3.5 Per una nuova cittadinanza

L'idea di cittadinanza, da un certo punto in poi della modernità, non ha più coinciso con i soli possidentes, quei borghesi proprietari adulti, bianchi, di sesso maschile, a misura dei quali la stessa modernità aveva pensato e agito la cittadinanza, erigendo per lungo tempo barriere a che vi accedessero altri soggetti: le classi subalterne, il genere femminile, i "diversi".

Oggi l'idea di cittadinanza include, in linea di principio, tutti i membri della collettività, senza distinzioni di sesso, di censo, di rango e di religione. E, sempre in linea di principio, senza distinzione di provenienza geografica dal mondo e senza ostacoli in ragione delle scelte di vita privata che uomini e donne possono compiere. Ma le cose stanno nella realtà molto diversamente e l'ipotesi progressiva di una cittadinanza aperta e accogliente è oggi contraddetta in maniera crescente da dinamiche regressive, segnate dall'esclusione, dal pregiudizio, da nuove discriminazioni e insorgenze negative contro le diversità.

La cittadinanza intesa come spazio pubblico universale ha costituito un fondamentale terreno di conflitto e di avanzamento materiale, politico, simbolico, di appropriazione del senso della propria esistenza pubblica e privata, per un numero crescente di persone. La lotta per la cittadinanza e l'esercizio della democrazia sono andate insieme e l'una si è arricchita e ampliata in ragione dell'espansione e della forza dell'altra. La cittadinanza da politica è diventata anche sociale, dando vita a una pratica sociale e politico-istituzionale complessa, che ha messo in tensione soggetti e soggettività diverse e ha investito in pieno il ruolo dello Stato come soggetto "terzo", garante dei patti tra le diverse parti, in primis quello tutto novecentesco tra "Capitale e Lavoro". Le grandi costituzioni del Novecento parlano di questo. L'idea che i diritti siano universali e validi verso tutti e tutte - idea intorno a cui si sono dipanate le vicende della cittadinanza moderna - contiene infatti una straordinaria forza di emancipazione e di libertà, ha la potenzialità di mettere in movimento chi è escluso, di accendere il conflitto, sia esso di classe, di genere, connesso a nuove soggettività che si sanno escluse. E la differenza esclusa, mentre agisce il suo diritto ad accedere ai diritti, rinomina e riposiziona lo stessa idea di universalismo. La storia delle donne, da questo punto di vista, è esemplare e paradigmatica.

Per questo oggi l'universalismo dei diritti è messo in mora e il ruolo di "terzietà" dello Stato negato, soppiantato dal primato del mercato e dalla decisionalità assoluta dell'impresa.

Lo svuotamento e l'asfissia che hanno colpito la democrazia facilitano la riduzione della cittadinanza a regole di convivenza formali, octroyées, cioè concesse dall'alto, da poteri autonominati: regole che non prevedono o cambiano il segno di una parte fondamentale della cittadinanza, appunto quella sociale - ridotta a funzione assistenziale per i più bisognosi - in assenza della quale gli altri diritti, ancorché fondamentali, diventano privilegio di ristrette élites, proprietarie di risorse economiche e intellettuali. La Carta europea dei diritti fondamentali esprime in maniera emblematica questa concezione della cittadinanza: formale e nominalistica, depotenziata del suo versante sociale e della garanzia della democrazia come processo attivo e partecipativo dei soggetti, come conflitto e possibilità inscritta di negoziazione tra parti diverse, non solo come insieme di articoli di legge fissati una volta per sempre.

Ma questa negativa tendenza di fase, conseguenza dei processi della globalizzazione e del crescente dislocamento dei poteri decisionali forti al di fuori della sovranità degli Stati nazionali, apre nuove contraddizioni proprio sul terreno del diritto alla cittadinanza e dei diritti di cittadinanza. I movimenti anti-liberisti parlano anche di questo. Essi fanno irrompere, nel nuovo spazio pubblico delle mobilitazioni contro i summit dei poteri globali, i nuovi soggetti di una "cittadinanza militante", connessa a bisogni quotidiani che il mercato annienta ogni giorno di più (il cibo sano, l'aria pulita, il gusto di certe tradizioni locali), e animata da istanze culturali non omologabili, da contraddizioni non sanabili. Ecologisti, femministe, migranti, nuove generazioni di giovani donne e uomini. Una novità e un'esperienza confermata anche dal recente successo in Francia della lista dei/delle Motivé-es.

Riemerge così un tratto distintivo della grande esperienza di cittadinanza democratica che ha attraversato la modernità: accanto e in connessione con i bisogni materiali, il desiderio di autorappresentarsi dei soggetti, l'aspirazione alla libertà di donne e di uomini. La cittadinanza come insieme complesso e ricco dei diritti e come spazio pubblico di azione democratica per rappresentarli, negoziarli, scriverli.

Per questo il capitolo della cittadinanza è per noi così importante ed è così forte l'impegno che vogliamo assumerci come partito su questo terreno.

La cittadinanza parla della qualità del vincolo sociale che vogliamo contribuire a ricostruire in forme forti ed espansive, delle relazioni che vogliamo ripensare per un nuovo universalismo radicato nelle differenze e in differenze non riducibili, dei rapporti di senso tra diversi e del rispecchiamento sociale nell'umanità dell'Altro che pensiamo siano condizioni fondamentali per una nuova civiltà delle relazioni sociali, da opporre all'imbarbarimento sociale che la globalizzazione trascina con sé.

Questa cittadinanza parla al presente e parla del futuro, perciò deve avere gli occhi rivolti alle bambine e ai bambini che saranno gli adulti del secolo oggi agli albori. Intorno a loro si condensa uno dei capitoli più intensi dei diritti di cittadinanza - tutto da scrivere come tale - che deve far chiarezza sui rapporti parentali, sui diritti genitoriali, sulla genitorialità biologica e su quella sociale, sul rapporto pubblico e privato, tra la legge e la famiglia, sull'individuo minore e sui suoi diritti a un futuro umano ed esistenziale, sociale, ambientale degno di essere vissuto in ogni parte del pianeta.

 

3.5.1 Cittadinanza e genere

Il principio dell'autodeterminazione femminile ha rappresentato nel secondo Novecento non soltanto un grande momento politico-simbolico nel percorso di emancipazione, liberazione e libertà delle donne, non soltanto un allargamento della cittadinanza ma un vero e proprio salto di qualità, un radicale riposizionamento del modo di concepire i rapporti sociali e la legge che li regola. In quei rapporti e in quella legge ha fatto irruzione infatti l'esperienza umana femminile non come oggetto ma come soggettività consapevole. Per la prima volta nella storia dei rapporti di genere il corpo femminile è stato considerato corpo sovrano, del soggetto femminile di appartenenza e non più "naturalmente" oggetto del dominio, della rappresentazione del mondo, dell'immaginario e della norma maschili.

L'autodeterminazione costituisce quindi la parte fondativa e fondamentale della cittadinanza femminile perché stabilisce concretamente e specificamente le modalità dell' "habeas corpus" femminile. Quel corpo, che nel patriarcato era sottoposto al controllo maschile, concepito come funzione familiare, in osmosi con l'ambito domestico e funzionale ad assicurare la discendenza maschile - da tutelare e punire da parte di altri - entra per la prima volta nell'ambito della responsabilità femminile. Ogni donna è responsabile del suo corpo in materia di sessualità, procreazione, maternità. Il corpo delle donne non è disponibile per nessuno, ogni donna sceglie e decide. Anche, se vuole, con chi condividere le sue scelte.

La maternità è una scelta connessa a un potere che le donne hanno, a un'esperienza umana - quella appunto di generare - che le coinvolge direttamente e totalmente e rispetto alla quale soltanto loro possono dire "la prima e l'ultima parola".

Anche quella di abortire.

Il principio dell'autodeterminazione non è negoziabile. Esso costituisce un passaggio di vera e propria civilizzazione nelle relazione tra donne e uomini che va rilanciato e rafforzato contro gli ormai dichiarati obiettivi del centro-destra di mettere mano alla legge 194 (Interruzione volontaria di gravidanza), contro le politiche si smantellamento o svuotamento delle strutture consultoriali, contro le campagne oscurantiste tese a criminalizzare le donne che decidono di abortire.

Il principio dell'autodeterminazione femminile deve transitare tra le giovani generazioni, femminili e maschili, così come deve circolare tra le ragazze e i ragazzi l'informazione sessuale e deve essere favorito l'accesso ai contraccettivi, compresa la pillola del giorno dopo.

Sono infatti i soggetti femminili più fragili - soprattutto ragazze e immigrate - quelli che per lo più si trovano nella necessità di ricorrere all'aborto. L'attività dei consultori deve essere moltiplicata, proiettata sul territorio, mirata a far sì che le donne, a partire dalle fasce che più ne hanno bisogno, siano messe in condizione di conoscere e scegliere consapevolmente come gestire la propria sessualità e la capacità procreativa del proprio corpo.

Con l'autodeterminazione la maternità non è più un destino biologico ma non è neanche un obbligo sociale, né è un imperativo morale né soprattutto deve essere un pretesto ideologico per nascondere o edulcorare politiche più o meno apertamente fondate, come quelle delle destre, sul rifiuto dell'altro e sulla paura che il calo delle nascite favorisca "l'invasione" degli immigrati.

La maternità è invece una grande scelta esistenziale femminile, che fonda i commerci sociali. E' una scelta di amore, di intrinseca relazionalità umana - la relazione strettissima, vera e propria condicio sine qua non, tra madre e creatura - di senso di sé e del mondo, che transita e informa l'intera società Contiene infatti in sé, in maniera emblematica e irripetibile, gli elementi che sono - o dovrebbero essere - alla base dello stare insieme sociale: il radicale riconoscimento dell'Altro da sé; il convivere con la diversità; il prendersi cura di ciò che serve allo stare insieme.

La possibilità di scegliere liberamente, con agio materiale ed esistenziale, la maternità è indicatore della qualità del patto sociale e delle relazioni tra i sessi che informano quel patto. La maternità consegue a un'asimmetria dei corpi maschile e femminile e a un'esperienza umana legata a quei corpi che deve investire l'intera sfera dei diritti, a partire da quelli del lavoro. L'impresa non può frapporre ostacoli alla scelta di maternità di una donna, la maternità non può essere assimilata né paragonata a una malattia, e non può ricadere sulle spalle della donna in termini di diritto al lavoro e diritti del lavoro, garanzia del reddito, salvaguardia della qualità del proprio lavoro. La maternità deve essere radicalmente sostenuta e tutelata sul luogo di lavoro e nella società, attraverso la messa a punto di un piano organico di servizi pubblici, una durata dei tempi di lavoro che favorisca tra donne e uomini la distribuzioni dei compiti di cura e di relazionalità affettiva nei confronti dei figli, una qualità della vita che dia senso e futuro alla scelta di maternità, una strategia di politiche economiche tese ad assicurare alle donne un'autonomia che le sottragga alla dipendenza dal reddito del partner.

Le politiche familistiche promosse nazionalmente dal centro-sinistra, e sul piano territoriale da molte giunte di centro-sinistra e centro-destra in termini assai simili per quanto riguarda la logica di fondo nonché la natura economica delle proposte, vanno respinte perché vanno in direzione esattamente opposta a quella di garantire autonomia sociale alle donne. Il "family state" infatti:

a) risospinge le donne nell'ambito domestico, limitandone scelte, opportunità, autonomia economica, libertà; le costringe a farsi carico in maniera crescente di un doppio lavoro, in casa e fuori, svalorizzando entrambi, perché quello fuori di casa diventa residuale e aggiuntivo a quello maschile e familiare, quello domestico "naturale" e dovuto; ripropone sul piano pratico e simbolico l'accettabilità del patto iniquo tra i generi che presiede all'economia familiare, e dunque l'accettabilità che meccanismi analoghi funzionino nella società più in generale, non solo nei rapporti tra i generi;

b) imprigiona le nuove generazione per un lunghissimo periodo nelle maglie della famiglia d'origine, privando i giovani e le giovani di autonomia sociale, di sicurezza e speranza nel futuro, di responsabilità pubblica;

c) svalorizza la libertà e la responsabilità di donne e di uomini nelle loro scelte di relazioni affettive, progetti di vita in comune, scelta di maternità e paternità, in quanto prescrive e ripropone le regole auree della "famiglia legale" da difendere ideologicamente e tutelare in caso di bisogno economico, in quanto "nucleo naturale" della società. La funzione di supplenza del welfare state che si vuole attribuire alla famiglia va radicalmente contrastata.

Il diritto delle donne a non dover sobbarcarsi i compiti della riproduzione sociale come conseguenza del suo essere donna, a non essere architrave e protesi della famiglia, ma individua e cittadina, implica la lotta a fondo contro qualsiasi impostazione familistica del welfare: da qui parte un impegno fondamentale di costruzione dell'alternativa.

La famiglia è una costruzione storico-sociale che si è diversificata nel tempo ed è in tensione tra dinamiche sociali, desideri esistenziali, relazioni affettive, scelte di vita e di comportamento.

Le biotecnologie riproduttive non devono servire, come è successo nella vicenda del decaduto disegno di legge sulla fecondazione artificiale, a veicolare modelli e comportamenti familiari prescrittivi, ispirati all'etica della Chiesa cattolica. Anche in questo campo vige il principio della responsabilità individuale, a cominciare da quella femminile.

La legittimità delle convivenze, famiglie di fatto, dell'amore gay e lesbico non può essere messa in discussione da nessuna autorità statale. Questo è un punto essenziale, come tutti quelli che caratterizzano la libertà femminile, per stabilire il tasso di laicità dello Stato rispetto alla Chiesa cattolica, per sottrarre radicalmente lo Stato dall'ingerenza del Vaticano e dalla sua pretesa di detenere il monopolio dell'etica. Il Prc è impegnato alla valorizzazione delle scelte libere di convivenza come scelte di esistenza, affettività, crescita interpersonale, responsabilità umana.

 

3.5.2 Cittadinanza e cultura

Anche le politiche culturali sono state ispirate da un processo di conversione alle linee neoliberiste. Sotto l'onda e la giustificazione del risanamento economico, nel nostro paese sono state ridimensionate tutte le spese d'investimento pubblico nei settori della ricerca scientifica, negli interventi per l'ambiente e per i beni culturali. Gli stessi consumi culturali, il sistema formativo, i media e il sistema dell'informazione sempre più sono stati trasformati da elementi costitutivi della cittadinanza in beni acquistabili sul mercato, sottoposti alle leggi della concorrenza. Questi processi hanno prodotto una segmentazione inaccettabile dei consumi culturali di massa. Grandi sacche di analfabetismo culturale concorrono a consolidare le attuali disuguaglianze sociali e le gerarchie di status. Se il reddito è diventato sempre più l'indicatore per l'accesso al prodotto culturale di qualità, tutto il sistema della fruizione simbolica si impoverisce e si banalizza. La sua mediocrità diventa una componente essenziale dello scadimento delle sensibilità collettiva verso le diversità culturale, i codici linguistici complessi; insomma redditi e consumi segmentano la capacità dei soggetti di collocarsi con pari possibilità sulla scena sociale. Si determina il paradosso di una forbice sempre più aperta tra potenzialità e disponibilità delle conoscenze e delle informazioni e la loro distribuzione e fruizione sociale. Tali saperi stratificati determinano la stessa qualità della vita dei soggetti, frammentano le stesse gerarchie di valori comunemente riconosciuti; determinano in ultima istanza la possibilità di accedere a lavori qualificati e di pregio, chiudendo un circolo vizioso inaccettabile.

Questo sostanziale impoverimento della conoscenza, sia nei suoi punti di eccellenza, sia come diffusa conoscenza sociale, costitutiva di un civile senso comune, ha determinato un arretramento del paese in quanto a capacità di innovare e competere a livello internazionale.

Il sistema dell'informazione e dei media pubblici ha ceduto alla privatizzazione e il parametro costitutivo della loro diffusione non è stato più il riferimento della qualità, ma l'audience e la soddisfazione-accettazione dei clienti-utenti.

Infine i processi di privatizzazione che hanno investito anche il sistema formativo, sia scolastico che universitario, stanno creando un deficit di futuro in termini di intelligenza e saperi collettivi condivisi.

Politiche per la scienza e la ricerca

Il sistema scientifico e della ricerca ha visto sempre più ridursi i canali del finanziamento pubblico; hanno successo quei settori più direttamente legati alle imprese, spesso riservandosi nicchie della ricerca che non hanno impianto strategico per lo sviluppo. La stessa libertà della ricerca rivendicata dagli scienziati sembra più inscritta in una richiesta di mano libera interna alle logiche di mercato piuttosto che una giusta rivendicazione del rilancio della conoscenza come bene comune strategico della nazione. Una dimensione di nuovo americanismo lobbistico nei confronti del potere pubblico da parte di settori della scienza rompe con una tradizione della comunità scientifica mediatrice tra libertà della scienza e responsabilità etica della sua applicazione e utilizzazione sociale.

Politiche dei beni culturali

L'anno giubilare ha fatto correre grandi quantità di risorse, ma per lo più ci sembra secondo una logica a pioggia, piuttosto che come intervento d'urto per determinare una riqualificazione di più lunga durata del patrimonio pubblico dei beni culturali. La logica di spettacolarizzazione degli interventi e una ricorrente dimensione "consumistica" della fruizione artistica e del patrimonio culturale ha impoverito i processi didattici e comunicativi necessari per l'elevamento culturale reale dei soggetti fruitori. La crescita dei consumi spesso ha preso la forma di un accesso povero ad un rumore di fondo, per la mancanza di sinergie che intercorre tra la cultura del territorio e i grandi sistemi della riproduzione culturale: l'università, i media, la scuola.

Diritto d'autore e copyright

Nel sistema globale della produzione e diffusione della cultura e dei prodotti dell'immaginario acquista un punto di grande rilievo strategico la riconduzione alla dimensione angusta di merce di ogni prodotto dell'ingegno umano.

La connessione generale dei saperi sociali diventa ogni giorno sempre più proprietà privata, mezzo di produzione del profitto e nuova materia prima nello stesso tempo. La proprietà intellettuale di questi beni diventa allora lo snodo della questione. La vita biologica, i prodotti dell'ingegno umano, le arti, la creatività, l'invenzione di nuovi simboli, le stesse esperienze umane di vita sono sottoposte alla pressione della privatizzazione. La difesa del diritto d'autore, come del diritto alle conoscenze scientifiche deve essere riconsiderato. La conoscenza, anche se è bene prodotto da persone, sempre è segnato dalla sua genealogia sociale, la conoscenza è sempre debitrice al contesto e all'eredità culturale. Il prodotto d'ingegno deve essere libero: è stata una grande acquisizione del pensiero liberale. Ma simmetricamente deve esistere un diritto dei cittadini all'accesso alla conoscenza e alla cultura. Un diritto reale passa per la gratuità e l'universalità. Dovremo allora tutelare la conoscenza, con la protezione del diritto degli autori, quando il prodotto d'ingegno si fa mezzo di produzione per il profitto e nello stesso tempo esaltare l'aspetto di "dono" sociale del prodotto d'ingegno quando questo si fa realtà comunicata socialmente. In ogni caso altra cosa è l'atteggiamento monopolistico dei soggetti industriali e commerciali che impongono il copyrigth sui prodotti d'ingegno. Questi fenomeni non solo rendono per lo più inaccessibili i beni culturali, ma costituiscono un freno allo sviluppo culturale. Certo è difficile per le politiche statali intervenire su processi interni alla globalizzazione delle produzioni e dei mercati, ma è insostenibile una politica passiva e spesso accondiscendente ai meccanismi oggi operanti. Settori strategici come quelli del software informatico, dei prodotti di largo consumo, musica, audio, video sono i nuclei nevralgici di un piano di welfare informativo e simbolico, utile sia per le ricadute sullo sviluppo economico, sia per il rilievo che la diffusione della cultura ha sui diritti di cittadinanza.

 

Dalle valutazioni che si sono fatte derivano alcuni punti programmatici di grande rilievo.

Piani di sviluppo per la scienza e la ricerca

La sollecitazione di un cambio di rotta negli investimenti per la ricerca, un investimento per il sistema formativo pubblico sono le priorità di ogni politica culturale che miri a consolidare i saperi e soprattutto per cercare nuove vie di produzione della conoscenza, autonome dai condizionamenti del mercato. La trama della spesa pubblica per scienza, conoscenza e cultura si è fatta sempre più esile. Proponiamo un impianto che operi su due piani e che preveda investimenti strutturali capaci di legare le politiche industriali e del lavoro alle risorse della scienza e della sperimentazione tecnologica; e investimenti infrastrutturali che facilitino l'accesso alla produzione e al consumo culturale.

Intendiamo il dovere delle istanze pubbliche di generare e diffondere quelle strutture che sono precondizione di ogni esercizio dell'accesso alla cultura. Oltre la scuola, la spesa allargata per la cultura deve ricostruirsi come un settore strategico della riforma del welfare. Destinatari privilegiati devono essere i giovani, le comunità di immigrati, i settori della formazione e del consumo culturale ricorrente nelle età della vita. Una società multietnica e una società che invecchia hanno bisogno di una diffusione di servizi di beni simbolici di natura innovativa rispetto all'esistente. La riduzione dell'orario di lavoro incrocia anche questa questione della cultura come bene costitutivo della qualità della vita nei suoi tempi sottratti alla produzione. Non intendiamo alludere all'allargamento del mercato del "tempo libero" come nuova area alienante del consumo, ma al consumo culturale come riorganizzatore del tempo non produttivo e quindi come tempo di crescita squisitamente umano e civile.

Perciò proponiamo la creazione diffusa sul territorio nazionale di Case delle culture. Ovvero, di centri polivalenti del consumo culturale, sottratto alle pure regole del mercato. E con ciò la costituzione di aree franche in cui, soprattutto per i giovani, si dia la possibilità di un sistema pubblico della cultura. In essi dovranno essere offerti "punti internet" e accessi gratuiti di qualità alla rete; sale di registrazione musicali e audiovisive; spazi per la sperimentazione teatrale. Attraverso essi dovranno essere realizzati canali di finanziamento e distribuzione agevolata per la produzione cinematografica innovativa e qualificata.

Insomma si tratta di investire per incrementare la spesa allargata per la cultura, in un intreccio programmato tra risorse dello Stato e degli enti locali.

Tali centri di servizi polivalenti per la cultura devono costituire anche una forma dell'erogazione del salario sociale.

Fiscalizzazione dei costi dei diritti d'autore per fini sociali e didattici

Ancora sul terreno dei diritti d'autore dobbiamo rivendicare un impegno, con gli strumenti della defiscalizzazione oppure della compensazione della spesa statale, per i beni culturali destinati a settori di primaria importanza collettiva: le scuole e le università, i centri culturali, le istituzioni pubbliche.

La valorizzazione del patrimonio cinematografico italiano ha bisogno di una rinnovata attenzione

Cineteche, archivi, centri di promozione del cinema devono costituire i punti di riqualificazione dei prodotti italiani e soprattutto gli strumenti della preservazione delle aree di qualità, quando i flussi culturali si orientano prevalentemente verso i prodotti di mercato e le mode culturali effimere. Insomma va attivato un piano per respingere la colonizzazione americana dell'immaginario.

Spettacolo

Per quanto riguarda il settore dello Spettacolo Rifondazione si impegna su leggi di riforma capaci di rilanciare il teatro italiano e le attività musicali sottraendole al carattere autoritario e verticistico dei "Centri nazionali" voluti dall'attuale governo.

In particolare per il cinema è necessaria una nuova politica generale legata ad una strategia della qualità che si colleghi all'unica prospettiva reale che ha il cinema europeo di competere con lo strapotere cinematografico nordamericano. Contro ogni tendenza sbagliata e perdente all'imitazione di quei modelli produttivi e culturali Rifondazione Comunista propone l'estrema valorizzazione della molteplicità creativa e delle originalità d'ispirazione di questa particolarissima industria di prototipi che è ancora presente sia nei paesi del centroeuropea che in quelli dell'est europeo dove queste attività sono letteralmente in via di estinzione.

Nel nostro paese, in particolare, vanno rilanciate tutte le forme possibili e intelligenti di sostegno e incentivazione della produzione indipendente e della creatività degli autori; vanno eliminate le concentrazioni monopolistiche di cinema e televisione che impediscono la libera circolazione delle opere (su 110 film prodotti in Italia nel 98 hanno avuto l'uscita nazionale solo 39); va ripristinata la programmazione obbligatoria dei film italiani; va rifinalizzato e ristrutturato il Gruppo Cinematografico Pubblico recentemente ribattezzato in "Cinecittà holding"!

Ma più in generale va ribadito che il cinema è un fatto eminentemente e fino in fondo culturale. E che dunque non può essere in alcun modo lasciato a logiche e interessi di mercato. E' lo Stato, necessariamente, ad avere il compito e il dovere di intervenire per dare vita a una nuova grande politica.

 

3.5.3 Estendere la cittadinanza, combattere la xenofobia e il razzismo

L'attuale clima elettorale, già notevolmente imbarbarito, è reso ancora più scomposto e gravido di rischi dall'uso strumentale del tema dell'immigrazione da parte della destra. Un tema-bersaglio, che serve a raccogliere e a far fruttare quanto la destra ha seminato negli anni più recenti: l'intossicazione dell'opinione pubblica tramite il veleno del pregiudizio e della xenofobia, somministrato quotidianamente attraverso dichiarazioni, iniziative parlamentari, referendum, manifestazioni, campagne propagandistiche, e un abile e cinico utilizzo dei mass media.

Tutti gli indicatori concorrono a mostrare che, grazie all'attivazione del ciclo perverso: senso comune xenofobo — propaganda politica - legittimazione e rafforzamento del senso comune, il razzismo sembra essere diventato parte dell'idioma culturale nazionale. La subalternità del centro-sinistra, e della sinistra moderata in particolare, a un tale idioma non è servita minimamente a scalfire la capacità di presa della destra su questo terreno ed ha contribuito a legittimare il senso comune xenofobo. Si è perseguita - e si continua a perseguire - una strategia suicida, consistente nel competere con la destra sul terreno che le è proprio: per fare qualche esempio, la rivendicazione della primogenitura della "trovata" delle impronte digitali, l'applicazione della legge 40/99 (la cosiddetta Turco-Napolitano) quasi esclusivamente nel versante repressivo, il vantarsi pubblicamente dei successi repressivi (centri di detenzione ed espulsioni), il martellamento sul tema della sicurezza.

Intanto, pochissimi sono i passi avanti compiuti sul terreno della regolarizzazione, dell'inserimento sociale e della cittadinizzazione degli immigranti, i soli efficaci antidoti al veleno del razzismo e della xenofobia. Quanto alla legge sull'immigrazione in vigore, la sua applicazione si è concentrata sulle misure repressive, eludendo quasi totalmente le poche misure miranti al conferimento di diritti civili e sociali. Quello che era stato uno degli impegni solennemente assunti dal governo, ripetutamente sbandierato dalla ministra Turco, cioè il diritto di voto nelle elezioni amministrative ai cittadini extracomunitari, è stato totalmente disatteso; per non parlare dell'impegno relativo a un'iniziativa legislativa per rendere agli stessi cittadini extracomunitari meno discriminatoria, più garantista e più agevolmente percorribile l'acquisizione della cittadinanza italiana.

Il fenomeno migratorio è sintomo ed esito delle contraddizioni laceranti del modello di "sviluppo" neoliberista, che concentra al massimo poteri, ricchezze e prerogative, e impoverisce la gran parte della popolazione mondiale.

Se l'immigrazione genera allarme in una parte dell'opinione pubblica è perché gli immigrati sono deboli sul piano dei diritti sociali, civili e politici, e dunque sono i capri espiatori ideali a cui attribuire il disagio, l'insicurezza e l'incertezza del futuro generati dal modello neoliberista.

Di fronte a un tale quadro, il Prc non può mettere la sordina al tema dell'immigrazione nel corso della campagna elettorale e oltre. Non è solo un principio etico quello che ci impone di contrastare la xenofobia e la tentazione del razzismo, alimentati dalla martellante propaganda "sicuritaria": è che in un contesto avvelenato e imbarbarito dall'intolleranza è difficile costruire "isole" di convivenza e di solidarietà, è ardua l'espressione del conflitto sociale, è quasi impossibile parlare di comunismo o anche solo di uguaglianza e libertà; infine, un tale clima, governando le destre, sarebbe propizio a svolte antigarantiste e repressive, se non autoritarie.

E' dunque anche il realismo politico che deve indurci ad agitare questo tema, sottraendoci alla tentazione di eluderlo o di marginalizzarlo. Esso va trattato esplicitamente e in positivo, indicando obiettivi di programma che favoriscano la convivenza fra uguali e diversi, l'inserimento sociale e la cittadinizzazione degli stranieri.

L'immigrazione è anche in Italia, come in tutti i paesi dell'Unione europea, un fenomeno consolidato da più di vent'anni, un dato permanente e strutturale, un elemento che contribuisce alla ricchezza, economica e culturale, del Paese. Ad esso occorre rapportarsi col massimo di apertura, di solidarietà, di realismo politico. E' il realismo che impone di mettere in atto politiche volte alla regolarizzazione, all'inserimento sociale e all'uguaglianza dei diritti degli "stranieri" che vivono e lavorano nel nostro Paese: questi sono i soli efficaci antidoti al veleno del razzismo e della xenofobia.

Combattere la "clandestinità" e garantire sicurezza

L'esperienza dei paesi di antica immigrazione ci insegna che più si rafforzano e si generalizzano le misure repressive, più si blindano le frontiere e si incrementa il proibizionismo, più cresce l'area della "clandestinità" e della marginalità sociale, e conseguentemente lo sfruttamento selvaggio della forza-lavoro immigrata, la potenziale devianza e la microcriminalità. Solo prospettando agli immigranti la convenienza dell'ingresso legale, a partire dalla garanzia di canali d'ingresso legale realisticamente percorribili, regolati da norme più ampie e flessibili; conferendo a chi non ce l'ha il permesso di soggiorno in cambio dell'accertamento dell'identità personale; programmando una regolarizzazione permanente in presenza di requisiti obiettivi —quali il lavoro, l'alloggio, i legami sociali e familiari- è possibile pensare di sconfiggere il traffico di "clandestini" e nel contempo rassicurare l'opinione pubblica.

Inoltre, va garantito un effettivo diritto d'asilo (l'Italia, com'è noto, fra i paesi dell'Unione europea è uno dei più avari nella concessione di questo diritto). La legge sull'asilo in discussione in Parlamento da gran tempo tarda ad essere approvata. Quando invece il dare piena attuazione all'art.10 della Costituzione servirebbe a sottrarre migliaia di profughi e di richiedenti asilo allo sfruttamento dei trafficanti e al quotidiano rischio di morte.

Infine, occorre garantire la libera circolazione delle persone eliminando l'obbligatorietà del visto di ingresso per i soggiorni fino a tre mesi, per motivi di turismo, cultura, affari, visite familiari, ma anche per lavori stagionali e temporanei.

Superare l'apartheid

Negli anni più recenti si è rafforzata la tendenza a istituire —legalmente o di fatto- un diritto differenziato per gli stranieri. E' una tendenza assai pericolosa che mina alla radice lo spirito della Costituzione e lo stato di diritto. La misura anticostituzionale del "trattenimento" nei Centri "di permanenza temporanea" (in realtà, di detenzione) che priva della libertà personale chi, secondo la legge italiana, non ha commesso alcun reato; la pratica diffusa dell'espulsione in sostituzione della pena, anche sulla base del semplice sospetto; quella, ancora più grave della "doppia pena", vale a dire l'espulsione dopo l'espiazione della pena carceraria; la negazione, nei fatti, del diritto di difesa e di ricorso: tutto ciò configura un diritto speciale per gli stranieri extracomunitari, ai quali sono negate le garanzie costituzionali. Occorre opporsi alla moltiplicazione del Centri "di permanenza temporanea" e battersi per la chiusura di quelli esistenti; contrastare la "doppia pena" esigere che siano rispettati i principi della presunzione d'innocenza, del doppio grado di giurisdizione, del diritto alla difesa e al ricorso effettivi. Di conseguenza si rende ormai necessaria una revisione della legge 40 (Turco-Napoletano) soprattutto per gli articoli più repressivi e anticostituzionali (art. 11; 12; 22).

Uguaglianza dei diritti e cittadinanza

L'impegno dei comunisti è volto all'allargamento della cittadinanza, intesa come conferimento e godimento di diritti uguali per tutti coloro che vivono nello stesso territorio, indipendentemente dall'origine e dalle differenze culturali e religiose. In questa prospettiva, va rilanciata la rivendicazione dell'estensione ai cittadini non-comunitari del diritto di voto, attivo e passivo, nelle elezioni locali, nelle forme previste dal disegno di legge presentato da parlamentari del Prc.

S'impone, inoltre, una radicale riforma della legge attuale che regola l'acquisizione della cittadinanza italiana, fondata sul diritto di sangue e gravemente discriminatoria per i cittadini non-comunitari. Il disegno di legge in materia presentato dal Prc afferma: chi nasce sul territorio italiano è di nazionalità italiana; gli stranieri comunitari e non-comunitari, senza alcuna distinzione, possono diventare, se lo vogliono, cittadini italiani dopo quattro anni di regolare soggiorno; è possibile conservare la cittadinanza del paese di provenienza.

Bisogna superare la visione che, intendendo l'immigrazione come una questione di ordine pubblico, consegna il destino e la vita degli immigranti nelle mani del ministero degli Interni e delle questure. Riprendendo una delle più importanti rivendicazioni del movimento antirazzista, il Prc intende battersi per il trasferimento delle competenze in materia di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno (nonché di rilascio della Carta di soggiorno) dalle questure ai comuni di residenza.

Infine bisogna impegnarsi perché la Carta di soggiorno, prevista dalla legge 40/99 ma sostanzialmente inapplicata, venga effettivamente rilasciata a quanti soggiornano regolarmente in Italia da almeno cinque anni.

Il Prc si impegna a sostenere gli immigrati nella conquista progressiva dell'uguaglianza delle opportunità e dei diritti sociali, che significa conquista di spazi di riconoscimento e di legalità; avere garantiti la tutela della propria salute e il diritto all'istruzione per sé e per i propri figli; la possibilità di entrare nel mercato del lavoro legale, combattendo il lavoro nero e lo sfruttamento; avere l'opportunità di procurarsi un alloggio utilizzando, come i cittadini italiani, il "normale" mercato degli affitti, eventualmente ricorrendo alla costituzione di "agenzie di garanzia", anche a partecipazione pubblica, al fine di sottrarsi ai ricatti e alle condizioni-capestro cui devono attualmente sottostare.

I diritti dei rom e dei sinti

Il Prc si impegna a presentare una legge per regolamentare diritti e doveri dei rom e dei sinti e, in particolare per garantire: una reale scolarizzazione (con l'impegno degli EELL per il censimento dei bambini); il recupero della partecipazione sociale dei bambini in tutte le iniziative degli enti locali (ludoteche, sport, attività artistiche); lo stanziamento di fondi speciali per la formazione nel dopo-obbligo scolastico; l'alfabetizzazione degli adulti (con particolare attenzione per le donne) finalizzata alla consapevolezza dei diritti sanitari e lavorativi; l'istituzione di piccoli insediamenti abitativi diffusi e l'iscrizione alle liste per gli alloggi popolari, al fine di eliminare i "campi"; il riconoscimento delle lingue dei rom e dei sinti, al pari delle lingue di altre minoranze.

Verso una cittadinanza trans-nazionale

I quasi quindici milioni di stranieri presenti in Europa costituiscono una sorta di "nazione". Benché appartengano all'inedita categoria di "residenti non cittadini", essi sono parte integrante della società europea e contribuiscono alla sua ricchezza. Pensare di perpetuare la loro esclusione istituzionalizzata, sancendo così un apartheid di fatto, è gravido di rischi e poco realistico. Più realistico è prendere in considerazione la possibilità di accordare la cittadinanza europea a chiunque risieda regolarmente nell'Unione da almeno cinque anni, senza subordinarla alla nazionalità degli Stati-membri.

 

3.5.4 Liberi di essere, liberi di scegliere: i diritti delle persone omosessuali e transessuali

La manifestazione del "gay-lesbian-transgender World Pride" di Roma nell'anno del giubileo ha portato prepotentemente la "questione omosessuale" in primo piano sullo scenario della politica italiana. Una manifestazione che abbiamo detto, ha generato quella domanda di felicità che interroga la politica, e ha visto Rifondazione Comunista in prima linea a fianco del movimento omosessuale in difesa del principio della laicità dello Stato. Lo statuto del partito della Rifondazione Comunista sancisce, del resto, l'impegno dell'intero partito nella difesa dei diritti di lesbiche, gay e transessuali, e il sostegno alle lotte del movimento omosessuale.

Visibilità e mobilitazione di lesbiche, gay e transessuali costituiscono una delle possibili risposte alla crisi della politica, perché quella domanda di felicità rivolta alla nostra società indica un orizzonte concreto di democrazia e di civiltà, dove l'omosessualità riesce ad interrogare e a evidenziare profondamente i limiti del nostro sistema sociale, culturale, educativo e di relazioni, ancora profondamente condizionato dall'omofobia e dal maschilismo patriarcale. L'omosessualità è dunque istanza di libertà. Ecco perché Rifondazione Comunista crede che il movimento omosessuale arricchisca la politica di azioni trasformative che contribuiscono alla costruzione di una società rinnovata e finalmente più libera.

L'omosessualità non è "problema" che riguarda soltanto una piccola percentuale della popolazione. L'omofobia, assieme al maschilismo, è componente costitutiva della virilità tradizionale: il ruolo sociale che il maschio eterosessuale tradizionalmente ricopre richiede condivisione del potere con gli altri maschi, oppressione delle donne ed esorcizzazione dell'omosessualità attraverso la discriminazione di lesbiche, gay e transessuali. Ma nell'opprimere le donne e nel discriminare gli omosessuali, il maschio eterosessuale tradizionale deve anche vigilare ininterrottamente su se stesso, limitare la propria affettività, allontanare da sé comportamenti e pensieri che non si confanno al proprio ruolo.

Per queste ragioni le rivendicazioni del movimento lesbico, gay e transessuale e la cultura che esso esprime sono occasioni di elaborazione e di sperimentazione di relazioni umane e di identità più libere per tutti: omosessuali, transessuali ed eterosessuali, donne e uomini.

Essere lesbiche, essere gay — se non lo si vive con il sentimento d'inferiorità di chi aspira semplicemente a essere accolto all'interno della maggioranza che lo esclude — è occasione per sperimentare modalità relazionali nuove e nuovi percorsi di vita, per inventare nuove pratiche di libertà e di piacere.

Contro chi ha paura della diversità, contro chi intende limitare la libertà di espressione e di scelta individuale, nel rispetto dell'articolo 3 della Costituzione antifascista il P.R.C. afferma la necessità che il nostro paese riconosca finalmente i diritti civili delle donne lesbiche e degli uomini gay, e combatta la discriminazione omofobica, cogliendo un'occasione importante di crescita civile e di arricchimento etico per tutti i cittadini e le cittadine italiane.

Come già è accaduto in moltissimi stati dell'Unione e come suggerito già da tempo dal Parlamento Europeo, il Parlamento italiano è chiamato a riconoscere i diritti civili di lesbiche, transessuali ed omosessuali e a combattere ogni forma di discriminazione basata sull'orientamento e sull'identità sessuale.

E' compito prioritario delle forze di sinistra adoperarsi in questa direzione, neutralizzando l'attacco razzista della destra e il riemergere di movimenti xenofobi. Nella prossima legislatura è necessario quindi, esprimere un impegno forte, di pressione, di proposta e di iniziativa parlamentare per una esigibilità concreta dei diritti di cittadinanza di lesbiche, gay e transessuali.

Il Parlamento europeo ha prodotto dal 1994 in poi, una serie di iniziative ufficiali e di atti che invitano gli stati membri dell'Unione ad abbattere le condizioni di discriminazione dei cittadini e delle cittadine omosessuali, anche attraverso l'approvazione di leggi che riconoscano pari diritti di cittadinanza a lesbiche e gay. Rifondazione Comunista favorevole da sempre alla battaglia per i diritti civili condotta dal movimento gay, lesbico, transessuale Italiano, è impegnata nella prossima legislatura a promuovere attraverso l'iniziativa parlamentare, interventi legislativi volti a cancellare qualsiasi forma di discriminazione fondata sull'orientamento e l'identità sessuale, per il riconoscimento delle coppie omosessuali e lesbiche, per i diritti riproduttivi e di adozione, per valorizzare e sostenere le associazioni che si impegnano nella promozione di cultura gay-lesbica, nella costruzione di una società pluralista e multiculturale.

Diritti all'adozione

Lesbiche e gay sono da sempre anche madri e padri e non esiste prova alcuna su basi scientifiche e sociologiche che possa dimostrare una indegnità o inadeguatezza della genitorialità omosessuale. Al contrario, le esperienze concrete e la conoscenza diretta di genitori gay e lesbiche smentiscono qualsiasi pregiudizio sociale.

L'ultima pessima riforma delle adozioni compiuta dal governo di centro-sinistra imprigiona il desiderio e la responsabilità dei singoli soggetti nell'ennesima versione di uno stato etico invasivo, che fa stracci dell'autodeterminazione di uomini e donne, producendo un arretramento sul terreno delle libertà individuali. Noi siamo per un progetto riformista avanzato sulla famiglia e sull'adozione, che tenga conto della laicità dello Stato, e di una articolazione di modelli e di scelte affettive che è arricchimento per l'intera società. Pertanto, siamo favorevoli al diritto di adozione di lesbiche e gay e ci sentiamo impegnati nella formulazione di proposte legislative che vadano in tale direzione.

Diritti riproduttivi

La battaglia delle donne sulle tecniche di riproduzione assistita è stata caratterizzata dal rifiuto di una legge proibizionista e discriminatoria, che deresponsabilizzasse i soggetti coinvolti, annullando i profondi cambiamenti culturali intervenuti nella società, restringendo lo spazio di autonomia nella scelta di modalità di relazione e di orientamento sessuale, imponendo in modo autoritario una famiglia concepita secondo un modello convenzionale. Nell'ultima legislatura, Rifondazione Comunista ha condotto in Parlamento uno scontro lungo e difficile per impedire l'approvazione di una proposta di questo tipo. L'impegno del PRC è rivolto all'approvazione di una legge che consenta l'accesso alla fecondazione assistita alla donna maggiorenne, alla quale soltanto spetta di scegliere se coinvolgere un compagno o una compagna nel suo progetto procreativo.

Legge antidiscriminazione

L'art. 3 della Costituzione cita che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge "senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Ma nella nostra società e soprattutto nel mondo del lavoro, gay lesbiche e transessuali subiscono ancora discriminazioni e mobbing, a causa del razzismo omofobico che produce l'uso di linguaggi e di comportamenti aggressivi allo scopo di svalutarne lo stile di vita rispetto agli eterosessuali. Non abbiamo dimenticato gli attacchi di Fini nei confronti degli insegnanti omosessuali. È necessario che il Parlamento italiano approvi una legge che sancisca il divieto di discriminare le persone omosessuali e transessuali in ogni ambito della società.

Coppie omosessuali ed unioni civili

Come è già avvenuto in molti altri stati europei, Francia e Germania in ultimo, anche in Italia un ampio schieramento della sinistra a fianco del movimento omosessuale, è impegnato nel riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali. Molte proposte di legge, fra cui la proposta di Rifondazione Comunista presentata da Nichi Vendola, sono state depositate sul riconoscimento delle cosiddette unioni civili, allo scopo di creare un nuovo tipo di istituto giuridico, che garantisca alle persone che desiderano utilizzarlo, gli stessi diritti (e doveri) garantiti alle coppie sposate. L'obiettivo è quello di dare a tutti, anche a chi non vuole o non può accedere al matrimonio, la possibilità di veder ufficialmente riconosciuto un legame di reciprocità anche di fronte a problemi pratici come la casa, l'eredità, l'assistenza, la pensione, ecc.

Sostegno alla cultura omosessuale

Le forze della destra italiana, dopo aver cercato di impedire il World Pride 2000, danno ulteriore prova di ostilità verso le persone omosessuali polemizzando contro i finanziamenti ai festival del cinema gay e lesbico. Come il Parlamento europeo raccomanda dal 1994, lo Stato deve intraprendere in cooperazione con le associazioni di donne e uomini omosessuali campagne di sensibilizzazione contro l'omofobia. Lo Stato deve altresì assicurare che le associazioni culturali di lesbiche e gay accedano ai fondi nazionali per la cultura sulla stessa base delle altre associazioni culturali, evitando ogni trattamento differenziale per le iniziative omosessuali.

3.5.5 Bioetica e diritti di nuova generazione

Fra i diritti "di nuova generazione" molti attengono al campo della bioetica, cioè ai problemi etici derivanti dallo sviluppo delle tecnologie biomediche: alcuni sono sul terreno da molto tempo, o almeno da alcuni decenni, come quelli legati alla liceità di interventi terapeutici che allungano o abbreviano la vita (trapianti di organi e tessuti umani, prelevati da donatori viventi o da cadavere, rianimazione, accanimento terapeutico o eutanasia passiva), o anche da tempi più lontani, come quelli legati alla procreazione, come contraccezione, fecondazione artificiale e aborto, o alla demografia, all' equità nella distribuzione delle risorse per la salute, alla critica dell'uso del corpo umano a fini sperimentali o di sfruttamento, al cambiamento di sesso, e così via.

Un altro gruppo più recente comprende le questioni etiche della manipolazione di cellule umane, specialmente in rapporto alla riproduzione umana, come la fecondazione in vitro, la maternità di sostituzione o impianto di un embrione prodotto per fecondazione in vitro nell'utero di una donna diversa dalla donatrice di ovuli, fino alla produzione di embrioni con un ovulo nel quale il nucleo, contenente il corredo genetico, è sostituito da un altro nucleo anche di adulto, e che potrebbe generare un essere identico al donatore di nucleo (clonazione riproduttiva). Questo procedimento ha prodotto la famosa pecora Dolly, e vi sono oggi ricercatori che proclamano di essere in grado di ripeterlo nell'uomo: tale ipotesi è stata però respinta da documenti europei e dell'Onu. In questo settore trova invece spazio la discussione sull'uso di cellule dette "staminali", derivanti da embrioni conservati in vitro, che avrebbero la facoltà di ripristinare, se trapiantati in un organo leso, come il cuore o il cervello, almeno parte delle funzioni perdute per malattie con l'infarto miocardico, il morbo di Parkinson, il morbo di Alzheimer, patologie diffusa e gravemente invalidanti.

Su alcuni dei problemi bioetici di più antica data il Prc si è da tempo espresso, in coerenza con movimenti per la difesa dei malati, con i movimenti femminili per l'autodeterminazione della donna e altre spinte in favore della dignità della persona.

Tra questi ricordiamo, per la loro persistente attualità:

E' invece opportuno esprimere ora una posizione sulle questioni sollevate dalle nuove frontiere delle biotecnologie, con la loro invasività ancora imperfettamente prevedibile. Per questo campo vale quanto si è detto in generale sulla ricerca scientifica e sulle pericolose tendenze attuali a cedere ampi spazi alla ricerca e all'utilizzo da parte di privati a fini commerciali.

Si richiamano qui alcuni principi:

- il rispetto della libertà della ricerca, temperata dalla necessaria responsabilità dei ricercatori e delle istituzioni di ricerca.

Per quanto riguarda le biotecnologie applicate alla produzione di farmaci da parte di batteri geneticamente modificati, e quelle applicate in agricoltura per la produzione di cibi da organismi vegetali modificati (Ogm) e destinati all'alimentazione umana si rinvia ai capitoli sulla ricerca e sull'agricoltura.

Nel campo delle biotecnologie che lavorano sulla manipolazione genetica, dirette sia ad applicazioni in agricoltura che in medicina e nella procreazione umana, sono già emersi grandi interessi privati, ipotesi di sviluppi terapeutici sensazionali, peraltro incerti nell'esito e oggetto di fondate preoccupazioni. In particolare i tests genetici devono essere regolamentati in modo specifico, con particolare attenzione al diritto alla privacy. La possibilità ora raggiunta di descrivere l'intera sequenza del genoma umano è stata presentata come foriera di possibilità di cura non lontane e straordinarie, affermazione che molti ricercatori hanno moderato. Proprio in questo campo si è assistito allo scontro tra un insieme di ricercatori pubblici, che hanno messo a disposizione di tutti i primi risultati, e un gruppo privato che contava, sembra per ora senza successo, su un utilizzo riservato dei dati. Ma la questione non è ancora risolta, perché alcune posizioni di organi anche europei hanno consentito di brevettare, se non l'oggetto scoperto, le procedure d'intervento. Sul tema della brevettabilità di tecnologie così profondamente inerenti la specie umana occorrerà aprire una vertenza per ribadire la necessità di un esteso controllo pubblico e di equo accesso a tutte le conoscenze in materia.

Nella procreazione artificiale agiscono numerosi centri privati non censiti e non soggetti a monitoraggio. In questo campo l'Italia non ha ancora una sua normativa nazionale. Essa deve essere prodotta, in termini di quadro normativo fondamentale, introducendo comunque nella legislazione nazionale il divieto di clonazione riproduttiva e di produzione di ibridi con altre specie, già sancito da direttive sovranazionali.

Altre applicazioni, come quella della derivazione di linee cellulari "staminali" da usare a fine di trapianto terapeutico sono in discussione: su questo possibile sviluppo sono state annunciate, sia dai media che dallo stesso Governo, promesse di trattamento di numerose malattie diffuse, che giudichiamo ingiustificate in base alle attuali conoscenze e ai legittimi sospetti di rischio che le accompagnano. Analoga considerazione va fatta per gli xenotrapianti (trapianti di organi derivati da animali resi - forse - compatibili con i tessuti umani mediante manipolazioni genetiche). Proprio in questi campi devono essere tenuti a mente i principi generali sopra esposti, anche per la difficoltà pratica di segnare il limite tra ricerca e sua applicazione.

Fino a oggi, i comitati etici, istituiti in molti centri di ricerca e terapia, hanno spesso avuto il limite di oscillare tra posizioni scientiste e posizioni di integralismo cattolico, che agiscono in particolare contro l'utilizzo di embrioni umani; così anche la recente commissione di esperti sulla produzione di cellule staminali (commissione Dulbecco), ha centrato l'attenzione sullo statuto ontologico dell'embrione e optato per una soluzione di compromesso che non sembra la migliore (lavorare su ovociti invece che su embrioni). Non è ancora chiaro se in materia seguirà una più ampia consultazione.

Posizioni più vicine a quei principi che sono qui enunciati si trovano nelle più recenti attività del Comitato Nazionale di Bioetica, i cui poteri sono tuttavia limitati e nel quale non si può ancora identificare lo "spazio pubblico di dibattito e decisione" auspicato.

Ai fini della protezione della salute umana e dell'equilibrio ambientale che esige il rispetto delle biodiversità, analoga precauzione deve essere usata (ma i processi applicativi sono già avanzati nel mondo) per l'introduzione nell'alimentazione umana di Ogm (organismi geneticamente modificati). Al contrario, alcune applicazioni delle biotecnologie, ad esempio per la produzione di farmaci puri da parte di batteri geneticamente modificati, appaiono sufficientemente sicure e utili. In generale, la ricerca dovrebbe essere consentita per rispetto alla sua libertà, ma vanno tenute presenti le preoccupazioni che desta la presente situazione di scarsa garanzia di monitoraggio pubblico, di equo accesso alle conoscenze, e la l'evidente interesse dei ricercatori privati di passare alle applicazioni dopo i massicci investimenti effettuati nella ricerca.

 

3.5.6 Droghe

In Italia almeno il 30% della popolazione carceraria è tossicodipendente.

Nel '97 il 51% dei giovani sottoposti alla visita di leva risultava positivo al controllo sul consumo di derivati della cannabis.

In Olanda, dove è in vigore una legislazione antiproibizionista, dal 1984 al 1997 l'età media dei tossicodipendente è aumentata dai 26,8 anni ai 35 anni, e la percentuale di consumatori di cannabis rimane inferiore del 50% a quella degli Usa, paese con una politica ultra-proibizionista.

Tutti i dati a disposizione dimostrano come il proibizionismo sia fallito. Lo stesso Ministro Veronesi, nell'ultima conferenza governativi sulle droghe, non ha potuto fare a meno di prendere atto dell'evidenza. Proibire non serve a ridurre il consumo di sostanze stupefacenti ma ne rende molto più dannoso e pericoloso l'abuso.

Proibire significa foraggiare la criminalità organizzata che alimenta il narco-traffico.

Proibire significa abbandonare all'emarginazione e all'esclusione sociale i consumatori, costringendoli a nascondersi e privandoli di ogni possibile controllo sanitario.

Proibire significa prevedere il carcere per i tossicodipendenti, sapendo che le prigioni sono uno dei luoghi di maggior circolazione di sostanze pesanti, come l'eroina, e di contagio per le malattie trasmesse dallo scambio delle siringhe, come l'Aids.

Proibire significa mettere sullo stesso piano i tossicodipendenti da eroina e i consumatori di sostanze leggere, hashish e marijuana, consegnando gli uni e gli altri allo stesso mercato illegale.

Crediamo che sia giunto il momento di porre fine a questa ipocrisia di Stato, di chiamare le cose con il loro nome, e di imboccare decisamente e con convinzione la strada della legalizzazione del consumo di sostanze leggere, e di politiche per la riduzione del danno di quelle pesanti.

Sosteniamo da anni due proposte di legge presentate in parlamento che prevedono misure concrete per invertire rotta.

Chiediamo:

 

3.5.7 Diritti animali

Il pianeta su cui viviamo non è una risorsa inesauribile. L'evidenza di questo dato ha portato a una sufficiente presa di coscienza di quanto la convivenza e il rispetto tra le specie animali e vegetali non sia un elemento accessorio o filosofico, bensì un'esigenza naturale, politica, sociale ed economica.

Se il capitalismo è il portatore di una devastante scelta di sfruttamento generalizzato e di cancellazione dei diritti in funzione del massimo profitto, il comunismo non può che essere la riaffermazione dei diritti in funzione della solidarietà fra tutti gli esseri viventi di questo pianeta.

In questo contesto il tema dei diritti degli animali come soggetti portatori di diritti da tutelare si inserisce nell'ambito dell'eliminazione di qualsiasi sfruttamento legato a discriminazioni: di specie (l'essere umano superiore ad ogni altra specie vivente), di razza (la bianca superiore alle altre), di genere (quello maschile superiore al genere femminile). In poche parole è la ricerca di una solidarietà fra esseri viventi, oltre l'oppressione, le ingiustizie e le violenze.

E' improbabile che il rapporto di sfruttamento verso gli animali da parte umana sia eliminabile nel breve periodo, ma è possibile, di contro, una forte iniziativa e un reale programma di "riduzione del danno" attraverso una concreta politica legislativa di tutela delle condizioni di vita e di morte degli animali, che garantisca loro almeno la possibilità di una esistenza dignitosa, anche quando questa dovesse essere breve. Parliamo, quindi, di riconversione degli allevamenti di animali da pelliccia e di una più incisiva iniziativa legislativa sulle condizioni di trasporto e di macellazione.

Accanto a ciò occorrerà un'attenzione agli stili di vita individuali e collettivi in funzione, ad esempio, di un modello alimentare e di ricerca non violento e giusto. Lo sviluppo della ricerca scientifica (diretto dalle multinazionali) per la creazione di organismi viventi geneticamente modificati, dimostra quanto sia necessario, in questo momento, valorizzare la sinergia positiva tra il rispetto dei diritti animali e la tutela della qualità della vita degli esseri umani.

In questo senso l'esperienza di lotta che sta avanzando tra i contadini francesi guidati da Bové, dimostra come la saldatura tra interessi diversi, quali la tutela dei diritti animali e quella dei diritti dei lavoratori, sia ormai non solo un auspicio, ma un dato di fatto.

 

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