Già si vede l'orizzonte.
Riportiamo la traduzione della lettera ("La pratica politica e culturale è plagiata dai miti") che il Subcomandante Marcos ha inviato all’amico e portavoce dell’EZLN Fernando Yanez Muno in occasione della presentazione della nuova rivista "Rebeldìa". La lettera, datata settembre 2002, è stata pubblicata sul quotidiano messicano "La Jornada" lunedì 18 novembre. La sua traduzione, di seguito riportata, è disponibile anche sul settimanale Carta (www.carta.org) del 21-27 novembre 2002. Alcuni brevi passaggi tralasciati da Carta sono stati aggiunti dai curatori del presente articolo in quanto ritenuti particolarmente interessanti. A cura di di Roberto De Maria e Christian Elevati. Dicembre 2002.


Qui di seguito riportiamo la traduzione della lettera che il Subcomandante Marcos ha inviato all’amico e portavoce dell’EZLN Fernando Yanez Munoz, persona che accompagnò la Comandancia zapatista durante la Marcia per la Dignità Indigena del febbraio-marzo 2001. La lettera è stata scritta in occasione della presentazione della nuova rivista "Rebeldìa", vicina al Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale, presentazione cui Marcos, non potendo intervenire di persona, vuole partecipare idealmente.

Il titolo della lettera è: "La pratica politica e culturale è plagiata dai miti", tema che viene sviluppato in sette punti. In particolare, Marcos critica duramente i partiti politici messicani e abbozza una riflessione sulla sinistra cosiddetta "istituzionale" e sulla figura del "ribelle".

La lettera, datata settembre 2002, è stata pubblicata sul quotidiano messicano "La Jornada" lunedì 18 novembre. La sua traduzione, di seguito riportata, è disponibile anche sul settimanale Carta (www.carta.org) del 21-27 novembre 2002. Alcuni brevi passaggi tralasciati da Carta sono stati aggiunti dai curatori del presente articolo in quanto ritenuti particolarmente interessanti.

Per comprendere più facilmente il testo di Marcos, se non si possiede una conoscenza minima della storia del Chiapas, si suggerisce di leggere i seguenti articoli:

Cogliamo l’occasione per segnalare la prossima uscita su REDS di gennaio di un mini-dossier dedicato allo stato d’assedio in cui vivono le Comunità zapatiste a causa dell’altissimo grado di militarizzazione e delle violenze impunite dei paramilitari in Chiapas.

 

La pratica politica e culturale è plagiata dai miti

All’Architetto Fernando Yanez Munoz

Fratello, ricevi i saluti di rigore, quasi tanto rigorosi come il freddo che presto comincerà ad avvolgere le montagne del Sud-Est messicano.

Come ricorderai, sono passati 18 anni da quando sono arrivato nelle montagne del Sud-Est messicano, cioè, sono maggiorenne. Questa è un’eccellente occasione per scriverti, salutarti e, per inciso, farti gli auguri, dato che mi sono accorto che ti sei laureato Ad Honorem, che è come si laureano gli zapatisti.

Ho ricevuto la lettera in cui mi racconti del progetto del Professor Sergio Rodriguez Lazcano, della Professoressa Adriana Lòpez Monjardìn e Javier Elorriaga, di fare una rivista il cui nome sarà, per quel che capisco, Rebeldìa. Non possiamo che salutare questo sforzo intellettuale e sono contento che siano zapatisti quelli che cominceranno questo compito. Se Rebeldìa non seguirà il percorso delle pubblicazioni di sinistra, è probabile che stamperanno più di una copia e, un bel giorno, la presenteranno pubblicamente perché tutti (cioè quelli che la fanno, i loro amici e familiari) se ne accorgano.

Non sono mai stato alla presentazione di una rivista, ma immagino che ci sia un tavolo dove siedono quelli che la presentano e che si guardino reciprocamente, domandandosi, non senza arrossire, come mai ci sia più gente al tavolo che tra il pubblico. Va bene, questo è, supponendo che il progetto non venga archiviato e, parlando di probabilità, mi passa per la testa l’idea peregrina che tu andrai all’improbabile presentazione di Rebeldìa e così, con la tua voce, sarà rappresentata la nostra voce. Dopotutto sarà una rivista fatta da zapatisti e in qualche forma dobbiamo esserci.

Siccome siamo in silenzio e il silenzio non si rompe, ma si protegge, noi non potremo assistere […]. So già che ti starai domandando di cosa potrai parlare se restiamo in silenzio, qui ti invio alcune riflessioni che ti potranno essere utili per il tuo intervento. Il problema è che sono scritte con quello stile birichino e giocherellone, che fa l’allegria dei bambini e dei grandi e non con lo stile abbottonato e serio degli antropologi, ma tu le metterai in modo che siano moooolto formali. Ecco le riflessioni (tieni conto che è stato molto difficile non riferirmi a nulla di congiunturale o alla Legge indigena, su questi temi importanti parleremo quando sarà il momento, ma bada anche tu che quello che dirai non rompa il silenzio).

Uno. Il che fare? intellettuale di sinistra deve essere, prima di tutto, un esercizio critico e autocritico. Siccome l’autocritica resta sempre rinviata al numero successivo, allora la critica diventa l’unico motore del pensiero. Nel caso della sinistra in Messico, quel che fare? intellettuale ha ora, tra gli altri, un obiettivo centrale, la critica della politica e della cultura, e della storia.

Due. Nel Messico attuale, la pratica politica e culturale è piena di miti. Ergo, la critica di sinistra deve combattere coi miti. E non sono pochi i miti nella cultura. Però ci sono miti e miti […]. Anche in politica ci sono miti. C’è il mito secondo cui "il Partito di Azione Nazionale è un partito di destra". Bene, non è nemmeno un partito di centro né di sinistra. In realtà il PAN non è altro che un’agenzia di collocamento per incarichi dirigenziali. C’è anche quell’altro mito secondo cui "il Partito della Rivoluzione Democratica è un’alternativa di sinistra". E non è che sia, un’alternativa di centro o di destra, ma semplicemente il PRD non è un’alternativa. O c’è anche il mito secondo cui "il Partito Rivoluzionario Istituzionale è un partito politico". In realtà, il PRI, è una grotta con quaranta ladroni che aspettano, inutilmente, il loro Alì Babà. O quell’altro mito tanto caro alla sinistra anchilosata che dice: "Andare contro la globalizzazione è come andare contro la legge di gravità". Contro questo in tutto il mondo gli esclusi di tutti i colori sfidano l’una e l’altra: né la fisica né il Fondo Monetario Internazionale possono evitarlo. E c’è il mito per il quale pagano, e caro, il Governo Federale e quello dello Stato del Chiapas che dice: "Gli zapatisti sono finiti", mentre la sola cosa che sta finendo è la loro pazienza.

Tre. Il ribelle è, se mi concedi l’immagine, un essere umano che dà colpi contro le pareti del labirinto della storia. E, che non si intenda male, non è che sale più in alto per cercare la strada per l’uscita. No, il ribelle colpisce le pareti perché sa che il labirinto è una trappola, perché sa che non c’è uscita senza rompere le pareti. Se il ribelle usa la testa come martello, non è perché è una testa dura (che l’abbia, non c’è dubbio) ma perché il rompere con le trappole della storia, con i suoi miti, è un lavoro che si fa con la testa, cioè, è un lavoro intellettuale. E così, di conseguenza, il ribelle soffre un dolore di testa tanto forte e continuo che neanche l’emicrania più tremenda.

Quattro. Tra le trappole della storia c’è quella che dice "tutto il passato è migliore". Quando lo dice la destra, sta confessando la sua vocazione reazionaria. Quando è la sinistra parlamentare che lo afferma, sta esibendo il suo zoppo presente. Se è il centro che parla, si sta delirando perché il centro non esiste. Quando la sinistra istituzionale si guarda allo specchio del Potere e si dice: "Sono una sinistra responsabile e matura", in realtà sta dicendo: "Sono una sinistra gradevole per la destra". Quando la destra si guarda allo specchio del Potere e dice: "Che vestito splendido indosso!", dimentica che è nuda. Quando il centro si cerca nello specchio del Potere, non trova nulla.

Cinque. Né le forme di lotta né i loro tempi sono ad uso esclusivo di un settore sociale. Né l’autonomia né la resistenza sono forme di organizzazione e lotta che solo appartengono ai popoli indigeni. E qui lascia che ti racconti qualcosa: si dice che l’EZLN è un esempio di costruzione di autonomia e resistenza. Sì. Per esempio, ogni insurgente zapatista è una specie di Municipio Autonomo, cioè fa quel che gli pare. E quale migliore resistenza di quella di chi si oppone agli ordini. è un difetto, ma anche una virtù. C’è il nemico che intercetta le nostre comunicazioni e si accorge che il comando sta citando una riunione nel punto G. Il nemico fa il suo lavoro e prepara la sua imboscata […] ma non arriva nessuno.

Che è successo? Si tratta di incapacità sessuale? I servizi di controspionaggio zapatisti hanno funzionato alla perfezione? No, se si indaga a fondo si scoprirà che Panfilo non è arrivato perché ha pensato che era meglio riunirsi da qualche altra parte, Clotilde ha pensato sì, ma un altro giorno e Eufrosino non ha pensato perché stava studiando un manuale di educazione sessuale per vedere se riusciva a trovare dove diavolo stava il punto G (per inciso, la sua compagna ancora aspetta che lo trovi). Non sono questi esempi magnifici dell’autonomia e della resistenza zapatista come armi contro il nemico? […]

Sei. Il mito fondamentale, per il quale il Potere è quello che è, è nella storia. Non nella storia che dice le cose come stanno, ma in quella che le reinventa secondo la sua convenienza. In quella storia, nella storia del Potere, per esempio, la lotta del los de abajo è fatta solo di sconfitte, tradimenti e passi falsi. Tu sai bene che siamo pieni di cicatrici che non si rimarginano. Alcune, la minoranza, fanno parte di quelle che regala la perdita dell’amore. La maggioranza fanno parte della nostra storia, quella "del basso", e nel nostro caso, quella "del più in basso", quella sotterranea, quella clandestina. Il fiume che la percorre ha più eroismo e generosità che meschinità ed egoismo. E parlando della storia, adesso mi ricordo che ti ho conosciuto, ventidue anni fa, a te e a Lucha, nella casa che chiamavamo La Miniera. Ed era La Miniera non perché nascondesse un tesoro, ma perché era scura e umida come un cunicolo. Allora, Lucha si impegnava a farmi mangiare e tu a insegnarmi tante cose che un giorno, dicevi, mi sarebbero state utili. Credo di non essere stato un gran commensale né un buon alunno, però ricordo bene la piccola figura del Che che mi hai regalato per un compleanno e in cui, di tuo pugno, scrivesti quelle parole di José Martì che dicono, più o meno: "Il vero uomo non vede da che parte si vive meglio, ma da che parte sta il dovere". Il dovere è un amabile tiranno che ci rende rigorosi. Nella nostra storia ho avuto la fortuna di conoscere uomini e donne per i quali il dovere è tutta la vita e, in non pochi casi, tutta la morte. E questo mi conduce alla riflessione numero…

Sette. Messo di fronte alla scelta tra qualsiasi cosa e il dovere, il ribelle sceglie sempre il dovere. Credo, fratello maggiore, che dovresti regalare anche a quelli che ti ascolteranno il giorno della presentazione della rivista, la stessa frase, però aggiornata. Io direi qualcosa come… "l’uomo, la donna, l’omosessuale, la lesbica, il bambino, il giovane, l’anziano, cioè il vero essere umano, non guarda da che parte si vive meglio, ma da che parte sta il dovere" […].

Dalle montagne del Sud-Est messicano, Subcomandante Insurgente Marcos, Messico.

È il mese di settembre del 2002 e la pioggia non riesce a ferire la pelle del sole.