Un ponte tra le lotte di
oggi e l'alternativa socialista.
La
sintesi del programma alternativo proposto dalla minoranza al PRC in occasione
della DN del 29 marzo 2001.
La Direzione Nazionale del 29 marzo ha varato a maggioranza una "bozza" di programma elettorale che si propone di discutere con le altre realtà politiche, sociali, ecc. La minoranza di Progetto Comunista ha contrapposto una propria "sintesi" di programma elettorale e che riproduciamo qui di seguito. Abbiamo sottoposto il programma del partito ad una seria indagine critica che offriamo ai lettori (Sul programma del partito), che potranno liberamente intervenire sull'insieme del documento o su parti di esso. Segue un breve intervento sul programma alternativo scritto dalla minoranza interna.
II programma che il nostro partito presenta per le elezioni politiche del 2001 non deve rivolgersi al confronto col centrosinistra e con l'apparato liberale DS ricerca di uno schieramento di governo "riformatore" di "sinistra plurale". Deve rivolgersi invece alle masse lavoratrici per lo sviluppo della loro azione di massa su un terreno apertamente anticapitalistico; un terreno che colleghi le rivendicazioni immediate alla prospettiva di una alternativa socialista: l'unica prospettiva che fonda autenticamente l'indipendenza politica del movimento operaio rispetto a tutte le rappresentanze della borghesia (siano esse di centrodestra o di centrosinistra).
UNA PROPOSTA IMMEDIATA SUL TERRENO DELL'AZIONE
Il moltiplicarsi
dei sintomi di disgelo sociale richiede innanzitutto, tanto più oggi,
una proposta di mobilitazione unitaria di lavoratori, lavoratrici, disoccupati
e precari attorno a una piattaforma di lotta contrapposta alle politiche dominanti.
I temi del salario, della riduzione dell'orario, del salario ai disoccupati,
della lotta alla flessibilità, vanno tradotti non in una proposta di
governo compromissoria rivolta ai Ds, ma in una proposta articolata di vertenza
generale unificante che assuma come unico vincolo di riferimento la ricomposizione
unitaria del blocco sociale alternativo.
Il Prc può e deve dunque avanzare e spiegare questa proposta nella stessa
campagna elettorale accompagnandola con gli obiettivi seguenti:
- un reale recupero salariale attraverso un significativo aumento uguale per
tutti, che assuma l'indicazione delle 500 mila lire di incremento oggi avanzata
da un settore d'avanguardia dei lavoratori della scuola;
- la riduzione immediata e generalizzata dell'orario di lavoro a parità
di salario a 35 ore settimanali, senza flessibilità ed annualizzazione,
senza finanziamento ai padroni e a spese dei profitti, con una drastica limitazione
del lavoro straordinario;
- la trasformazione di tutti i contratti atipici e particolari in contratti
a tempo pieno e indeterminato: la battaglia per l'abolizione del "pacchetto
Treu" va assunta, in questo senso, come battaglia centrale del partito;
- un dignitoso salario sociale garantito ai disoccupati, pari al 70% del salario
garantito, corrispondente a un milione e quattrocentomila lire mensili;
- il riconoscimento e l'estensione dei diritti sindacali a tutti i lavoratori
subordinati, indipendentemente dal tipo di contratto e dalla dimensione dell'impresa
(con la rivendicazione di un salario minimo garantito di due milioni netti al
mese).
In particolare la rivendicazione dell'abolizione del "Pacchetto Treu"
e della trasformazione di tutti i contratti atipici in contratti a tempo indeterminato
costituisce un essenziale terreno di contrapposizione strategica alle politiche
del capitale.
PER UNA LOGICA ANTICAPITALISTICA SULLO STESSO TERRENO REDISTRIBUTIVO
Parallelamente
occorre collegare le rivendicazioni immediate alla prospettiva di costruzione
di un altro ordine sociale, sviluppando la consapevolezza che una vera contrapposizione
alle politiche liberiste richiede la rottura con le compatibilità capitalistiche
nazionali ed europee su ogni terreno; e che viceversa la ricerca di soluzioni
riformistiche entro la cornice di quelle compatibilità esprime, come
i fatti dimostrano, un'illusione impotente.
Sullo stesso terreno redistributivo si dimostra l'obiettiva incompatibilità
delle esigenze sociali delle classi subalterne con le leggi del capitale in
crisi.
Il nuovo massiccio investimento pubblico necessario nella scuola e nella sanità;
il finanziamento di un vero salario sociale per i disoccupati e i giovani in
cerca di prima occupazione; il forte aumento degli stipendi pubblici e delle
pensioni minime; la piena reintroduzione di una previdenza pubblica a ripartizione;
il vasto piano di intervento pubblico necessario e urgente per il risanamento
del territorio; un piano massiccio di investimenti pubblici nel Meridione ecologicamente
compatibili, in una prospettiva di reindustrializzazione. Tutte queste esigenze
inderogabili pongono la necessità di un radicale sovvertimento del flusso
di spesa dello Stato.
Non si tratta semplicemente di mettere in discussione la manovra annuale della
finanza pubblica o di rivendicare il pannicello caldo di una Tobin Tax. E' necessario
mettere in discussione la struttura complessiva e di fondo della finanza statale
cioè la sua organica dipendenza dagli interessi del profitto. "Paghi
chi non ha mai pagato": questo può divenire, nel linguaggio dell'agitazione
quotidiana, l'indicazione di massa dei comunisti.
Significa in primo luogo capovolgere la direzione di marcia della politica fiscale
di tutti i governi del Centrosinistra: tutte le misure di detassazione del grande
capitale che hanno arricchito una volta di più le grandi famiglie del
capitalismo italiano (dagli Agnelli a Berlusconi) vanno semplicemente abolite.
A ciò deve aggiungersi il principio di tassazione progressiva dei grandi
patrimoni, dei grandi profitti, delle grandi rendite finanziarie. Nella sua
"Indagine sulla ricchezza individuale in Italia 2000" la banca d'affari
americana Menil Linch documenta l'impressionante concentrazione della ricchezza
borghese nel "nostro" paese; mille famiglie detengono, da sole, 150
mila miliardi. Un volume di risorse immenso pagato da decenni di supersfruttamento
e regalie pubbliche. Ebbene se sono i lavoratori che producono la ricchezza,
la ricchezza prodotta ritorni ai lavoratori, e alla qualità della vita
della larga maggioranza della società. La rivendicazione della tassazione
progressiva delle grandi ricchezze per finalità sociali può acquistare
in questo senso un significativo consenso di massa.
Centrale in questo quadro, è la rivendicazione dell'abolizione dei trasferimenti
pubblici alle imprese. Dietro il paravento dell'ideologia liberista e della
lotta all'assistenzialismo le imprese italiane (e non solo) hanno beneficiato
proprio in questi anni di un'espansione enorme dell"'assistenza pubblica"
in mille forme dirette o indirette.
La denuncia documentata dei costi pubblici della società borghese deve
allora divenire pane quotidiano della politica comunista. E la rivendicazione
conseguente può essere così formulata: l'abolizione dell'assistenzialismo
pubblico alla grande impresa finanzi la sacrosanta"assistenza" dei
disoccupati e dei giovani senza lavoro prodotti dall'interesse cieco del profitto
e del mercato. Parallelamente va aggredito il fatidico nodo del debito pubblico.
Dal '92 il debito pubblico è stato invocato, com'è noto, come
ragione e misura delle politiche di austerità e sacrifici sociali. Eppure
il debito pubblico non è un destino naturale. Esso ha sanzionato il legame
materiale tra lo Stato e quei grandi gruppi affaristico-speculativi del capitale
finanziario che hanno a lungo investito in titoli sottotassati ricevendone in
cambio lauti interessi pagati coi tagli a sanità, scuola, pensioni...
Questo legame allora va spezzato Il piccolo risparmio dev'essere certo rigorosamente
tutelato, ma il debito pubblico verso i grandi gruppi finanziari va unilateralmente
abolito, liberando grandi risorse di bilancio per la condizione sociale delle
grandi masse. Se ciò è incompatibile con "le leggi di mercato",
con gli "impegni internazionali", con "la salute dell'euro",
non è affare che riguarda i comunisti, è semmai la documentazione
dell'incompatibilità degli interessi dei lavoratori con le leggi del
capitale.
LA CAMPAGNA PER IL CONTROLLO SOCIALE E DI CLASSE
Al tempo stesso
la battaglia dei comunisti sul terreno "redistributivo" va strettamente
connessa a una campagna per il controllo sociale dei lavoratori. La stessa battaglia
"per i diritti" evocata dal Prc non può essere confinata sul
puro terreno "democratico", deve tradursi in una battaglia di "poteri".
Poteri di controllo, dal basso, della maggioranza della società sulla
vita della società medesima.
La rivendicazione del controllo può assumere un significato pregnante
sullo stesso terreno della questione fiscale. Evasione, elusione fiscale sono
piaghe croniche denunciate e riconosciute dalla stessa stampa dominante, ma
strettamente connaturate alla società borghese. I comunisti non possono
allora allinearsi al tradizionale coro lamentoso chiedendo ad uno Stato borghese
dichiaratamente impotente la lotta all'evasione fiscale.... della borghesia.
E' necessario porre nel movimento operaio la rivendicazione del controllo dei
lavoratori sul fisco. La lotta per l'abolizione del segreto bancario su scala
nazionale e internazionale deve essere allora assunta con forza. I lavoratori
debbono poter vedere chiaro nella massa dei depositi e delle operazioni bancarie
del capitale, tanto più in una fase in cui l'ipertrofia "finanziaria"
dell'economia capitalistica amplia a dismisura per questa via i canali dell'evasione
"legale" della borghesie.
La medesima questione si pone, alla fonte, per ciò che concerne i libri
contabili delle aziende. La complessa trama delle operazioni economiche della
borghesia, settore per settore, si muove dietro la copertura del segreto commerciale,
industriale, finanziario, all'insaputa dei lavoratori e dei consumatori. I comunisti
debbono allora rivendicare il potere di controllo dei lavoratori nell'unico
modo possibile: chiedendo l'abolizione del segreto commerciale e industriale
e l'apertura dei libri contabili delle aziende. Una battaglia funzionale a denunciare
e combattere l'ipocrisia della democrazia borghese agli occhi dei lavoratori
e della maggioranza della società
L'ATTUALITA' DELLA QUESTIONE DELLA PROPRIETA'
Ma la questione
del controllo pone inevitabilmente la questione di fondo della proprietà
privata. I giganteschi processi di concentrazione proprietaria del capitale
finanziario; i dilaganti processi di privatizzazione di imprese "pubbliche"
e servizi; l'espansione enorme del mercato nell'ambito delle scienze e della
ricerca, ripropongono nel loro insieme la questione del superamento della proprietà
privata come nodo decisivo per un'alternativa di società.
Al tempo stesso occorre un'impostazione che miri a collegare l'esperienza concreta
di grandi masse alla necessità della conclusione socialista. E lo spazio
per introdurre nel concreto il tema della proprietà è fornito
quotidianamente dalla vita ordinaria della società borghese. Anche nel
contesto italiano. Intanto i comunisti possono e debbono rivendicare l'abolizione
di tutte le misure di privatizzazione introdotte negli ultimi 10 anni: l'esperienza
sociale e di massa di queste privatizzazioni è tale da rendere comprensibile
questa rivendicazione agli occhi di rilevanti settori sociali.
Così il tema della proprietà può essere posto in relazione
a questioni di grande interesse sociale. L'esistenza di un vasto settore di
sanità privata e scuola privata, entrambi rimpinguati dalle politiche
di governo, rappresenta da tempo una questione di grande tensione e attenzione
pubblica. I comunisti possono e debbono intervenirvi non semplicemente da un
versante "costituzional-democratico" ("controllo" dello
Stato sulla scuola privata) o redistributivo (no ai fondi pubblici...): ma collegando
questo livello elementare di battaglia politica alla questione cruciale della
proprietà: rivendicando il carattere sociale dell'istruzione e delle
prestazioni sanitarie, quindi il loro passaggio alla proprietà pubblica
sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici.
Ma la questione dell'abolizione della proprietà privata può e
dev'essere posta già ora anche in relazione a settori strategici della
produzione e della finanza.
Ed anche in questo caso non in termini ideologici ma partendo dai mille episodi
di pubblico scandalo connessi al dominio della proprietà privata. Il
caso Good Year è stato emblematico di un'autentica piaga borghese: quella
di centinaia di aziende finanziate per anni dallo Stato e che hanno utilizzato
e utilizzano le risorse pubbliche per attivare processi di ristrutturazione
antioperaia. La rivendicazione della nazionalizzazione delle industrie in crisi
senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori può essere allora
un riferimento unificante per mille lotte di resistenza oggi disperse. E l'esperienza
francese che ha visto un'organizzazione della sinistra rivoluzionaria assumere
come centrale questa rivendicazione, dimostra che essa può incontrare
una vasta attenzione in rilevanti settori di classe.
Ma forme diverse di criminalità borghese a danno della maggioranza della
società rientrano nella sfera della legalità ordinaria. E' il
caso della grande industria farmaceutica che oltre essere coinvolta nei peggiori
scandali della malasanità degli anni 90 costituisce fonte abnorme di
spreco di risorse pubbliche a esclusivo vantaggio del profilo e a danno della
salute. E' il caso dell'industria petrolifera largamente impegnata nella speculazione
sul prezzo della benzina grazie alla pratica degli accordi di cartello a danno
di decine di milioni di cittadini. E' il caso delle assicurazioni che in virtù
di accordi interni alla lobby monopolistica raddoppiano le tariffe a carico
dei contribuenti negli ultimi sei anni. E' il caso delle banche che grazie a
pratiche di cartello concordano l'aumento dei mutui o praticano apertamente
l'usura.
I Comunisti possono e debbono rivendicare in tutti questi casi, la messa in
discussione della proprietà privata, spiegando controcorrente in termini
popolari, la contraddizione abnorme tra l'esistenza della proprietà privata
e l'interesse generale della società.
PER L'ALTERATIVA SOCIALISTA SU SCALA NAZIONALE E INTERNAZIONALE
Più in generale,
partendo da queste rivendicazioni, è necessario sviluppare nei più
ampi strati di classi subalterne la consapevolezza che solo l'abolizione della
proprietà capitalistica e la concentrazione delle leve della produzione
e del credito nelle mani delle grandi masse, su scala nazionale e internazionale,
può consentire la costruzione di un altro ordine di società, basato
sul primato delle esigenze sociali, ambientali, di pace. E che viceversa fuori
da questa prospettiva ogni annunciata "soluzione" delle grandi questioni
che affliggono l'umanità si risolve in una frase vuota e in un inganno.
In questo quadro va affermata, durante la stessa campagna elettorale, una posizione
inequivoca sul piano internazionale, con particolare riferimento alla questione
Europa. Centrale è la denuncia documentata del carattere imperialistico
dell'Europa (e, in essa, dello stesso imperialismo italiano) delle sue politiche
di espansione coloniale nell'Est europeo, del suo crescente militarismo. Proprio
la politica imperialistica dell'Europa -in lotta con Usa e Giappone per la conquista
dei mercati- ha imposto nell'ultimo decennio alla classe operaia europea i costi
dei tagli alla spesa, delle privatizzazioni, della flessibilità. Non
c'è lotta contro le politiche liberiste nel vecchio continente senza
opposizione aperta all'imperialismo europeo. Non si tratta allora di chiedere
all'Europa imperialista di farsi "sociale" e "democratica",
tanto meno di accettare "criticamente" il patto di stabilità
europeo e le sue compatibilità. Si tratta di impugnare ogni rivendicazione
sociale e persino "democratica" contro l'imperialismo europeo, i suoi
trattati e i suoi patti, per un'alternativa socialista su scala continentale.
Marco Ferrando,
Ivana Aglietti, Vito Bisceglie, Anna Ceprano, Franco Grisolia, Luigi Izzo, Matteo
Malerba, Francesco Ricci, Michele Terra