Lettera aparte ai compagni
di Progetto Comunista.
La
risposta di Falce e Martello all'"espulsione" da Progetto Comunista.
Marzo 2001.
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sulla vicenda
Cari compagni e compagne,
la "presa d'atto" con la quale avete reso pubblica quella che ritenete
essere la "obiettiva separazione" dei sostenitori di FalceMartello
da Progetto comunista rappresenta a nostro avviso un grave errore, un atto ingiustificato
che danneggia seriamente la prospettiva della battaglia dei rivoluzionari nel
Prc.
Cercheremo di motivare questa nostra convinzione nel modo più chiaro
possibile in questa lettera. Il nostro è un appello a riconsiderare una
decisione sbagliata, e a riportare la discussione sul giusto terreno.
1) Si parla di "dissenso strategico" riguardo alla analisi dei Ds
e alla proposta elettorale. Il dibattito ha chiarito a sufficienza quali siano
le posizioni in campo al riguardo, e non lo riproponiamo ora. È certo,
però che la vostra lettura ingigantisce la natura del dissenso per giustificare
la inevitabilità della nostra espulsione. Parlare di "dissenso strategico"
è del tutto fuori luogo. Dissenso strategico è quello che c'è
fra noi e la maggioranza del partito. La nostra proposta elettorale non deriva
affatto da una concezione di "fronte unico strategico". Su questo
avete seminato non poca confusione. La tattica elettorale che noi proponiamo
oggi non è affatto un'applicazione del fronte unico. Infatti questo,
nella concezione "classica" elaborata nei primi congressi dell'Internazionale
comunista, prevedeva l'appello ai vertici socialdemocratici, lo sviluppo di
rivendicazioni fondamentali di classe sulle quali chiedere una battaglia comune,
ecc. Oggi (e lo abbiamo spiegato più volte), questo tipo di appello ha
ben poca ragione di essere, considerato il percorso dei Ds in questi anni. Fare
appello a D'Alema e Veltroni per una battaglia comune contro le privatizzazioni,
o contro la precarizzazione, sarebbe ovviamente ridicolo. La nostra è
puramente una proposta che mira ad abbattere la barriera che oggi divide i comunisti
da gran parte della base elettorale dei Ds. Punto e basta. Si può essere
d'accordo o meno, ma parlare di "concezione strategica" da parte nostra
è solo una scusa per allargare il solco e giustificare la cortese richiesta
che ci viene fatta di uscire da Progetto e togliere il disturbo.
All'interno di Progetto esistono differenze ben più profonde di quella
sui Ds. Se di differenze strategiche si deve parlare, queste esistono semmai
riguardo alla questione dello stalinismo, che è questione centrale nel
dibattito sulla rifondazione comunista. Ci sono compagni che hanno difeso pubblicamente,
nel Cpn e altrove, concezioni che costitituiscono una difesa più o meno
velata dello stalinismo. Incredibilmente nel nostro dibattito in occasione dell'ultimo
Cpn il compagno Ferrando ha minimizzato la portata della questione indicandola
come una semplice "mancata razionalizzazione" da parte di alcuni compagni
riguardo ad avvenimenti "storicamente avvenuti". In altre parole,
la divisione tra bolscevismo e stalinismo costituisce secondo voi un argomento
di puro dibattito storico, mentre una differente valutazione tattica (sulle
elezioni) o di analisi (sui Ds) costituisce una differenza insanabile, tale
da non permettere la nostra presenza all'interno di Progetto comunista.
2) Si pone anche una questione di metodo, cioè il mancato "rispetto
degli orientamenti assunti democraticamente da Progetto". In altre parole,
la nostra posizione potrebbe forse avere diritto di cittadinanza, ma solo a
patto di non essere formalizzata con documenti scritti di fronte al partito.
Ci pare che anche qui si usino due pesi e due misure. Nel Cpn del 6-7 maggio
2000 sette compagni hanno sostenuto pubblicamente, con dichiarazione di voto,
la posizione della maggioranza del partito rispetto al voto sui referendum radicali,
proponendo l'astensione mentre l'insieme di Progetto proponeva il voto NO sull'articolo
18. Di più, una parte importante di compagni di Progetto ha partecipato
alla campagna astensionista condotta dai sindacati di base. Non si poneva forse
lo stesso problema? Eppure nessuno allora sollevò un problema di disciplina
pubblica fra i compagni di Progetto.
In più di un caso, a livello locale, non vi siete fatti alcun problema
da avanzare proposte a titolo personale, laddove non c'era accordo all'interno
dell'area. Un esempio fra tanti, la candidatura del compagno Baroni nelle elezioni
regionali in Lombardia, sulla quale molti compagni, noi compresi, nutrivano
forti dubbi e contrarietà. Questa proposta venne avanzata a Milano dal
compagno Bagarolo "esplicitamente a titolo personale", come egli stesso
spiegò in una successiva lettera. Possiamo dire che ci pare che il concetto
di disciplina vale per voi solo quando siete in maggioranza? O forse la questione
non costituiva un "dissenso strategico"?
3) Ci si contesta infine un impegno insufficiente nel sostenere le posizioni
del Progetto nella battaglia interna al partito. Ora, su un terreno come questo
si entra certo sul terreno di valutazioni soggettive. Il quadro che dipingete,
tuttavia, è chiaramente distorto per non dire falsificato. Nei congressi
e nelle conferenze provinciali che hanno punteggiato la vita del partito in
numerosissime federazioni, i nostri compagni sono stati attivi quanto e più
di altri nel sostenere le posizioni di Progetto: congresso provinciale di Caserta,
di Roma (in condizioni estremamente difficili), conferenza di Milano, conferenza
dei Gc di Milano, conferenza delle donne comuniste, e via via elencando. Quanto
e più di altri abbiamo partecipato alla lotta contro gli accordi delle
regionali (basti ricordare che la lettera aperta contro l'accordo in Lombardia
nacque in primo luogo su nostra proposta, che trovò l'immediato consenso
dell'insieme dei compagni nella zona).
Noi non vogliamo nasconderci dietro a un dito e negare che i dissensi politici
tra noi abbiano in diversi casi ostacolato anche l'iniziativa comune nella lotta
di partito. Ma dire che ci siamo "differenziati sistematicamente",
che ci siamo "rifiutati di gestire" le posizioni di Progetto nel partito,
ci pare una grossolana falsificazione della realtà. Ma se anche fosse
vero tutto quanto scrivete - e non lo è affatto - come potete concepire
l'idea che un presunto scarso impegno possa giustificare un atto arbitrario
come un'espulsione? Da quando in qua sono le misure disciplinari a rendere più
attiva e coesa un'area politica? I problemi di partecipazione militante a Progetto
esistono eccome, e questo lo dimostrano le dimissioni di 7 compagni al Cpn,
alcune delle quali sulla base di dissensi politici (uscita dal partito), e riguardanti
compagni che in passato hanno giocato un ruolo significativo nella costruzione
della sinistra del partito. Si faccia un bilancio serio di questi problemi (un
bilancio ovviamente politico, non personale), anziché chiacchierare a
ruota libera sul ruolo di FalceMartello.
Noi non crediamo che questo atto nasca da un errore occasionale. Nasce da una
concezione sbagliata della costruzione del Progetto, della sua funzione, e quindi,
di riflesso, del modo con cui gestire il dibattito interno. Per andare al cuore
del problema, nasce dalla disomogeneità politica di Progetto, e dal ruolo
dell'Associazione Proposta all'interno del Progetto stesso.
Quando nacque Progetto, era del tutto evidente che al suo interno continuava
ad esistere una forte eterogeneità di posizioni. Al tempo stesso esiste
la predominanza assoluta negli organismi dirigenti, dei compagni di Proposta.
Non a caso fin dall'inizio chiedemmo se si intendesse porre nel Progetto un
vincolo di disciplina esterna. Su questo punto vi furono opinioni diverse, ma
in nessuna occasione, né a Bellaria, né successivamente, si decise
l'applicazione di una disciplina imperativa. Chi oggi dice il contrario nega
semplicemente la realtà.
In una lettera indirizzataci il 20/10/99 dai compagni della Direzione Nazionale,
scrivevate: "Una tendenza per sua definizione non implica una disciplina
d'azione e di voto. () Tuttavia essa implica una discussione comune, un rispetto
delle posizioni che esprimono l'opinione della maggioranza dei suoi componenti,
una tendenziale convergenza (salvo 'eccezione') nell'azione.
Tentare di accreditarci un'altra concezione attribuendoci la pretesa di una
'disciplina imperativa' significa stravolgere quanto da noi affermato".
Ci pare che la vostra attuale decisione sia in netto contrasto con quanto esprimevate
solo 18 mesi fa.
Noi non contestiamo che sia necessario lavorare per una maggiore unità
e omogeneità politica all'interno di Progetto, né tantomeno ci
sogniamo di mettere in discussione il diritto di Proposta di fare la propria
lotta per l'egemonia in Progetto.
Quello che contestiamo è il metodo utilizzato, e cioè quello di
usare la leva dei numeri negli organismi dirigenti, e che si pensi che questa
possa sostituire la discussione politica e la comune esperienza sul campo, che
sono gli unici canali attraverso i quali si può arrivare a una reale
omogeneità politica.
Su questo terreno sono state operate forzature evidentissime. Un esempio su
tutti. Nella Direzione Nazionale del 20/6/2000 è stato presentato il
noto documento, firmato da Ferrando e Grisolia, nel quale si pone la prospettiva
della ricostruzione della Quarta Internazionale, cioè l'adesione alla
struttura internazionale della quale fa parte l'associazione Proposta. Mai questo
tema era stato discusso in precedenza, in alcun ambito del Progetto. Eppure,
secondo la logica che oggi si propone, se si portasse nel Cpn lo stesso dibattito,
tutti i compagni di Progetto dovrebbero pubblicamente adeguarsi a quella proposta,
aggregandosi di fatto al progetto internazionale dell'associazione Proposta.
Compagni, ritenete veramente sufficiente, di fronte a un tema di tale importanza,
il fatto di avere la maggioranza nell'organismo dirigente per far passare una
simile posizione senza neppure prendere in considerazione la possibilità
di discuterne ampiamente con tutti i compagni di Progetto?
Non sarebbe ora di prendere atto che la sinistra del partito non comprende solo
l'associazione Proposta? Non è né un bene, né un male:
è semplicemente un fatto. Non tenerne conto significa creare grosse difficoltà.
A nostro avviso Progetto dovrebbe essere la struttura della sinistra del partito
nel suo complesso. Una sinistra che punta a radicarsi nel partito e nella classe,
che dibatte al suo interno e che cerca di raggiungere l'unità sulla base
di questo percorso, e sulla base di una chiara delimitazione e definizione delle
diverse correnti politiche presenti al suo interno.
Qualsiasi altra proposta significa, nei fatti, sostenere la identità
di Progetto comunista e Proposta. Ma se è così, che si dica chiaramente.
Si abbia l'onestà politica di dire a tutti che aderire a Progetto significa
accettare una disciplina vincolante stabilita dall'associazione Proposta, la
quale a sua esclusiva discrezione stabilisce chi può e chi non può
stare nel Progetto, quali dissensi sono "strategici" e quali sono
invece "tollerabili", quali atti costituiscono "violazione delle
decisioni assunte democraticamente" e quali no.
Nella vostra lettera sopra citata, e in numerose altre occasioni, è stata
da voi espressa l'opinione che in Progetto tuttavia non possa esistere un'"opposizione",
ossia che gli eventuali dissensi, per essere accettabili, devono essere episodici
e non riguardare temi di importanza significativa. Ci pare che questa sia una
concezione del tutto estranea alla tradizione e allo spirito della lotta che
i marxisti si sono trovati più volte a dover condurre in partiti riformisti,
o comunque non rivoluzionari. Due esempi fra tanti che lo dimostrano. Nella
sinistra del Psi che diede poi origine al Partito comunista d'Italia coesistevano
diverse posizioni, a partire da quelle di Bordiga da un lato e dell'Ordine Nuovo
di Gramsci dall'altro. Questo non impedì la battaglia comune contro il
massimalismo e il riformismo.
Analogamente, di fronte alla degenerazione stalinista del Partito bolscevico,
negli anni '20 si formò l'Opposizione unificata, la quale riuniva posizioni
diverse (in primo luogo Trotskij e Zinoviev) in una azione convergente sul fronte
principale della lotta di partito.
In entrambi questi casi vi furono episodi nei quali le diverse posizioni all'interno
di queste tendenze si espressero in modo distinto, e altri nei quali invece
si espressero unitariamente. I paragoni storici vanno sempre presi con le dovute
cautele; ci pare tuttavia che vi siano elementi di riflessione anche per noi
in quelle esperienze. Il campo sul quale conduciamo la nostra battaglia, compagni,
non lo decidiamo solo noi, ma lo decidono anche gli avversari e le circostanze
storiche. Se dimenticate questo, se pensate che il problema della costruzione
della sinistra del Prc sia solo un problema di "rapporti tra FalceMartello
e
Progetto comunista" state commettendo un gravissimo errore.
La decisione che avete assunto significa, né più né meno,
una espulsione per motivi politici. Inaccettabile nel metodo, poiché
avete fissato una regola disciplinare che mai è stata votata nel Progetto,
e l'avete applicata retrospettivamente nei nostri confronti. Inaccettabile nel
merito, poiché gli argomenti, espliciti ed impliciti, che portate a sostegno
della vostra decisione non reggono a una seria analisi.
Crediamo che oggi i nodi irrisolti del Progetto giungano al pettine, non per
la nostra "indisciplina", ma per la incapacità che avete dimostrato
di scioglierli con metodi e criteri politici. Noi respingiamo il vostro tentativo
di scioglierli ora con una decisione antidemocratica.
Nel tentativo di superare le divisioni della nostra area state in realtà
gettando a mare quella tradizione del marxismo alla quale voi stessi dite di
fare riferimento. Quando sentiamo i compagni dirigenti dell'associazione Proposta
che minimizzano la differenza tra bolscevismo e stalinismo, quando sentiamo
dire che non è più applicabile l'analisi di Trotskij (e di Lenin)
riguardo ai partiti socialdemocratici, quando si scende fino al livello di decidere
un'espulsione politica senza neppure una discussione al riguardo,
senza neppure informare preventivamente i compagni interessati, limitandosi
a raccogliere firme da far circolare via e-mail, ebbene cari compagni, abbiamo
il dovere di dire che ci si sta mettendo su una strada che porta molto lontano
da quella del marxismo.
L'unità che state costruendo non è l'unità basata sui principi
condivisi, sulla vera solidarietà politica, sul dibattito aperto e franco,
ma è l'unità di tutti quelli che sono disposti a chinare il capo
di fronte alla vostra maggioranza negli organismi dirigenti. Che questo vada
a detrimento nostro (oggi, e domani di altri), è un problema grave; ma
decisivo è il fatto che con questi metodi non si costruirà mai
e poi mai una forza rivoluzionaria.
Compagni, non è ancora troppo tardi per correggere un errore grave rivedendo
questa decisione.
Chiediamo che alla prossima annunciata assemblea nazionale si discuta il bilancio
da Bellaria in poi, la questione della costruzione del Progetto stesso e la
definizione di un metodo adeguato di gestione del dibattito interno, e rivendichiamo
il nostro elementare diritto a partecipare a questo dibattito e alla sua preparazione,
allo stesso titolo con cui vi partecipano tutti gli altri compagni. Quali che
saranno le decisioni di quella assemblea, prese dopo un dibattito democratico,
le considereremo rappresentative della effettiva volontà dei compagni
di Progetto. Quello che mai potremo accettare è una espulsione condotta
con metodi che ci ricordano le peggiori esperienze burocratiche, senza dibattito,
senza che neppure ci venga offerto l'elementare diritto di difenderci e di portare
le nostre ragioni in un dibattito democratico con l'insieme dei compagni di
Progetto comunista.
1 marzo 2001