Critica all'ordine del
giorno di minoranza della DN di novembre.
La
Direzione Nazionale del partito dell'11 novembre 2000 ha discusso della tattica
elettorale, per il definitivo varo della quale si dovrà attendere il
CPN di gennaio. Ne sono emerse due ordini del giorno, uno di maggioranza
e uno di minoranza.
Di seguito trovate una analisi critica del documento di minoranza e da altra
parte una analisi critica del documento
di maggioranza scritte dal collettivo redazionale di REDS e che indicano
la nostra posizione sulla questione delle alleanze elettorali. REDS. Novembre
2000.
Il documento della minoranza del partito è stato respinto dalla grande maggioranza dei presenti e votato da sette compagni. Ha il merito di porre in maniera più chiara rispetto alla mozione di maggioranza la necessità dell'opposizione a Rutelli e al centrosinistra. Condividiamo molti punti dell'analisi politica della mozione, e avendola riprodotta per intero su questa rivista, non ci pare il caso di elencarli per evitare ridondanze. Se fossimo stati in DN e avessimo dovuto scegliere tra i due ordini del giorno avremmo scelto quello che poi è risultato essere di minoranza. Ciononostante non ci soddisfa: appaiono in tutta evidenza i limiti dei dirigenti della minoranza interna che hanno steso questa mozione. Qui di seguito elenchiamo ed argomentiamo i punti di disaccordo.
Chi votare?
La mozione di minoranza afferma: "I comunisti non possono realizzare la non belligeranza verso lo schieramento di governo del grande capitale. [...] La proposta politica del polo autonomo di classe ha una sua traduzione coerente: la presentazione autonoma del PRC sia al Senato sia alla Camera, sia sul livello proporzionale sia nei collegi maggioritari, in alternativa al centrodestra e al centrosinistra. La scelta eccezionale di desistenza unilaterale può essere praticata solo verso gli esponenti di quella sinistra critica che sfidiamo alla rottura col centro (a fronte di esponenti non governativi e nei soli collegi in cui la presenza dei comunisti è determinante per il risultato). Ma proprio a partire dalla logica del polo autonomo di classe, non in contraddizione con essa."
Sulla prima parte siamo ovviamente d'accordo e l'abbiamo già argomentato (Alleanze elettorali: siamo alle solite?). Ma a partire dalla seconda parte, francamente, non capiamo più. Siamo ai soliti sofismi incomprensibili alle larghe masse. Il PRC dovrebbe votare "eccezionalmente" candidati della "sinistra critica" del centrosinistra. Quel che si dice un messaggio chiaro. Cosa si intende per "sinistra critica": i membri della sinistra DS? E la sinistra del furbissimo Salvi è dentro? E chi è vicino a Cofferati passerebbe l'esame? Chi decide e cosa decide se uno è o no appartenente alla "sinistra critica"? Questi personaggi, critici o meno, si presenteranno sotto il simbolo dell'Ulivo, e a meno che non siano dei mascalzoni, immaginiamo che si impegneranno a votare in Parlamento secondo il programma dell'Ulivo, che però noi detestiamo. Dunque: ci accontenteremo di una loro intervista dove si sbracceranno a fornire una qualche interpretazione "di sinistra" del programma dell'Ulivo? E come presenteremmo la nostra "coerente" posizione? Immaginiamo un giovane operaio che segue assai poco la politica perché gli dà, più o meno, la nausea: appena sente frasi del tipo "fermamente contro ma con qualche eccezione" cosa pensiamo che gli salti in mente? Questa linea suppone che le grandi masse siano al corrente delle sottili divisioni in cui si dibatte in mille sfumature la burocrazia diessina. Cosa significa che li votiamo sfidandoli "alla rottura col centro"? Li votiamo solo a condizione che, dopo aver giurato fiducia all'Ulivo e aver accettato e cercato i voti dei mastelliani, dichiarino che l'Ulivo si deve rompere in due? E magari nel mezzo della campagna elettorale? La mozione di minoranza evidentemente vorrebbe andare nella giusta direzione, ma, arrivata sull'orlo di una posizione coerente, come sull'orlo di un precipizio cui è giunta con gran spavalderia, esclama: oddio! ma mi devo buttare sul serio? Non c'è una scaletta da qualche parte?
DS
Dice la mozione di minoranza: "Tutto ciò conferma l'indicazione della rottura col 'centro' formalmente avanzata dal nostro partito. Ma ci obbliga a una traduzione coerente di questa indicazione. Rottura con il centro deve significare rottura con la classe dominante, con i suoi interessi, con i suoi candidati e rappresentanti, di centrodestra e di centrosinistra: e quindi rottura con il tradizionale centro politico borghese ed anche con quella burocrazia liberale DS che ha rotto col movimento operaio e con la sua stessa rappresentanza socialdemocratica. Rottura col centro significa parallelamente rivendicazione dell'autonomia del movimento operaio attorno a un proprio polo di classe: con l'appello unitario rivolto non solo ai lavoratori ma a tutte le forze della sinistra critica (vedi sinistra DS) che ancora si basano sul movimento operaio perché rompano col centro, quindi col centrosinistra, e realizzino con i comunisti un fronte unico d'azione attorno ad obiettivi di classe."
Con questa impostazione abbiamo più volte polemizzato, e fino a sgolarci ripeteremo che i DS sono un partito socialdemocratico. Sappiamo che nella sinistra antagonista questa posizione non è molto popolare, ma siamo una rivista e non dobbiamo fare iscritti e dunque continuiamo a dire quel che ci pare. Molti compagni ci scrivono e ci dicono: siamo d'accordo con voi, ma NON sulla caratterizzazione dei DS. Altri si stupiscono che abbiamo posizioni radicali su tutta una serie di argomenti e su questo manteniamo posizioni di "destra". Non ripeteremo qui tutte le nostre argomentazioni (che possono ritrovarsi nei materiali "La maledizione dei socialdemocratici" e "Congresso DS: che passione!") ma ci limiteremo all'essenziale. Il negare la caratterizzazione di partito socialdemocratico ai DS a nostro avviso nasconde una grande e repressa considerazione favorevole nei confronti della socialdemocrazia. Si immagina che la socialdemocrazia sia qualcosa di meglio dei DS. Invece è proprio quella roba lì, e a volte qualcosa di ancor più puzzolente. I socialdemocratici tedeschi sono quelli che ieri hanno assassinato Rosa Luxemburg, oggi sono quelli che, più modestamente, tagliano le pensioni; i socialdemocratici francesi sono quelli che sostenevano la guerra d'Algeria (un milione di morti) e che oggi devono farsi dire da Chirac di vietare le farine animali; i socialdemocratici austriaci sono quelli che votarono l'entrata in guerra dell'Impero Asburgico e che ieri l'altro sdoganarono il Fpo governandoci insieme: non era ancora quello della nuova destra di Haider ma era stracolmo della vecchia destra nazista. Perché andare tanto lontani? La politica del PCI dell'immediato dopoguerra, non vi è più alcun analista o storico che lo neghi, non era certo più a destra di quella di D'Alema o Amato. Eppure possiamo seriamente affermare che il PCI aveva "rotto con il movimento operaio"? I DS non possono rompere con il movimento operaio, cioè, in buona sostanza con la burocrazia sindacale e con le sue ramificazioni, per la semplice ragione che, come partito, non servirebbe più a nulla alla stessa borghesia, e crollerebbe subito alle elezioni. Ma vogliamo essere ancora più cattivi: la politica più a destra dal punto di vista economico e sociale questo centrosinistra non l'ha praticata certo con Amato, e neppure con D'Alema, ma con Prodi. E Prodi l'abbiamo sostenuto anche noi. Dunque l'apparato del PRC è "liberale" ed "ha rotto con il movimento operaio"? Che sciocchezze.
La realtà è molto semplice: in
Italia vi è il 20% dell'elettorato che vota i DS immaginando di votare
qualcosa di sinistra. Forse lo faranno per l'ultima volta, forse si tureranno
le narici, fatto sta che votano loro e non noi. Che immaginino di votare qualcosa
di sinistra ce lo dicono le periodiche inchieste pubblicate sul Corriere dal
furbino Mannheimer che chiede l'autocollocazione sull'asse destra sinistra degli
elettori. Gli elettori DS, Verdi e PRC si autocollocano in maniera netta e inequivocabile
a sinistra. Si sbagliano? Certo! Ma il problema che dobbiamo risolvere è:
come farglielo capire? La trovata dei nostri antenati leninisti oggi troppo
dimenticati, e che polemizzando con l'estremismo hanno realizzato nel frattempo
una rivoluzione, è la politica del "fronte unico", che in soldoni
significa che i comunisti devono in ogni momento offrire ai socialdemocratici
una alleanza politica che escluda il centro e le forze borghesi, basata su un
programma di classe. Si dirà: ma loro dicono di no! Lo diranno gran parte
delle volte, ma se ne assumeranno la responsabilità politica. Questa
è la traduzione più coerente della "rottura con il centro":
significa dire ai partiti di sinistra moderata: noi l'alleanza con voi vogliamo
farla, ma per piacere, non coi democristiani altrimenti come facciamo a difendere
la scuola pubblica, e i diritti della donne, e quelli degli omosessuali, e i
salari, ecc. Si dirà: dobbiamo rivolgerci alle grandi masse e non agli
apparati. Peccato però che le grandi masse votino gli apparati. La preoccupazione
di bloccare la destra, ecc. è una preoccupazione reale di una fetta maggioritaria
dell'elettorato di sinistra, e a questa domanda noi dobbiamo offrire una risposta
che appaia come praticabile alla massa degli elettori, anche se apparirà
terribile o ridicola ai dirigenti dei partiti che quella influenzano. Per parlare
cioè con quelle masse, noi dobbiamo avere una politica verso gli apparati
che godono di legittimità presso quelle masse.
Non dobbiamo chiuderci però in una sola politica di "fronte unico",
che tradotto modernamente possiamo dire di "unità della sinistra".
Oggi vi sono infatti vasti strati, soprattutto giovanili, potenzialmente conquistabili
dai comunisti che non sono affatto influenzati dai socialdemocratici, ma dal
qualunquismo e dalla destra, e a volte dall'estrema destra. Questi settori si
possono avvicinare con una politica che appaia di netta opposizione all'esistente.
Per questo l'offerta di alleanza per l'unità della sinistra deve essere
fondata su un programma radicale e su un comportamento politico coerente. Ma
di questo abbiamo parlato in altra parte ().
La propaganda
"La Direzione Nazionale chiede al partito un forte impegno di promozione e partecipazione alla scadenza di mobilitazione internazionale a Nizza contro le politiche liberiste: con una impostazione politica e programmatica fortemente caratterizzata che tracci un legame tra le istanze antiliberiste e quella prospettiva di alternativa socialista che, sola, può conseguentemente realizzarle. In particolare, in alternativa alle illusioni riformistiche circa la possibilità di un'Europa 'sociale' in ambito capitalistico e imperialistico, è centrale la rivendicazione strategica degli Stati Uniti socialisti d'Europa."
Terzo punto sul quale nutriamo perplessità. Noi non pensiamo affatto che i comunisti debbano nascondere le proprie prospettive, finalità, e i mezzi che ritengono opportuni per raggiungerli. Le parole d'ordine però devono essere commisurate al livello di coscienza raggiunto non diciamo dalle larghe masse, ma almeno dalle ristrette masse. Facciamo una domanda: in quale fabbrica andando là davanti a megafonare potremmo agitare la parola d'ordine degli "Stati Uniti Socialisti d'Europa" senza essere presi per una setta di esoterici? Non pensiamo che dobbiamo adeguarci nelle parole d'ordine al livello medio di coscienza, ci accontentiamo però di essere com-presi e non presi per matti. La parola d'ordine degli "Stati Uniti Socialisti d'Europa" è una consegna che ha nobili origini, non ci sono dubbi, ma oggi agitarla è come rispondere ad un operaio che si lamenta del salario di non preoccuparsi tanto, dato che tutto si risolverà col comunismo, quando verrà. Rifiutarsi di articolare parole d'ordine comprensibili e agitare solo i fini ultimi è come dire a uno che non sa nuotare e che è caduto in acqua che l'unica strada per salvarsi è raggiungere la riva opposta. Noi pensiamo sia meglio gettargli un salvagente, che così magari ha più forze per raggiungere l'altra riva, e soprattutto evitiamo che prima di spirare ci mandi a quel paese. Tra i fini e l'adesso ci sono di mezzo le parole d'ordine. Queste devono avere lo scopo non di far sedere la gente, ma di spingerla a muoversi. Le parole d'ordine devono possedere la funzione di creare movimento, contraddizioni, accumulare forze, certo, in vista dei nostri fini. Alla rivoluzione d'Ottobre ci si è arrivati agitando le parole d'ordine di pane, pace, terra.
Se parliamo d'Europa dunque dobbiamo criticare il suo carattere elitario ed antidemocratico, e dunque le parole d'ordine devono andare in quel senso. Ad esempio la Commissione è una specie di direttorio del grande capitale: chi diavolo l'ha eletta? A chi risponde? Non certo alla cittadinanza. Eppure decide più la Commissione di tutti i parlamenti europei messi insieme. Dobbiamo agitare parole d'ordine che spingano alla radicale democratizzazione dell'Europa. Il Parlamento deve decidere, la Commissione va abolita. Scrivono una Carta dei Diritti inaccettabile? Allora dobbiamo proporne una alternativa (e benissimo ha fatto il partito a votare contro).
Il dottrinarismo (con una dottrina mal digerita) è uno dei principali limiti dei dirigenti della minoranza del partito, ed una delle ragioni della sua strutturale debolezza.