Uganda: la violenza infuria al nord
Il conflitto che oppone da oltre 10 anni l'esercito ugandese ai ribelli della Lord Resistance Army (LRA) ben lungi dal placarsi interessa un numero sempre maggiore di civili (fonte: www.msf.it) 28 gennaio 2004. REDS


Ma possiamo parlare di "guerra" quando, invece di vedere eserciti nemici che si contrappongono in battaglia, assistiamo ad attacchi estremamente brutali contro la popolazione? Perché, in realtà, oggi centinaia di migliaia di civili pagano il prezzo di questa violenza esacerbata. Civili che devono scegliere tra il rischio di un nuovo attacco, durante il quale potrebbero perdere la vita, e l'esodo verso centri urbani, in cui non esistono le condizioni minime per la sopravvivenza...

Dal mese di giugno sono state perpetrate diverse carneficine nella regione di Teso, che fino ad allora era stata risparmiata dalla violenza dell'LRA. Questi attacchi hanno provocato la fuga di circa 100.000 persone, in gran parte verso Soroti, una città di 43.000 abitanti situata a 400 Km a nord di Kampala, la capitale del paese. Più di recente, gli attacchi si siano concentrati nella zona di Lira, più a nord, causando la morte di numerose persone e lo sfollamento in massa della popolazione. Alcune zone del nord e del nord-est del paese sono state oggetto di attacchi e oggi si calcola che le vittime del conflitto, che dura dal 1986, siano state centinaia di migliaia.
Gli attacchi sono rivolti contro i civili, che pagano un tributo sempre più pesante a questa guerra che non è più una guerra. La crudeltà nei confronti degli abitanti dei villaggi ne è testimonianza. I profughi che sono stati vittime di questi attacchi raccontano che le truppe ribelli in "guerra" si dedicano soprattutto a estorsioni estremamente brutali contro i villaggi e contro i loro abitanti, in un clima di terrore sempre più esacerbato.

Villaggi saccheggiati e incendiati

I ribelli compiono vere e proprie razzie, spesso piombando nei villaggi di sorpresa, durante la notte. Saccheggiano cibo e prodotti agricoli, ma anche abiti, attrezzi da cucina, bestiame... Quindi alle fiamme il villaggio (case, campi, chiesa, scuola...). In preda al panico, genitori e figli fuggono, a volte in direzioni diverse, e le famiglie si dividono. Uomini, donne, bambini, tutti coloro che non riescono a fuggire in tempo, vengono spesso picchiati con pietre, bastoni, con il calcio dei fucili e alcuni di loro vengono uccisi. Vengono usate anche armi da taglio, in particolare i machete. Molte persone interrogate dalle équipe di MSF raccontano di aver perso parenti e amici durante questi attacchi.
Le condizioni nelle quali vengono condotti questi attacchi mostrano chiaramente la volontà di terrorizzare la popolazione, di instaurare un clima di paura e di diffidenza: gli abitanti dei villaggi raccontano di aver trovato, una volta rientrati al termine delle violenze, corpi appesi ai rami degli alberi e cadaveri mutilati.

Rapimenti, schiavismo e torture
Vengono portati via non solo i beni e le risorse degli abitanti, ma anche le persone: durante le loro scorrerie, i "ribelli" rapiscono non solo adulti, ma anche, e soprattutto, bambini. Obbligati a trasportare il bottino rubato, schiavi assegnati ai lavori domestici, vengono maltrattati, affamati, picchiati, portati al limite della resistenza... I bambini vengono "selezionati": alcuni devono diventare bambini-soldato, alcune ragazze sono destinate ad essere "donne di soldati". E questi bambini continuano a sopravvivere in un clima di profondo terrore: devono nascondere la loro paura e non lamentarsi, altrimenti vengono maltrattati ancor più duramente. E non basta! Una volta integrati nelle truppe ribelli, sono testimoni di scorrerie e massacri di una violenza inaudita.

Un mortalità altissima
Questa violenza esacerbata causa un numero elevatissimo di vittime e ciò determina massicci spostamenti di popolazione. MSF ha condotto, con l'aiuto di Epicentre (associazione specializzata in epidemiologia), un'indagine sulla mortalità retrospettiva, riguardante 467 famiglie in 21 campi, che rappresentano 5.794 (5.877) persone presenti nel giugno 2003. Su questa popolazione, tra la metà di giugno e la metà di ottobre del 2003, si sono potuti contare 398 morti (cioè il 7% della popolazione); di questi, 230 erano bambini di età inferiore ai cinque anni. 186 di questi decessi, (il 47%), tra cui 12 bambini che non avevano ancora compiuto i cinque anni, erano imputabili direttamente a violenze e assalti.
Quindi, secondo questa indagine, il 7% circa dei decessi di bambini di meno di cinque anni sono direttamente imputabili alla violenza; per le persone di oltre cinque anni, la percentuale sale al 76%.
Gli abitanti delle zone toccate dalle violenze possono scegliere se restare nel loro villaggio - se non è stato incendiato - e rischiare di perdere la vita in qualsiasi momento durante un saccheggio, o se trasferirsi in centri urbani, in cui non vi sono le condizioni minime per la sopravvivenza.

I deficit dell'assistenza ai profughi

Perché l'assistenza ai profughi che fuggono da queste violenze è decisamente insufficiente. I profughi sfuggiti dal conflitto, che si calcola siano 90.000, sono ufficialmente suddivisi tra Soroti, altre 31 località e Lira.
In agosto sono arrivate a Soroti 60.000 -80.000 persone, spaventate, a piedi, con pochi beni salvati al momento della fuga. Una parte è stata assorbita dalla popolazione di Soroti (oltre 20.000 persone sono alloggiate in case private), gli altri sono raggruppati in scuole, giardini e altri luoghi pubblici della città (cioè 80.000 nelle scuole, nelle chiese, nei giardini pubblici).
I luoghi pubblici non sono adatti ad ospitare i profughi. Durante il giorno, quelli che stanno nelle scuole devono restare fuori, sotto gli alberi, finché durano le lezioni. E la notte devono portare banchi e tavoli fuori dalle aule per potersi sistemare e dormire. Molti sono rimasti fuori, nelle strade, sotto le verande, insicuri nel buio, senza alcuna protezione contro il freddo delle notti nella stagione delle piogge. I più vulnerabili (bambini e anziani) dicono di aver dovuto mendicare per ottenere qualcosa da mangiare, contando sulla solidarietà tra abitanti degli stessi villaggi.

Nel giugno del 2003 Medici Senza Frontiere ha fronteggiato la situazione d'emergenza a Soroti. Con quell'affluenza di persone, non erano state preparate strutture per accogliere i profughi in modo adeguato, era esploso il morbillo e, con lui, la malnutrizione. Ancor oggi non è stato fatto nulla per aiutarli, non vi sono strutture di accoglienza, non vi è aiuto materiale.

Oggi il centro di Soroti si sta svuotando, mentre la gente si sposta in siti "selvaggi", in periferia. Come la Nakatunya School, dove vi sono solo dieci latrine per 4.000 profughi. Nascono come funghi rifugi di fortuna, che gli stessi profughi si costruiscono, non protetti da teloni in plastica. Non hanno accesso né all'acqua né a regolari distribuzioni di cibo e nelle vicinanze non è stata installata nessuna struttura sanitaria.