Il dicembre di Acteal o il perché del Paese Basco.
Con questa lettera ci pare che Marcos faccia un passo indietro nella polemica sui Paesi Baschi che l'aveva visto protagonista (vedi il nostro dossier Un carteggio sfortunato), chiudendo così la questione. Marzo 2003.


Pietra e nuvola continuano a percorrere la città e le opere che, s’indovina, stanno per erigere un’altra città per i potenti, una città che subordini le altre città.

Per garantire tutto questo, dal nord tumultuoso e brutale López Obrador ha importato il Programma Tolleranza Zero (e con lei il Robo Cop Giuliani e le sue guardie pretoriane). Il programma si basa su un articolo dei criminologi G. I. Kelling e J. Q. Wilson, del 1982: vetri rotti!

Secondo l’articolo, esistono situazioni che favoriscono la comparsa e lo sviluppo del crimine: "Esiste un terreno fertile, l’erba cattiva cresce, qualcuno rompe i vetri, gli adulti non sgridano più i bambini che schiamazzano e questi, incoraggiati nei loro atteggiamenti, diventano ribelli, abbandonano le famiglie, l’immondizia si accumula per le strade, la gente comincia a bere davanti ai negozi ed un ubriaco può cadere sul marciapiede e restare lì fino a quando gli è passata la sbornia, i mendicanti molestano i passanti e, se ci sono mendicanti, domani arriveranno i ladri e poi gli assassini".

Seguito la logica? Con questo impeccabile ragionamento, la polizia non persegue i grandi criminali, ma i bambini ed i giovani che possono diventare mendicanti o ubriachi che, a loro volta, potrebbero diventare ladri ed assassini. Se trovate qualche similitudine con la dottrina della guerra preventiva di Bush-Blair-Aznar contro l’Iraq, è perché pensate male, perché questa è la città della speranza. In ogni caso, è chiaro, con questo programma si ridurranno le garanzie individuali, prenderà piede il pensiero conservatore e la solidarietà tra vicini che non passi attraverso il Pubblico Ministero sarà sospettata di essere criminalità organizzata.

Si tratta, alla fine, di realizzare una cintura di sicurezza intorno alla città del Potere, una cintura preventiva che, per essere efficace, dovrà escludere o rinchiudere i poveri di questa città che sono quelli che rendono viva la città e la fanno funzionare.

Insieme a questo, López Obrador lavora ad un’altra opera: la costruzione di un accordo con i grandi capitali dell’industria e del commercio. Per ottenere il loro beneplacito, il capo di Governo offre una città sotto il controllo sociale e di polizia, oltre che l’infrastruttura necessaria per la
nuova metropoli in cui i ricchi non saranno i primi, ma gli unici.

Queste sono le tappe: primo, si segnala che è necessario fermare la costruzione di case nelle delegazioni della periferia del DF; poi, si dice che è indispensabile ripopolare le delegazioni del centro; subito si crea il patronato Centro Storico, capeggiato da Carlos Slim Helú; poi si promuovono tre megaprogetti: il corridoio finanziario (la strada di Reforma), il progetto Alameda ed il progetto Centro Storico; alla fine si annuncia che Carlos Slim sta acquistando terreni e vecchi edifici in tutta questa zona. Quindi, si preparerà la costruzione di case popolari con il pretesto che non è più ammissibile la crescita verso la periferia. Nello stesso tempo, tre delegazioni saranno i modelli di quello che sarà la Città Globale. Il livello di entrate, educazione, servizi sanitari, servizi di comunicazione e, poi, pubblica sicurezza, saranno molto diversi rispetto al resto delle delegazioni.

Carlos Slim Helú, l’uomo più ricco del Messico e dell’America Latina, non è dietro a tutto questo, ma davanti. In una specie di biografia non autorizzata (Carlos Slim. Ritratto inedito. Ed. Océano), il giornalista José Martínez Mendoza (che ha scritto la biografia di Carlos Hank González) traccia un profilo del signor Slim che si fregia di essere un self made man, un uomo che ha coltivato con cura l’immagine di chi è partito dal basso.

Probabilmente si riferisce al piano basso di casa sua, perché Slim entra nell’elenco dei grandi milionari dopo l’acquisto di Teléfonos de México (Telmex) per 400 milioni di dollari, quando il suo valore era di 12 milioni di dollari. Chi l’aveva messa in vendita? Carlos Salinas de Gortari. Dal 1984, quando si associò ad altri industriali nella Libera Impresa SA (LESA), che avrebbe comperate le parastatali, Slim ha lavorato in amicizia con i politici. Poi, non ha limitato il suo circolo ai priisti, ma lo ha ampliato a panisti e perredisti, a intellettuali e critici artistici, a direttori di mezzi di comunicazione.

Con stessa intelligenza e pragmatismo, tra Slim e López Obrador è scattato subito quel click che generalmente non è frequente tra politici e industriali. Ma entrambi sanno bene che la loro non è amicizia. Risiedono a Cuicuilco, hanno interessi comuni, si offrono scambi e, come commercianti, fingono cordialità mentre controllano gelosamente i loro conti e, alla fine di ogni riunione, controllano nei loro portafogli se manca qualche cosa.

Non sono pochi gli intellettuali ed i politici che si fregiano dell’amicizia di Carlos Slim Helú. Alcuni di loro si vantano di essere i consulenti del signore più potente dell’America latina. Ma il signor Slim non ha né consulenti né amici, ha solo dipendenti. Solo che alcuni di loro non lo sanno.

Uno di loro è il signor Felipe González Márquez, ex presidente del governo spagnolo ed ora aiutante in campo dei grandi capitali europei. Il signor González realizza frequenti viaggi in Messico per condividere con il suo amico Slim il piacere per la buona tavola, la coltura dei bonsai, la fotografia ed il bigliardo. Ma è in anni precedenti, nel 1995, e attraverso Slim Helú che Felipe González, come presidente del governo spagnolo, ha fatto amicizia con un’altra persona: Ernesto Zedillo Ponce de León. Per andare a quei tempi, diamo uno sguardo al passato recente.

Nel settembre del 2002, ore prima che la Corte Suprema della Nazione rendesse pubblica la sentenza sulla controriforma indigena, l’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) seppe quale sarebbe stato la risoluzione ed il suo significato: i tre poteri dell’Unione si erano uniti per decretare la cancellazione definitiva della via del dialogo e del negoziato per la soluzione della sollevazione zapatista.

Cominciammo a lavorare su una delle opzioni che avevamo considerato dalla fine del 2001: tentare a livello internazionale quello che era fallito a livello nazionale. L’EZLN avrebbe inviato una delegazione in Europa con lo scopo di appellarsi agli organismi internazionali e, appoggiati da coloro che in Messico e nel mondo simpatizzano con la causa indigena, tentare di ottenere il riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni. Si sarebbe trattato di una marcia simile a quella del 2001, ma con qualcosa di fondamentalmente diverso: se nella mobilitazione del 2001 l’EZLN si era limitato unicamente ed esclusivamente al tema indigeno, nella marcia internazionale questo tema sarebbe stato legato alle lotte presenti nel mondo, in particolare con quelle che riguardano il riconoscimento delle differenze, le resistenze e le ribellioni e, in particolare, con le opzioni ed i preparativi di guerra che si delineava contro l’Iraq.

Pensavamo che l’Europa fosse un terreno in cui poteva essere contrastato il bellicismo internazionale sconfessandolo dalla sua logica e che questo potesse diffondersi nel resto del mondo. Non è che noi ci sentivamo capaci di provocare questo movimento internazionale, ma ci sentivamo in grado di contribuire, insieme con altre forze che già si stavano muovendo nell’Europa sociale, ad avviare qualche cosa. Pensavamo che era l’occasione di partecipare più direttamente alla costruzione di un mondo in cui ci stanno tutti i mondi. In sintesi, non saremmo andati in Europa da ben messi, ma la nostra parola sarebbe stata di ribellione. Il problema era, chiaramente, come e quando andarci. Eravamo in questa situazione quando il 2 novembre del 2002, il Giorno dei Morti, una persona prese contatto con la Comandancia General attraverso un messaggio.

Rispettando gli accordi, non possiamo dire molto su questa persona, soltanto che è stata molto vicina ai circoli del potere politico ed economico tra gli anni 1993 e 1996. Dopo aver posto le condizioni in quanto a discrezione e segreto, il messaggio della persona diceva, parola più parola meno, che aveva informazioni che potevano essere utili all’EZLN. Cito testualmente: "Ditemi se vi interessa. Si tratta di Acteal".

Non era la prima volta che dissidenti del governo ci facevano pervenire informazioni, a volte attendibili, a volte false, così gli facemmo sapere che poteva trasmetterci quanto sapeva. Questo è quanto ha rivelato:

Nei mesi precedenti febbraio 1995, fallito il tradimento di Zedillo nei confronti dell’EZLN insieme all’offensiva militare che lo ha accompagnato ed esaurito il teatrino della detenzione di Raúl Salinas de Gortari, i generali Renán Castillo (capo militare e governatore di fatto in Chiapas) e Cervantes Aguirre (segretario della Difesa Nazionale) insistevano sulla necessità di attivare gruppi paramilitari per scontrarli con gli zapatisti (Renán Castillo aveva studiato con i nordamericani e Cervantes Aguirre viveva la sua torbida luna di miele con il suo omologo statunitense, così che l’opzione che allora si chiamava Colombia godeva del sostegno del Dipartimento di Stato nordamericano).

Eppure, Zedillo non si decideva. Nello stesso anno 1995, appare un personaggio del governo spagnolo. "Intimo del Presidente", afferma chi ci ha passato l’informazione, "partecipò a riunioni che non erano strettamente sociali, ma in cui si toccavano questioni di Stato".

In una di queste riunioni, Zedillo fece qualche commento sugli zapatisti ed il problema che rappresentava la loro eliminazione in quanto godevano dell’appoggio dell’opinione pubblica. Il personaggio del governo spagnolo disse allora che si doveva distruggere la legittimità degli zapatisti e poi dare loro il colpo finale. Zedillo ricordò al personaggio la storia del 9 febbraio e le sue conseguenze. Lo spagnolo spiegò che non si riferiva a questo, ma che se gli zapatisti lottavano per gli indigeni, allora si doveva fare in modo che lottassero contro gli indigeni. In Spagna, disse lui che era di quel paese, abbiamo creato alcuni gruppi per contrastare l’indipendentismo basco. Zedillo disse che sapeva dei GAL (Gruppi Antiterroristi di Liberazione) e che erano in corso indagini per chiarire le responsabilità di governo nei sequestri o negli omicidi di baschi. Lo spagnolo non si scompose e dichiarò che uccidere e sequestrare degli assassini non è un crimine, ma un favore che si fa alla società. Aggiunse che i GAL facevano molte cose, come compiere attentati che poi attribuivano a ETA. Zedillo chiese se il re fosse a conoscenza di questo. Lo spagnolo rispose: "Il re sa quello che gli conviene e finge di non sapere quello che non gli conviene" ed aggiunse che non c’è nessun pericolo, solo qualche giorno di scandalo sulla stampa e che nessuno indaga a fondo quando i morti sono terroristi e che gravi decisioni devono essere prese per ragioni di Stato.

Zedillo segnala che qui non serve tutto questo, perché gli zapatisti non sono terroristi. "Fateli diventare terroristi", dice lo spagnolo, e prosegue: "Quello che si deve fare, è creare un gruppo armato di indigeni che si scontri con gli zapatisti, che combattano, che ci siano morti, che intervenga l’esercito a mettere tutti in pace". Lo spagnolo continua: "noi potremmo darvi una mano con qualche consiglio sulla base dell’esperienza. Chiaramente ci aspettiamo in cambio dal suo governo un po’ di cooperazione, come l’estradizione di membri di ETA che vivono nel suo paese". Zedillo dice che non è sicuro che siano di ETA. "Questo non è un problema" dichiara lo spagnolo "noi faremo in modo che lo siano". Lo spagnolo aggiunge che il suo governo potrebbe anche appoggiare il governo messicano nelle trattative commerciali con l’Europa, e conclude con una frase: "Ernesto, se gli spagnoli sono esperti in qualche cosa, è proprio sterminare indigeni".

Fino a qui l’informazione che ci è arrivata. Il resto si deduce rapidamente: Zedillo ordina l’attivazione dei gruppi paramilitari, il governo spagnolo fornisce consulenza ed il governo messicano aumenta l’estradizione di presunti membri di ETA.

Il 22 dicembre del 1997, un gruppo paramilitare marcia per scontrarsi con gli zapatisti.

Questi ultimi ripiegano per evitare uno scontro tra indigeni ed avvertono della minaccia i non zapatisti. Ad Acteal rimangono Las Abejas, disarmati e sicuri che, essendo neutrali, non accadrà loro nulla. La carneficina si compie mentre poliziotti e militari aspettano pazientemente prima di entrare "a mettere pace" nello "scontro" tra indigeni. La verità si scopre quasi subito grazie ai mezzi di comunicazione. La notizia fa il giro del mondo e commuove tutti gli esseri umani nobili. A Los Pinos, Zedillo ripete soltanto: "Perché donne e bambini?".

Con il sangue di Acteal ancora caldo, intervistato dal giornalista messicano Luis Hernández Navarro (La Jornada, 10 marzo 1998), Felipe González così si esprimeva riguardo alla strage: "Questi fatti provocano sempre una profonda commozione. Viviamo in questa globalizzazione mediatica che genera impatti. Una notizia così per il Messico è una notizia esplosiva e preoccupante. Situazioni molto più gravi ad altre latitudini non meritano risonanza sui giornali o non riescono a superare le barriere della comunicazione".

Quindi, tutto questo è solo un problema di esagerazioni dei mezzi di comunicazione?

Era Felipe González Márquez la persona che parlò con Zedillo dei GAL, dei paramilitari e dell’estradizione dei baschi? Era qualcuno del suo governo?

Alcuni ricordi presi da calendari precedenti:

1995: in Spagna, il Tribunale autorizza il governo di Felipe González a non consegnare documentazione che riguarda i Gruppi Antiterroristi di Liberazione. Fondati il 6 luglio 1983, i GAL hanno responsabilità in almeno 40 attentati con 28 morti, tra il 1983-1987. Nell’ottobre del 1995, Ernesto Zedillo si riunisce in privato con Felipe González a Bariloche, Argentina, in occasione del quinto Forum Latinoamericano.

1996, gennaio: gli accusati per la guerra sporca contro ETA si appellano al fatto che la faccenda dei GAL è una cospirazione per "rovesciare" l’allora presidente Felipe González.

Il PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) nella sua lista dei candidati a deputato, mantiene il nome di José Barrionuevo, ex ministro dell’interno, processato insieme all’ex segretario per la sicurezza dello Stato, Rafael Vera, per la sua attività terrorista.
Ernesto Zedillo Ponce de Léon si reca in Spagna nella sua prima visita di Stato in questo paese.

Febbraio: viene arrestato Jaime Iribarren, parlamentare di Herri Batasuna, accusato di aver dato fuoco ad una scavatrice. In quei giorni viene arrestato anche Jon Idígoras, leader di Batasuna, per ordine del giudice Baltasar Garzón, che lo vorrebbe collegare all’organizzazione Euskadi Ta Askatasuna (ETA). Tra i precedenti "criminali" di Idígora c’è l’aver intonato una canzone nazionalista durante una visita del re Juan Carlos a Guernica, nel 1981. Circola un video in cui membri di ETA fanno una proposta di negoziato con lo Stato spagnolo. Felipe González snobba i sondaggi che danno in vantaggio il Partito Popolare (PP) sul PSOE. A marzo, il PSOE di González perde le elezioni sul Partito Popolare di Aznar. Il cantante spagnolo Raphael manifesta così le sue speranze in Aznar: "Sono certo che saprà rendere giustizia alla memoria di Franco".

Luglio 1996: la giustizia spagnola condanna a 122 anni di carcere José Koldo Martín Carmona, deportato dal Messico nel novembre del 1995. Insieme a Lourdes Churruca, Koldo è accusato di tre attentati che non hanno provocato vittime. In quei giorni, tre giovani baschi vengono processati per aver dato fuoco ad un veicolo della polizia. Le pene chieste per loro oscillano tra i 111 e i 592 anni di prigione.

In quell’anno viene pubblicato il libro Roldán-Paeza, la connessione svizzera, del giornalista Juan Gasparini. Il libro rivela alcuni aspetti della corruzione all’interno del governo di Felipe González, in particolare riguardo Luis Roldán, ex direttore della Guardia Civil, Tra le società corrotte c’è la Siemens. Uno dei suoi avvocati, Ulrich Kohlí, oltre che vendere mine antiuomo a Saddam Hussein, ha lavato denaro sporco per la famiglia Salinas de Gortari. Felipe González esce in difesa del suo amico Carlos Salinas de Gortari elogiando le sue politiche.

1998, luglio: José Barrionuevo e Rafael Vera, legati ai GAL, sono condannati a 10 anni di prigione. Durante il processo, Felipe González è comparso come testimone e, in ripetute occasioni, ha fatto allusione alla ragione di Stato a giustificazione di gravi decisioni in situazioni critiche.

A marzo del 1999, una foto giornalistica (La Jornada. Pedro Valtierra) mostra Zedillo che saluta Felipe González sotto lo sguardo compiacente dell’ex primo ministro israeliano Shimon Peres.

Ad ottobre del 2000, Zedillo pranza con Felipe González in un lussuoso ristorante della colonia Polanco, a Città del Messico.

Il 25 ottobre 2001, il giornalista Raúl Trejo Delarbre, su "Sociedad y Poder", informa che PRISA (spagnola) e Televisa (messicana) hanno formalizzato l’ingresso di denaro spagnolo nella radio messicana. Presenti il presidente Fox ed i presidenti di Televisa e PRISA, oltre che Carlos Slim Helú, Felipe González Márquez e Lino Korrodi. E’ stato violato l’articolo 31, comma VI, della legge federale. Era presente anche Juan Luis Cebrián, autore del libro su Felipe González, Il futuro non è più ciò che era, ed amministratore delegato di PRISA.

A febbraio del 2000, Zedillo realizza la sua seconda visita ufficiale in Spagna. A cena con Aznar, Zedillo ricorda il suo incontro con l’allora presidente del governo spagnolo alla fine del 1994 e ringrazia per l’appoggio della Spagna nelle trattative dell’Accordo di Libero Commercio tra Messico ed Unione Europea. Il re ed Aznar ringraziano Zedillo per la "collaborazione" del Messico nell’estradizione di presunti membri di ETA.

Durante i sei anni di governo di Ernesto Zedillo, 1994-2000, diversi cittadini baschi sono stati deportati in Spagna accusati di appartenere a ETA e ci sono denunce presso Amnesty International di loro torture.

A dicembre del 2002, il giudice Baltasar Garzón si esprime in difesa del re, di Felipe González e di José María Aznar, che definisce quasi "eminenti esponenti della democrazia".

A febbraio 2003, Aznar si reca in Messico per incontrare Vicente Fox. I mezzi di comunicazione scrivono che il viaggio dello spagnolo ha lo scopo di convincere il messicano ad appoggiare la guerra in Iraq. La verità è un’altra: Aznar viene in Messico per convincere Fox a non permettere il viaggio in Spagna degli zapatisti.

(Informazioni dal quotidiano messicano La Jornada, anni 1996-2003, giornalisti Pedro Miguel, Luis Javier Garrido, Marcos Roitman, Kyra Núñez, Jaime Avilés, Armando G. Tejeda, Rosa Elvira Vargas e Luis Hernández Navarro. Agenzie di informazione: Afp, Ansa, Efe, Reuters, Ips, Ap.)

Verificate le informazioni, l’EZLN decide che il progetto di andare in Europa deve iniziare dal territorio spagnolo e toccare il tema dei Paesi baschi. Pensava in questo modo di proporre gli ovvi interrogativi derivanti da tutto questo e le responsabilità del governo spagnolo.

Si risponde, così, alla domanda che molti hanno fatto: "Perché l’EZLN si immischia della questione dei Paesi Baschi?" E’ stato il governo spagnolo ad inserire la questione basca nella lotta indigena in Messico, non noi.

Noi zapatisti pensavamo nostro dovere andare in Spagna per dimostrare al re, a Felipe González, a José María Aznar e Baltasar Garzón che mentono sul fatto che "se gli spagnoli sono esperti in qualche cosa, è proprio sterminare indigeni", visto che siamo ancora vivi, resistiamo e siamo ribelli.

Noi non volevamo provocare un massacro in Spagna, ma un dibattito. Pensavamo questo dell’iniziativa Una opportunità alla parola. Inoltre, c’era il problema del tabù della questione basca tra le forze progressiste che poteva essere toccato solo in termini di condanna al terrorismo di ETA, dimenticando due cose: una, il terrorismo di Stato, e l’altra, che ETA non è l’unica forza che lotta per la sovranità di Euskal Herria.

Non ignoravamo che toccare la questione basca potesse causare turbamenti, ma pensavamo che fosse nostro dovere farlo. Inoltre, noi zapatisti avevamo altre domande in attesa di risposte. Il 17 novembre 2002, alla presentazione della rivista messicana Rebeldía, avvertimmo del dovere e suggerimmo a chi era rivolta la nostra parola. Giorni dopo lanciammo una provocazione che aveva come obiettivo principale Felipe González. Fallimmo nella provocazione a González, ma al posto suo cadde, ferito nel suo ego, il giudice Baltasar Garzón. La lettera indirizzata all’Aguascalientes di Madrid indicava l’intenzione zapatista di andare in Europa e toccava la questione basca. Poi, è successo quello che è successo.

L’EZLN non si è mai proposto di mediare nel conflitto basco, tanto meno di dire ai baschi quello che dovrebbero fare o smettere di fare. Abbiamo solo chiesto una opportunità alla parola.

La nostra proposta può essere stata maldestra o ingenua o entrambe le cose, ma non è mai stata disonesta, né voleva mancare di rispetto. Non è il nostro modo di agire.

Questa è stata l’intenzione zapatista, senza secondi fini né accordi dietro le quinte. Volevamo rendere pubbliche le informazioni raccolte, quando avremmo inoltrato le istanze penali agli organismi internazionali.

Per questo, di fronte alle critiche arrivate da tutti i fronti di immischiarci in qualche cosa che non conoscevamo, abbiamo risposto che sulla questione basca sapevamo più di quanto molti pensavano, forse, il collegamento Paesi Baschi-Chiapas, cioè, il collegamento tra il terrorismo di Stato spagnolo e messicano, quindi, il terrorismo internazionale.

Se ora riveliamo quanto abbiamo saputo, è perché abbiamo deciso di cancellare il nostro viaggio nella penisola iberica.

La nostra proposta era pulita ed onesta (a riconoscimento morale abbiamo la nostra storia), ma è stata subito sovrastata dalla condanna e dall’incomprensione di coloro che si dicono progressisti, i quali su pressione dei mezzi di comunicazione, non hanno voluto aspettare per vederne l’esito. Solo nei loro confronti nutriamo un sentimento di rammarico, ma nulla più, perché il rancore non si alimenta contro coloro che, anche se hanno potuto essere meschini, sono stati generosi in altre occasioni.

La destra ha fatto il suo lavoro ed ha favorito la proposta perché, a forza di demonizzarla e demonizzarci, l’ha fatta conoscere ed ha provocato un dibattito senza precedenti.

Nella sinistra, qualcuno si è azzardato, in maniera vile e meschina, a suggerire che la dissociazione dell’EZLN da ETA, fosse una condizione posta dal governo spagnolo per permettere il viaggio della delegazione zapatista in terra iberica. Il nostro distinguo dal terrorismo di sinistra non è nuovo, viene dalla fondazione dell’EZLN, quasi 20 anni fa, ed ancora prima.

Se dobbiamo astenerci dal partecipare all’incontro Una opportunità alla parola, non è perché ci preoccupano le critiche, i rimproveri o le accuse meschine. Il fatto è che non possiamo, in termini di nostra etica, partecipare ad un incontro che non avrà l’avallo di TUTTE le forze nazionaliste dei Paesi Baschi e che corre il rischio di diventare un tribunale che giudica gli assenti, invece di essere uno spazio di discussione e riflessione sui percorsi dei Paesi Baschi.

La responsabilità di non essere riusciti a convocare le forze basche è solo ed esclusivamente dell’EZLN, in particolare del suo portavoce: Marcos (senza grado militare, per quelli a cui non piace). Le nostre parole (o la nostra modalità, come diciamo noi), invece di convocare hanno ferito molte persone oneste e nobili dei Paesi Baschi. Anche se non era nostra intenzione, è stato così. Ce ne dispiace veramente.

Vogliamo chiedere scusa sinceramente a tutte le persone dei Paesi Baschi che abbiamo offeso. Speriamo che un giorno possano farci l’onore del loro perdono, perché il perdono tra fratelli non avvilisce.

Riguardo alla sfida lanciata dal giudice Garzón, abbiamo aspettato abbastanza. Il giudice Garzón, nonostante sia lo sfidante, ha preferito restare in silenzio. In questo modo ha dimostrato che è capace solo di interrogare prigionieri torturati, farsi fotografare con i familiari delle vittime del terrorismo ed autopromuoversi per il Premio Nobel per la Pace, ma non è capace di discutere con qualcuno mediamente intelligente. Non perché qualcuno sia più abile con la parola, ma perché Garzón adduce leggi in cui mancano le ragioni. Dapprima abbiamo accusato Garzón di essere un pagliaccio grottesco. Non lo era. E’ solo un codardo ciarlatano.

Vogliamo ringraziare in particolare le organizzazioni della sinistra del nazionalismo basco, Herri Batasuna e Askapena, che sono state le uniche ha rispondere positivamente alla nostra proposta (o, almeno, le uniche che ce l’hanno fatto sapere), così come le persone che a titolo individuale o collettivo, nei Paesi Baschi, nello Stato spagnolo, in Italia e in Messico, hanno accolto con interesse ed onestà la nostra proposta.

Forse, un giorno, le nostre parole impareranno a riflettere l’affetto, il rispetto e l’ammirazione che nutriamo per il popolo basco e per la sua lotta politica e culturale.

Forse, un giorno, si potrà realizzare questo incontro e, dando un’opportunità alla parola, si incontrino i percorsi verso quel domani di indipendenza, democrazia, libertà e giustizia che il popolo basco, e tutti i popoli del mondo, si meritano.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 24 febbraio 2003

Giorno della Bandiera Messicana