di concentramento e la deportazione.
I comunisti devono essere consapevoli che i fenomeni migratori pongono una sfida sul terreno della ricomposizione dell'unità della classe operaia e della costruzione del blocco sociale alternativo. Nella difesa dei lavoratori immigrati il PRC deve saper svolgere, secondo l'indicazione leninista, la funzione del "tribuno del popolo" che dà voce a coloro che in questa società non hanno voce perché sono i più oppressi. Da un lato occorre battersi per realizzare l'unità fra lavoratori stranieri e italiani, dall'altro occorre impegnarsi risolutamente contro la xenofobia e il razzismo e per costruire la risposta militante, unitaria e di massa alle aggressioni xenofobe.
Occorre rivendicare innanzitutto il rispetto del diritto d'asilo, la chiusura dei cosiddetti centri di permanenza temporanea, la regolarizzazione di tutti gli immigrati presenti sul territorio nazionale, l'abolizione delle procedure poliziesche per il permesso di soggiorno e di lavoro, l'attuazione di concrete misure materiali e socio-culturali di accoglienza e integrazione; ma l'obiettivo dev'essere l'abolizione di tutte le restrizioni all'ingresso e i pieni diritti di cittadinanza, sociali e politici, per tutti coloro che cercano migliori condizioni di vita nel nostro Paese. Nel contempo occorre battersi per sottrarre i lavoratori stranieri al lavoro nero, ai bassi salari, al supersfruttamento, impegnandosi per la loro sindacalizzazione e la piena integrazione nel movimento operaio e nelle sue organizzazioni.

In questo ambito generale assume oggi un carattere di priorità la piò ampia mobilitazione contro la legge Bossi-Fini e l'ulteriore salto reazionario che essa configura (annullamento del diritto d'asilo, introduzione del reato penale di immigrazione clandestina, condanna del lavoratore migrante alla flessibilità a vita in subordine all'impresa). Ciò che richiede, tanto più oggi, la diretta assunzione della difesa dei diritti dei lavoratori stranieri da parte dell'insieme del movimento operaio come parte integrante della piattaforma di lotta contro il governo per la sua cacciata.

Tesi 30 - IMPOSTAZIONE PROGRAMMATICA DELL'ALTERNATIVA DI CLASSE (torna all'indice)
Il PRC è e deve essere in prima fila nell'opposizione all'aggressione liberista. Ma non può limitarsi ad una pura azione difensiva, pur prioritaria. E' invece essenziale collegare, ovunque possibile, l'azione di difesa e ampliamento dello stato sociale e dei diritti con un programma anticapitalistico contro la crisi che indichi una soluzione di classe alternativa. La questione della proprietà e del potere non può essere solo enunciata: dev'essere posta al centro dell'elaborazione programmatica del partito come filo conduttore dell'intervento dei comunisti nella classe operaia.

In questi anni il nostro partito ha assunto come proprio orizzonte programmatico d'intervento, un orizzonte di riforma della società capitalistica in direzione di un modello di sviluppo non liberista. Ogni rivendicazione immediata, dalla tassazione dei BOT alle 35 ore, ai diritti dei lavoratori, è stata ricondotta a un programma di riforma indicato come terreno realistico di un'alternativa di società oggi "possibile", e di una "sinistra plurale" di governo che la persegua. La rivendicazione della "Tobin Tax" per un'"Europa sociale" è l'esemplificazione attuale di questa impostazione .

Questa impostazione ad onta del suo presunto realismo, si è rivelata nei fatti profondamente utopica. Immaginare una soluzione riformistica complessiva, che sia ad un tempo compatibile col capitalismo e di carattere "progressivo", significa nelle condizioni storiche dell'oggi perseguire un'utopia. Lo riprovano le esperienze concretamente vissute o osservate negli anni '90. Dal versante del governo, sotto Prodi come sotto Jospin, quel programma di riforme possibili si è capovolto in una politica controriformatrice e in una pesante corresponsabilizzazione dei comunisti alle politiche liberiste del capitale. Dal versante dell'opposizione quello stesso programma, sistematicamente proposto come terreno di confronto alle forze politiche dominanti, e all'apparato liberale dei DS non ha ottenuto neppure un ascolto. Continuare a perseguire questa impostazione significa alimentare tra i lavoratori quelle illusioni neoriformistiche che i comunisti in quanto tali sono chiamati a combattere.

L'impostazione programmatica dell'intervento di classe va allora esattamente rovesciata. I comunisti non possono assumere come proprio orizzonte i cosiddetti obiettivi "tangibili e possibili". Debbono invece costruire la propria politica sulla spiegazione costante che nessun serio obiettivo di progresso sociale può essere raggiunto e consolidato senza mettere in discussione in ultima istanza i rapporti di proprietà e di potere. Non si tratta affatto, com'è ovvio, di rinunciare alle rivendicazioni immediate ed elementari, che anzi vanno articolate e ricomposte in una precisa proposta d'azione (vertenza generale). Si tratta di spiegare, sulla base dell'esperienza pratica dei lavoratori, che ogni riforma, ogni eventuale conquista parziale, ogni eventuale difesa di vecchie conquiste può realizzarsi solo come sottoprodotto di uno scontro generale con la società capitalistica e i suoi governi (comunque colorati). E che solo la rottura dei rapporti capitalistici, solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro forza organizzata, può dischiudere una reale alternativa di società.

Ma proprio per questo va superata ogni impostazione programmatica "compatibilista", apparentemente concreta, concretamente astratta. E' necessario individuare su ogni terreno un sistema di rivendicazioni che da un lato si raccordi alla specifica concretezza dello scontro di classe e dall'altro prefiguri la necessità di uno sbocco anticapitalistico complessivo, fuori da ogni illusione riformistica.

La difesa delle conquiste sociali del movimento operaio dalle politiche dominanti; lo sviluppo e l'estensione dei diritti sociali come diritti universali, rappresentano rivendicazioni programmatiche essenziali del PRC. Ma il loro perseguimento implica non solo la richiesta di abolizione delle controriforme liberiste realizzate bensì una ridislocazione sul versante della spesa sociale di nuove immense risorse. Non è realistico pensare che la rinegoziazione del patto di stabilità entro le maglie dell'Europa imperialistica possano configurare una risposta al problema. E' necessario invece prospettare la liberazione di almeno trecentomila mld attraverso l'eliminazione di insopportabili privilegi di classe della borghesia:
- l'abolizione del segreto bancario, commerciale, finanziario, quale unica condizione concreta di una seria lotta all'elusione ed evasione fiscale;
- una patrimoniale straordinaria e ordinaria sulle grandi ricchezze;
- un drastico aumento della tassazione dei grandi profitti e delle rendite, accresciuti in questi anni dalle politiche dominanti;
- l'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese, vero e proprio assistenzialismo statale al capitale che costa ogni all'erario pubblico decine di migliaia di miliardi;
- l'abolizione unilaterale del debito pubblico con piene garanzie per i piccoli risparmiatori;
queste rivendicazioni rappresentano nel loro insieme gli strumenti reali e possibili per finanziare una nuova politica sociale al servizio delle grandi masse lavoratrici, dei disoccupati, dei giovani, dei pensionati, della rinascita del Mezzogiorno.

Al tempo stesso, tanto più in quest'epoca di crisi e di gigantesche concentrazioni capitalistiche, ogni serio programma redistributivo della ricchezza cozza contro i limiti della proprietà borghese.
Ogni disegno di nuovo modello di sviluppo conforme ai bisogni delle masse lavoratrici, dei disoccupati, delle popolazioni povere del Sud richiede la messa in discussione della proprietà nei settori strategici dell'economia, nel quadro di un'alternativa di fondo di società e di potere.

In questo senso il V Congresso impegna il PRC a sviluppare una coerente campagna anticapitalistica non in termini ideologici ma a partire dall'esperienza delle grandi masse. Ad esempio: l'inquinamento dei cibi da parte della grande industria alimentare con la copertura della Commissione Europea pone l'esigenza di un controllo dei lavoratori e dei consumatori sulla produzione del settore e l'abolizione del segreto commerciale quale garanzia di autodifesa sociale. Le speculazioni dell'industria petrolifera sui prezzi della benzina richiedono l'apertura dei libri contabili delle compagnie sotto il controllo dei consumatori e della società. Gli scandali cronici e ripetuti della grande industria farmaceutica a danno della salute e della vita richiedono una sua nazionalizzazione senza indennizzo sotto controllo sociale. Ogni episodio di criminalità del profitto contro la larga maggioranza della società va raccordato all'esigenza di una risposta anticapitalistica quale unica soluzione di fondo.
Parallelamente la questione della proprietà va posta all'interno delle dinamiche di lotta dei movimenti fuori da ogni adattamento alla loro pura e semplice spontaneità. Nel movimento per la pace, entro una più generale impostazione antimperialista, va posta la rivendicazione dell'esproprio dell'industria bellica senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori. Nel movimento ambientalista va messa in discussione la proprietà privata della grande industria inquinante quale condizione di una sua reale riconversione. Più in generale la questione della proprietà è obiettivamente posta dai movimenti di resistenza a difesa del lavoro entro i processi di crisi e ristrutturazione: la rivendicazione della nazionalizzazione delle industrie in crisi senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori può costituire un elemento di ricomposizione unitaria di un fronte strategicamente centrale seppur oggi disarticolato e disperso.

Va peraltro chiarito ai lavoratori che le nazionalizzazioni che noi proponiamo non hanno nulla a che vedere con le vecchie cattedrali dell'industria pubblica. Infatti i comunisti: si battono per nazionalizzazioni senza indennizzo (con la doverosa tutela dei piccoli risparmiatori), perché l'indennizzo è già stato "pagato" dallo sfruttamento dei lavoratori e dai trasferimenti pubblici; si battono perché contestualmente alla nazionalizzazione siano messi in campo strumenti di controllo operaio e popolare, terreno centrale di autorganizzazione di massa democratica e consiliare; si battono contro ogni illusione di economia mista e di democratizzazione del capitalismo collegando la rivendicazione delle nazionalizzazioni alla prospettiva dell'alternativa di sistema.

Tesi 31 - RUOLO DELLA CHIESA E BATTAGLIA ANTICLERICALE (torna all'indice)
L'opposizione comunista deve recuperare una coerenza di proposta sullo stesso terreno sociale delle rivendicazioni democratiche. Con l'apertura di una campagna per l'abolizione del Concordato tra Stato e Chiesa, modificando l'orientamento sinora assunto verso il papato e le gerarchie ecclesiastiche.

Il PRC deve aprire una grande campagna politica per l'abolizione del Concordato tra Stato e Chiesa, modificando le posizioni contraddittorie e confuse sino ad ora sostenute nei confronti della Chiesa cattolica. L'avallo ripetutamente offerto ad un presunto "anticapitalismo" del papato, in una logica di comune "ricerca" ha rappresentato un errore profondo del nostro partito.
Il Vaticano rappresenta tuttora, come sempre, un baluardo storico dell'ordine esistente. Gli intrecci materiali tra gerarchie ecclesiastiche e proprietà capitalistica nel settore finanziario, immobiliare, terriero, costituiscono la base materiale di questa funzione conservatrice. Le formali posizione di "apertura" della Chiesa a istanze sociali o antiglobalizzazione, così come la critica all'assolutismo del profitto non solo non rappresentano un anticapitalismo reale ma rientrano o in un più generale antimaterialismo ideologico o in una aperta "concorrenza" e lotta al marxismo all'interno delle masse oppresse. Inoltre la natura integralistica dell'istituzione ecclesiastica si esprime da sempre nelle posizioni reazionarie del papato sul terreno dei diritti civili, dell'autodeterminazione della donna, dei diritti degli omosessuali e delle lesbiche, dell'istruzione. In particolare la lotta centrale delle donne per la difesa della legge 194 trova nell'apparato della Chiesa il proprio nemico frontale.

La saldatura politica oggi tra interessi ecclesiastici e governo Berlusconi su molteplici terreni rafforza sensibilmente l'importanza della lotta contro le gerarchie ecclesiastiche. Certo il PRC non è e non deve essere un partito "ideologico"; il marxismo stesso va concepito come programma di trasformazione, non come credo; la conquista di settori di massa cattolici ad una prospettiva socialista è un aspetto importante della strategia rivoluzionaria, tanto più in un contesto che vede oggi settori cattolici di giovane generazione ben presenti nel movimento antiglobalizzazione. Ma proprio questo implica il disvelamento delle contraddizioni enormi tra le esigenze progressive di quei settori e la natura reazionaria della Chiesa, a partire dalla lotta di classe e dalla stessa battaglia per le rivendicazioni democratiche.

In questo quadro, oggi, sull'onda dello scontro apertosi in ordine alla scuola privata e alla libertà delle donne, la rivendicazione dell'abolizione del Concordato, della fine dei privilegi materiali e simbolici che esso garantisce alla Chiesa, riconquista una forte attualità.

Tesi 32 - NATURA DEL PARTITO (torna all'indice)
La proposta avanzata di "superamento della funzione d'avanguardia" del partito, a favore di una sua "contaminazione" di movimento, rappresenta un rischio serio per il PRC e un danno per i movimenti stessi. Il bilancio decennale della nostra esperienza di partito, il varo di una svolta politica e strategica indicano la necessità della costruzione reale del partito comunista come strumento centrale di lotta per l'egemonia anticapitalista.

La natura del partito, la sua funzione, le sue forme d'organizzazione e di vita, non sono separabili dal programma che il partito persegue e dai caratteri della sua politica. Ed anzi: programma e politica del partito selezionano inevitabilmente la sua stessa natura.
Lungo l'itinerario di dieci anni sullo sfondo delle scelte politiche e istituzionali compiute o perseguite e della rimozione di un progetto strategico anticapitalista, il nostro partito ha progressivamente accumulato un insieme di patologie largamente riconoscibili: la ciclica scissione delle rappresentanze istituzionali dal partito, a vari livelli; uno scarso coinvolgimento dei militanti nella definizione ed elaborazione delle scelte, una insufficiente trasparenza, agli occhi degli iscritti, del confronto politico interno al partito; il mancato sviluppo di una robusta rete di quadri, una crisi profonda e perdurante del radicamento sociale e di classe. In altri termini, il nostro partito ha difeso la sua propria esistenza, ma per molti aspetti non si è costruito. Si è riprodotto come importante luogo d'aggregazione, come strumento di mobilitazione, come presenza politica istituzionale, ma non ha sviluppato una vita collettiva di partito, né una incidenza reale sulla dinamica della lotta di classe.
Da questo bilancio dovrebbe derivare la necessità di una svolta, tesa a rimontare il tempo perduto, in direzione della centralità della costruzione del partito e di una nuova politica che la trascini; una politica di alternativa anticapitalistica e di corrispondente egemonia nei movimenti. La sola politica che possa motivare realmente, al di là degli appelli, una cultura d'organizzazione, formazione, militanza, radicamento..

Invece la proposta che viene avanzata ha un segno esattamente opposto: da un lato riconferma la continuità della linea politica e strategica, sul piano nazionale e locale; dall'altro lato, propone una maggiore diluizione del partito nei movimenti entro un attacco diretto, come mai in precedenza, alla concezione stessa dell'"egemonia". La tesi del "definitivo superamento" della funzione "d'avanguardia" del partito, il concetto di "pari dignità" tra sedi di partito e luoghi di movimento, la critica esplicita allo stesso concetto di "circolo" e di "federazione" da aprire invece alla "contaminazione" dei movimenti configurano nel loro insieme una linea di tendenza profondamente negativa. Invece che sviluppare finalmente una linea di egemonia del partito nei movimenti, si teorizza per la prima volta un principio di egemonia dei movimenti sul partito. E così l'invito dell'apertura ai movimenti, in sé importantissimo, si trasforma in un rischio di dissoluzione nel movimento stesso o di trasformazione delle proprie strutture in indistinti luoghi di movimento. Il risultato paradossale, non è il rafforzamento del partito nel movimento ma all'opposto, un principio di dispersione delle forze e di loro ulteriore sradicamento a tutto danno sia del partito che del movimento stesso.

Tesi 33 - PARTITO, EGEMONIA, MOVIMENTO (torna all'indice)
E' necessario costruire il PRC come partito comunista nell'accezione leninista e gramsciana di intellettuale collettivo, impegnato nella lotta per l'egemonia anticapitalistica nella classe operaia e nei movimenti di massa. Il recupero e attualizzazione della concezione leninista del partito è parte decisiva della costruzione reale del PRC, tanto più nella stagione della ripresa dei movimenti. Fuori e contro la cultura gramsciana dell'egemonia, ogni difesa della "forma partito" si riduce a evocazione debole e retorica.

La lotta di classe e i movimenti di massa sono la leva centrale della trasformazione socialista: ciò significa che il lavoro di massa per la promozione dei movimenti di lotta, la loro estensione e sviluppo; il lavoro di radicamento profondo nei movimenti e nella loro dinamica, sono compiti elementari di un partito comunista. Ogni esternità ai movimenti di massa, ogni atteggiamento di distacco -comunque motivato- rappresenta non la "difesa" del partito ma, all'opposto, la compromissione di un progetto anticapitalista cioè della ragione stessa del partito comunista. Per questo simili atteggiamenti vanno seriamente contrastati, sul piano culturale e politico, all'interno del PRC.

Ma l'inserimento profondo nei movimenti va assunto come leva di una battaglia per l'egemonia, non come bandiera della sua rimozione.
Nella concezione leninista e gramsciana -antitetica alle impostazioni teoriche e pratiche dello stalinismo- "egemonia" non significa "controllo amministrativo", pretesa di un "primato" del partito all'interno dei movimenti. All'opposto essa significa lotta politica e ideale, libera e leale, per la conquista dei movimenti a una prospettiva rivoluzionaria: in aperta contrapposizione a direzioni politiche e culturali burocratico-riformistiche. Fuori da questa azione si disperde la ragione stessa di un partito comunista, e si compromettono le ragioni di fondo dei movimenti stessi. L'intera esperienza del 900 dimostra infatti che i più grandi e radicali movimenti di massa, privi di una direzione rivoluzionaria cosciente e sotto l'egemonia di forze riformiste sono destinati in definitiva alla sconfitta. L'antica teoria revisionistica di fine 800 secondo cui "il movimento è tutto, il fine è nulla" (Bernstein) è stata confutata radicalmente dalla storia. Non può essere riproposta, in nessuna forma, come principio "nuovo" della rifondazione comunista.

L'argomento avanzato secondo cui la concezione leninista e gramsciana dell'egemonia sarebbe oggi superata in quanto basata sulla separatezza antica tra "movimenti prepolitici" e "dottrina" (a fronte invece dell'anticapitalismo latente dei movimenti attuali) fraintende radicalmente sia il passato che il presente.
La rappresentazione dei movimenti come massa apolitica e del partito come "dottrina" distorce in modo caricaturale la concezione marxista sia dei movimenti che del partito. Ogni movimento di lotta delle classi subalterne, anche limitato, racchiude una potenzialità politica: muove pulsioni e idee nuove, sviluppa l'esperienza dei protagonisti, arricchisce la loro consapevolezza. In questo senso ogni movimento di lotta rivela un naturale "anticapitalismo latente". La funzione decisiva del partito, non è di portare dall'esterno del movimento apolitico, la scolastica della dottrina: ma di far leva, nel profondo del movimento, sui sentimenti progressivi che esso esprime e sulla dinamica viva di lotta che li accompagna, per sviluppare l'anticapitalismo latente del movimento in coscienza politica anticapitalista. Questo salto della coscienza non si produce "spontaneamente". Richiede il lavoro metodico del partito, perché solo il partito comunista detiene una memoria storica delle lezioni della lotta di classe che nessun movimento contingente può possedere; solo il partito comunista può basarsi su un progetto strategico complessivo che nessun movimento può avere e che da nessun movimento si può pretendere; solo il partito comunista può lottare in forma organizzata e concentrata per liberare i movimenti dal controllo di vecchi apparati o dalle influenze culturali neoriformiste che ipotecano la loro sconfitta. La funzione d'avanguardia del Partito come "intellettuale collettivo" trova in questo compito decisivo la propria radice.

Peraltro lungi dall'essere superata, la concezione leninista del partito è tanto più attuale nel momento storico attuale. In una situazione segnata da un lato dalla ripresa dei movimenti della nuova generazione e dall'altro dal retaggio della lunga cesura storica tra marxismo rivoluzionario e giovani la funzione del partito è più che mai decisiva come costruttore di coscienza, come portatore nei movimenti di una visione politica complessiva, di un metodo marxista di lettura e comprensione della realtà.
Parallelamente proprio i processi frantumazione della classe, sotto il peso delle sconfitte profonde degli ultimi vent'anni- processi spesso addotti a sostegno del "tramonto" del partito ne riprovano più che mai la funzione centrale: come fattore di controtendenza, di ricomposizione sociale del blocco alternativo e in esso di un egemonia di classe anticapitalistica.
A sua volta così come il partito è lo strumento decisivo dell'egemonia, solo la politica dell'egemonia fonda la ragione robusta di un partito comunista. Fuori e contro la concezione leninista e gramsciana dell'egemonia ogni difesa della "forma partito" per quanto sincera, si riduce a evocazione rituale.

Tesi 34 - RIFORMA DEL PRC, NON DILUIZIONE NEL MOVIMENTO (torna all'indice)
Proprio perché portatore nei movimenti di un progetto anticapitalista e rivoluzionario il partito non può diluire le proprie strutture nei luoghi di movimento: ma invece deve difenderle e svilupparle nella loro specificità, come strumento di intervento di massa. Ciò che richiede una riforma profonda dell'attuale costituzione materiale del PRC.

Un partito comunista come "intellettuale collettivo" ha l'esigenza centrale di sviluppare la propria organizzazione, nella sua autonomia, quale strumento d'azione nella lotta di classe. La tesi avanzata circa "la pari dignità" tra luoghi di partito e luoghi di movimento in una logica di osmosi reciproca e di reciproca "contaminazione" è, in questo senso profondamente regressiva: perché dissolve in una astratta equivalenza di valori un'obiettiva diversità di funzioni e di assetti. Non si tratta di attentare all'autonoma sovranità dei movimenti e delle loro strutture, che va invece rispettata e difesa. Né si tratta di negare l'apporto che l'esperienza di movimento può portare alla formazione del partito, che invece può e deve arricchirsi di ogni viva relazione di massa. Si tratta invece di portare nel profondo dei movimenti e delle loro autonome sedi, entro la partecipazione attiva alla loro costruzione, il progetto rivoluzionario dei comunisti. E per questo è indispensabile l'organizzazione del partito comunista, il suo sviluppo autonomo, il suo radicamento organizzato, come fatto rigorosamente distinto dal movimento. Senza la comprensione e assimilazione collettiva di questa relazione tra organizzazione d'avanguardia ed azione di massa il PRC è destinato ad oscillare, nella sua vita concreta, tra distacco istituzionale dai movimenti e dissoluzione politica del proprio ruolo in essi a favore di un ingenuo movimentismo. E spesso a combinare entrambi gli aspetti.
L'assunzione della politica dell'egemonia anticapitalista nei movimenti richiede a sua volta una riforma profonda del nostro partito.
Va affermata innanzitutto la concezione di un partito certo capace di presenza istituzionale, ma non istituzionalista. Un partito che quindi non finalizza la politica al voto ma chiede il voto a una politica: che non subordina la propria azione di massa alla propria rappresentanza istituzionale ma subordina la propria rappresentanza all'azione di massa, allo sviluppo dell'opposizione sociale, alla ricomposizione di un blocco anticapitalista.
Il carattere di massa del partito sta, prima di tutto, in questa sua proiezione quotidiana verso la conquista delle classi subalterne: da qui la necessità di un radicamento sociale nei luoghi di lavoro e sul territorio, della costruzione e formazione dei militanti e dei quadri, del controllo vigile e costante sui propri rappresentanti istituzionali, che vanno considerati a tutti gli effetti rappresentanze del partito nelle istituzioni e non delle istituzioni nel partito. Infine va affrontato con serietà e concretezza il problema della costruzione organizzata del partito. A questo proposito occorre educare il partito e i suoi organismi dirigenti a tutti i livelli a formulare progetti definiti, concreti e verificabili, in funzione del radicamento sociale e della vitalità delle strutture, fuori da ogni mera proiezione d'immagine o di mero inseguimento delle scadenze elettorali.

Tesi 35 - DEMOCRAZIA DEL PARTITO (torna all'indice)
Questa riforma politica profonda della nostra concezione e costruzione del partito richiama una riforma altrettanto profonda della sua democrazia, quale terreno decisivo della stessa rifondazione comunista.

Abbiamo bisogno di rendere tutti i compagni "padroni di casa" nel proprio comune partito: di incoraggiare, non emarginare, le disponibilità dei giovani compagni; di valorizzare, non di comprimere, spirito d'iniziativa e indipendenza di giudizio, che sono lievito indispensabile per un partito vitale; e soprattutto di rendere tutti i militanti del partito partecipi delle elaborazioni e decisioni ai vari livelli del partito stesso: perché gli orientamenti democraticamente definiti sono anche quelli maggiormente sostenuti nell'azione pratica, mentre le scelte passivamente subite, quand'anche condivise, non mobilitano le energie e l'iniziativa.

Parallelamente va affermato il diritto di ogni compagno del partito a conoscere il dibattito, le deliberazioni, le posizioni diverse che emergono nel partito e di contribuirvi consapevolmente (e non per impressioni ricevute magari dalla stampa avversaria). E' essenziale in questo senso uno strumento di dibattito interno nazionale, con verbali e atti degli organismi direttivi, a partire dalla Direzione nazionale, ed un'ampia possibilità di contributi delle federazioni, circoli, singoli o gruppi di militanti. Al contempo Liberazione deve essere aperto agli interventi dell'insieme del partito e rispettarne la vita democratica, senza alcuna intromissione politica da parte di redattori o responsabili del giornale.

E' necessario inoltre che la formazione dei compagni - che va assunta come tema centrale del partito - sia concepita anche come sviluppo reale della sua democrazia interna; perché solo lo sviluppo di conoscenze, competenze, preparazione, rafforza l'autonomia di giudizio e quindi la libertà reale della valutazione.

Abbiamo bisogno più in generale di un partito di liberi/e e di eguali, che fa della lotta costante al proprio interno contro ogni forma di burocratismo e di discriminazione il codice nuovo della propria costituzione materiale; va dunque ripristinata la facoltà di iniziativa del circolo contro ogni forma di controllo burocratico della federazione; vanno profondamente rivisti ruolo e natura degli attuali esecutivi regionali. Va ripristinato e realmente affermato il diritto delle federazioni a designare democraticamente le proprie candidature elettorali ai vari livelli, contro logiche di imposizione da parte delle istanze superiori del partito.

Infine il nostro partito deve combinare la necessaria unità nell'azione esterna - fondamentale in una battaglia per l'egemonia - con la più ampia libertà di discussione interna e quindi con il rispetto pieno dei diritti delle minoranze (a partire da quello di poter diventare a loro volta maggioranza): solo questo rapporto di piena democrazia interna e di pari dignità reale (non formale) tra tutte le posizioni può educare alla concezione e alla pratica di un partito di liberi e di eguali e soprattutto può legittimare il principio dell'unità nell'azione esterna come principio assunto e interiorizzato dall'insieme del partito. In questo senso va superata ad ogni livello ogni discriminazione pregiudiziale verso componenti politiche del partito in ordine alla definizione della sua rappresentanza istituzionale e delle sue strutture esecutive.

Peraltro l'esperienza che abbiamo vissuto ha dimostrato che i veri rischi per l'unità del partito non stanno nel libero e leale confronto delle opinioni politiche diverse, ma nella manovra burocratica silenziosa, nello spirito di clan, nella logica del frazionismo burocratico e della cordata: che magari fino al giorno prima recitava l'unanimismo del voto e la "disciplina" di partito.

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Tesi 36 - I GIOVANI COMUNISTI (torna all'indice)
I Giovani Comunisti hanno in questa fase un grande potenziale di crescita. Ma una battaglia per costruire l'egemonia politica tra i giovani su un progetto di alternativa rivoluzionaria necessita di un rafforzamento organizzativo dei GC e soprattutto del loro profilo politico alternativo, fuori da ogni ipotesi di diluizione nelle aree astrattamente "antagoniste" presenti nei movimenti (v. "Tute bianche")

Il V congresso di rifondazione Comunista deve riservare alla questione giovanile una particolare attenzione, per il ruolo strategico che essa ha assunto nello scontro di classe in Italia.
I giovani, lavoratori, studenti o disoccupati, hanno subito più di altri il peso di dieci anni di politiche neoliberiste che i governi succedutesi alla guida del paese hanno intrapreso.
In alcune aree del Paese, in particolare nel Mezzogiorno, l'esercito di riserva dei senza lavoro, è in larghissima parte composto di ragazzi e ragazze giovanissimi.
Per loro, molto spesso, l'unica alternativa che si pone alla loro condizione sociale, è quello di accettare lavori in nero, sottopagati, il più delle volte in settori dell'economia controllati dalla criminalità organizzata.
Meno tragica, ma non per questo meno pesante, è la situazione di chi un lavoro più o meno regolare riesce a trovarlo.
Negli ultimi tempi, specialmente dopo l'entrata in vigore del cosiddetto "Pacchetto Treu", sciaguratamente approvato anche dal nostro partito, abbiamo assistito ad un proliferare di forme di rapporto di lavoro atipico (CFL, apprendistato, contratti di collaborazione coordinata, partite Iva ecc.), che per i neo assunti sono in realtà la "tipicità" del loro ingresso nel mondo del lavoro.
Queste forme d'occupazione hanno avuto dei costi sociali molto alti: hanno significato bassi salari, aumento dei carichi di lavoro, minor tutela contrattuale e sindacale, mancanza di rispetto delle condizioni igienico sanitarie nelle fabbriche e negli uffici (si spiegano così sia l'enorme numero di morti sia quello di feriti ed invalidi causati da incidenti sul lavoro), insomma una situazione di perenne precarietà e di ricattabilità da parte dei datori di lavoro.
Nel mondo della scuola, abbiamo assistito ad un sistematico attacco all'istruzione pubblica, a tutto vantaggio di quella privata, iniziato dai ministri ulivisti Berlinguer e De Mauro, e che oggi è portato a compimento dal ministro Moratti.
Il progetto di parificazione tra scuola pubblica e privata, che prevede finanziamenti statali e regionali a quest'ultima a fronte di tagli di decine di migliaia di miliardi alla scuola statale, la creazione di un'unica graduatoria per insegnanti pubblici e privati (i secondi assunti in base alla fedeltà all'ideologia degli istituti privati, quasi tutti confessionali), l'istituzione della figura del preside manager, gli investimenti fatti dalle imprese alle università, con lo scopo di determinare le scelte didattiche, rendono ancor più chiaro il carattere classista dell'istruzione in Italia.
A tutto ciò si aggiunga la campagna reazionaria che si è negli anni aperta, in materia di libertà sessuale (omofobia, ipotesi di limitazione del diritto d'aborto, ecc.) e nella lotta al consumo di stupefacenti, campagne rivolte in particolare contro i giovani.
Se questa è la situazione nella quale sono costrette le giovani generazioni, non stupisce che esse stiano avendo un ruolo di primo piano nelle mobilitazioni che segnano il "disgelo" nella conflittualità di classe.
In questa situazione bisogna quindi che il nostro partito, e la sua organizzazione giovanile, si dotino di un programma politico per intervenire all'interno di questi movimenti, per svilupparvi una battaglia d'egemonia

Se il capitalismo dimostra sempre più la sua incapacità nel garantire un futuro alle nuove generazioni, un'organizzazione che si batta per il suo rovesciamento e per la creazione di un'alternativa di classe socialista, potrà rispondere alle legittime aspirazioni dei giovani, arrivando a conquistarne politicamente la fiducia.
Per questo è necessaria una battaglia che partendo dagli attuali livelli di coscienza presenti nei movimenti, le leghi alla necessità di una più complessiva lotta contro il capitalismo, spiegando come solo in una prospettiva più di cambiamento di sistema, anche le aspirazioni per un salario adeguato, per un lavoro stabile, per una scuola non asservita ai diktat del capitale, potranno trovare soddisfazione.
Risulta viceversa non condivisibile la scelta recente dell'attuale gruppo dirigente dei GC di fare un blocco politico e organizzativo con le Tute bianche (Casarini) e la Rete No Global (Caruso) costituendo nel movimento antiglobalizzazione l'area dei "disubbidienti sociali". Ovviamente non è in discussione la possibilità di stringere alleanze tattiche con alcune soggettività ma vi è il rischio che, al di là della volontà soggettiva, questa scelta metta in secondo piano l'azione per la costruzione dell'organizzazione giovanile di rifondazione come soggetto motore e potenzialmente egemone delle mobilitazioni in corso, specialmente in una fase in cui le adesioni alla struttura giovanile sono in forte aumento e sarebbe indispensabile un investimento pieno su di essa; soprattutto, questa scelta rischia di tradursi in una diluizione subalterna delle strutture dei GC in una aggregazione su basi politiche confuse e sbagliate -un misto di generico "antagonismo", movimentismo antipartito e riformismo- che configurano nei fatti i "disobbedienti" come un ostacolo e non una tappa di un progetto per la costruzione dell'egemonia comunista tra le giovani generazioni.
E' per questi motivi che si rende necessaria, anche in questo campo, una svolta politica del Partito e dei Giovani Comunisti, i quali affronteranno questi temi nella loro prossima Conferenza nazionale.

 

firmatari (torna all'indice)

Marco Ferrando, Ivana Aglietti, Claudio Bellotti, Vito Bisceglie, Anna Ceprano, Franco Grisolia, Luigi Izzo, Matteo Malerba, Francesco Ricci, Michele Terra (Direzione nazionale PRC)