Sul programma elettorale del PRC.
Un commento analitico.REDS. Aprile 2001.


La Direzione Nazionale del 29 marzo ha varato a maggioranza una "bozza" di programma elettorale che si propone di discutere con le altre realtà politiche, sociali, ecc. La minoranza di Progetto Comunista ha contrapposto una propria "sintesi" di programma elettorale. Abbiamo sottoposto il programma del partito ad una seria indagine critica che offriamo ai lettori qui di seguito, che potranno liberamente intervenire sull'insieme del documento o su parti di esso. Segue un breve intervento sul programma alternativo scritto dalla minoranza interna.

 

Il programma elettorale varato dalla Direzione Nazionale del 29 marzo 2001, è uno dei testi più impegnativi mai usciti da un organismo di direzione del nostro partito. Merita dunque uno studio attento e critico.

I programmi della sinistra

I testi di spessore che i partiti di sinistra hanno prodotto nel corso della propria storia appartengono a tre tipologie, e tutte e tre possono essere chiamati "programmi". Vediamo di fare un po' di chiarezza.

Il primo tipo risponde alla domanda: chi siamo? E' un testo che serve a indicare, ad uso di chi volesse aderire a quella certa organizzazione, quali sono i suoi propositi, il metodo di interpretazione della realtà, ecc. Il tipico esempio è Il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels. Al suo interno vi possiamo trovare una piccola sintesi del materialismo storico, gli obiettivi fondamentali dei comunisti, ecc. Anche il Programma di Transizione, famoso perché molto spesso citato dai trotskisti, fa parte dello stesso gruppo: si propone come il "programma dei rivoluzionari sino alla presa del potere", e dunque c'è di tutto: la richiesta di una scala mobile dei salari, ma anche l'armamento del proletariato. La caratteristica di questi testi è di disporsi sul lungo periodo, di rispondere ad una domanda di identità. Spesso i militanti hanno dato a questi testi il nome di "programma", o di "programma fondamentale". Così vengono spesso chiamate "organizzazioni di programma", quelle organizzazioni politiche che richiedono ad ogni aspirante membro l'accettazione di una serie di documenti fondamentali. Se uno vuole entrare in una organizzazione bordighista, ad esempio, deve accettare i testi dell'opposizione di sinistra nel PCdI, mentre per i trotskisti vale il Programma di Transizione e i testi dei primi quattro congressi dell'Internazionale Comunista. Tipicamente invece i partiti di massa, siano essi stalinisti, socialdemocratici o semplicemente "contenitore", non hanno un documento costitutivo. Chi entra non deve previamente accettare un documento. E' uno degli elementi che contribuisce a distinguere base e vertici nei partiti di massa, operazione che è più difficile in quelli "di programma", e non solo per il più ridotto numero di iscritti. Nei partiti di massa infatti la gente entra con proprie aspettative, che nessuno si preoccupa di deludere nella teoria. Anche il PRC non è un partito basato su un programma. E per questo vi convivono stalinisti, trotskisti, basisti, socialdemocratici, massimalisti e quant'altro. Il nostro partito non ha cioè ancora risposto alla domanda: chi siamo?

Un'altra tipologia di documenti sono le "tesi congressuali". Esse dovrebbero rispondere alla domanda: quale è la nostra analisi di fase e che conseguenze ne facciamo derivare sul piano dell'azione? Anche questi documenti sono cioè, almeno in parte, "programmatici". In linea teorica le tesi congressuali dovrebbero orientare l'azione del partito in una certa fase (cioè la scansione temporale in cui si divide un periodo storico), e dovrebbero collocarsi all'interno della logica del programma fondamentale del partito. Il PRC non ha un programma fondamentale ed è anche per questo che le tesi congressuali, anche a pochi anni di distanza, paiono quelle di un partito completamente diverso. Le tesi del PRC di dieci anni fa ad esempio mostrano una cultura politica assai diversa da quella del PRC di oggi, che è molto più "movimentista" e meno "cossuttiana". In realtà sembrano il prodotto di due differenti programmi fondamentali. Ciò obbliga ogni volta il congresso ad inventarsi nuovi strumenti interpretativi. O ad adagiarsi su quelli in voga, forniti da altri.

Infine un altro "tipo" di programma: il programma elettorale. Il programma elettorale risponde alla domanda che si suppone rivolta dalle grandi masse elettorali: se il vostro partito fosse al governo, che farebbe? Va da sé che tale documento, dato il pubblico al quale si rivolge, dovrebbe possedere alcune precise caratteristiche. Siccome dovrebbe confrontarsi con il largo pubblico, vi dovrebbero comparire pochissimi punti, comprensibili ai più. Questi pochi punti dovrebbero essere selezionati tra quelli che il partito ritiene più utili a mobilitare le masse e a indebolire l'avversario.

A quale specie dunque appartiene il programma del nostro partito? Mah! Non ne abbiamo la più pallida idea. Esso contiene elementi tipici delle tesi congressuali, ad esempio nella prima e nella seconda parte quando si fa analisi di fase. Vi è qualche elemento da programma fondamentale nei primi paragrafi della prima parte. Molto della parte terza è da programma elettorale, ma in forma ipertrofica. Naturalmente si potrebbe dire: "e perché mai questo documento dovrebbe essere ingabbiato nella vostra astratta tipologia?" Per una ragione molto semplice: i tipi che abbiamo individuato rispondono a delle domande (chi siamo? Dove stiamo andando? Cosa vi proponiamo?). Ma questo documento a quale domanda risponde? Non riusciamo a immaginarcelo.

Gli elementi da tesi congressuali avrebbero richiesto, per l'appunto, un passaggio congressuale, o per lo meno un'ampio coinvolgimento del corpo del partito. Sullo stesso programma leggiamo del lodevole intento di confrontare questo testo (che per l'appunto è chiamato "bozza") col il più generale movimento antiglobalizzazione, ecc. Ottimo, ma, forse, prima, sarebbe stato più carino un confronto con gli iscritti. Come si fa ad immaginare un confronto con gli altri quando noi stessi non ne abbiamo prima discusso? E' evidente che chi ha architettato tale pensata aveva in mente un confronto solo tra gruppi dirigenti. Le proposte elettorali che vi sono contenute in alcuni casi le troviamo molto condivisibili ed interessanti, però domandiamo: chi mai si leggerà tra i nostri potenziali elettori simile malloppo? E poi: esse coprono la totalità delle problematiche umane (e animali), in alcuni casi in maniera assai disomogenea e/o paradossale, segno che i vari paragrafi sono stati assegnati a diversi estensori e che alla fine è mancato il tempo, o la volontà, di amalgamare il tutto. Produce però un certo effetto leggere tre pagine sulle questioni legate ai lavoratori e quattro sulla ricerca scientifica, con tutto il rispetto per i ricercatori. Le due pagine sulla mucca pazza confrontate con quella unica dedicata al salario, ci hanno fatto invece per un attimo sospettare dell'improvviso dilagare del morbo ai più alti vertici del nostro partito. Per la stessa ragione, crediamo, nel testo, a seconda dei temi, si assumono posizioni radicali, come sulla scuola, o moderate, come sugli enti locali. Da una parte si dice che il partito si batte perché tutti vadano a scuola fino a 18 anni, poi però (3.3.6) si dà per scontata la legislazione dell'obbligo formativo, furbo escamotage per non rispondere a quell'esigenza.

Questa frammentazione fa sì che il documento sia poco utile anche come documento identitario (tipo Il Manifesto). In poche parole si tratta di un documento inclassificabile, perché non risponde ad alcuna precisa domanda, e dunque non serve a mobilitare, né a dare una identità. Nonostante ciò se ci fossero contenuti interessanti, tali da far partire un dibattito, ne saremmo ugualmente felici. Vediamo.

I contenuti del programma elettorale

Diciamo subito che ci sono molti passaggi che ci piacciono parecchio in questo testo.

Innanzitutto l'analisi della composizione di classe (2.1). Si tratta di una analisi corretta, che abbiamo già con soddisfazione incontrato in altri documenti del partito, e in controtendenza rispetto a tanto ideologismo sulla scomparsa del lavoro salariato (e che ha fatto capolino, anzi, capolone, anche in giornali anticapitalisti come Il Manifesto). Varrebbe la pena che questa impostazione divenisse realmente patrimonio comune di tutto il partito (non registriamo al riguardo divergenze), magari costruendo un documento ad hoc di formazione.

Ci piace inoltre la parte dedicata alla questione omosessuale (3.5.4). Si tratta di una vera e propria rottura con la tradizione "comunista", una rottura positiva, cioè un passo in avanti, dove finalmente la si finisce con la stucchevole riproposizione del capitalismo come causa dell'oppressione nei confronti degli omosessuali, e si propone invece un'interpretazione più ricca. E' da valorizzare anche la parola d'ordine concreta del diritto all'adozione che ci colloca all'avanguardia nel panorama politico italiano e permetterà senz'altro ai nostri compagni omosessuali un'ampia legittimazione, come comunisti, nel più ampio movimento gay e lesbico.

Vi sono poi ampie parti interamente condivisibili. Per esempio molti pezzi della prima e della seconda parte dove si fa una disamina puntuale e radicale del capitalismo, ecc.

Ora però centreremo la nostra attenzione sulle critiche. Non per un atteggiamento negativista, ma per la semplice ragione che questo programma l'abbiamo pubblicato per intero e dunque, chi ha tempo, se lo può andare a leggere ed è inutile qui ripetere concetti che condividiamo e che il documento bene illustra.

Non ci dilungheremo in un'analisi puntuale e sistematica di tutti i punti che ci lasciano perplessi. Ci interessa invece qui enucleare quelli che a noi paiono i limiti di fondo della cultura politica espressa dal documento, nel suo insieme, al di là delle numerose parti che ci paiono utili e condivisibili.

Avversari annebbiati: i capitalisti

Leggendo questo documento non potevamo fare a meno di condividere molte delle considerazioni e delle proposte che vi si trovano. Per esempio la riduzione a 35 ore a parità di salario, il salario garantito ai disoccupati, il piano straordinario di investimenti per il sud, borse di studio a destra e a sinistra, servizi gratis più o meno a tutti, ecc. Ci mancherebbe che non fossimo d'accordo. Però, a metà lettura, ci siamo domandati: questo documento è a favore degli operai, delle donne, degli omosessuali, della natura, degli animali, dei piccoli e medi imprenditori ma è nemico di chi? Siamo marxisti, non pensiamo che la ricchezza possa sorgere dal nulla. Se distribuiamo tanto, a qualcuno si dovrà pur togliere. In queste centocinquanta pagine di documento confessiamo di non aver capito molto bene a chi propone di prendere soldi il nostro partito. Arriviamo alla fine e ci domandiamo: ma non abbiamo nemici?

O meglio: un nemico lo si nomina, con abbondanza: il neoliberismo e la globalizzazione. Ma il primo è una ideologia e una politica e la seconda è una dinamica economica. Essi sono prodotti, escrescenze, mezzi di soggetti fisici in carne ed ossa, ma che nel documento non vengono mai nominati. Noi li chiamiamo ancora: capitalisti. E' ormai di moda nella sinistra alternativa prendersela con la globalizzazione. Anche noi ce la prendiamo molto, ma senza che ci sfugga nemmeno per un attimo che stiamo parlando di un processo che ha dietro persone reali, con nomi e cognomi, i cui precisi e individuabilissimi interessi possono essere colpiti.

Sia chiaro. Il programma elettorale del nostro partito è in grado di far rizzare i capelli in testa a qualsiasi capitalista, per quanto illuminato. Basti pensare solamente alla proposta di ripristino della scala mobile (3.1.1). Notiamo però una grande attenzione a non far proposte che potrebbero realmente allarmare i signori, proposte che farebbero loro troppo male. Detto in parole povere: è molto semplice sparare grandi promesse di spese pubbliche, queste proposte vedono la borghesia senz'altro contro, ma non sono proposte che mostrano chiaramente chi è il nemico. Se diciamo: sanità gratuita a tutti, dobbiamo anche dire: aumento dell'imposizione fiscale per le fasce sopra i 200 milioni di reddito annuo, ad esempio, e così via. Oppure: nazionalizziamo gli ospedali privati perché sulla salute non ci devono essere profitti. Con questo metodo si mostra che l'ostacolo concreto al godimento di tutti sono i privilegi di pochi. Altrimenti ci si espone alle facili critiche di chi afferma che la sanità per tutti sarebbe molto bella ma, come si fa! I soldi non ci sono. Quando le rivendicazioni minacciano direttamente i capitalisti troviamo troppo spesso una qualche paroletta ambigua che mitiga la proposta. Ad esempio si propone la riduzione a 35 ore a parità di retribuzione, ma insieme a "benefici anche per le imprese". Non si dice abolizione secca del lavoro interinale e trasformazione dei contratti a tempo determinato in tempo indeterminato, si parla di "superamento", di "limiti", di "sorveglianza", di "obiettivo da raggiungere" (3.1.2).

Ancora. Si dice peste e corna contro le privatizzazioni. Bene, dunque, si suppone che, se noi fossimo al governo, rinazionalizzeremmo ciò che è stato privatizzato. E invece no, si dice che tocca a noi "promuovere finalmente un ampio e libero dibattito democratico sulla radicale e regressiva rivoluzione degli assetti proprietari in corso"(3.2.3). E si accenna a "piani di riacquisto". Ricordiamo che negli anni sessanta anche il già moderato PSI si batteva per la nazionalizzazione senza indennizzo dei "monopoli", anche se poi è finita come sappiamo. Troppe volte abbiamo sentito parlare di "svendita" dei beni pubblici, una paroletta solo apparentemente polemica: può far intendere che il nostro problema non sia la privatizzazione in sé, ma la privatizzazione sottocosto.

Certo, i diritti che chiediamo per i lavoratori delle imprese sotto i 15 dipendenti, dà realmente fastidio ai padroni. E sottoscriviamo in pieno quel pezzo. Ma perché controbilanciarlo con i due infelicissimi paragrafi sulla piccola impresa e sul credito (3.2.10 e 3.2.11), dove ci facciamo paladini del credito agevolato a favore della borghesia media e piccola, quando dovremmo sapere che si tratta dei settori dove i lavoratori subiscono il più alto grado di sfruttamento, proprio perché si tratta di imprese che non hanno margini monopolistici di profitto e dunque devono rifarsi sulla manodopera? Tra il piccolo imprenditore che tiene in nero cinque operai perché strozzato da chi gli ha dato l'appalto e i suoi cinque operai, noi con chi stiamo? Scegliamo tra l'imprenditore piccolo e quello grande? Noi pensiamo che i comunisti dovrebbero semplicemente portare avanti parole d'ordine che tutelino quei cinque lavoratori, e che, per il resto, il capitalismo faccia il suo mestiere. Non possiamo certo indignarci per il fatto che i grossi capitalisti si mangiano i piccoli: chi si butta nel mercato a voler fare l'imprenditore dovrebbe sapere che le leggi del capitale son quelle, chi non se la sente, che faccia il lavoratore.

Si dirà che qua e là vengono individuate le risorse a cui attingere. E' vero, ad esempio: "per quanto riguarda la definizione di una più equa distribuzione dei carichi fiscali al fine di ripristinare il principio costituzionale di progressività, occorrerà innanzitutto spostare il peso della tassazione dal lavoro al capitale" (3.4). Siamo d'accordo sulla patrimoniale, ecc. Però non possiamo ignorare che se si parla di progressività è un'altra la cosa che normalmente si intende: il carico fiscale sul reddito delle famiglie ricche sotto il governo del centrosinistra è stato tagliato. Noi non lo vogliamo ripristinare? Sembra di no, perché sul documento non se ne fa cenno.

L'avversario assente: l'imperialismo italiano

Uno dei paragrafi più significativi è quello sulla politica estera dell'Italia. L'Italia non è un Paese come un altro: è il sesto Paese imperialista nel mondo. E' una potenza. I comunisti, se magicamente andassero al governo, che farebbero? Di concreto nel paragrafo specifico (3.8) del documento c'è scritto che dovrebbe prodigarsi in una politica di solidarietà con il Terzo Mondo, ecc. Con una serie di argomentazioni che fanno supporre che il problema dell'Italia sia che "non faccia abbastanza" per il Terzo Mondo. Il problema invece è un po' diverso e più scabroso. L'Italia è una delle maggiori responsabili mondiali dell'esistenza di un Terzo Mondo. La povertà che tocca i nove decimi dell'umanità non è una casualità caduta dal cielo: quei nove decimi ci sono perché esiste l'altro decimo che se la gode. Tanto per fare un piccolo esempio il capitalismo italiano sta attuando una politica di feroce aggressione economica nei confronti dei Paesi balcanici, primi tra tutti l'Albania. Ebbene un programma di governo dovrebbe contenere l'impegno ad obbligare le aziende italiane ad applicare all'estero gli stessi contratti e la stessa normativa vigente in Italia. Ad esempio.
Inoltre, come gran parte degli imperialismi il nostro è un imperialismo armato. Non capiamo certe furbizie verbali. Dire ad esempio che la NATO deve sciogliersi e non che l'Italia ne deve uscire, sono due cose diverse. Sulla prima siamo pure d'accordo, ma la domanda alla quale si deve rispondere è: e se non si scioglie, noi che facciamo? Porre l'accento sulla prima richiesta, come fa il documento, significa deresponsabilizzarsi perché vuol dire far dipendere la nostra collocazione da entità sulle quali non abbiamo alcuna possibilità di influire. Ma sui nostri governi sì che possiamo, almeno in teoria, influire. L'unica frase che troviamo riguardo all'uscita unilaterale dell'Italia dalla NATO, è circondata da cautele che non comprendiamo: ci si riferisce di sfuggita alla "necessità di scioglimento della NATO anche attraverso atti unilaterali di fuoriuscita dell'Italia dall'Alleanza Atlantica". E poco prima nel documento si afferma non che le truppe USA devono sloggiare velocemente dal nostro Paese, ma che dovremmo "rinegoziare la concessione agli Stati Uniti delle basi straniere sul nostro territorio" (
3.8.2).

Inoltre. Il PRC ha speso tonnellate di inchiostro di Liberazione a favore della causa curda e palestinese. Bene, e perché non scrivere nel nostro programma elettorale che il partito, se andasse al governo, imporrebbe la rottura delle relazioni diplomatiche con Turchia e Israele? Anche se al governo chissà quando andremo, l'agitare comunque queste parole d'ordine, serve a mettere in evidenza ciò che l'attuale, o il futuro, governo non vuol fare, rendendosi dunque complice nei fatti del sionismo e del subimperialismo turco.

Il documento, del tutto in linea con quella che è stata la politica del partito durante la sua permanenza nella maggioranza del governo Prodi, non mette in discussione le compatibilità imposte da Maastricht. Perché non prevedere atti di rottura con quella disciplina, là dove le borghesie estere (pensiamo a quella inglese) non esitano a farlo quando sono in gioco i propri interessi? Invece pare ci si batta per "una proposta del tutto alternativa, ispirata dall'intento di sfruttare ogni possible spazio di manovra concesso dal Patto di stabilità europeo per intraprendere una politica di bilancio finalmente orientata al pieno impiego" (3.4).

I potenziali alleati

La campagna elettorale è un momento in cui la gente è particolarmente attenta alla politica. E' un'occasione dunque perché il partito faccia conoscere le sue proposte di alleanze sociali. Le proposte elettorali sono sempre, infatti, anche proposte di alleanze tra gruppi di individui. Ad esempio la destra con la sua propaganda antimmigrati, lancia un messaggio di alleanza tra borghesia e l'insieme maggioritario dei "bianchi". Il programma del partito compie questo sforzo. Abbiamo già detto del paragrafo riguardante gli omosessuali, che condividiamo, e che riteniamo di importanza storica. Ci pare però assai debole, a dir poco, quello sulle donne, privo com'è di proposte concrete. Completamente assenti i giovani e le loro specifiche esigenze in termini di spazi e di libertà dalla famiglia. Non si dice nulla inoltre che possa infastidire in maniera diretta la Chiesa, uno dei principali nemici delle donne, degli omosessuali e dei giovani. Perché non dire a chiare lettere che siamo contro il concordato, contro la violenza che viene esecitata sui bambini quando viene inculcato loro a partire dalla materna l'ideologia religiosa, a favore di un vasto programma di esproprio dei beni ecclesiastici e della loro devoluzione ai più poveri?

Non ci è piaciuto per nulla tutto il capitolo relativo agli immigrati (3.5.3). E' un capitolo eccessivamente preoccupato di apparire ragionevoli e rassicuranti verso i bianchi. Non capiamo perché i comunisti dovrebbero essere sostenitori delle quote di immigrazione. Siamo forse favorevoli alle quote di turisti statunitensi? Perché le merci e i capitali possono circolare senza limiti e le persone no? Che direbbero i comunisti tunisini o marocchini, se sapessero che noi siamo favorevoli soltanto a una quota di immigrati, magari più consistente di quella proposta dalla destra, ma non uno di più, altrimenti lo rispediamo indietro? Ma le quote, leggiamo sul documento, servirebbero a "rassicurare l'opinione pubblica", cioè i bianchi. Ma i comunisti devono anche sapere andare contro il senso comune, quando questo è espressione di un soggetto sociale oppressore, e i bianchi lo sono nei confronti degli immigrati, anche se di mestiere sono operai. Assai ambigua la frase in cui per "sconfiggere il traffico di clandestini" si chiede di "programmare una regolarizzazione permanente in presenza di requisiti obiettivi come lavoro, alloggio, legami". Cioè, se non ci sono questi requisiti, li carichiamo su un camion e li rimandiamo indietro? Domandiamo: se il nostro non fosse un partito di bianchi, avremmo scritto un capitolo di questo tenore? I comunisti devono difendere i confini della "patria", solo nel momento in cui rischiassimo di essere occupati da un popolo oppressore, ma certo non dalle masse che il nostro imperialismo, insieme agli altri, contribuisce ad impoverire e spinge indirettamente all'emigrazione. Difendere i nostri confini dagli immigrati significa difendere i privilegi che un Paese imperialista distribuisce a tutti i propri cittadini, anche se in diversa (diversissima) misura.

La politica di alleanze che è delineata nel documento non ha una vita propria, non è frutto di un atto cosciente, del resto non sottende chissà quali concezioni perniciose. E' invece il risultato di una assenza di una politica di alleanze. Registra infatti la realtà, così come si è data: la realtà dei movimenti sociali, e la realtà del lavoro di partito. Il capitolo sugli omosessuali è ottimo, per la semplice ragione che esso è il felice incrocio tra un movimento realmente esistente (e che ha dato vita l'anno scorso al più grande evento nella storia del movimento omosessuale in Italia) e un lavoro che gruppi di omosessuali (i vari GLO) stanno conducendo in diverse federazioni. Il movimento femminista invece è frammentato e diviso, e il lavoro del partito non ancora nel suo insieme incisivo. I giovani e gli immigrati sono stati abbastanza visibili come movimenti, ma il nostro partito non ha ancora un intervento ben articolato in questi due settori, e nel secondo è spesso clamorosamente assente. Di qui, crediamo, i limiti che abbiamo esposto.

Una discussione oziosa?

Si dirà: "ma che ve ne importa se le parole d'ordine espresse dal programma elettorale del PRC non hanno tutti i puntini sulle i? Pensate forse che un Agnelli sarebbe contento di questo programma? E poi di cosa stiamo discutendo? Tanto il PRC al governo chissà quando ci andrà."

Il programma elettorale espresso dal PRC è, nettamente, il più avanzato del panorama politico. Non vi è alcun dubbio che si ponga soggettivamente dalla parte degli oppressi. Ma i suoi limiti sono significativi dei limiti della sua cultura politica dominante. Limiti che deve presto superare, se la sua azione vorrà essere percepita come utile. Un programma elettorale, deve essere un programma d'azione, cioè per l'azione. Non perché pensiamo sul serio che alle prossime elezioni potremmo andare al governo: le rivendicazioni contenute nel programma ovviamente non saranno mai realizzate tutte insieme, se non in un quadro di grandi rivolgimenti storici. Ma pezzi di quel programma servono per il lavoro quotidiano, per dar vita a movimenti, o per starci dentro da comunisti, hanno cioè un'importanza pratica, dato che possiamo ragionevolmente sperare che singole rivendicazioni del nostro programma possano essere fatte proprie da singoli movimenti di lotta, e portare a conquiste, anche se parziali, ma che sono indispensabili in un'ottica di accumulazione di forze. E allora domandiamoci: il capitolo sugli immigrati, ad esempio, serve forse per poter costruire un movimento tra gli immigrati? Il programma elettorale deve essere costruito non per dimostrare come saremmo ragionevoli e bravi se governassimo, ma per mettere in moto, per mobilitare pezzi di società. Il capitolo sulla giustizia, tanto per fare un altro esempio, è di un tecnicismo e di un realismo esasperato, serve a mobilitare chi? Non tocca il nocciolo della giustizia di stampo liberale: che l'accusa è pubblica, ma la difesa è privata. Solo toccando questo tema (vedi La calda estate della giustizia) possiamo sul serio sperare di muovere e convincere.

Un programma elettorale non deve puntare ad essere realistico, ma ad apparire tale, cioè giusto e ragionevole, alle larghe masse. Se gli avversari non vengono con chiarezza individuati, si rischia, paradossalmente, di apparire poco realisti e di spararle grosse. Le parole d'ordine, cioé la maniera con cui proponiamo in maniera popolare le nostre rivendicazioni, devono essere studiate in maniera tale che, se fossero davvero adottate, indebolirebbero l'avversario e permetterebbero agli oppressi di accumulare forze. Per questo per i comunisti non ha alcun senso rivendicare una conquista per i lavoratori e allo stesso tempo correre ad offrire un paracadute ai padroni, dato che noi quella rivendicazione dovremmo portarla avanti proprio per indebolire i padroni. Per questo non vediamo perché assicurare detrazioni fiscali ai padroni che applicassero le 35 ore, sul modello francese. Favorirli fiscalmente significa in sostanza fare pesare le 35 ore sulla fiscalità generale, dovuta largamente ai prelievi a carico dei lavoratori, quando dovremmo dire molto chiaramente che noi lavoriamo per diminuire costantemente i profitti dei padroni.

In conclusione. Il programma elettorale è specchio di quel che è il partito. Un partito che si sforza sinceramente di entrare in sintonia con i movimenti, ma lo fa in maniera confusa e casuale. Un partito che sta sinceramente dalla parte degli oppressi, ma che teme di andare sino alle estreme conseguenze di questa scelta di campo. Questo programma servirà a qualcosa se aprirà nel partito una grande discussione su chi siamo e dove abbiamo intenzione di andare.