La polemica Marcos/Garzón/Baschi.
Sintesi dei fatti e un nostro commento. REDS. Febbraio 2003.


Esporremo qui di seguito i tratti fondamentali della polemica che ha coinvolto Marcos e i principali protagonisti della sinistra basca. La polemica ha preso la forma delle "lettere aperte" che noi abbiamo riprodotto e alle quali si può accedere dall'elenco in fondo a questo articolo. Per le traduzioni ci siamo serviti di quelle circolate in rete soprattutto attraverso la mailing list Ezln di ecn e quella paesibaschiliberi. Qui sotto abbiamo riassunto i fatti riportando gli spezzoni salienti dello scambio epistolare ad uso di chi non ha tempo di leggersi l'intero carteggio. Segue poi un nostro commento e un tentativo di interpretazione di una vicenda poco esaltante.

I fatti

Il 12 ottobre Marcos scrive una Lettera ad Angel Luis Lara che sta preparando l’inaugurazione dell’Aguascalientes a Madrid. Alcuni brani che riguardano i baschi:

"Cosa? Ho tralasciato i Paesi Baschi? No, devo chiederti di permettermi di fare una citazione speciale per quei fratelli e sorelle. So bene che quel grottesco pagliaccio di autonominato giudice Garzón, in mano alla classe politica spagnola [...], sta portando avanti un vero terrorismo di Stato che nessun uomo e donna onesti possono vedere senza indignarsi. Sì, il clown Garzón ha dichiarato illegale la lotta politica dei Paesi Baschi. Dopo essersi reso ridicolo con quella baggianata della cattura di Pinochet [l’unica cosa che ha fatto è stata fargli fare le vacanze gratis], dimostra la sua vera vocazione fascista negando al popolo basco il diritto di lottare politicamente per una causa legittima. E non lo dico tanto per dire, ma perché qui abbiamo visto molti fratelli e sorelle baschi. Sono stati negli accampamenti per la pace. Non sono venuti a dirci che cosa fare, e neppure ci hanno insegnato a fabbricare bombe né a progettare attentati. Perché qui le uniche bombe sono le chiapaneche che, a differenza delle yucateche, non rimano mai. [...] Infine, per essere terroristi quello che ci manca è soprattutto la vocazione e non i mezzi. Bene, qui sono stati i fratelli dei Paesi Baschi e si sono comportati con dignità, che è come normalmente si comportano i baschi. Non so se da quelle parti ci sarà il Fermín Muguruza, ma ricordo che una volta, mentre si trovava qui, gli chiesero da dove venisse ed egli rispose che era 'basco', e gli domandarono di nuovo: 'basco di Spagna o basco di Francia?'. E il Fermín senza scomporsi rispose 'Basco dei Paesi Baschi'. Io stavo cercando qualche cosa in basco per mandare i saluti ai fratelli e sorelle di quel paese ma non ho trovato molto, ma non so se il mio vocabolario è buono, perché ho cercato come si dice 'dignità' in basco ed il dizionario zapatista dice 'Euskal Herria'. Infine, quello che non sanno né Garzón né i suoi patiti, è che ci sono volte in cui la dignità si trasforma in riccio e guai a chi vuole schiacciarla."

Questa lettera secondo lo stesso Marcos ha creato non poche proteste, tra le quali quelle di Garzón in persona. Marcos allora invia una lettera a Garzón in cui dice tra l'altro:

"Ho letto la lettera a me indirizzata, datata 3 dicembre del presente anno e pubblicata il 6 del corrente mese dal periodico messicano El Universal. In questa, oltre che permettersi di insultarmi con ogni epiteto, mi sfida ad un dibattito in luogo e data a mia scelta. Le comunico che accetto la sfida e (come impongono le leggi della passata cavalleria), giacché sono io il cavaliere sfidato, spetta a me stabilire le condizioni dell'incontro."

L'obiettivo è che si realizzi un incontro:

"tra gli interessati e colpiti dalla questione basca, affinché ci si parli e ci si ascolti, senza bombe, spari ed ordini di cattura".

e propone che il dibattito si svolga nelle Isole Canarie dal 3 al 10 aprile 2003:

"Nella stessa località del dibattito, parallelamente ma non in contemporanea, si svolgerà un incontro tra tutti gli attori politici, sociali e culturali della questione basca che lo desiderino. Il tema dell'incontro sarà 'Il Paese Basco: percorsi'."

Allo stesso tempo Marcos invia sempre il 7 dicembre anche altre lettere (a tutte le forze politiche, sociali, culturali e religiose del Paese Basco, alla sinistra basca, alla società civile spagnola e basca) a vari organismi perché organizzino concretamente l'incontro e esercitino una forte pressione su ETA perché proclami una tregua unilaterale di 177 giorni a decorrere dal 24 dicembre 2002, per "favorire un’atmosfera adeguata alla realizzazione dell’incontro":

"Noi pensiamo che si debba fare qualche cosa per cambiare la logica criminale imposta attualmente nel mondo. Che al terrore si combatta con il terrore, non porta alla vittoria. Gli argomenti legali usati per giustificare torture, sparizioni, omicidi, non pongono fine a questi e a coloro che con argomenti ideologici o religiosi giustificano la morte di altri. Nel mondo di oggi ci si presenta un’opzione finale che, come tutte le opzioni finali, è una trappola. Siamo obbligati a scegliere tra un terrore ed un altro e criticare uno significa appoggiare l’altro. In questo caso, ci obbligano a scegliere tra il terrorismo di ETA o il terrorismo di Stato spagnolo e se ci dissociamo da uno vuol dire che siamo complici dell’altro. Voi e noi sappiamo che l’alternativa non è una cosa o l’altra, ma quella che si costruisce come un percorso nuovo, un nuovo mondo. Sarebbe veramente molto bello ed auspicabile che, in un mondo polarizzato in cui la morte e la distruzione variano solo per argomenti e nonsensi (dove condannare le azioni punitive di Bush equivale ad appoggiare la follia fondamentali sta di Bin Laden), fosse proprio nella penisola iberica il luogo in cui si aprisse uno spazio per dare un’opportunità alla parola. Sarebbe meraviglioso che fosse la dignità iberica quella che dica al mondo intero che è possibile e necessario dare un’opportunità alla parola. Quindi, invitiamo alla mobilitazione su tutto il territorio ispanico per chiedere al governo spagnolo e a ETA questo: dare un’opportunità alla parola."

Marcos scrive così una lettera anche ad ETA:

"Consideriamo giusta e legittima la lotta de popolo basco riguardo per la sua sovranità, ma questa nobile causa, né nessun'altra, giustifica che si sacrifichi la vita di civili. Non solo non produce alcuna vittoria politica, ma se anche così fosse, il costo umano è impagabile. Condanniamo le azioni militari che danneggiano i civili. E le condanniamo sempre, provengano esse da ETA o dallo Stato spagnolo, da Al Qaeda o da George W. Bush, dagli israeliani o dai palestinesi, da chiunque, con nomi o sigle diverse, che adducano o no ragioni di Stato, ideologiche o religiose, e contino tra le loro vittime bambini, donne, anziani e uomini che non hanno nulla a che vedere con la faccenda. [...] Vi chiedo questo, non di arrendervi, non di deporre le armi o le vostre convinzioni. Vi chiedo solo di dare un'opportunità alla parola e ad onorare così l'enorme rischio che noi zapatisti abbiamo corso e dovremo correre. Nel caso non accetterete, mi offro personalmente come vittima predestinata in un vostro prossimo attacco. Potrete accusarmi di 'collaborazionismo' con lo Stato spagnolo (cosa paradossale, perché le autorità spagnole mi accusano di 'apologia di terrorismo'. Non importa. Non ci sarà biasimo né rappresaglia da parte nostra, perché almeno io saprò perché sarò morto. Aspetto la vostra risposta."

Il 12 dicembre Batasuna, la maggior forza politica della sinistra basca, oggi messa al bando da Garzón, risponde a Marcos. Alcuni brani:

"Scriviamo a nome di migliaia e migliaia di cittadini e cittadine baschi che, dopo la sospensione della formazione politica Batasuna da parte del giudice Baltasar Garzón nelle quattro province basche sotto l'amministrazione spagnola, sono stati privati dei loro diritti civili e politici fondamentali, come il diritto ad organizzarsi politicamente, il diritto alla libera manifestazione, il diritto a riunione, e perfino il diritto alla libertà di espressione. [...] Nonostante la cosa diffusa dai mezzi di comunicazione in tutto il mondo, Batasuna non ha giustificato mai né fomentato il ricorso alla lotta armata, né in Euskal Herria né fuori del nostro paese, ma sì considera che finché non verificheranno le condizioni democratiche minime per la risoluzione dei conflitti, qui e nel resto del mondo, ci sarà sempre una parte degli oppressi che ricorrerà all'uso della violenza politica come metodo di attuazione. È per ciò che ci rifiutiamo di condannarla politicamente, perché la condanna non risolve il problema politico di fondo, e la nostra responsabilità ed obbligo come forza politica di sinistra è precisamente cercare soluzioni ai problemi di questo mondo; perché un altro mondo è possibile, e se è socialista molto meglio. [...] Il caso basco non è stato, inoltre, l'unico esempio di questo tipo di attuazione politica antidemocratica nel mondo. È evidente che il governante israeliano Sharon ha incrementato la sua aggressione contro i palestinesi. Il presidente russo Putin ha fatto la stessa cosa in Cecenia. L'attuazione del presidente Uribe, in Colombia, è simile, dove i movimenti guerriglieri sono passati ad essere movimenti terroristici. [...] Detto altrimenti, tutti quelli che si oppongono al pensiero unico ed all'ordine neoliberale stabilito, in difesa della loro identità come popolo o della loro condizione di classe, sono perseguiti sistematicamente in tutto il pianeta.[...] Per terminare, salutiamo e siamo disposti a partecipare a qualunque iniziativa politica che, con serietà e base democratica, abbia per obiettivo creare le condizioni politiche necessarie da parte di tutti, con l'obiettivo di garantire che gli e le basche possano decidere liberamente e democraticamente il futuro di Euskal Herria."

Il 1° gennaio giunge la risposta di ETA. Alcuni brani:

"La nostra solidarietà con la lotta del popolo chiapaneco è incondizionata. Mai diremo loro come e che cosa fare (a meno che non ce lo chiedano). Faremo sempre quanto ci è possibile per aiutarli nella loro lotta, [ma ] il modo pubblico, senza una previa consultazione, con cui lei ha lanciato questa proposta, riflette una profonda mancanza di rispetto verso il popolo basco e verso tutti quelli che dalle loro organizzazioni lottano in un modo o nell’altro per la libertà.[...] ETA è sempre disponibile ad ascoltare, parlare e dialogare, rispettando la volontà del popolo basco e delle sue organizzazioni. A dimostrazione di questo, sono le varie iniziative che abbiamo realizzato durante questi anni di lotta. Senza andare molto lontano: i negoziati di Argel nel 1989, proposta dell’Alternativa Democratica nel 1995, iniziativa politica con sospensione delle azioni armate nel 1998-1999… [...] Non rinunciamo ad intraprendere ed accompagnare nuove iniziative in futuro. La nostra volontà per una soluzione giusta e globale del conflitto è intatta. Ma devono esserci proposte serie, basate su ampi consensi ed appoggi, legittimati a livello sociale. [...] Vogliamo anche dirle chiaramente che non è nei nostri obiettivi far parte di alcun tipo di 'pantomima' o 'operetta' per ottenere il favore delle prime pagine dei giornali internazionali, dei siti web, od essere il soggetto della prossima maglietta di moda sulla Gran Vía di Madrid.[...] Da parte nostra, siamo disponibili a fare tutto il possibile affinché l’EZLN si informi meglio sul conflitto che mette di fronte il Paese Basco con gli Stati francese e spagnolo.[...] Se c’è qualcosa da globalizzare in questo mondo, è la giustizia ed il rispetto. E’ qualcosa che devono cominciare a fare tutte le organizzazioni rivoluzionarie o ribelli. ETA ha sempre evitato di immischiarsi in decisioni prese da altre organizzazioni rivoluzionarie o ribelli oltre le nostre frontiere. Abbiamo sempre limitato la nostra azione alla solidarietà totale per, con le loro lotte, arricchirci delle esperienze di queste lotte. Abbiamo sempre guardato con simpatia e dimostrato la nostra solidarietà verso le organizzazioni e le persone che tanto in Messico come nello Stato spagnolo o in altre parti del pianeta Terra, lottano come meglio ritengono per un mondo più giusto e per la libertà di tutti i popoli.[...] Ora la salutiamo. Un saluto ribelle e rivoluzionario da parte degli indigeni d’Europa."

Il 12 gennaio segue la risposta di Marcos nella quale tra l'altro scrive:

'La forma pubblica, senza previa consultazione' con cui abbiamo lanciato la nostra iniziativa di dare UNA OPPORTUNITA’ ALLA PAROLA è il modo in cui facciamo le cose noi zapatisti. Non facciamo preventivamente accordi 'nell’ombra' per poi fingere di proporre cose che erano già state concordate in precedenza. Inoltre, non abbiamo né i mezzi, né l’interesse, né l’obbligo di 'consultare' ETA prima di parlare. Perché noi zapatisti abbiamo conquistato il diritto di parola: di dire quello che vogliamo, su quello che ci pare e quando ne abbiamo voglia. [...] Perché il governo spagnolo uccide la parola quando attacca la lingua basca euskera o la lingua di Navarra, quando perseguita e mette in carcere i giornalisti che 'osano' parlare del tema basco comprendendo tutti i punti di vista, e quando tortura i prigionieri affinché confessino quello che serve alla 'giustizia' spagnola. ETA uccide la parola quando assassina quelli che la attaccano con le parole e non con le armi. [...] ETA sostiene di rappresentare il popolo basco e se li offendiamo proponendo di dare un’opportunità alla parola, allora offendiamo tutto il popolo basco. Ignoro se i popoli basco e spagnolo siano d’accordo di essere rappresentati dagli uni piuttosto che dagli altri. Devono essere loro a deciderlo, non noi. [...] A differenza del giudice Garzón e di voi, noi non sosteniamo di rappresentare nessuno, ma solo noi stessi. [...] Noi ci riferiamo a noi stessi e non ci nascondiamo dietro presunte rappresentatività che, nella maggior parte dei casi, si assumono senza che 'rappresentati' ne siano al corrente. [...] Non è a noi che dovete chiedere rispetto. Vedete bene che come 'avanguardia rivoluzionaria' siamo un disastro, quindi il nostro rispetto non servirebbe a niente. Quelli di cui dovete guadagnarvi il rispetto è il vostro popolo. E una cosa è il 'rispetto', ma un’altra cosa molto diversa è 'la paura'. [...] Non vediamo perché potremmo chiedervi che fare o come farlo. Che cosa ci insegnereste? Ad uccidere giornalisti perché parlano male della lotta? A giustificare la morte di bambini per le ragioni della 'causa'? [...] Non abbiamo bisogno e né vogliamo il vostro appoggio o solidarietà. Godiamo già della solidarietà e del sostegno di molta gente in Messico e nel mondo. [...] Per quanto riguarda 'Viva Chiapas Libero!': Non vi chiediamo rispetto, ma conoscenza della geografia. Il Chiapas è uno stato del sudest messicano. Nessuna organizzazione né nessun individuo progetta di lottare per liberare il Chiapas [...], tanto meno noi zapatisti. Non vogliamo renderci indipendenti dal Messico. Vogliamo essere parte di esso ma senza smettere di essere quello che siamo: indios. [...] Forse è già chiaro, ma lo ribadisco: me ne frego anche delle avanguardie rivoluzionarie di tutto il pianeta."

Pubblichiamo anche tre interventi dai Paesi Baschi: uno prima della "rissa" tra Marcos ed ETA (Jose Mari Esparza) e due dopo e che riflettono il malessere con cui è stato vissuta nei Paesi Baschi la "discussione"(interventi di Txotxe Andueza e di Joxe García).

Commento

Cerchiamo di considerare uno a uno tutti gli argomenti e poi tentiamo una interpretazione complessiva.

- La questione della "interferenza". Una organizzazione politica di un Paese può criticare l'azione di una organizzazione di un altro Paese? Noi pensiamo proprio di sì. Per ragioni di principio: il popolo di un Paese non è proprietà privata della organizzazione che dice di rappresentarlo. Per ragioni "pratiche": oggi non vi è alcuna azione politica le cui conseguenze siano limitate ad un Paese solo, la lotta dei palestinesi ha dei riflessi in tutto il mondo, ad esempio, ed anche per questo è giusto che ognuno dica la sua. In qualche misura ogni organizzazione nazionale ha una responsabilità che travalica i confini della sua presenza geografica. Per questo le organizzazioni di un Paese dovrebbero sollecitare il confronto e la critica per comprendere i propri errori ed imparare. Ovviamente criticare non significa manovrare la lotta politica di altri Paesi utilizzando ad esempio flussi di denaro, come hanno fatto per decenni le socialdemocrazie e l'Unione Sovietica impedendo nei fatti, o ostacolando, o distorcendo, la nascita di libere, autonome, genuine rappresentanze politiche degli oppressi nei vari Paesi del mondo, specie quelli dipendenti. Il potere di interferenza cioé deve limitarsi alla "critica". La critica inoltre non deve confondere l'attuazione di una determinata organizzazione politica con la causa che essa difende, magari in modo distorto o irragionevole o addirittura criminale. I metodi delle Tigri Tamil non ci sono mai piaciuti per nulla, ad esempio, non per questo si deve rinunciare a dire che i tamil di Sri Lanka devo disporre del diritto all'autodeterminazione. Sul piano formale dunque Marcos ha ragione nell'affermare il diritto di dire quel che vuole a chi vuole. Le forme e i modi da lui utilizzati, però, ci paiono i meno adatti ma stabilire una comunicazione critica, ma costruttiva.

- La questione della violenza. Abbiamo già avuto modo di dire che la ripresa delle attività da parte di ETA abbia contribuito ad interrompere una fase di ascesa del movimento nazionale basco seguita all'accordo di Lizarra, e che ETA sia caduta nel tranello di Aznar e soci che appunto quel movimento temevano più di ogni altra cosa, certamente più degli attentati di ETA. Pensiamo anche, dato che Marcos sembra farne cenno, che gli attacchi suicidi delle organizzazioni palestinesi siano controproducenti da ogni punto di vista: annichiliscono la crescita di un movimento di massa spostando il confronto con i sionisti sul terreno puramente militare, passivizzano le masse sostituendole nell'azione (non ci stupisce che questi metodi siano stati inventati dalla destra fondamentalista), demotivano e confondono la solidarietà internazionale che aveva avuto un grosso ruolo durante la prima intifada, spingono la popolazione israeliana ad una unità difensiva "etnica" attutendone le contraddizioni interne. Queste considerazioni però non ci portano neppure per un momento a confendere la violenza degli oppressori con quella degli oppressi. E questo non perché ci siano dei morti che valgono più di altri, ma per la semplice ragione che non è nè logico nè giusto confondere la causa con l'effetto. A volte gli effetti di qualsiasi evento umano (o fisico o naturale) sono assai spiacevoli, ma se non se ne comprende la causa e non la si risolve, quegli effetti continueranno a prodursi. L'oppressione israeliana sui palestinesi "produce" il terrorismo: noi non siamo d'accordo con esso, ma non ci sfugge affatto quale ne sia l'origine. Confondere le due violenze significa mettere oppressi ed oppressori sullo stesso piano. Significa, in ultimissima analisi, giustificare, almeno parzialmente, la violenza degli oppressori, perché sarebbe il portato della violenza degli "altri".

- Per questa ragione la proposta di Marcos era debole sin dal principio. In Spagna il problema non è quello di due soggetti, gli "spagnoli" e i "baschi" che "non si parlano". Il problema è che c'è una sola parte, quella basca, alla quale è stato impedito di parlare. La Spagna ha imposto ai Paesi Baschi una semi legge marziale che ha totalmente paralizzato la società civile. Non si comprende allora perché Marcos abbia chiesto ad ETA "177 giorni di tregua unilaterale" e a Garzón no. Perché non ha chiesto una "tregua" anche a lui? La risposta è semplice: perché Marcos sa perfettamente che la violenza di ETA e quella dello stato spagnolo non stanno sullo stesso piano e quindi sa che ad ETA si può provare a chiedere, ma ad Aznar è perfettamente inutile. E allora perché non dirlo apertamente? Perché trattare la violenza poliziesca spagnola al pari di quella di ETA?

- Marcos utilizza un linguaggio di eccessiva sufficienza nei confronti delle altre direzioni rivoluzionarie. Vi sono affermazioni assai poco credibili per una organizzazione che continua ad essere politico-militare e dunque ha determinate esigenze, certo non pubbliche, di sopravvivenza e di relazioni. Inoltre: per quanto ci riguarda consideriamo l'esperienza zapatista come una tra le più avanzate e interessanti emerse negli ultimi venti anni (e ne stiamo dando prova dedicandole crescenti spazi sulla rivista). Non ci pare però una ragione sufficiente per spazzare via il resto con un "me ne frego anche delle avanguardie rivoluzionarie di tutto il pianeta". L'Ezln è certamente qualcosa di diverso e originale, ma pur sempre dentro, totalmente dentro, la storia delle "avanguardie rivoluzionarie", nel bene e nel male, e anche questo carteggio sta a dimostrarlo.

- I toni di ETA rivelano un pregiudizio di fondo antizapatista che abbiamo sentito altre volte rieccheggiare anche in ambiti italiani. Questi ultimi, soprattutto in funzione polemica contro l'area dei "disobbedienti", trovano assolutamente odioso che l'Ezln sia "di moda" presso settori di classe media sazia per i quali è "poco costoso" mostrarsi "zapatisti": sarebbe un internazionalismo di poca spesa, di scarso pericolo e di consistente ritorno di immagine. Noi pensiamo che vi siano anche questi aspetti fastidiosi nella solidarietà allo zapatismo, ma del resto li abbiamo visti all'opera anche in altre occasioni e la cosa suscitava poco scandalo. Nella simpatia diffusa verso lo zapatismo però vi è anche, e soprattutto, dell'altro. Vi sono larghe fasce di giovani, e non, che vi vedono, con speranza, un'altra possibilità di far politica: meno burocratica, generosa, vicina alla base.

Una possibile interpretazione

Il carteggio polemico non passerà alla storia per la sua qualità, questo è certo. Ci pare comunque utile tentare una interpretazione dell'accaduto.

Marcos ha spedito la lettera ad Angel Luis Lara per incoraggiare la preparazione dell'Aguascalientes di Madrid. Nella lettera si dilunga moltissimo sui Paesi Baschi, difendendone coraggiosamente i diritti di autoderminazione ed attaccando frontalmente il "pagliaccio" Garzón. Scrivendo questo Marcos ha superato, e di molto, i limiti ai quali la sinistra spagnola è disposta ad arrivare sulla questione basca. Lo ha fatto, pensiamo, inavvertitamente. La sinistra spagnola, compresa quella "antagonista", compresa quella "filozapatista", è in gradissima parte, nei fatti, connivente con Aznar sulla questione basca. Ricordiamo la vergognosa astensione di Izquerda Unida sulla legge che ha illegalizzato Batasuna. Quando i baschi tentano disperatamente di manifestare la loro opposizione, si ritrovano soli. Il dovere di ogni militante della sinistra spagnola dovrebbe essere quello di battersi per i diritti dei baschi e farne il punto principale della propria azione. Del resto il problema non è solod ella sinistra spagnola. Ricordiamoci che un personaggio come Garzón è stato invitato a Porto Alegre II, senza che ciò suscitasse il ribrezzo di alcuno. Marcos, pensiamo, era del tutto inconsapevole del nazionalismo spagnolista che alberga nell'animo dei militanti di sinistra di quel Paese (come di tutti i Paesi: pensiamo cosa accadrebbe in Italia se il SudTirolo si ribellasse, oppure pensiamo a quei militanti di "sinistra" che in Italia ignoravano le sofferenze dei kosovari inneggiando al "compagno" Milosevic), e si è ritrovato così una reazione inaspettata e violenta. Nella stessa lettera ad Angel Luis Lara, risultano ad esempio i suoi rapporti addirittura affettuosi con gli scrittori Josè Saramago e Manuel Vázquez Montalbán, nemici giurati della causa indipendentista basca. Con un eccesso di inventiva forse, possiamo immaginare che magari proprio costoro gli abbiano fatto presente che una difesa così secca dei baschi non era saggia, alla vigilia dell'Aguascalientes. Scrive Marcos:

"Nei giorni scorsi una nostra lettera letta nell’Aguascalientes madrileno, ha sollevato una polemica ed una condanna nei nostri confronti perché la missiva era ambigua per quanto riguardava le azioni dell’organizzazione basca ETA. [...] la mancanza di una condanna esplicita al terrorismo è stata interpretata come un appoggio dell’EZLN a ETA ed alle sue azioni. Devo dire che l’ambiguità era propositiva così come tutto il tono della lettera. [...] Ai familiari delle vittime di ETA e dello stato Spagnolo, tra i quali si trovano non pochi simpatizzanti della nostra causa, vanno le nostre sincere scuse se con quell’ambiguità abbiamo mancato di rispetto al loro dolore. Con tutto il cuore desideriamo che comprendano e che un giorno possano perdonarci."

Marcos cerca allora di reagire all'indignazione della sinistra spagnolista con una azione che dimostri la sua buona fede, e che gli consenta di non rompere con questo consistente settore, solidale con gli zapatisti, ma ambiguo o ostile nei confronti dei baschi. Per questo Marcos dirige il fuoco sostanzialmente su ETA, con un invito pieno di provocazioni che certo ETA non poteva permettersi di ignorare. ETA avrebbe fatto meglio a soprassedere, dato che a quel punto appariva abbastanza chiaro che Marcos cercava di togliersi dai guai nei quali lui stesso s'era cacciato; ha invece scritto, contrariamente al furbo Garzón, che ha fiutato l'aria e ha capito che era meglio lasciare scornare i due. Ed ha scritto a sua volta in maniera provocatoria. La controreazione di Marcos era anche questa innecessaria, ed è stata scomposta, piccata e inutile: le reazioni della sinistra basca, anche di coloro che non simpatizzano per ETA sono state di doloroso ammutolimento. A migliaia si sono recati nel Chiapas negli anni passati ed ora si ritrovano con un Marcos che comincia con una lettera solidale e termina con una rissa nella quale la vittima sacrificale è ETA, mentre gli spagnolisti se ne escono senza ferite. Sì perché Garzòn starà facendosi ora grasse risate, mentre i baschi, perplessi, si ritrovano con addosso un vago senso di tradimento.

Lettera di Marcos a Angel Luis Lara, alias El Ruso. 12 ottobre 2002.

Marcos a Garzón. 7 dicembre 2002.

Marcos a tutte le forze politiche, sociali, culturali e religiose del Paese Basco. 7 dicembre 2002.

Marcos alla Società Civile Spagnola e Basca. 7 dicembre 2002.

Marcos alla sinistra basca. 7 dicembre 2002.

Lettera di Marcos a ETA. 7 dicembre 2002.

La risposta di Batasuna a Marcos. 12 dicembre 2002.

La risposta di ETA a Marcos. 1° gennaio 2003.

Risposta di marcos a ETA. 9/12 gennaio 2003.

Di Txotxe Andueza. Dal quotidiano GARA del 16.01.2003.

Di Jose Mari Esparza, editore. Da Gara del 29.12.02.

Joxe García, membro dei Komite Internazionalistak. Da GARA 24.01.03.