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IV Internazionale
RELAZIONE SULLA SITUAZIONE INTERNAZIONALE
di François Ollivier (dell'Ufficio politico della Ligue communiste révolutionnaire LCR).

Le discusioni e l'attività delle principali sezioni dell'Internazionale mostrano i nostri punti forti ma anche le nostre debolezze. Questa relazione non vuol essere un esauriente panorama mondiale sull'insieme dei problemi e sulla situazione politica nei cinque continenti, ma esaminare i punti chiave della congiuntura internazionale che possono avere influenza sui principali problemi di orientamento ai quali siamo confrontati.
Prima di affrontare i nuovi sviluppi della situazione mondiale successiva al XV Congresso mondiale ricordiamo i punti fermi che definiscono il quadro generale della nostra analisi del periodo, così come sono stati registrati al momento dell'ultimo Congresso:
— approfondimento della controriforma liberista, nei suoi effetti economici e politici;
— non stabilizzazione di un "nuovo ordine mondiale" ed emergere di nuove contraddizioni del sistema capitalista internazionale: dimensione armata della globalizzazione capitalista, contraddizioni economiche legate al dominio del capitale finanziario, contraddizioni interimperialistiche, crisi sociali e politiche "nazionali";
— crisi di legittimazione delle politiche liberiste, resistenze sociali, evoluzione strutturale del movimento operaio tradizionale e dei partiti nazionalisti borghesi;
— nuovi spazi per la costruzione di partiti della sinistra radicale anticapitalista e di correnti o organizzazioni marxiste rivoluzionarie.

1. La guerra in Irak

1.1 Una guerra che struttura la situazione politica mondiale. Essa ha confermato:
— la globalizzazione liberista: inestricabilmente e organicamente legata alla mondializzazione armata, si traduce nel ricorso alla forza militare come modo ordinario della gestione della politica internazionale, da cui la nozione di "guerra preventiva" o di "guerra illimitata";
— la posta in gioco strategica per l'imperialismo statunitense: ricchezze petrolifere, occupazione di punti strategici in Medio Oriente e alle porte dell'Asia, nuove forme di colonizzazione, riallineamento delle potenze imperialiste sugli interessi americani;
— la supremazia militare degli Usa, drogata dall'aumento degli stanziamenti militari.
Per gli Stati uniti, in un mondo in cui le forme del dominio sono più che mai differenziate e gerarchizzate, si tratta di dominare i processi della crezione e dell'appropriazione del valore e della ricchezza.

1.2 Il logoramento in Irak
Ma questa intrapresa di dominio si scontra con alcune contraddizioni. L'occupazione militare ha portato oggi al caos. Se la produzione di petrolio è risalita a 2,8 milioni di barili, più che durante l'embargo, la società irachena è sconvolta: il 70 per cento della popolazione disoccupata, esplosione della povertà, scomparsa dell'aiuto alimentare, resistenza dei partiti politico-religiosi, sviluppo delle forme di resistenza militare.
Oggi, l'ipotesi più probabile è quella di un logoramento degli Usa. Pur considerando le differenze con l'intervento in Vietnam, la stampa americana comincia a evocare lo "spettro" di un nuovo Vietnam. Gli sviluppi della situazione in Usa, anche nell'opinione pubblica e nelle classi popolari, agiscono pure in questo senso: inquietudine sulla durata dell'occupazione militare, numero dei soldati uccisi, timore di nuove leve per l'invio di nuovi contingenti…

2. Lo sviluppo delle contraddizioni interimperialistiche

2,1 La guerra in Irak a una svolta? Le contraddizioni sono emerse in occasione della guerra in Irak e tracciano le linee generali della ridefinizione dei rapporti mondiali tra Stati e popoli, i rapporti tra Europa e America, le relazioni tra Stati uniti, Russia e Cina. Dal lato americano si tratta di rimettere in discussione il cosiddetto "multiralismo", cioè un certo tipo di relazioni internazionali — Onu, Unesco, Omc-Wto, Bamca mondiale, Fmi —. Questi organismi sanzionano i rapporti di forza mondiale a profitto delle potenze imperialiste e costituiscono altrettanti strumenti del loro dominio. Alcuni di questi, però, sono inceppati dalle contraddizioni interne al sistema.
Dal lato europeo non si tratta di una resistenza della "vecchia Europa", ma, schematicamente, di un'opposizione tra due assi: il primo attorno all'alleanza franco-tedesca che si oppone agli Usa… e il secondo attorno a Gran Bretagna, Spagna, Italia, Paesi Bassi, Danimarca e Paesi dell'Est che appoggiano gli Usa… un'opposizione schematica le cui linee possono modificarsi. Ma le contraddizioni Usa-Europa si combinano con contraddizioni intra europee.

2.2 Significato e limiti di tali tensioni
Queste contraddizioni vanno al di là dei conflitti comparsi durante la guerra irachena ed esprimono, sotto gli imperativi della controriforma liberista, l'acutezza delle contraddizioni economiche, sia nei settori chiave dell'economia (siderurgia, industria aeronautica, sattore agroalimentare), sia nei rapporti tra zona del dollaro e zona dell'euro e si traducono in conflitti geopolitici tra dominazione americana e posizioni europee.
Nuove opposizioni appaiono tra Usa, Russia e Cina, ma anche tra Stati uniti e nuove "potenze" emergenti quali Brasile e India. Senza dimenticare i contrasti armati tra potenze capitalistiche e le "capacità nucleari" di alcuni Paesi.
La nuova situazione mondiale è gravida di tendenze centrifughe contenute per anni mediante un sistema di equilibri tra imperialismo e burocrazia sovietica, e che esprimono una delle contraddizioni interne al sistema capitalista. Queste contraddizioni non hanno l'importenza di quelle tra potenze imperialiste alla vigilia della prima e seconda guerra mondiale. Non è la prima volta che si presentano al momento di crisi internazionali, di conflitti tra Stati capitalisti (vedi i contrasti tra politica americana e quella di De Gaulle negli anni sessanta). Non bisogna sovrastimarne la portata perchè questi contrasti sono contenuti da una comprensione concordata dei reciproci interessi fondamentali. Così, se gli americani hanno agito unilateralmente in Irak, se Francia e Germania si sono opposte alla supremazia statunitense nella ricostruzione dell'Irak, l'amministrazione Bush non può esimersi dalla cooperazione di altre potenze imperialiste, in particolare sotto l'egida dell'Onu.
Ma contrariamente alla visione del mondo di quanti, dopo il crollo dell'Urss nel 1991, contavano sulla costruzione di un nuovo ordine mondiale, di una stbilizzazione socio-economica e politica, su una diminuzione delle contraddizioni di tutti i tipi (di classe ma anche tra Stati), la situazione mondiale è segnata dall'aumento delle contraddizione di ogni genere.
Il mondo, per le classi dominanti, è diventato più ingovernabile. La guerra in Irak ha rivelato l'errore di chi vedeva la situazione politica mondiale come un nuovo periodo di stabilizzazione storica. Vengono dimostrate false nozioni come quella di "superimperialismo" — una dominazione senza contraddizioni da parte dell'imperialismo statunitense — o quella de "l'Impero" — una rete di multinazionali finanziarie che si sostituirebbero agli Stati — ed ha confermato la realtà degli Stati imperialisti, del dominio dell'imperialismo Usa, ma anche delle contraddizioni interimperialistiche. Queste non sono le contraddizioni principali: risultano dalle contraddizioni fondamentali tra i popoli e le potenze imperialistiche, tra gli interessi delle classi dominanti e quelli delle classi popolari.
Assumere tali contraddizioni interimperialistiche è funzionale principalmente per le due ragioni seguenti:
a) per comprendere gli spazi aperti dai conflitti e dalle crisi alle mobilitazioni sociali. Le contraddizioni nel quadro Omc-Wto, per esempio, hanno permesso ai movimenti alteromondialisti di ricollocare le proprie mobilitazioni. Durante la guerra con l'Irak, le contraddizioni tra Stati uniti da una parte, Francia e Germania dall'altra, hanno aperto nuovi spazi alla mobilitazione contro la guerra;
b) per contrastare ogni politica di "union sacrée" attorna alle classi dominanti che, in base ai propri interessi capitalistici, si oppongono a quelli dell'imperialismo dominante. E' particolarmente importante opporsi a ogni politica si sostegno, da parte del movimento operaio o sindacale, a una "Europa potenza" come modello di una civilizzazione democratica contrapposta al modello americano o ad altri modelli. Pur sfruttando le contraddizioni interne al sistema, il nostro obiettivo resta quello di una politica di unità e di indipendenza delle classi popolari nei confronti delle loro classi dominanti.
Tali contraddizioni, inoltre, creano degli spazi, delle tensioni, delle opportuinità. Le prossime elezioni presidenziali Usa, saranno un momento propizio per valutare il livello di queste tensioni. La politica di controriforma liberista e di globalizazione armata era iniziata prima dell'amministrazione Bush; non dimentichiamo che il Congresso americano — ossia democratici e repubblicani assieme — ha approvato l'intervento all'unanimità meno un voto. Ma gli effetti controproducenti, le impasse, i rischi di destabilizzazione della politica del clan Bush vengono oggi denunciati da settori delle classi dominanti americane. Tali tensioni porteranno a rivalutazioni, a mutamenti di amministrazione o saranno spazzate via? Questa è la posta in gioco dell'elezione in Usa.

3. L'approfonsimento dell'offensiva capitalista
Affronteremo questa questione esaminando gli sviluppi della politica economica statunitense, della costruzione europea, della situazione latino-americana.

3.1 Qualche nota sulla situazione economica statunitense.
I dati indicano una ripresa dello sviluppo nel 2003. Questa nuova fase ha dei limiti. Non crea posti di lavoro: le ristrutturazioni, dovute alla ricerca di nuovi incrementi di produttività, e le incertezze della ripresa stessa non portano a una consistente formazione di nuovi posti di lavoro. L'investimento industriale e informatico non si presenta all'appuntamento ma, soprattutto, la nuova fase di crescita risente degli squilibri fondamentali dell'economia Usa ed è collegata in primo luogo alla captazione da parte degli Stati uniti della parte preponderante del flusso di capitali mondiali sulla piazza di Wall Street. Tale captazine permette di compensare i giganteschi deficit: quello dei conti correnti, il deficit di bilancio, e, indirettamente, il credito al consumo delle famiglie. Il debito estero degli Usa resta a un livello assai elevato, circa il 30 per cento del Pil. I deficit aumentano sotto la pressione dei bilanci militari e della politica fiscale al servizio dei più ricchi.
La captazione del capitale mondiale deriva dai rapporti di forza politico-militari assai favorevoli alla potenza statunitense per cui il modello di sviluppo americano non può essere esportato. Inoltre, la pressione finanziaria sull'economia statunitense obbliga, all'estero, a rafforzare la concorrenza a vantaggio dei gruppi finanziari e industraili Usa e, all'interno, ad aggravare lo sfruttamento dei lavoratori per assicurare un tasso di rendimento ottimale, da cui l'accrescimento della pressione sui salari, la riduzione della spesa pubblica, le ristrutturazioni tese alla soppressione di posti di lavoro in settori strategici come l'automobile e lo sviluppo dei sub-appalti.

3.2. L'accelerazione della contro-riforma libersita in Europa.
Le esigenze specifiche delle classi dominanti dei Paesi d'Europa e gli effetti della concorrenza internazionale, in particolare tra Europa e America, spingono i governi europei a portare un nuovo attacco contro i lavoratori e i disoccupati: smantellamento dello Stato sociale, rottura della Sicurezza sociale, in Francia e in Germania; riforma delle pensioni, rimessa in discussione del codice del lavoro in Francia. Questa politica è nella fase attuale condotta da governi di destra — Raffarin in Francia, Aznar in Spagna, Berlusconi in Italia — ma anche da governi della sinistra social-liberista —Blair in Gran Bretagna, Schroder in Germania, governo Spd-Verdi.
Tale nuovo attacco indurisce le condizioni della lotta di classe e riduce lo Stato sociale in cambio dello Stato-penale: più repressione contro i lavoratori, gli immigrati e le loro organizzazioni ed associazioni; spinge le coalizioni dei partiti di destra a dispiegare politiche autoritarie. In una situazione di ripiegamento complessivo di un movimento operaio tradizionzale che si è adattato al liberismo capitalista, i partiti fascisti o neofascisti godono di un considerevole sviluppo. In una serie di Paesi come l'Italia o l'Austria, il loro riciclaggio in coalizioni della destra autoritaria rafforza la politica di aggressività contro le classi popolari.
Sul piano politico e istituzionale, le borghesie europee conducono oggi un dibattito per valutare gli strumenti necessari ad assicurare il loro dominio. Il fallimento delle discussioni sulla Convenzione di Giscard rivela le difficoltà ad unificare i progetti delle varie borghesie nel complesso dei venticinque Paesi, e mostra anche la volontà di certi settori borghesi di portare avanti la costruzione di una "Europa potenza" intorno all'asse franco-tedesco.


3.3. La crisi latinoamericana
La situazione latinoamericana è segnata da una profonda instabilità, dalla brutalità delle politiche liberiste, dall'esplosione di lotte e di movimenti sociali, dalla delegittimazione da parte di settori importanti della popolazione della controriforma liberista e dalle crisi sociali e poitiche "nazionali", nel senso di crisi generalizzate.
Le pressioni dell'amministrazione statunitense, combinate con quella delle istituzioni internazionali — Fmi e Banca mondiale — costringono i governi a rafforzare le politiche di "aggiustamento strutturale" e di ristrutturazioni liberste: il quadro vincolante della Zona di libero scambio delle Americhe (Alea) o della versione "leggera" (Alea light) avvantaggia la parte nord-americana nella produzione e nel commercio interamericano; le esigenza del pagamento del debito estero costringono a ridurre i bilanci sociali, a smantellare i servizi pubblici, a generalizzare le privatizzazioni.
La recente riunine dell'alea ha visto l'insieme dei Paesi latinoamericani, a parte il venezuela di Chavez, allinearsi con gli Stati uniti,
Il governo Lula ha cenfermato la continuità degli impegni dello Stato brasiliano con il Fmi, ed è persino considerato uno dei migliori allievi.
In Argentina, il Fmi prosegue il suo ricatto per l'aiuto economico per cui richiede nuove ristruitturazioni dell'apparato amministrativo puntando a una maggiore reditività!
In Bolivia, è in gioco la privatizzazion di una delle principali risorse: il gas naturale.
Il caos ad haiti mostra, in modoparticolarmente impressionante fin dove possono arrivare le conseguenze combiinate di una dominazione imperialista secolare, di una decomposizione dello Stato e degli ultimi effetti della politica ultra-liberista. Questa pressione aggrava corruzione e parassitismo nella sommità delle classi dirigenti e dello Stato, I traffici politico-finanziari, appoggiati su delle mafie, diventano parte integrante di questo tipo di dominazione.
Questa nuova "gouvernance" interamericana, sotto la pressione degli Stati uniti, comporta, inoltre, giganteschi trasferimenti di risorse di diverso genere verso I grandi gruppi imperialisti e le loro filiali. Il rifiuto di tali trasferimenti è una delle molle delle mobilitazioni popolari, im Bolivia (rifiuto della privatizzazione del gas) o in Venezuela (controllo della produzione petrolifera,
L'instabilità prodotta dai colpi delle politiche liberiste, infine, determina una svolta nella strategia politico-militare dell' imperialismo americano: strategia di contro-insurrezione in Colombia e in Venezuela, preparazine di un colpo di Stato in Bolivia, destabilizzazione in argentina e in Brasile. Anche qui gli imperativi ecenomici e strategici del dominio americano restringono sempre più gli spazi e I margini di manovra dei governi, in particolare per tutte le esperienze di tipo "social-liberista"…

4. Le evoluzioni della sinistra tradizionale o del nazionalismo borghese.

4.1 Mutamenti sociali di tipo liberista nel movimento operaio.
I mutamenti del modo di accumulazione capitalista e l'accelerazione delle contro-riforme liberiste hanno provocato e continuano a provocare m trasformazioni strutturali nel movimento operaio e nei partiti nazionalisti tradizionali. La logica interna delle relazioni mondiali e degli interessi delle classi dominanti di ciascun Paese esercita una tale pressione sugi Stati e I governi che I partiti della sinistra governista si sono adeguati al liberismo. Non hanno scelta: se questi partiti vogliono salvare l'economia e le istituzioni capitaliste, devono accettare le nuove regole del gioco…
Nel governo essi costituiscono il colleganmento della politica delle classi dominanti e il loro impegno nei confronti delle istituzioni internazionali o delle strutture come l'unione europea o l'Accordo di libero scambio nord.americano (Alena).

4.2. Margini di manovra limitati
I margini di manovra cosio-economici si restringono: non c'è spazio per nuove politiche keynesiane o un combinazione di sviluppo dei servizi pubblici per l'aumento dei salari,per l'incentivazione del consumo delle famiglie che potrebbe rilenciare la domanda.
I governi Jospin e Lula — anche se il Ps francese e il Pt Brasiliano non sono della stessa natura — si sono adeguati alla logica della contro-riforma liberista: riduzione dei bilanci pubblici, politica fiscale a favore dei ricchi, privatizzazioni, riforme dalla sicurezza sociale e delle pensioni, accordo del governo Lula con I cfiteri imposti dal Fmi, in particolare in relazione al rimborso del debito estero.
Il nazionalismo peronista, al di là di questa o quella iniziativa contro l'amministrazione Bush inserisce la sua politica nel quadro delle esigenze del Fmi. Nel corso di questo processo tali partiti subiscono dei cambiamenti qualitativi (mutamenti della base sociale, allontanamento di settori dell'elettorato popolare, interprenetazione via via maggiore con I vertici del capitale finanziario e dello Stato) che non li cancellano comunque dalla carta politica. Tali partitipo sono arrivare o mantenersi al potere rispetto alla crisi delle destre tardizionali: continuano a rappresentare settori delle classi popolari, cosa che pone dei problemi all'unità d'azione nelle lotte e nei movimenti sociali. Questi partitirappresentano comunque, nel quadro dell'alternanza borghese, uno degli strumenti del dominio delle classi dominanti.

4.3. Credscita della pressione sui partiti comunisti e sulle altre correnti "anti-liberiste".
Tale pressione si esercita anche sui partiti comunisti che tendono a conoscere un inesorabile declino. Il pcf, il Pce, la Pds tedesca hanno ormai accettato una "satellitarizzazione strategica" da parte della socialdemocrazia, tendenza incoraggiata dala politica di integrazione della Ces (Confederazione europea dei sindacati) nel quadro della costruzione dell'Europa liberista.
Fatto nuovo, questa pressione si esercita anche sul partito della Rifondazione comunista in Italia, la cui direzione è sta definendo una politica di inserimento in una eventuale coabitazione governativa di centro sinistra diretta da Prodi, presidente assai liberista della Commissione europea.
Occorre infine notare l'evoluzione negativa di correnti o direzioni che si riferivano "all'antiliberismo" pur senza richiamarsi a una politica anticapitalista, e di unità e indipendenza dall'economia e dalle istituzioni capitaliste e che di fronte alla questione del governo hanno la tendenza ad adattarsi alla logica della "governabilità capitalista". E' il caso del governo Lula in Brasile, di Lucio Gutierrez in Equador che è giunto ad appoggiare la guerra di Bush in Irak, e delle oscillazioni recenti di Evo Morales in Bolivia.

5. Resistenze sociali che perdurano
Malgrado l'offensiva capitalistica, le lotte sociali e democratiche continuano ad essere un fattore determinante della situazione politica mondiale: possiamo esaminare una serie di mobilitazioni che hanno inciso sulla situazione.

5.1. Lotte che hanno segnato la situazione politica.
Grande anticipazione: il 15 febbraio 2003 ha costituito una delle grandi giornate di mobilitazione contro la guerra in Irak su scala mondiale. Oltre 10 milioni di persone hanno manifestato in tutte le regioni del pianeta.
Le mobilitazioni contro le conseguenze delle riforme neo-liberiste hanno contraddistinto la situazione di numerosi Paesi: scioperi contro le riforme delle pensioni in Francia e in Brasile, per la difesa dell'assistenza pubblica in Germania, contro la deregolamentazione del mercato del lavoro in Spagna e in Italia, scioperi semi-insurrezionali in Repubblica Dominicana per l'aumento dei salari. Mobilitazioni contadine come il Mst brasiliano per l'occupazone delle terre, dei movimenti dei disoccupati come i piqueteros in Argentina. "Crisi nazionali" in Bolivia sulla questione della privatizzazione delle risorse naturali o della terra, in Venezuela attorno al potere di Chavez, in Haiti per caccaire Aristide. Sviluppo di movimenti di massa in Irak contro l'occupazione militare statunitense, per lo più sotto la direzione dei partiti politico-religiosi reazionari islamisti, che sviluppano altre forme di resistenza sociale. Mantenimento della resistenza palestinese all'occupazione militare israeliana. Occorre infine sottolineare i ripetuti successi dei "Forum sociali mondiali". In una situazione politica internazionale difficile per l'insieme dei movimenti sociali, i "Forum sociali" restano un punto di riferimento per le mobilitazioni popolari internazionali, un luogo di convergenza anti-liberista, anticapitalista, anti-guerra, dimostrazione pratica che è possibile resistere alla globalizzazione capitalista. Il successo dell'ultimo Forum di Mumbay (Bombay) lo attesta. Da un certo punto di vista, queste scadenze esprimono, se pure in una maniera deformata, i rapporti di forza più gloabali tra le classi, la volontà di una serie di settori dei movimenti sociali di resistere agli attacchi capitalisti.

5.2. Forze e limiti delle resistenze sociali
Le resistenze sociali indicano il livello di reattività delle classi popolari nei confronti della contro-riforma; traducono e incentivano a loro volta una crisi di legittimazione delle classi dominanti, dei loro Stati, governi e istituzioni internazionali, ma non invertono la pesante tendenza dei rapporti di forza mondiali. Essi possono "inceppare il meccanismo", ma si concludono il più sovente con passi indietro o con sconfitte sociali e politiche per il movimento operaio. Queste lotte sono decisive per la riorganizzazione dei movimenti sociali, ma non determinano una crescita organica dei sindacati, delle associazioni o dei partiti, "riformisti" o "rivoluzionari".
Vi sono, in queste lotte sociali, degli elementi fondamentali, ma esse non sono ancora in grado di determinare le condizioni che modifichino in profondità i rapporti di forza nel mondo del lavoro o nelle altre classi fondamentali. Si aprono degli spazi, lasciati in particolare liberi dall'evoluzione liberista della socialdemocrazia, dei partiti nazionalisti e dal declino accelerato dei partiti ex-staliniani, ma le forze radicali incontrano ancora difficoltà a sfruttare questi spazi. Continuiamo a pagare i prezzi delle sconfitta del secolo passato: la ricostruzione è lunga.

6. Qualche indicazione per i nostri compiti politici
Questi si ordinano su tre assi:
— una politica di unità d'azione;
— elementi di programma anticapitalista;
— proposte di coordinamento della sinistra anticapitalista e rivoluzionaria.

6.1. La politica per l'unità d'azione dell'insieme dei lavoratori e delle loro organizzazioni deve costituire una dimensione permanente del nostro intervento. L'inserimento nelle lotte delle masse delle associazioni, dei sindacati, cioè con tutto il "movimento reale delle masse" è la prima condizione dell'agire politico. Questo comporta anche assicurare l'autonomia dei movimenti di massa rispetto ai partiti politici per preservare la loro unità ed efficacia. Da questo punto di vista dobbiamo trarre lezioni dall'esperienza argentina in cui ogni partito politico, comprese, e particolarmente, le organizzazioni che si richiamano al trotskismo ha la propria struttura nel movimento di massa (specialmente in quello dei piqueteros) aggravando così la divisione nel seno stesso delle forze popolari.

6.2. Combinare alle lotte delle risposte anticapitalistiche
Occorre però andare al di là dell'indispensabile intervento nelle lotte di resistenza e dell'animazione dei movimenti sociali. Occorre avanzare risposte più di sostanza sul piano programmatico o strategico. Le condizioni di questi dibattiti si sono modificate negli ultimi anni: nel movimento alteromondialista occorre unire contemporaneamente la costruzione dei movimenti unitari con risposte anticapitaliste, specialmente di fronte alle correnti "riformiste", "regolazioniste" (quelle che hanno come obiettivo la "correzione degli eccessi" del sistema capitalista) o nazionaliste. "Un altro mondo è possibile" dicono i movimenti…ora bisogna indicare quale.
Occorre quindi un programma che metta al centro la questione sociale, che riprenda il filo della lotta di classe, spinga a fondo le rivendicazioni sociali e democratiche: contro i licenziamenti, per gli aumenti salariali, per una diversa ripartizione della ricchezza, contro le privatizzazioni…, una logica che pone problemi di incursione sul diritto di proprietà capitalista, di controllo da parte dei lavoratori e del popolo. In Francia proponiamo un piano anticapitalista di interventi immediati come piattaforma elettorale e come programma di lotta sociale.
L'esperienza argentina pone problemi di occupazione delle fabbriche, di loro rimessa in funzione dopo l'abbandono da parte dei padroni e di controllo operaio.
In Venezuela e in Bolivia, le crisi sociali e politiche del Paese mettono all'ordine del giorno rivendicazioni contro le privatizzazioni, per l'appropriazione pubblica e sociale delle risorse naturali — gas, acqua, petrolio — e contemporaneamente l'affermazione della sovranità nazionale e popolare contro il saccheggio delle ricchezze da parte dell'imperialismo statunitense.
Questo orientamento deve fondarsi su proposte unitarie e di autodeterminazione e auto-organizzazione delle classi popolari. Porre all'ordine del giorno, in situazioni di lotte acute o di crisi, strutture che annnciano la costruzione di un "potere dal basso" è decisivo per progredire in direzione di uno sbocco positivo a queste crisi.
Un tale orientamento generale ha una sua proiezione a livello del governo e del potere.
Noi ci opponiamo a tutte le formule di gestione dello Stato e dell'economia capitalista e difendiamo la prospettiva di un governo dei lavoratori fondato sulla mobilitazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, una posizione che ci permette di respingere le politiche di sostegno o di partecipazione a governi "socio-liberisti" ponendo però concretamente il tema del governo e del potere, contrariamente a tutte le correnti che vogliono marginalizzare le mobilitazioni nel contro-potere o nell'illusione di "cambiare il mondo senza conquistare il potere", posizione di Halloway e di altri, in una serie di Paesi e di movimenti altero mondialisti.

6.3. Continuare le nostra politica di coordinamento anticapitalista
Gli ultimi sviluppi della situazione politica internazionale pongono all'ordine del giorno, da un lato, la chiarificazione di certe temi — le evoluzioni governative di Lula o della direzione di Rifondazione comunista in Italia — , dall'altra, la volontà di una serie di correnti rivoluzionarie o anticapitaliste di discutere, scambiare, agire in comune, che concretizza la conferenza dei partiti anticapitalisti di Bombay.
Dobbiamo proseguire sulla stessa via, sia sul terreno della conferenza anticapitalista della sinistra europea, sia su quello della conferenza internazionale che ha tenuto la prima riunione a Bombay, anche se le forme, i ritmi, e le forze politiche interessate sono differenti. Dobbiamo mettere l'accento sui due criteri che hanno informato il nostro lavoro finora:
a) alcune conferenze anticapitaliste il cui centro di gravità deriva da un orientamento classista che combina rivendicazioni radicali, internazionalismo, netta demarcazione rispetto al social-liberismo e sostegno a coalizioni governative ispirate e questi criteri;
b) conferenze aperte e rappresentative alle formazioni politiche in transizione o alla ricerca di luoghi di confronto e di azione. In questo senso, infatti, pur preservando il centro di gravità classita delle conferenze della sinistra radicale europea, questi incontri sono occasione di discussione tra forze come Rifondazione comunista o alcuni Pc alla ricerca di confronto.
Parallelamente dobbiamo moltiplicare le relazioni tra organizzazioni rivoluzionarie o anticapitaliste che, sulla base di un orientamento radicale ma non settario, sono integrate in particolare nel movimento alteromondialista. In effetti il nostro orientamento non è quello dell'unità dei rivoluzionari solo rispetto a riferimenti astratti alla rivoluzione, ma quello del riavvicinamento sulla base di "comprensione comune degli avvenimenti e dei compiti". In questo senso partecipano a questo Comitsto internazionale organizzazioni come la corrente Ism del Ssp scozzese, il Dps australiano, l'Iso degli Stati uniti: così continuiamo il lavoro con altre organizzazioni come la Dea greca o il Llp pakistano. Su un piano diverso, inoltre, manteniamo relazioni con altre organizzazioni come il Swp o stabiliamo rapporti con le organizzazioni della conferenza internazionale.
Per concludere, i nuovi spazi per la sinistra radicale, i riallineamenti nel movimento operaio, le sfide politiche e strategiche pongono all'ordine del giorno la prospettiva di ampi partiti anticapitalisti, quali elementi chiave di direzione dei processi politici di massa, nelle condizioni di inasprimento della lotta di classe per i mesi e gli anni a venire. Questo suppone la necessità di rafforzare il contenuto classista dei partiti o delle formazioni ampie in costruzione, in particolare traendo le lezioni dal social-liberismo, cosa che comporta anche la continuazione del processo avviato con l'ultimo congresso dell'Internazionale: rilanciare le nostre organizzazioni, riunire i marxisti rivoluzionari, costruire le nostre sezioni per fecondare il processo più ampio.