Quale solidarietà verso i Paesi Baschi.
La solidarietà verso i Paesi Baschi è in Italia insufficiente visto il livello di repressione che quel popolo sta sopportando. Si deve trasformare la diffusa simpatia verso la causa basca in una efficiente opera di sostegno che, partendo dalla condivisione del progetto politico della sinistra abertzale, sappia costruire ponti e battere l'isolamento in cui Aznar vuol gettare i militanti indipendentisti. REDS. Maggio 2003.


La lotta dei baschi per la propria autodeterminazione gode nella militanza della sinistra italiana di una certa, storica simpatia. Ciò si deve al fatto che la nostra antica estrema sinistra, poi confluita in parte nel PRC, in parte oggi animatrice del movimento noglobal, pur essendosi con il tempo piuttosto moderata, conserva pezzi di memoria della solidarietà a suo tempo espressa in maniera significativa verso popoli senza stato quali i baschi, gli irlandesi, ecc. Questa simpatia però non ha oggi in Italia alcun canale o struttura che permetta una solidarietà continuativa, efficiente, penetrante. Ciò lo si deve in parte all'atteggiamento dei vertici del PRC (non della sua base, nè delle sue strutture intermedie) che sono sottoposti a fortissime pressioni da parte di Izquierda Unida, in parte alla regressione culturale di tutta la sinistra nei confronti della "questione nazionale" in generale. Il risultato è che la solidarietà verso i baschi è, come minimo, episodica.

Una serie di gruppi hanno cercato meritoriamente di riempire questo vuoto, ma sono piccoli e non possono influire sull'"opinione pubblica" di sinistra. Si tratta di alcuni centri sociali, ed anche di organizzazioni sindacali di base, che hanno però una struttura interna troppo fragile per reggere una solidarietà continuativa nel tempo.

Il tipo di solidarietà di cui necessitano i Paesi Baschi (Euskal Herria, come il nazionalismo basco definisce la propria terra) deve innanzitutto situarsi su un piano squisitamente democratico. Al solito argomento che anche a sinistra si tira fuori dal cappello ogni volta che si parla di baschi (le azioni di ETA) dobbiamo opporre contenuti puramente democratici: le leggi liberticide non hanno colpito ETA, che, da sempre, è in clandestinità, ma una sinistra, quella rappresentata da Batasuna, che si colloca ampiamente sopra il 10% dell'elettorato. Non si può giustificare con l'esistenza di ETA il fatto che in Euskal Herria si torturi impunemente, oppure che vengano rese illegali intere e storiche associazioni a difesa dei diritti umani, o che si chiudano quotidiani. Questo tipo di solidarietà prescinde anche dall'opinione che ciascuno può nutrire riguardo al diritto di autodeterminazione dei baschi. Chi non è d'accordo con esso, ha comunque il dovere di schierarsi contro il fatto che, per esempio, un partito con radicamento di massa non possa concorrere a libere elezioni e che nel cuore dell'Europa siano violati diritti umani fondamentali. Su un piano dunque di denuncia democratica è giusto che i militanti solidali chiedano a chiunque, personalità politiche e istituzioni (consigli comunali, ad esempio), di pronunciarsi, ovviamente facendo sì che queste adesioni non siano di una tipologia tale da compromettere la simpatia del popolo di sinistra nei confronti della causa basca.

Anche la richiesta della sinistra abertzale (la sinistra indipendentista basca) di un dialogo nazionale che includa tutti, quindi anche ETA, dovrebbe essere difeso da ogni sincero democratico. ETA non è una piccola e disperata organizzazione isolata dal mondo e dalla società come Aznar e i media vogliono dipingerla, ma dispone a sua volta di un radicamento tale da rendere impossibile la sua sparizione con metodi polizieschi. A questo proposito i punti espressi da AuB e che riportiamo in altra parte della rivista, ci sembrano condivisibili anche al di là di un ambito di sinistra antagonista.

Vi è poi un tipo di solidarietà più politica. Questo tipo di solidarietà implica la condivisione di punti di vista più complessi di quelli semplicemente democratici. In poche parole, a tutti si deve chiedere solidarietà sul piano democratico, ma dalla nostra sinistra antagonista si deve e si può chiedere di più. Noi non troviamo alcuna buona ragione per cui comunisti, sindacalisti combattivi, attivisti dei movimenti sociali non debbano sostenere il progetto politico della sinistra abertzale.

Pensiamo che la nostra sinistra abbia molte cose da imparare dalla sinistra abertzale e dal suo progetto di "costruzione nazionale". Si tratta innanzitutto di una sinistra allo stesso tempo radicale e popolare. Assistendo alle manifestazioni basche si nota facilmente come ad esse partecipino tutte le generazioni, dai più giovani sino ai più anziani e vi si trovi ogni tipologia sociale (dagli universitari agli operai). La sinistra abertzale è riuscita a creare un vasto spettro di "organizzazioni di massa" (sindacali, giovanili, per i diritti civili, culturali, ecc.) che hanno un radicamento notevolissimo.

Naturalmente esistono anche altre organizzazioni nazionaliste di sinistra (Ararar, ecc.), ma, come ha dimostrato la partecipazione alle diverse manifestazioni in occasione dell'Aberri Eguna il 20 aprile, queste non portano in piazza nel loro insieme piu' di un migliaio di persone, contro le 20.000 della sinistra abertzale (se sommiamo i partecipanti alla manifestazione di Iruña e quelli dell'atto organizzato da Udalbiltza, ma sostanzialmente retto dalla sinistra abertzale). Non vogliamo certo teorizzare che si debba stare col più forte, semplicemente quell'enorme sperimentazione di radicamento sociale alla quale dovremmo essere interessati (perché prima o poi dovremmo riuscire a costruire qualcosa di simile - come qualità del radicamento - anche in Italia), la sta facendo l'area politica che fa riferimento a Batasuna, e non altri.

La regressione che ha colpito la sinistra italiana riguardo la questione nazionale dopo l'esplosione della Jugoslavia e dopo la nascita della Lega Nord, porta spesso ad equivocare e a non cogliere il carattere progressivo di quella che la sinistra abertzale definisce "costruzione nazionale". Essa non significa in alcun modo una sacra unione con la propria classe dominante, tant'è che la stessa componente politica anima il sindacato più radicale dello stato spagnolo: LAB, che non rinuncia certo a lottare contro padroni baschi. Significa il radicamento "vivo", di massa, nel popolo di Euskal Herria. Un gigantesco esperimento di coscientizzazione sociale. Insomma: dovrebbe farci riflettere il fatto che in Euskal Herria vi è un grado di attivismo politico collocato a sinistra ben più pronunciato che in ogni lato d'Europa, Italia compresa. Per gli standard baschi una manifestazione di 20.000 persone è normale, ma essa corrisponde ad una manifestazione in Italia di mezzo milione di persone (vere, non quelle che siamo abituati a "sparare" quintuplicando il vero numero di partecipanti). E ogni manifestante sa esattamente perché sta là.

La questione basca deve essere popolarizzata nel movimento noglobal, presso quella nuova generazione che si sta avvicinando alla politica da due anni a questa parte e che di baschi non sa nulla. Si possono inventare viaggi di solidarietà (che in parte già avvengono, ma in modo poco sistematico, e che i compagni baschi sono molto disponibili a supportare), organizzare concerti (come già ha fatto qualche centro sociale approfittando dell'interessante scena rock basca), cene e serate culturali. Chi è attivista di partiti, associazioni, sindacati deve spendere le proprie energie per far conoscere, anche direttamente sul posto con l'invio di delegazioni, la causa basca, e così creare una pressione interna che condizioni anche i vertici.

In definitiva per chi condivide dall'Italia il progetto politico della sinistra abertzale, il compito è chiaro, e ci viene chiesto dagli stessi compagni baschi: far entrare la questione basca in ogni ambito, costruire ponti, non rinchiudersi in ghetti.