Dalla schiavitù all'incarcerazione di massa.
Ripensando alla "questione razziale" negli USA. Di Loic Wacquant, da New Left Review (Gennaio/Febbraio 2002). Traduzione di Susanna Angeleri. Luglio 2003.


Nella Storia degli Stati Uniti, non c'è stata una sola "istituzione particolare", ma diverse istituzioni hanno cooperato con successo a delimitare, confinare e controllare gli afro-americani. La prima è stata la schiavitù ("chattel") come perno dell'economia delle piantagioni e base della divisione razziale a partire dall'era coloniale fino alla Guerra Civile. Seconda viene la cosiddetta "Jim Crow" che effettuava, a norma di legge, una discriminazione e una segregazione "dalla culla alla tomba", rendendo stabile la società preminentemente agraria del Sud dalla Ricostruzione fino alla Rivoluzione per i Diritti Civili, che fece crollare questa società ben un secolo dopo l'Abolizione della schiavitù. Il terzo espediente per contenere i discendenti degli schiavi nelle metropoli industriali del Nord è stato il ghetto; sorto in corrispondenza del periodo in cui gli afro-americani si urbanizzarono e proletarizzarono nel periodo dalla "Grande Migrazione" del 1914-30 agli anni 60, quando è stato reso parzialmente obsoleto dalla concomitante trasformazione dell'economia e dello stato e dalle montanti proteste dei neri contro la continua esclusione di casta, culminate nell'esplosione delle rivolte urbane raccontate nel Kerner Commission Report (1).

Il quarto espediente, a mio avviso, è il recente complesso istituzionale formato dai residuati del ghetto e dell'apparato carcerario a cui si è arrivati attraverso una stretta relazione di simbiosi strutturale e sostituti funzionali. Ci suggerisce che la schiavitù e l'incarcerazione di massa sono collegati in modo genealogico, e non si può capire la prigione di massa (tempi, composizioni, facilità di funzionamento, quieta ignoranza e silenziosa accettazione dei suoi effetti deleteri) senza ritornare alla schiavitù come punto di partenza storico con la stessa funzione.

Osservata sullo sfondo dell'intera traiettoria storica della dominazione razziale negli Stati Uniti (riassunta nella Tavola 1) la "sproporzionalità" accecante e crescente dell'incarcerazione che ha afflitto gli afro-americani durante i tre ultimi decenni si può capire come il risultato delle funzioni "extra-penali" che il sistema carcerario è venuto ad assumere nella scia della crisi del ghetto e del continuo "marchio di infamia" che tocca i discendenti degli schiavi in virtù della loro appartenenza ad un gruppo sociale essenzialmente deprivato di onore etnico (Max Weber, Massehre).

TAVOLA LE QUATTRO ISTITUZIONI SPECIALI E LE LORO BASI

ISTITUZIONE

FORMA DI LAVORO NUCLEO DELL'ECONOMIA TIPOLOGIA SOCIALE DOMINANTE

Schiavitù (1619-1865)

Lavoro fisso non libero Piantagioni Schiavo

Jim Crow
(Sud, 1865-1965)

Lavoro fisso libero

Agricolo ed estrattivo Mezzadro

Ghetto
(Nord, 1915-1968)

Lavoro mobile libero

Manifattura industriale segmentata Lavoratore umile

Hyperghetto & Prigione

Lavoro fisso in surplus

Servizi polarizzati e postindustriali Utente di welfare & criminale

 

Scheda 1

Sproporzione razziale nell'incarcerazione in USA

Tre fatti emergono brutalmente e danno la misura dell'impatto grottesco e sproporzionato che ha l'incarcerazione di massa sugli afro-americani. Innanzi tutto la composizione etnica della popolazione reclusa degli Stati Uniti è stata virtualmente "invertita" nell'ultimo mezzo secolo, andando da circa il 70% bianchi anglosassoni a metà del secolo a meno del 30% oggi. Contrariamente alla percezione comune, la predominanza dei neri dietro le sbarre non è un modello di vecchia data, ma un fenomeno recente, che ha il 1988 come punto di svolta: si tratta dell'anno in cui, l'allora vicepresidente George Bush, pubblicò il suo famigerato messaggio detto "Willie Horton" durante la campagna presidenziale, dove si ritraevano immagini sinistre di neri violentatori di bianche, come emblematiche del contemporaneo "problema del crimine", tanto che l'anno dopo i maschi afro-americani diventavano la maggioranza nelle prigioni dell'intero paese (a). Per di più, tra il 1976 e il 1994, anche se la differenza fra la cifra di arresti tra bianchi e neri è stabile, con la percentuale dei neri oscillante tra il 29% e il 33% per tutti gli arresti per crimini contro la proprietà, e tra il 44% e il 47% per reati violenti (b), invece il gap tra bianchi e neri incarcerati è cresciuto rapidamente negli ultimi venticinque anni passando da 1 a 5 nell'85 al circa 1 a 8 di oggi. Questa tendenza è più impressionante se si pensa che è avvenuta durante un periodo in cui un numero significativo di afro-americani è entrato e ha fatto carriera nei ranghi della polizia, nei tribunali e nelle amministrazioni penitenziarie e proprio quando le più palesi forme di discriminazione razziale comuni negli anni '70 sono state fortemente ridotte se non addirittura soppresse (c). Infine la probabilità di accumulare "il tempo delle condanne", durante la vita, in una prigione federale o di stato, basata sulle percentuali di incarcerazione dei primi anni 90 è del 4% per i bianchi, del 16% per i latini e di uno sconcertante 26% per i neri (d). Stando alla percentuale di incarcerazione se ne deduce che la maggioranza degli afro-americani (sotto)proletari scontano una condanna che va da un anno a diversi anni (in molti casi diverse condanne) in qualche momento della loro vita adulta con tutto quello che comporta di disgregazione familiare e dissesti occupazionali e legali, incluso la decurtazione dei sussidi sociali, l'esclusione dai diritti civili e la temporanea o permanente esclusione dal diritto al voto. Si pensi che nel 1997 in tutto il Paese, circa un nero su sei era escluso dalle votazioni perché si era reso reo di qualcosa e a più di un quinto di questi era proibito votare in Alabama, Connecticut, Florida, Iowa, Mississippi, New Mexico, Texas, Washington e Wyoming. (e) 20 Dunque, dopo soli trentacinque anni dal Movimento per i Diritti Civili che fece finalmente conquistare il diritto di voto agli afro-americani, un intero secolo dopo l'Abolizione, questo diritto è stato tolto dal sistema penale attraverso disposizioni legali di dubbia validità costituzionale e che violano in molti casi (in particolare per quanto riguarda la perdita del diritto al voto) le convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate anche dagli Stati Uniti.

Note

a) David Anderson, Crime and Politics of Hysteria, New York 1995
b) Michael Tonry, Malign Neglect, Oxford 1995, p. 64
c) Alfred Blumstein, "Racial Disproportionality of US Prisons Revisited", University of Colorado Law Rewiew, vol. 64 1993, pp. 743-60; ma da vedere anche la forte contro-argomentazione di David Cole, "No equal justice", New York 1999.
d) Thomas Bonczar e Allen Beck, "Lifetime Likelihood of Going to State or Federal Prison", Bureau of Justice Statstics Special Report Washington, BJS, Marzo 1997, p.17; per un'analisi stato per stato vedere Marc Mauer, "Racial Disparities in Prison Getting Worse in the 1990s" Overcroeded Times, vol.8, n.1, Febbraio 1997, pp.9-13.
e) John Hagan e Ronit Dinowitzer, "Collateral Consequences of Imprisonment for Children, Communities, and Prisoners", in Michael Tonry and Joan Petersilia,eds, Prisons, Chicago 1999, pp.121-62; e Jamie Fellner e Marc Mauer, "Losing the Vote: the Impact of Felony Disenfranchisement in the US.", Washington 1998.

La principale spinta che sta dietro l'enorme espansione dello Stato Penale Americano nell'era post-Keynesiana e la sua politica de facto di carcerazione come "programma di assistenza" verso gli afro-americani (2), non è, dunque, il crimine, ma la necessità di rinforzare una spaccatura sociale già intaccata, e il regime emergente di lavoro salariato a cui la maggioranza dei neri è destinata, a causa della mancanza di capitale culturale da immettere sul mercato, e a cui i più deprivati resistono andando verso la scappatoia dell'economia illegale di strada.

REPERIMENTO DI MANODOPERA E DIVISIONE SOCIALE

Le prime tre "istituzioni particolari" e cioè la schiavitù, il Jim Crow e il ghetto hanno in comune il fatto di essere tutti e tre mezzi di reperimento di manodopera e ostracismo sociale nei confronti di un gruppo escluso ritenuto non assimilabile a causa del triplice marchio indelebile che si porta dietro. Gli afro-americani, sono arrivati in schiavitù nella terra della libertà, di conseguenza erano privi del diritto di voto nella sedicente culla della democrazia (fino al 1965 per i residenti degli stati del Sud). Inoltre, per mancanza di una chiara affiliazione nazionale erano senza onore etnico. Ciò significa che non erano nel fondo della scala sociale, ma che ne erano proprio fuori ab initio (3).

1) Schiavitù (1619-1865). La schiavitù è un'istituzione altamente malleabile e versatile che può essere adattata ad una vasta gamma di scopi, ma nelle Americhe la proprietà di persone era gestita principalmente in funzione del reclutamento di manodopera e del controllo del lavoro (4). La sua introduzione nel Chesapeake, nel Medio Atlantico e nelle regioni Basse degli Stati Uniti nel XVII secolo servì a reclutare e a regolare la mano d'opera coatta importata dall'Africa e dalle Antille per provvedere all'economia delle piantagioni di riso e di tabacco e miste.(I lavoratori apprendisti dell'Europa e gli indiani nativi non erano schiavizzati per la loro maggiore capacità di resistere, e perché la loro servitù avrebbe impedito la futura immigrazione e avrebbe esaurito subito una riserva di manodopera limitata). Alla fine del XVIII secolo la schiavitù si auto-riproduceva e si espandeva nella mezzaluna fertile interna dalla Carolina del sud alla Louisiana, dove riforniva di manodopera un'organizzazione del lavoro ad alto profitto per la produzione del cotone e poneva le basi della società delle piantagioni che si distingueva per la sua cultura, la sua politica e la sua psicologia di tipo feudale (5).

Un sottoprodotto imprevisto del sistematico asservimento e della sistematica disumanizzazione degli africani e dei loro discendenti in Nord America, fu il crearsi di una divisione razziale che separava coloro che più tardi sarebbero stati etichettati come "neri" e "bianchi" (6). Come ha dimostrato Barbara Fields, l'ideologia americana di "razza"come ipotetica divisione biologica legata all'applicazione inflessibile della regola dell'"one drop" (una sola goccia di sangue) insieme al principio di ipodiscendenza si sono cristallizzate per risolvere la vistosa contraddizione tra la schiavitù umana e democrazia (6). La credenza religiosa e pseudoscientifica di differenze razziali riconciliava il fatto bruto del lavoro non libero con la dottrina della libertà basata sul diritto naturale riducendo lo schiavo a proprietà vivente (" tre quinti d'uomo" secondo la sacra scrittura della Costituzione).

2) Il Jim Crow System (Sud 1865- 1965). La divisione razziale fu una conseguenza e non una pre-condizione dello schiavismo USA, ma una volta istituita si staccò dalla sua funzione iniziale e acquisì un potenziale sociale in sé. L'emancipazione creò così un doppio dilemma per la società bianca del sud: da una parte bisognava trovare il modo di assicurarsi di nuovo il lavoro degli ex schiavi senza il quale l'economia della regione sarebbe crollata, e dall'altra bisognava mantenere la distinzione importantissima di status tra "bianchi" e "persone di colore", c'era bisogno di questa simbolica distinzione sociale per evitare l'odio per l'"amalgama" con un gruppo ritenuto inferiore, senza radici e ignobile. Dopo un protratto interregno terminato negli anni 1890, durante il quale l'iniziale isteria dei bianchi cedette il passo ad un parziale ed inconsistente ammorbidimento delle critiche etno-razziali, quando ai neri fu permesso di votare, di avere cariche pubbliche, perfino di mischiarsi coi bianchi entro i limiti dall'antica intimità intergruppo, arrivò la soluzione sotto forma del regime "Jim Crow "(7). Questo consisteva in un insieme di codici sociali e legali che prescrivevano la completa separazione delle razze e circoscriveva drasticamente le opportunità per gli afro- americani legandoli strettamente ai bianchi in una relazione di sottomissione diffusa con alle spalle una coercizione legale e una violenza terroristica.

Importato dal Nord, dove era stato sperimentato all'interno delle città, questo regime stabiliva che i neri dovevano viaggiare in treni e autobus separati, dovevano aspettare in stanze d'attesa separate, dovevano risiedere in sobborghi separati delle città, essere educati in scuole separate; così si promosse la diffusione di edifici di servizi separati, usavano "i loro bagni" e "le loro fontane"; pregavano in chiese separate, si intrattenevano in club separati, e sedevano in "gallerie per negri" nei teatri; ricevevano le cure mediche in "ospedali separati" ed esclusivamente da personale "di colore"; erano incarcerati in celle separate, sepolti in cimiteri separati. A tutte queste regole seguirono le leggi che condannavano "l'indicibile crimine" del matrimonio interrazziale, la coabitazione o anche il solo rapporto sessuale, per poter affermare la "legge suprema dell'auto-preservazione" delle razze ed il mito dell'innata superiorità bianca. Per mezzo della continuità della proprietà della terra da parte dei bianchi e della generalizzazione della mezzadria e del debito bracciantile, il sistema delle piantagioni di fatto rimase intoccato in quanto gli ex-schiavi divennero "contadini dipendenti" e privi di proprietà, nominalmente liberi, ma braccianti nominalmente liberi, ma schiacciati dalla povertà, dall'ignoranza e dalla nuova servitù della mezzadria (8). Mentre la mezzadria legava il lavoro degli afro-americani alla fattoria, una rigida etichetta assicurava che bianchi e neri non interagissero sul piano dell'uguaglianza, nemmeno sulle piste da corsa o sul Ring. Un'ordinanza a Birmingham del 1930 rendeva illegale perfino giocare a dama o a domino bianchi contro neri o viceversa. (9) Se casomai si superava o magari solamente si sfiorava "la linea del colore", si scatenava un fiume di violenza sotto forma di periodici pogrom, raid di vigilantes o del Ku Klux Klan, fustigazioni pubbliche, linciaggi ed uccisioni di massa. Questi rituali assassini razziali avevano lo scopo di tenere al loro posto i "negri testardi". Tutto ciò fu reso possibile dalla rapida e quasi completa perdita dei diritti dei neri e dall'applicazione della "Negro Law" da parte dei tribunali che concedevano ai neri minori salvaguardie legali di quelle di cui gli schiavi avevano beneficiato prima in virtù dell'essere sia proprietà che persone.

3) Ghetto (Nord, 1915 - 68). La brutalità bella e buona dell'oppressione sociale nel Sud, il declino della coltivazione del cotone dovuto alle inondazioni e ad un parassita, infine il pressante bisogno di lavoro nelle fabbriche del Nord causato dallo scoppio della prima guerra mondiale, spinse gli afro-americani ad emigrare in massa verso i centri industriali in espansione nel Midwest e nel Nordest (più di 1,5 milioni di persone partì tra il 1910-1930, seguite da altri 3 milioni tra il 1940-1960). Ma appena gli emigrati fioccarono dal Mississippi e dalla Carolina nelle metropoli del Nord, non scoprirono la "terra promessa" di uguaglianza e di piena cittadinanza, ma un altro sistema di segregazione razziale, il ghetto, che, benché fosse meno rigido e spaventoso di quello da cui erano scappati, non era certo meno avvolgente e costrittivo. Senza dubbio, la maggiore libertà di andare e venire in posti pubblici e di consumare in regolari centri commerciali, la sparizione dei cartelli umilianti che indicavano "colorati qui" "bianchi là", il rinnovato accesso al voto, la protezione dalla giustizia, la possibilità di limitati avanzamenti economici, il sollievo dalla sottomissione e dalla paura dell'onnipresente violenza bianca, tutto rendeva la vita nelle città del Nord incomparabilmente preferibile alla continua sottomissione bracciantile del Sud rurale: era meglio "essere un palo della luce a Chicago che presidente di Dixie" come ebbero a dire nella famosa frase gli emigranti a Richard Wright. Patti restrittivi costringevano, però, gli afro-americani a raccogliersi in una "cintura nera" che divenne rapidamente sovraffollata, sottoservita, e rovinata dal crimine, dalle malattie e dal deterioramento, mentre il "tetto del lavoro" li riduceva alle occupazioni più aleatorie, umili e sottopagate sia nell'industria che nei servizi.In quanto all'"uguaglianza sociale", intesa come possibilità di poter diventare membri di gruppi, chiese e associazioni di bianchi o di sposarsi nelle loro famiglie, era loro definitivamente e fermamente negata. (10).

I neri erano entrati nell'economia industriale fordista, a cui contribuivano come risorsa vitale di lavoro abbondante e poco costoso, rincorrendo i suoi boom e i suoi cicli negativi. Rimanevano tuttavia bloccati in una posizione precaria di marginalità economica strutturale e associati ad un microcosmo appartato e dipendente, che aveva una sua propria divisione interna del lavoro, e una stratificazione sociale, e organismi di voce collettiva e di rappresentazione simbolica: una città nella città arroccata in un complesso di chiese e di giornali per neri, imprese pratiche professionali, logge e associazioni comunali che fornivano un "milieu per negro-americani in cui potevano impregnare la loro vita di significato" e un "bastione" per proteggere l'America "bianca" dal "contatto sociale" con i Negri (11). La continua ostilità razziale da fuori e la rinnovata affinità etnica all'interno concorrevano a creare il ghetto come terzo veicolo per procurarsi lavoro dei neri tenendo contemporaneamente i corpi neri ad una distanza di sicurezza, per il beneficio materiale e simbolico della società dei bianchi.

L'era del ghetto come apice del meccanismo di dominazione etno-razziale si aprì con le rivolte urbane del 1917-19 (a St.Louis Est, Chicago, Longview, Houston ecc.), si chiuse con un'ondata di scontri, saccheggi ed incendi che ebbero a scuotere centinaia di città americane da costa a costa, dalle sommosse di Watts del 1965 alle rivolte di rabbia e di dolore innescate dall'assassinio di Martin Luther King nel 1968. In realtà, già alla fine degli anni '60, il ghetto stava ormai diventando obsoleto o, per essere più precisi, sempre più inidoneo a soddisfare il duplice compito affidato storicamente alle "istituzioni speciali" in America. Dalla parte del "reperimento di manodopera" il passaggio da un'economia urbana industriale ad un'economia di servizi suburbana, e il conseguente dualismo della struttura occupazionale, insieme con l'aumento di immigrazione operaia dal Messico, dai Caraibi e dall'Asia significò che non c'era più bisogno di larghi segmenti di forza lavoro contenuta nelle cinture nere delle metropoli del Nord. Per quanto riguarda la chiusura etno-razziale, la mobilitazione decennale degli afro-americani contro la discriminazione razziale, in una congiuntura politica propizia derivata dalla guerra del Vietnam insieme ai tumulti sociali, alla fine riuscì ad obbligare lo stato federale a smantellare il meccanismo legale dell'esclusione razziale. Una volta assicuratisi il voto e i diritti civili, i neri avevano ottenuto finalmente la piena cittadinanza e non più disposti all'esclusione nel ad essere sbattuti mondo separato ed inferiore del ghetto (12).

Ma se da un lato i bianchi accettarono "in teoria" a malincuore l'integrazione, in pratica fecero in modo di mantenere un muro invalicabile sociale e simbolico con i loro compatrioti di discendenza africana. Abbandonarono le scuole pubbliche, sfuggirono gli spazi pubblici, e scapparono dai sobborghi a milioni per evitare di mischiarsi e per proteggersi dallo spettro dell'"uguaglianza sociale" nelle città. Poi si rivoltarono contro lo stato sociale, contro quei programmi sociali dai quali più dipendeva l'avanzamento collettivo dei neri. Espressero invece il loro più entusiastico favore nei confronti delle politiche della "legge e dell'ordine" che promettevano di reprimere con fermezza i disordini urbani intrinsecamente percepiti come minacce razziali (13). Questa politica a sua volta suggerì alla fine un'altra istituzione speciale capace di confinare e controllare, se non l'intera comunità afro-americana, almeno i suoi membri più distruttivi, disdicevoli e pericolosi: la prigione.

IL GHETTO COME PRIGIONE, LA PRIGIONE COME GHETTO

Per comprendere la profonda affinità tra il ghetto e la prigione, che ci aiuta anche a spiegare come il declino e la sovrabbondanza funzionale del primo, abbia portato ad un'inaspettata ascesa e strabiliante crescita dell'altro durante l'ultimo quarto di secolo, bisogna, per prima cosa, definire in modo accurato cosa sia il ghetto (14). Ma qui arriviamo alla nota incresciosa in cui le scienze sociali non sono riuscite a sviluppare un forte concetto analitico su cosa sia il ghetto; si sono, invece, limitate a mutuare il concetto folkloristico corrente nel discorso popolare e politico ad ogni epoca. Ciò ha causato molta confusione: infatti il ghetto è stato in diverse fasi preso - confuso con - un distretto di segregazione, un quartiere etnico, un territorio ad alto tasso di povertà o di edilizia degradata e, con il sorgere del mito politico della "sottoclasse", in tempi più recenti, perfino una mera accumulazione di patologie urbane e comportamenti antisociali (15).

Un paragone storico-sociologico tra i quartieri riservati agli ebrei nelle città rinascimentali in Europa e il "Bronzeville" dell'America nelle metropoli fordiste del ventesimo secolo, rivela che il ghetto è essenzialmente un espediente socio-spaziale che mette in grado un gruppo sociale dominante in un insediamento urbano, di ostracizzare e contemporaneamente sfruttare un gruppo subordinato, dotato di un capitale simbolico negativo, con delle caratteristiche personali il cui contatto è percepito come degradante in virtù di ciò che Max Weber chiama "stima sociale negativa dell'onore". Messa diversamente è una relazione di controllo etno-razziale e di reclusione basata quattro elementi: 1) stigma; 2) costrizione; 3) confino territoriale; 4) reclusione istituzionale.

La struttura che ne risulta è uno "spazio distinto contenente una popolazione etnicamente omogenea, che è forzata a svilupparsi all'interno di uno scenario di istituzioni legate fra loro e che replica la cornice organizzativa della società più ampia da cui quel gruppo è bandito e che fornisce le impalcature per la costruzione di un suo specifico "stile di vita" e di sue strategie sociali. Questa nesso istituzionale parallelo permette al gruppo subordinato di avere una certa protezione, autonomia e dignità, ma al costo di rinchiuderlo in una relazione di subordinazione e dipendenza strutturale. In breve il ghetto opera come una prigione etno-razziale: ingabbia una categoria di persone senza onore e riduce di molto le opportunità dei suoi membri favorendo la "monopolizzazione di beni ideali e opportunità materiali" del gruppo sociale dominante che abita al di fuori (16).

Ricordiamoci dei ghetti dell'Europa dell'età moderna che erano tipicamente delimitati da alte mura con una o più porte che venivano chiuse durante la notte, mura entro le quali gli ebrei erano obbligati a ritornare prima del calar del sole, sotto la pena di incorrere in severe punizioni, il perimetro di queste mura era oggetto di continue ispezioni da parte delle autorità esterne (17).

Da notare poi le analogie strutturali e funzionali con la prigione concettualizzata come un ghetto giudiziario: una prigione o un penitenziario non è altro che uno spazio riservato, atto a confinare con la forza una popolazione legalmente denigrata e dove, quest'ultima, evolve le sue istituzioni distintive, la sua cultura e la sua identità macchiata. E' così formata dagli stessi quattro elementi fondamentali che compongono il ghetto-stigma, coercizione, reclusione fisica, parallelismo e isolamento organizzativo. Anche gli scopi sono simili.

Così come il ghetto protegge come una specie di "preservativo urbano" i residenti della città dalla contaminazione dei rapporti con i corpi infetti, ma necessari, di un gruppo sociale emarginato, come Richard Sennet ha vividamente descritto a proposito della "paura del toccare" nella Venezia del Cinquecento, (18) la prigione purifica il corpo sociale dalla macchia temporanea dei suoi membri che hanno commesso dei crimini, cioè, secondo Durkheim, quegli individui che hanno violato l'integrità socio-morale della collettività calpestando " i confini saldi e delimitati della coscienza collettiva ". Studiosi delle "Istituzioni totali" da Donald Clemmer a Gresham Sykes, da James Jacobs a John Irwin, hanno più volte messo l'accento su come i carcerati sviluppino loro propri ruoli gergali, sistemi di scambio e standard normativi, sia come risposta di adattamento al dolore per l'imprigionamento ", sia attraverso l'importazione selettiva di valori criminali e sottoproletari, proprio come i residenti del ghetto hanno elaborato ed intensificato una "subcultura" per contrapporsi alla loro reclusione socio-simbolica (19).

Lo scopo che era secondario nel ghetto, cioè facilitare lo sfruttamento della categoria rinchiusa, era invece centrale per la "casa di correzione" che è il precedente storico diretto della moderna prigione, e ha giocato un ruolo importante nell'evoluzione e nel funzionamento di quest'ultima (20). Infine sia la prigione che il ghetto sono strutture autoritarie di dubbia o problematica legittimità, il cui mantenimento è assicurato dal ricorso intermittente alla forza esterna. Verso la fine degli anni 70 poi, dato che la reazione razziale e di classe contro gli avanzamenti democratici ottenuti dai movimenti sociali del precedente decennio ebbe pieno successo, la prigione ritornò bruscamente ad affacciarsi alla società americana e si offrì come soluzione semplice ed universale per ogni specie di problema sociale. Primo per importanza, tra questi problemi, era l'"infrangere" l'ordine sociale nella città interna che è un eufemismo politico e dotto, vista la chiara incapacità del ghetto nero a contenere una popolazione senza onore ed in soprannumero da ora in avanti considerata non solo come deviante e deviata, ma esplicitamente pericolosa alla luce delle rivolte violente della metà degli anni 60.

Appena le mura del ghetto minacciarono di scuotersi e sgretolarsi, le mura delle prigioni furono estese, allargate e fortificate, e "il confino della differenziazione" mirato a tenere da parte un gruppo (nel senso etimologico di segregare) ebbe il primato su "confino per la sicurezza" e "confino d'autorità"- per usare la distinzione proposta dal sociologo francese Claude Faugeron (21). Ben presto il ghetto nero, trasformato in strumento di pura esclusione attraverso il taglio concomitante dei salari e della protezione sociale, e ulteriormente destabilizzato dalla crescente penetrazione del braccio penale dello stato, divenne vincolato al sistema del carcere e della prigione attraverso una triplice relazione di equivalenza funzionale, omologia strutturale e sincretismo culturale, tanto che ora costituisce un solo continuum carcerario che rinchiude una popolazione debordante di giovani maschi neri (e sempre più donne) che si muove in un circuito chiuso tra i due suoi poli in un ciclo perpetuo di marginalità sociale e legale con conseguenze personali e sociali devastanti (22).

In effetti, in America, il sistema carcerario aveva già funzionato come un'istituzione ancillare per la salvaguardia di casta e per il controllo dei lavoratori durante una precedente transizione tra regimi di dominio razziale e cioè tra la schiavitù e il Jim Crow nel Sud. Immediatamente dopo l'Emancipazione, da un giorno all'altro, le prigioni si tinsero di nero, dato che "migliaia di ex schiavi furono arrestati, processati e condannati per azioni che nel passato riguardavano solo i loro padroni", per il rifiuto di comportarsi umilmente e di seguire le regole avvilenti dell'etichetta razziale. I vecchi stati federali introdussero "il debito detentivo" in risposta al panico morale per il "crimine negro" e ciò presentò il doppio vantaggio di generare enormi fondi per le casse dello stato e fornire abbondante manodopera forzata per dissodare i campi, costruire gli argini dei fiumi, costruire le ferrovie, bonificare le paludi e scavare le miniere della regione a condizioni criminali (23). Per di più il lavoro penale, sotto la forma del "debito detentivo" e il suo erede, i lavori forzati in catene, giocò il ruolo più importante nell'avanzamento economico del Nuovo Sud durante l'Era Progressiva perché fece quadrare la modernizzazione con la continuazione della dominazione razziale.

Ciò che rende diversa oggi l'intercettazione razziale del sistema carcerario, dalla schiavitù, dal Jim Crow e dal ghetto della metà del secolo, è che non si fa più carico della missione economica positiva di reclutamento e disciplina della forza lavoro, ma serve solo a mettere in un canto le frazioni precarie e sottoproletarie dei neri, sia perché non trovano lavoro a causa della non specializzazione, discriminazione dei datori di lavoro e competitività con gli immigrati, oppure perché si rifiuta semplicemente di sottomettersi all'indegnità di un lavoro scadente nei settori periferici dell'economia di servizio ciò che i residenti del ghetto etichettano come "lavoro da schiavi".

Attualmente, però, sta montando una pressione finanziaria ed ideologica, ed un rinnovato interesse politico, per allentare le restrizioni nel lavoro penale in modo da (re)introdurre il lavoro di massa non qualificato nelle imprese private all'interno delle carceri americane: far lavorare un maggior numero di carcerati contribuirebbe ad abbassare il costo delle carceri oltre ad estendere ai carcerati poveri gli stessi requisiti lavorativi che sono imposti ai poveri liberi come per ottenere la cittadinanza (25). Nei prossimi dieci anni si capirà se la prigione resterà un'appendice del ghetto nero o se lo soppianterà per divenire la "quarta istituzione speciale" americano.

CREAZIONE DELLA RAZZA E MORTE SOCIALE

La schiavitù, il cosiddetto "Jim Crow" e il ghetto sono istituzioni tese a "creare la razza", cioè non si limitano a riprodurre divisioni etno-razziali in qualche modo già esistenti ed indipendentemente da loro, piuttosto, ognuna produce o contribuisce a produrre queste divisioni grazie al retaggio di demarcazioni e disparità di potere proprie del gruppo e in ogni epoca le inserisce in una sua costellazione di forme materiali e simboliche. E tutte hanno coerentemente dato colorazione razziale al confine arbitrario che separava gli afro-americani da tutti gli altri, negando attivamente che le loro origini culturali fossero da ricercare nella storia e attribuendole, invece, ad una fittizia necessità biologica. La particolarissima concezione di "razza" che ha inventato l'America, in pratica unica al mondo per rigidità e consequenzialità, è il risultato diretto della drammatica collisione tra schiavitù e democrazia come modi di organizzare la vita sociale dopo che è stato stabilito che la schiavitù era la più grande forma di precettazione della manodopera e di controllo nelle colonie sotto popolate in un sistema pre-capitalistico di produzione. Il Jim Crow rielaborò il confine razziale tra schiavi e liberi in una rigida separazione di casta tra "bianchi" e "Negri" - comprese tutte quelle persone notoriamente di ascendenza africana per quanto minima - che infettò ogni interstizio del sistema sociale postbellico nel Sud. Il ghetto, a sua volta, impresse questa dicotomia negli schemi di riassetto spaziale e istituzionale delle metropoli industriali. Tanto che sulla scia delle "rivolte urbane" degli anni sessanta, che in realtà furono ribellioni contro la separazione di casta e la subordinazione di classe, i termini "urbano" e "nero" divennero quasi sinonimi sia ufficialmente che nel parlare quotidiano. E la "crisi" delle città venne a significare la continua contraddizione tra il tenore competitivo ed individualistico dell'American life, da un lato, e la continua esclusione degli afro-americani dall'altro (26).

Con il nuovo secolo, è compito della quarta "istituzione speciale", nata dalla contiguità dell'iperghetto con il sistema carcerario, rimodellare il significato sociale di "razza" in accordo con i dettami dell'economia liberalizzata e lo stato post-Keynesiano. L'apparato penale è servito a lungo da complice della dominazione etno-razziale aiutando a stabilizzare un regime sotto attacco, oppure ad appianare lo iato tra due successivi regimi: così i "Codici Neri" della Ricostruzione erano serviti a tenere a bada la manodopera afro-americana dopo la fine della schiavitù, mentre la criminalizzazione delle proteste per i diritti civili nel Sud negli anni '50 aveva mirato a ritardare l'agonia del Jim Crow. Ma il ruolo dell'istituzione carceraria oggi è diverso poiché, per la prima volta nella storia degli USA, è stato elevato al rango di macchinario principale per la "creazione razziale"

Tra gli effetti molteplici della fusione tra il ghetto e la prigione in un'unica estesa maglia carceraria, forse il più ricco di conseguenze è il rinvigorimento pratico e il consolidamento ufficiale della secolare associazione tra negri e criminalità, violenza e devianza. Con il ritorno di mitologie alla Lombroso sull'atavismo criminale e la vasta diffusione di metafore animali in campo politico e giornalistico (dove abbondano menzioni di "superpredatori", "branco di lupi", "animali", e simili), la massiccia super incarcerazione dei neri ha fornito un potente salvacondotto per " usare il colore come indice di pericolosità" (27) In anni recenti, i tribunali hanno coerentemente autorizzato la polizia ad usare la razza come "segnale negativo di rischio crescente di criminalità" e studiosi giuridici si sono precipitati a sottoscrivere come "un adattamento razionale alla demografia del crimine", reso saliente e verificato, per così dire, dall'aumentare dei neri nella popolazione delle prigioni, questa pratica, però, comporta grosse incongruità dal punto di vista della legge costituzionale. In tutto il sistema di giustizia criminale urbano, la formula "giovane + nero + maschio" è ora apertamente equivalente a "probabile causa" giustificativa dell'arresto, dell'interrogatorio, della perquisizione personale e della detenzione di milioni di afro-americani ogni anno.

Nell'era delle politiche mirate "di legge e ordine" su linee razziali e del loro corrispondente sociologico in cui la carcerazione di massa avviene secondo le stesse linee, l'immagine pubblica imperante del criminale non è quella del "monstruum" con caratteristiche intrinsecamente differenti dalle nostre", ma quella del mostro nero, man mano che i giovani afro-americani della "città interna", sono venuti a personificare il mix esplosivo di degenerazione morale e disordine. La fusione tra neri e crimine nella rappresentazione collettiva e nella politica di governo (l'altro lato di questa equazione è la fusione fra neri e welfare) così riattiva la "razza" dando legittimo sbocco all'espressione dell'animus anti-nero sotto forma di pubblica vituperazione di criminali e prigionieri. Come sottolinea lo scrittore John Edgar Wideman:

E' ritenuto rispettabile coprire di pece e poi di piume i criminali, sostenere che bisogna rinchiuderli e buttare via la chiave. Non è razzista essere contro il crimine, anche se il criminale archetipico nei media e nella pubblica immaginazione, quasi sempre ha la faccia di "Willie Horton". Man mano, "urbano" e "ghetto", sono divenuti parole in codice per indicare dei posti orribili dove risiedono solamente i neri. Rapidamente anche la parola prigione ha cambiato significato nello stesso modo razzista (28).

In vero, quando "essere un uomo di colore di una certa classe economica e di un certo milieu sociale è equivalente ad essere criminali agli occhi pubblici", essere processati dal sistema penale è equivalente ad essere nero, e "scontare la pena" dietro le sbarre significa allo stesso tempo "marcare la razza". Avendo assunto un ruolo centrale nel governo post-Keynesiano di razza e povertà, trovandosi agi incroci del mercato liberalizzato del lavoro a basso costo, essendo un apparato rimodernato di "stato sociale - lavoro sociale" designato a sostenere l'impiego saltuario, e le vestigia del ghetto, lo straripante sistema carcerario degli Stati Uniti è divenuto di per se un ingranaggio cardine di produzione simbolica. Non è solo l'istituzione preminente che serve a dare significato e rinforzare il colore nero, come è stata la schiavitù nei primi tre secoli della storia degli Stati Uniti. Proprio come la schiavitù causava la "morte sociale" dei prigionieri africani importati e dei loro discendenti nel suolo americano, anche l'incarcerazione di massa porta alla morte civile di quelli che ha catturato espellendoli dalla compagine sociale (30). I carcerati di oggi sono in questo modo l'obiettivo di un triplice movimento di reclusione ed esclusione:

i) Ai prigionieri è negato l'accesso a un capitale culturale di valore: mentre le credenziali universitarie stanno diventando un prerequisito per l'impiego nel settore (semi)protetto del mercato del lavoro, i carcerati sono stati espulsi dai livelli più alti dell'istruzione, attraverso l'esclusione dalle borse di studio, prima i trasgressori per droga nel 1988, poi i condannati a morte o all'ergastolo definitivo nel 1992, per finire con tutti gli altri sia statali che federali nel 1994. L'espulsione è stata votata dal Congresso con il solo proposito di accentuare la divisione simbolica tra i criminali e i "cittadini rispettosi della legge" nonostante la schiacciante evidenza che i programmi di istruzione per carcerati riducevano drasticamente le recidive e aiutavano a mantenere l'ordine carcerario (31).

ii) I prigionieri sono sistematicamente esclusi dalla ridistribuzione e dall'aiuto pubblico nell'era in cui l'incertezza del lavoro rende l'accesso a tali programmi più vitale che mai per quelli che stanno negli strati sociali più bassi. Le leggi negano i pagamenti del welfare, i sussidi per i veterani e le tessere alimentari a chiunque sia detenuto per più di 60 giorni. L'Atto per le opportunità di lavoro e delle responsabilità personali del 1996 per di più esclude la maggior parte degli ex - carcerati dall'assistenza sanitaria, dalle case popolari, dai vouchers della ottava sezione e da forme di assistenza correlate. Nella primavera del 1998, il presidente Clinton denunciava come "una frode ed un abuso" intollerabili perpetrati contro le "famiglie di lavoratori" che obbediscono alle regole il fatto che alcuni prigionieri (o i loro famigliari) continuassero a ricevere sovvenzioni pubbliche approfittando di un lassismo burocratico. E orgogliosamente lanciò una campagna senza precedenti di cooperazione federale, di stato e locale con dei nuovi programmi incentivanti usando le "ultime novità tecnologiche per escludere qualsiasi detenuto" che ancora ricevesse dei benefici, offrendo soldi a quelle contee attive nel passare informazioni sui loro detenuti all'amministrazione della Protezione Sociale.

iii) I detenuti sono esclusi dalla partecipazione politica attraverso "la perdita dei diritti per crimine" praticata in grande scala e con un vigore inimmaginabile in qualsiasi altro paese. Tutti i membri dell'Unione tranne quattro negano il voto ad adulti mentalmente sani detenuti; 39 stati proibiscono ai detenuti in regime di semilibertà ad usare i loro diritti politici e in 32 interdicono anche quelli in parola. In 14 stati, agli ex rei è proibito di votare perfino anche quando non sono più sotto la supervisione della giustizia, in 10 stati per sempre.Il risultato è che circa quattro milioni di Americani temporaneamente o permanentemente hanno perduto il diritto di andare alle urne, includendo 1,47 milioni di quelli che non sono dietro le sbarre e un altro 1,39 milioni di quelli che hanno scontato pienamente la pena. (39) In un solo quarto di secolo dopo aver avuto il diritto di accesso al voto, un nero su sette in tutta la nazione è escluso dai diritti elettorali a causa di una qualche eredità penale, e sette stati negano permanentemente il voto a più di un quarto dei loro residenti maschi neri.

Attraverso questa tripla esclusione, il sistema carcerario e giudiziario contribuisce ampiamente alla attuale ricostruzione della "comunità immaginaria" degli americani intorno alla opposizione polare tra le encomiabili "famiglie lavoratrici" - implicitamente bianche, suburbane, e meritevoli - e la spregevole "sottoclasse" di criminali, fannulloni, sanguisughe: un'idra antisociale a due teste personificata dalla dissoluta "ragazza madre adolescente aiutata dallo stato" per quanto riguarda le donne, e il pericoloso ragazzo di banda di strada per quanto riguarda gli uomini - per definizione di pelle scura, urbano e immeritevole. I primi sono esaltati come l'incarnazione vivente di valori americani genuini, di autocontrollo, gratificazione rinviata, sottomissione alla vita di lavoro; gli altri sono vituperati come la personificazione disgustosa della loro abbietta dissacrazione, il lato scuro del sogno americano di abbondanza e di opportunità per tutti, ritenuti lontani dalla moralità ancorata nella famiglia e nel lavoro. E la linea che li divide è sempre più segnata, materialmente e simbolicamente, dalla prigione.

Scheda 2

CLINTON "PRENDE ORGOGLIOSAMENTE DI PETTO L'ABUSO E LA FRODE" DEI CARCERATI

(discorso del sabato alla radio del Presidente Clinton, 25 Aprile 1998. E' disponibile nel sito web della Casa Bianca)

Buongiorno. Questa mattina vorrei parlare della maniera in cui stiamo lavorando per ridare agli americani fiducia nel nostro governo nazionale, nei nostri sforzi per sostenere la Protezione Sociale ed altri sussidi vitali prendendo di petto la frode e l'abuso.

Per 60 anni, la Protezione Sociale ha significato molto più che un semplice numero di identità su un modulo per le tasse, perfino di più che un assegno mensile nella cassetta della posta. Ha riflesso i nostri più profondi valori, i nostri doveri verso i nostri genitori, gli uni verso gli altri, verso i nostri figli e nipoti, verso chi è colpito dalla sfortuna, verso chi merita una vecchiaia dignitosa, verso il nostro ideale di America unita.

Per questo, qualche tempo fa, mi sono turbato scoprendo che molti carcerati, esclusi per legge da molti sussidi federali, continuavano a incassarli. In realtà li ricevevano illegittimamente soprattutto perchè ottenere informazioni aggiornate sui criminali è molto difficile in una nazione con più di 3500 prigioni. Ma grazie ad una cooperazione senza precedenti tra governo federale, statale e locale, e a nuovi programmi incentivanti, ora stiamo terminando il lavoro.

L'Amministrazione della Protezione Sociale ha prodotto un programma di dati continuamente aggiornato che ora copre più del 99% di tutti i carcerati, la più grande lista informativa della storia sulla nostra popolazione carceraria. E, cosa ancora più importante, l'Amministrazione della Protezione Sociale sta usando questa lista con grande efficacia. Alla fine dell'anno passato abbiamo sospeso i sussidi a più di 70.000 carcerati. Ciò significa che nei prossimi 5 anni avremo messo da parte 2,5 miliardi di dollari - 2,5 miliardi di dollari! - dei contribuenti che andranno a beneficio delle nostre famiglie di onesti lavoratori.

Ora, partendo da questo successo dell'Amministrazione della Protezione Sociale, potremo proteggere contribuenti dalle frodi dei carcerati. Tra poco io firmerò un memorandum esecutivo che invita i Dipartimenti del Lavoro, degli Affari dei Veterani, della Giustizia, dell'Educazione e dell'Agricoltura a usare strumenti tecnologici competenti per migliorare i loro sforzi e cancellare dalle loro liste i carcerati che ricevono sussidi come veterani, o tessere alimentari, o altre forme di beneficio federale che la legge non consente.

Ci aspettiamo che questa operazione su vasta scala da parte delle nostre agenzie farò risparmiare ai contribuenti milioni e milioni di dollari, in più rispetto ai miliardi che abbiamo risparmiato con il nostro impegno contro le frodi alla Protezione Sociale Vi assicuriamo chi ha commesso crimini contro la società non avrà l'occasione di commettere anche crimini contro i contribuenti. Il popolo americano ha il diritto di aspettarsi che il proprio governo nazionale sia sempre in guardia contro ogni tipo di danno, di frode e di abuso. E' nostro dovere usare ogni potere e ogni strumento per eliminare quel tipo di frode. Dobbiamo assicurare al popolo americano che i suoi contributi per la Protezione Sociale e gli altri dollari delle tasse finiscano a beneficio di chi lavora sodo, sta all'interno delle regole, e ha, per legge, il diritto di riceverli. Questo è esattamente ciò che stiamo cercando di fare.

Grazie per l'ascolto.

Dall'altro lato di questa linea si trova un ambiente istituzionale diverso da ogni altro. Basandosi sulle sue famose analisi dell'Antica Grecia, lo storico classico Moses Finley ha introdotto una proficua distinzione tra "società con gli schiavi" e "autentica società di schiavi" (33) Nelle prime, la schiavitù è solo uno dei diversi modi di controllo del lavoro e la divisione tra schiavo e uomo libero non è impermeabile né assiale all'intero ordine sociale. Nell'altra, il lavoro degli schiavi è l'epicentro della produzione economica e della struttura di classe, e la relazione schiavo - padrone procura il modello secondo il quale sono costruite o distorte tutte le altre relazioni sociali, tanto che ne viene toccato ogni angolo della cultura, della società e dell'io. L'astronomico numero dei neri in case di detenzione e il crescente saldo innesto dell'iperghetto con il sistema carcerario suggerisce che, data l'adozione dell'incarcerazione di massa da parte dell'America come una singolare politica sociale per disciplinare i poveri e frenare quelli privi di onore, gli afro-americani di ceto basso ora vivono, non in una società con prigioni come i loro compatrioti bianchi, ma nella prima autentica società prigione nella storia.

Note

1) Vedi, rispettivamente: Kenneth Stampp, "The Peculiar Institution: Slavery in Ante Bellum South, New York (1956) 1989; Ira Berlin, "Many Thousands Gone: The First Two Centuries of Slavery in North America, Cambridge, MA 1998; C.Vann Woodward, "The Strange Career of Jim Crow, New York 1998; Allan Spear, "Black Chicago: The Making of Negro Ghetto, 1890-1920" Chicago 1968; Kerner Commission, 1968 " Report of the National Advisory Commission on Civil Desorders, New York [1968] 1988.

2) Vedi il mio "Crime et Chatiment en Amerique de Nixon et Clinton", Archives de politique criminelle, vol. 20, pp. 123-38; e "Les Prisons de la misere" Paris 1999, pp.71-94.

3) Tra i gruppi considerati non assimilabili, la popolazione Negra è di gran lunga la più numerosa. I negri non hanno, come i giapponesi e i cinesi, una nazione politicamente organizzata e una propria cultura fuori dall'America a cui fare ricorso. Diversamente dagli orientali, nei negri è attaccata una memoria storica di schiavitù e di inferiorità. E' più difficile per loro rispondere ad un pregiudizio con un pregiudizio, come possono fare gli orientali, e considerare se stessi e la loro storia superiore a quella dei bianchi americani e le loro recenti conquiste. I negri non hanno queste corazze di rispetto di sé. Sono imprigionati nel modo più indifeso in una classe subordinata, classe di popolo ritenuta priva di passato culturale e supposta non essere in grado di avere un futuro culturale. Gunnar Myrdal, "An American Dilemma: The Negro Problem and Modern Democracy", New York [1944] 1962, p.54; 20

4) Seymour Drescher e Stanley Engermann, A Historical Guide to World Slavery, Oxford 1998.

5) Gavin Wright, The Political Economy of the Cotton South, New York 1978; Peter Kolchin, American Slavery: 1619 - 1877, New York 1993.

6) 'Slavery, Race and Ideology in the United States of America' NLR 1/181. May-June 1990.

7) Il termine proviene da un repertorio de canzoni-danza 'Jumping Jim Crow' rappresentato la prima volta nel 1828 da Thomas Dartmouth Rice, un popolare attore itinerante considerato il padre dello spettacolo di varietà "black-and- white", vedi Woodward, Strange Career of Jim Crow.

8) Neil McMillen, Dark Journey: Black Mississippians in the Age of Jim Crow.

9) La legislatura del Mississippi arrivò al punto di mettere fuorilegge il patrocinio dell'uguaglianza sociale tra neri e bianchi. Una legge del 1920 condannava ad una multa di 500 dollari e sei mesi di prigione chiunque "trovato colpevole di stampare, pubblicare o far circolare argomentazioni a favore dell'uguaglianza sociale o del matrimonio interrazziale": McMillen, Dark Journey, pp. 8-9.

10) St.Clair Drake and Horace Cayton, Black Metropolis: A Study of Negro Life in a Northern City, New York [1945] 1962, vol I , pp.112-28.

11) Black Metropolis, vol 2, p. xiv.

12) Questo era il senso della Campagna per la libertà di Martin Luther King nell'estate del 1966 a Chicago: cercava di applicare al ghetto le tecniche di mobilitazione collettiva e disobbedienza civile usate con successo per attaccare il "jim Crow" nel Sud, per svelare e protestare contro la vita che I neri erano condannati a fare nel Metropoli del Nord. La Campagna per far diventare Chicago una città aperta rapidamente spezzata da una incredibile repressione, condotta da 4000 Guardie Nazionali. Stephen Oakes, Let Trumpet Sound: a Life of Martin Luther King, New York 1982.

13) Thomas Byrne Edsall e Mary Edsall, Chain Reaction: the Impact of Race, Rights and Taxes on American Politics, New York 1991; Jill Quadagno, The Colour of Welfare: How Racism Undermined the War on Poverty, Oxford 1994; Katherine Beckett and Theodore Sasson, The Politics of Injustice, Thousand oaks 2000, pp. 49 -74.

14) Dal 1975 la popolazione carceraria degli USA è diminuita costantemente per circa due decine d'anni per arrivare alla cifra più bassa di 380.000 carcerati. I più grossi analisti della questione carceraria, da David Rothman a Michel Foucault ad Alfred Blumstein, erano unanimi nel predirre la imminente marginalizzazione della prigione come un'istituzione di controllo sociale o, nella peggiore delle ipotesi, la stabilizzazione del confino penale ad un livello storicamente moderato. Nessuno aveva previsto la rapida crescita che ha quadruplicato a più di due milioni nel 2000 anche se il livello del crimine è rimasto stagnante.

15) Vedi il mio "Gutting the Ghetto" per un riassunto storico del significato di "ghetto" nella società americana e nelle scienze sociali, che porta alla diagnosi della espurgazione curiosa di razza dal concetto espressamente forgiato ad indicare il meccanismo di dominazione etno-razziale, che lo lega all'interesse cambiante delle elites sul nesso tra povertà ed eticità nelle metropoli. In Malcom Cross e Robert Moore, eds, Globalisation and the New City, Basinstoke 2000.

16) Max Weber, Economy and Society, Berkley 1978, p.935.

17) Louis Wirth, The Ghetto, Chicago 1928.

18) Flesh and Stone: The Body and the City in Western Civilization, New York 1994.

19) Black Metropolis, vol.2, p.xiii.

20) Descrivendo il London's Bridewell, lo Zuchthaus di Amsterdam e L'Ospedale generale di Parigi, Georg Rusche e Otto Kirschheimer mostrano come lo scopo principale della casa di correzione fosse rendere il potenziale lavorativo dei delinquenti socialmente utile "forzandoli a lavorare sotto stretta sorveglianza nella speranza che una volta rilasciati" avrebbero ingrandito volontariamente il mercato del lavoro". Punishment and Social Structure, New York 1939. p. 42; per le prigioni moderne vedi Pieter Spierenburg, The Prison Experience, New Brunswick, NJ 1991.

21) "La derive penale" Esprit 215, Ottobre 1995.

22) Una più ampia discussione di questa "micidiale simbiosi" tra il ghetto e la prigione nell'era del dopo diritti civili è raccontata nel mio "Deadly Simbiosis", Punishment and Society, vol.3, no. 1, pp. 95 - 134.

23) Questo non è un discorso retorico: il tasso annuale di mortalità per i detenuti raggiunse il 16 per cento nello stato del Mississippi degli anni 1880, dove "non un solo detenuto prestato viveva abbastanza da poter scontare una condanna di dieci o più anni". Centinaia di bambini neri, molti dei quali non raggiungevano nemmeno i sei anni di età, erano prestati dallo stato ai piantatori, uomini d'affari e finanzieri, per lavorare duramente in condizioni che perfino alcuni nobili del Sud trovavano vergognose e "al di sotto delle condizioni umane". Vedi David Oshinsky, Worse Than Slavery: Parchman Farm and the Ordeal of Jim Crow Justice, New York 1996, p.45

24) Alex Lichtenstein, Twice the Work of free Labour: The Political Economy of Convict Labour in the New South, London and New York 1999, p.195.

25) Vedi il mio Les Prisons de la misere, Paris 1999, pp. 71 - 94. Una testimonianza di esperti presentata alla House Committees on the Judiciary and Crime durante la discussione del Prison Industries Reform Act del 1998 legava in modo esplicito la Riforma dello Stato Sociale al bisogno di espandere il lavoro dei privati nelle prigioni.

26) Due indicatori sono sufficienti a mettere in luce l'ostracismo nei confronti degli Afro-Americani nella società USA. Sono il solo gruppo ad essere "ipersegregato", con isolamento spaziale spostato dal macro livello dello stato e della contea al micro livello della municipalità e dintorni così da minimizzare i contatti con i bianchi lungo tutto il secolo. Vedi Douglas Massey e Nancy Denton, American Apartheid, Cambridge 1993; Douglas Massey e Zoltan Hajnal, The Changing Geografic Structure of Black-White Segregation in the United States, Social Science Quarterly, vol.76 no. 3, Settembre 1995, pp.527- 42 Sono banditi dall'esogamia ad un grado sconosciuto in qualsiasi altra comunità, non con lo stesso livello della crescita recente delle famiglie cosiddette multirazziali, con meno del 3 per cento di donne nere sposate con non neri, in paragone con la maggioranza di donne ispaniche ed asiatiche. Kim Da Costa, Remaking the Color Line: Social Bases and Implications of The Multiracial Movement. Berkley, PhD Dissertation.

27)Randall kennedy, Race, Crime and the Law, New York 1997, pp.136 - 67;

28) John Edgar Wideman, "Doing Time, Marking Race" The Nation, 30 ottobre 1995;

29) "Doing Time, Marking Race";

30) Orlando Petterson, Slavery as Social Death, Cambridge, MA 1982;

31) Josh Page, "Eliminating the Enemy: A Cultural Analysis of the Exclusion of Prisoners from Higher Education" MA paper, Departement of Sociology, University of California, Berkley.;

32) Jamie Fellner e Marc Mauer, losing the Vote;

33) "Slavery", International Encyclopaedia of the Social Sciences, New York 1968.