Conferenza provinciale di Milano dei Giovani Comunisti.
Il documento 2 affine alle posizioni della maggioranza del partito. Aprile 2001.



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PERCHÉ UN DOCUMENTO SU MILANO

La necessità di scrivere un documento specifico sulle tematiche che i Giovani Comunisti di Milano hanno affrontato e si preparano ad affrontare prende le mosse da un'analisi, tutta da approfondire e sviluppare nel dibattito, che individua nella gestione della città, della provincia e dell'intera regione, il laboratorio politico della destra di questo paese, sia politica sia economica e sociale. Quattro anni di Giunta Albertini non hanno solo dimostrato il disprezzo degli esponenti del Polo per qualsiasi istituto democratico. Il continuo ricorrere del Sindaco a pratiche bonapartiste per superare divergenze politiche con i suoi Assessori, per gestire i processi di privatizzazione selvaggia, per risolvere le vertenze con i lavoratori del Comune, hanno disvelato ii carattere aggressivo e feroce delle scelte neoliberiste e di quanto queste ricadano sui ceti meno abbienti della città, le cui fila si ingrossano a vista d'occhio.

Da evidenziarsi lo scontro tra diverse anime del capitale nazionale, il gruppo Fiat-Mediobanca e Fininvest-Compagnia delle Opere, legate a doppio filo da chiare convergenze politiche, scontro che si esprime soprattutto sul terreno della gestione politica e sociale degli effetti delle scelte economiche e speculative operate dalla giunta di Centro-destra in favore dei propri amici. Mentre, infatti, Viale Marconi abbracciava l'ipotesi di una modernizzazione da portare avanti con i metodi della concertazione che tanto avevano pagato nel passato, in un clima sociale assolutamente pacificato da Sindacati Confederali sempre più compiacenti (e sempre più subalterni alle scelte moderate dei D.S.) il progetto del Polo è molto diverso, e prevede non soltanto la gestione affaristica ed aziendalista degli spazi della mediazione politica, ma il superamento "a destra" della stessa tramite la creazione di un blocco sociale reazionario, che ricerchi consenso affidandosi ad un cocktail in cui psicosi della sicurezza, xenofobia, lo scatenarsi di vere e proprie lotte tra poveri fomentate nei quartieri più popolari da organizzazioni di massa (come ad esempio il Fronte dei Cittadini), si sposano con il ruolo che sta assumendo la Compagnia delle Opere, che si giova delle politiche di smantellamento del welfare sia su scala locale che nazionale.

In questo contesto è maturata la scomparsa dai luoghi del conflitto e della relazione sociale della sinistra moderata che annaspa in una deriva governista da cui non pare wler usdre; bisogna purtroppo rilevare una nostra difficoltà nel rilanciare l'attività del Partito e della sua organizzazione giovanile in quelli che sono i nodi della contraddizione di classe e della progettualità politica, al fine di avviare processi reali che contrastino nettamente le politiche del Polo e spianino il terreno per una seria discussione sulla politica delle alleanze in vista delle prossime elezioni amministrative. Discussione che dovrà svolgersi su di una piattaforma programmatica che porti a frutto anche i contenuti della Conferenza Metropolitana promossa dal Partito.

Il contributo dei Giovani Comunisti deve essere incentrato sul ruolo che Rifondazione Comunista può assumere rispetto alle vertenzialità diffuse che hanno definito, in questi ultimi anni, la loro forma organizzativa e politica: si pensi alle associazioni in grado di assurgere in alcuni casi a vere e proprie strutture di massa. Bisogna però interrogarsi su quale potrebbe essere il destino di tali manifestazioni di fermento sociale se dovessimo far mancare l'ausilio dei comunisti, sia in termini politici sia organizzativi.

La possibilità che una nuova Giunta di Centro-destra ricomponga singolarmente le varie vertenze si inquadra in quel progetto di formazione di un blocco sociale reazionario ed interclassista a cui dobbiamo contrapporre una visione più organica, a livello programmatico, d'azione e di classe.

Questo significa disvelare, con chiare e forti campagne di contro-informazione, le reali ricadute sociali delle scelte neoliberiste per spezzare quel circolo vizioso che disaggrega soggetti sociali tra loro contigui per fargli combattere massacranti guerre su fronti orizzontali, ricompattandoli poi intorno al minimo comun denominatore dell'individualismo feroce.

Bisogna essere in grado di militare con costanza, come peraltro già avviene in molti casi, in alcune delle strutture sopracitate, con l'obiettivo di portare a sintesi le esperienze nel Partito per elaborare, al nostro interno, una linea unitaria su questioni come quelle dell'immigrazione, della casa, del diritto allo studio ed al lavoro.

Per un comunista, questi sono i grimaldelli per l'acquisizione della coscienza di classe ed il cambiamento della società.

Un Bilancio del lavoro svolto.

Stilare un bilancio dell'attività svolta, del livello di progettualità politico raggiunto, presuppone la volontà, non soltanto di evidenziare i limiti e di tematizzare correttamente i problemi, ma di suggerire spunti di dibattito al Coordinamento che sarà espresso dalla prossima Conferenza.

Nel corso di questi ultimi due anni i Giovani Comunisti, pur registrando un'apprezzabile innalzamento del livello politico, hanno vissuto diversi momenti di difficoltà, legati sia all'evoluzione del dibattito post-congressuale della Federazione di Milano, sia ad elementi più direttamente connessi ad una serie di limiti oggettivi e di errori del gruppo dirigente giovani.

E' necessario aprire un serrato dibattito che miri al superamento - attraverso la dialettica politica - delle deficienze dei compagni, e che sia comprensivo di una chiara autocritica rispetto alle scelte ed all'attribuzione di responsabilità all'interno del Coordinamento.

Rispetto agli obiettivi che ci eravamo prefissati nel corso della scorsa Conferenza, dobbiamo registrare l'abbandono di alcuni terreni d'intervento, scelta questa che è stata determinata dalla volontà di concentrare l'attività dei compagni su pochi punti ritenuti, in questa fase, centrali, favorendo molto il lavoro delle commissioni o basandosi sulla volontà, encomiabile, di singoli compagni, che non è certo sufficiente a creare progetto politico collettivo.

Da questo punto di vista, la scelta ha sicuramente pagato nei termini dell'elaborazione politica (pensiamo al documento sul lavoro) ed in quelli dell'intervento di massa in ambito studentesco, ma poco è servito nell'innalzare il livello organizzativo e politico dei nostri stessi compagni all'interno dei Circoli ed a rafforzare l'organizzazione giovani nel suo complesso.

Il livello di relazione con i Circoli è senza dubbio lo snodo centrale su cui costruire un'identità collettiva forte e quel senso di appartenenza ad un progetto organico che permette di agirlo con continuità e di trovare all'interno del Partito gli ambiti di analisi e gli strumenti politico-organizzativi più adatti ad affrontare i problemi dell'attuale fase dello sviluppo delle contraddizioni del sistema capitalista; se è questa la direzione verso la quale avremmo voluto dirigerci, dobbiamo interrogarci sui motivi che l'hanno resa così scarsamente partecipata ed agita.

Intendiamo riflettere a fondo sia sui problemi dell'alto ricambio interno all'organizzazione (il turn-over), sia su quanto lo "strumento" Giovani Comunisti sia utilizzato nei Circoli per avviare processi d'intervento sulle tematiche giovanili che, oltre ad avvicinare nuovi giovani al nostro Partito, organizzino quelli che ci sono, coniugando livelli tematici e territoriali, per far incontrare i nostri compagni - tutti - con le problematiche specifiche delle nuove generazioni.

Il problema da risolvere si sostanzia, in ultima analisi, nel ruolo del Coordinamento Provinciale, la sua natura ed i suoi compiti. Una volta fatta chiarezza su questi punti, si potranno trattare più specificatamente i terreni d'intervento per il futuro, la modalità di discussione e la formazione di un nuovo gruppo dirigente.

Non è possibile affrontare, però, questi nodi senza partire da un'analisi che rintracci ed evidenzi i mutamenti che sono avvenuti, nella realtà e nel Partito, nel corso di questi ultimi due anni.

La caduta del governo Prodi, la successiva scissione, la cesura storica rappresentata dalla guerra, la nostra opposizione ai governi di Centro-sinistra dell'ultimo anno e mezzo: sono queste le tappe fondamentali che hanno scandito il susseguirsi- di drammatici ribaltamenti della scena politica nazionale e milanese. "Tappe" che devono trovare adeguato spazio nel nostro dibattito, non solo per comprendere quali siano state le ricadute sul nostro agire quotidiano ma, soprattutto, quali sono le modalità d'intervento con le quali ci proponiamo di affrontare questa nuova fase.

Ripercorrendo le vicende che abbiamo elencato ci sembra di poter affermare che quella che più ha segnato una netta distinzione delle posizioni, una frattura non ricomponibile, sia la partecipazione attiva del nostro paese alla guerra nel Kossovo.

E' stata questa scelta, in maniera evidente per la sua tragicità, a segnare l'avvitamento del Centro-sinistra ed in particolare dei DS, appiattiti sulle posizioni della grande borghesia imprenditoriale e imperialista.

Nel corso di quelle settimane abbiamo assistito a Milano ad una serie di manifestazioni, alcune anche molto partecipate nelle ricorrenze del 25 aprile e del 1 maggio, in cui il Comitato contro la guerra ha espresso il naturale ricompattarsi di forze diverse intorno allo sdegno provocato dall'immane tragedia umana che si consumava nei Balcani e dall'evidente violazione della nostra Costituzione democratica.

Bisogna, purtroppo, rilevare la presenza discontinua e, soprattutto, non omogenea del Partito all'intemo di quel movimento, seppure molti degli attivisti che vi militavano, in rappresentanza delle diverse realtà che lo componevano, fossero compagni iscritti al PRC. E' mancato, insomma, un ruolo di decisa direzione politica.

La presenza dei Giovani Comunisti in quell'ambito è stata costante e qualificata sebbene abbia risentito, ovviamente, dei problemi sopracitati.

La guerra, i due falliti appuntamenti referendari, il varo di manovre finanziarie sempre più conservatrici e le difficoltà elettorali hanno segnato il fallimento dell'esperimento politico del Centro-sinistra.

Il declino di quella che per 50 anni è stata la più grande forza del comunismo europeo ci mette davanti alla necessità di riflettere su quale sia il ruolo storico dei comunisti in questa fase, di impegnarci in una ricerca, teorica e politica, su quali possano essere le idee, i modi, le forme, per rilanciare una lotta di opposizione alle nuove forme d'organizzazione del capitale; dovremo essere in grado di riformulare strategie e di rimodellare le tattiche, di ripensare le aggregazioni ed il blocco storico, in una parola rifondare ideali e pratiche comuniste.

I Giovani Comunisti di Milano si trovano a dover contrastare, nel cuore dell'impero, una deriva culturale e politica che rende necessario ricucire quello strappo con la società, con la classe, con i giovani proletari che non vivono la politica ma la avvertono come un universo parallelo ed irraggiungibile, dove altri scelgono il loro futuro.

Questo significa conoscere le condizioni di lavoro e di vita di quei giovani. Rilanciare l'inchiesta di massa come strumento di conoscenza e come pratica politica deve assumere per noi un significato fondante. Il tentativo fino ad ora debole di avviare questo tipo d'intervento deve farci riflettere sulla scarsa collettivizzazione dei processi decisionali, sulla giustezza sia della proposta che dei metodi di lavoro; in una parola la messa a verifica dei progetti e dei gruppi dirigenti deve essere continua premura collettiva (così come deve essere compito primario di un quadro politico la messa in discussione del proprio operato).

La Formazione

L'asservimento dei saperi al mondo dell'imprenditorialità e le politiche volte a rendere la formazione omogenea alla produzione si dispiegano in maniera integrale lungo tutto il corso di studi degli individui. Due criteri complementari tendono all'esclusione dei ceti meno abbienti dalla possibilità di raggiungere alti tassi di scolarità. Questi due criteri sono uno di origine economica (e di più chiara lettura di classe) legato all'innalzamento dei costi complessivi della formazione; l'altro meritocratico, legato invece ad istituti quali il numero chiuso per accedere all'università, che cela anch'esso un profondo discrimine verso i più deboli. La selezione continua, esercitata attraverso differenti pratiche di valutazione dell'apprendimento, è infatti un fenomeno che parte già dai primi anni di scuola, e con la nuova riforma metterà dei ragazzi giovanissimi di fronte a scelte di lungo periodo in età sempre più precoce ostacolando un processo di emancipazione dei giovani dalle decisioni familiari e favorendo l'abbandono invece che combatterlo. Dando un'occhiata ai dati sull'abbandono scolastico ci si rende facilmente conto di quanto ancora dati avvicinabili per proporzioni delineino delle realtà sociali e geografiche di provenienza estremamente differenti.

Lo scenario che si va delineando sembra presentarci un sistema scolastico quanto mai classista: la differenziazione tra scuole "ricche" e scuole "povere" non è determinata, infatti, solo in base alla collocazione geografica degli istituti in aree più o meno depresse del paese (elemento questo che determina la possibilità di ottenere finanziamenti da parte delle aziende del territorio), ma anche in -base alla composizione sociale della popolazione studentesca degli istituti. È evidente infatti, che le politiche del governo vanno nella direzione del trasferimento dei costi della formazione dalla Pubblica Amministrazione, e in parte dalle imprese, alle famiglie che valuteranno "l'offerta formativa" soprattutto in base al proprio badget, cosi come la logica del mercato impone. Non è infatti possibile ritenere che il sistema delle imprese si faccia carico per intero dei costi della formazione nel suo complesso, argomentazione questa agitata in maniera strumentale e ideologica dalla destra politica ed economica. Saranno viceversa le rette delle famiglie la principale fonte di finanziamento del sistema scolastico, sempre meno caratterizzato da un carattere di uniformità e omogeneità a livello nazionale (e in questo senso vanno anche i referendum sulla devolution, il cui esito positivo accentuerebbe la possibilità da parte delle giunte locali di adottare misure quali quella dei buoni-scuola, vanto della giunta Formigoni). Il finanziamento delle aziende rimarrà fenomeno limitato e circoscritto nei confronti di quel tipo d'istituti in grado di sfornare mano d'opera tecnicamente preparata e piegata alle esigenze produttive di un dato territorio e di date imprese. La contropartita al finanziamento sarà una formazione specialistica e rigida poco atta alla riqualificazione professionale. Ulteriore dimostrazione di quanto la flessibilità che il capitale richiede sia una flessibilità in uscita e non in entrata rispetto al mercato del lavoro. Non v'è alcun motivo, infatti, perchè le aziende debbano spendere in formazione e riqualificazione se la forza lavoro è in esubero e se possono riconcordare con gli istituti i programmi scolastici a seconda delle esigenze produttive.

Ancora una considerazione va fatta circa la crociata intrapresa dalla destra cattolica, qualsiasi sia lo schieramento politico di cui fa parte, per finanziare le scuole private (in maggioranza confessionali). Si tratta della riproposizione di quell'ideale di formazione della nuova classe dirigente da attuarsi in strutture fortemente ideologizzate e da cui è facile espellere qualsiasi elemento di dissenso: ancora un affondo all'idea di scuola pubblica, libera e plurale attenta al libero formarsi delle coscienze.

A fronte di questo scenario dobbiamo registrare ­ una nostra presenza attiva all'interno del movimento medi, ed una difficoltà nell'approntare un intervento, di massa o di Partito, all'interno dell'università. Riteniamo comunque che per il futuro sia utile operare in senso contrario rispetto alla divaricazione e alla separatezza dei due ambiti di intervento essendo la formazione nel suo insieme (media e universitaria) anello centrale del processo di riproduzione sociale. Non a caso il riordino dei cicli e la riforma dell'università sono misure dello stesso segno, che vanno nella direzione di rendere omogenea la formazione ai mutamenti del modello di accumulazione, e nella stessa prospettiva vanno affrontate.

In ultimo intendiamo segnalare la nostra attenzione rispetto alle mobilitazioni degli insegnanti, che negli ultimi mesi si sono dimostrati forse l'unica categoria del pubblico impiego a conservare un'elevato livello di conflittualità. A questo proposito ribadiamo ancora una volta la necessità e l'utilità d'un intervento congiunto con la commissione scuola del partito.

Il movimento medi

Durante l'ultimo autunno abbiamo assistito al nascere ed allo svilupparsi di un interessante movimento di lotta, con un primo momento aggregante nell'iniziativa del mercatino rosso del libro usato, che ha coinvolto gli studenti medi di Milano e di alcune scuole della Provincia.

La riproposizione dello strumento del Coordinamento dei Collettivi Studenteschi come ambito di confronto, di progettazione politica comune e di crescita dei singoli collettivi in ogni scuola, ha senza dubbio mostrato tutta la validità di questo modo di organizzare, di pensare e di agire la politica tra gli studenti medi.

Questa considerazione però non deve esimerci da una riflessione più ampia ed articolata sia sullo stato del nostro intervento all'interno di quell'ambito, che se pure è stato assolutamente egemone ha mostrato in alcune occasioni dei forti limiti di collettivizzazione con il resto del Coordinamento dei Giovani Comunisti, sia su quali possano essere le prospettive d'intervento diretto da parte del Partito nelle scuole.

Il movimento, mettendo al centro le parole d'ordine contro l'autonomia scolastica ed il finanziamento pubblico alle scuole private, si è sviluppato in maniera sufficientemente omogenea, e ha creato uno stato di agitazione durato ben oltre le naturali scadenze delle mobilitazioni studentesche così come le avevamo conosciute negli ultimi anni. Tale struttura, non solo ha portato in piazza migliaia di studenti, ma è sopravvissuta alla ciclicità delle mobilitazioni, presentandosi oggi con elementi di continuità politica tali da consentire la ripresa dell'intervento da posizioni avanzate.

A questo punto è nostro compito prioritario discutere le prospettive politiche e le forme organizzative che riteniamo essere più appropriate allo sviluppo del movimento studentesco. A questo fine, riteniamo necessaria la creazione di una commissione medi o di una vera e propria commissione scuola dei Giovani Comunisti, che possa servire ad estendere al Coordinamento tutto la discussione sugli strumenti che consentiranno alle realtà di movimento di dotarsi di proprie autonome piattaforme rivendicative.

Sarebbe auspicabile che la Commissione portasse al centro del nostro dibattito l'ipotesi di una sintesi possibile del lavoro che i compagni svolgono in strutture differenti, quali il Coordinamento dei Collettivi Studenteschi e i Comitati in Difesa della Scuola Pubblica.

Riteniamo che proprio la mancanza di una commissione che si occupasse specificatamente di questi temi abbia inciso negativamente sull'avanzamento del lavoro politico di quest'anno.

L'esperienza del Cantiere Studentesco ripropone l'esigenza di aprire una riflessione sulla questione degli spazi che le realtà di movimento ricercano come passaggio fondamentale dell'elaborazione e della pratica politica.

In relazione a questo è necessario studiare le modalità che consentano all'esperienza di gestione di uno spazio di non confliggere con la continuità delle forme organizzative sperimentate attraverso l'intervento di massa.

Infine, la ripresa delle mobilitazioni che ha coinvolto il corpo degli insegnanti negli ultimi mesi rende perseguibile la strada di una saldatura tra le lotte degli insegnanti e degli studenti, nella ricerca di una piattaforma rivendicativa comune.

Anche alla luce di queste considerazioni si ripropone l'esigenza di una più stretta collaborazione con il dipartimento scuola della federazione.

L'Università

Nel valutare il nostro intervento all'interno degli atenei milanesi nel corso degli ultimi due anni dobbiamo prendere in considerazione due aspetti tra loro molto differenti: il lavoro dei collettivi (conseguentemente la nostra presenza in questi ambiti), e la grossa percentuale di Giovani Comunisti iscritti nel Circolo universitario del Partito. Lo stato dell'intervento dei collettivi universitari è argomento che deve suscitare in noi una forte preoccupazione anche alla luce della considerazione che i collettivi stessi, nel corso di un Seminario svoltosi lo scorso inverno, hanno avvertito la necessità di interrogarsi sul senso della propria funzione all'interno delle Università in questa fase. Gli elementi di questa riflessione sono da riportare al centro del dibattito del Coordinamento e non vanno demandati all'approfondimento del solo Circolo Universitario. Riguardano l'evidente abbandono dell'iniziativa politica in alcune facoltà, dove il numero dei componenti del collettivo è ormai troppo esiguo, e le difficoltà incontrate da altri collettivi, seppur numericamente più consistenti. Molti di questi infatti stentano a riconoscersi in un carattere identitario forte e scontano la mancanza di "memoria politica". Il dibattito sugli organismi di rappresentanza degli studenti, poi, è ancora fermo sulle questioni, pur centrali, della rappresentatività di tali istituti.

La considerazione sui cambiamenti profondi che hanno investito in questi anni la realtà delle università milanesi ci porta a scontrarci con una realtà sempre più disaggregata dove la presenza fisica degli stessi studenti è sempre più estemporanea e, quindi, difficile da organizzare. L'apertura dei nuovi poli universitari, poi, ci pone il problema della mancanza assoluta di strutture preesistenti, con il conseguente interrogativo di quali modelli si possano, eventualmente, riproporre o se esistano nuove modalità d'intervento politico in quelle realtà specifiche.

Questione molto diversa e che non dobbiamo essere portati a confondere è quella inerente all'attività del Circolo universitario, sul quale va aperto un'intervento più meditato in appoggio a quelle campagne che il Circolo intende lanciare e che possono essere di stretta attinenza con il lavoro dei Giovani Comunisti. Demandare il lavoro della ricostituenda commissione università al Circolo, attuando una sorta di osmosi del lavoro politico in virtù della cospicua presenza di Giovani Comunisti in quel Circolo del Partito, rischierebbe, come già considerato, di stralciare dal dibattito del Coordinamento e dell'organizzazione tutta elementi di riflessione su una questione giudicata centrale nell'intervento politico dei Giovani Comunisti.

Molto interessante, invece, si potrebbe rivelare il tentativo, per altro già cominciato, di avviare una campagna anche di natura vertenziale con l'appoggio dei sindacati degli inquilini, sul problema della casa che ogni anno attanaglia migliaia di studenti fuori sede, facili prede del ricatto dei proprietari. La possibilità di aprire un fronte di lotta, organizzato e gestito direttamente dal Partito, sarebbe un'occasione di radicamento e di visibilità che non dovremmo sottovalutare. Lo sforzo per approntare un'operazione di questo tipo è troppo gravoso per le sole forze del Circolo che andrebbe dunque coadiuvato in questa direzione, se valutiamo che possa essere un momento di sintesi politica tra diverse soggettività in grado di aggregare un numero di studenti non indifferente.

Globalizzazione - I movimenti internazionali di lotta e la realtà locale.

E' necessario continuare, sul piano dell'analisi e nelle mobilitazioni, il percorso che vede i Giovani Comunisti partecipi dell'elaborazione del Partito sui temi della globalizzazione dei mercati e degli strumenti di lotta contro l'attuale forma della ristrutturazione capitalistica.

Questo documento, nel produrre riflessione e proposta a partire dalla realtà del territorio di Milano e provincia, deve assumere i temi centrali del dibattito in corso e tentare di definire su questa base le linee centrali del nostro intervento.

Quello che pare essere un disgelo sociale, l'annuncio di un ciclo di lotte sul terreno internazionale, si costruisce contro le istituzioni sovranazionali a-democratiche che agiscono oggi le politiche capitalistiche neo-liberiste.

La devastazione economica e sociale prodotta, in ogni continente, attraverso le politiche imposte agli Stati nazionali da Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, World Trade Organization, è oggi leggibile in misura tale da aprire contraddizioni anche all'interno di queste stesse organizzazioni (dall'ex presidente del FMI Camdessus che "riconosce" l'allargamento della forbice sociale tra le popolazioni del centro e della periferia capitalistica, alla stessa B.M. che esplicita, pur genericamente, questo fallimento).

Non è ininfluente sulla vita di milioni di persone su tutto il pianeta il ruolo di questi organi di gestione economica e finanziaria del capitale. Il segno delle politiche economiche che queste istituzioni mondiali sono impegnate a promuovere è perfettamente in linea con le direttrici della controrivoluzione liberista: avviata da M.Tatcher e da Regan: totale liberalizzazione dei movimenti di capitale (liberalizzazione che non permette la distinzione tra transazioni puramente speculative e investimenti produttivi) sul versante finanziario; frammentazione e delocalizzazione del processo produttivo (nel tentativo di abbattere i costi comprimendo verso il basso i salari in quei paesi dove la forza lavoro è abbondante e le garanzie sindacali scarse) sul versante della produzione.

Aumento della povertà a seguito delle politiche di "aggiustamento strutturale", impossibilità per interi continenti di costruire strutture istituzionali rappresentative degli interessi popolari, gestione economica del credito che strozza economicamente le popolazioni del "Terzo Mondo": queste le realtà contro le quali si sono sviluppate le mobilitazioni che hanno trovato sbocco nelle giornate di Seattle e che si stanno definendo in questi mesi, attraverso l'organizzazione di eventi internazionali (le recenti manifestazioni a Praga, quelle in programma a Nizza e Porto Alegre) o nazionali (pensiamo, in Italia, a MobiliTe-Bio o ai Convegni del Forum Mondiale delle Alternative, alla prima conferenza di Lilliput) sui quali anche il nostro Partito è impegnato. Non possiamo esimerci, a questo proposito, da una riflessione sulle evoluzioni delle forme della protesta e sulla composizione della stessa (la presenza o meno delle organizzazioni sindacali, le "priorità tematiche"... ) nel passaggio da Seattle a Praga.

La guerra che la NATO ha aperto nei Balcani e le distruzioni prodotte, così come il processo di penetrazione capitalista nella "ricostruzione" in Jugoslavia entrano direttamente in questa analisi.

Dobbiamo forzare il nostro ragionamento e la lettura delle condizioni nelle quali operiamo, per cogliere il nesso che lega i contenuti di queste mobilitazioni alla vita nel territorio metropolitano e nella realtà milanese.

Il fallimento del MAI (Accordo Multilaterale sugli Investimenti), ottenuto per merito dell'impegno dei movimenti internazionali e del Governo francese che ha negato la firma, ha segnato un rifiuto del tentativo di ergere il mercato a giudice unico della condizione di vita delle persone; il tentativo cioè di definitiva sottomissione delle istituzioni rappresentative da parte del mercato e delle multinazionali.

Milano, roccaforte della destra e delle politiche di smantellamento del pubblico, vuole essere, nell'ottica del nostro avversario di classe, esattamente il laboratorio dove si riproduce, in scala locale e poi nazionale, il medesimo tentativo.

Il territorio metropolitano è testimone da un lato della pressione che il mercato esercita sul mondo del lavoro così come si è configurato nelle "nostre" condizioni storiche (citiamo il Patto per il lavoro, tentativo di sbriciolare la contrattazione nazionale, ridurre sensibilmente i salari, scatenare "lotte tra poveri"), dall'altro della volontà ferma del capitale di innervare, controllandole, le strutture fondanti della vita sociale: politica della formazione (i privati possiedono infatti il 50% delle strutture scolastiche per l'infanzia e intervengono pesantemente sulla scuola superiore e l'Università, rivendicando oggi ulteriore autonomia rispetto a qualunque gestione pubblica); Politiche sociali (pensiamo alla controriforma sanitaria di Formigoni e alla chiusura delle strutture pubbliche e territoriali di assistenza, in nome della razionalizzazione finanziaria); ordine Pubblico, associato alle azioni repressive contro ali spazi sociali autogestiti e contro gli immigrati. Quest'ultimo punto, concretizzatosi ad esempio nella vicenda ancora aperta del centro di permanenza di via Corelli, evidenzia drammaticamente il peso che le politiche neoliberiste esercitano sulle economie delle "periferie" capitalistiche, rendendo necessaria, per il capitale, la costruzione di "muri" legislativi e polizieschi eretti ai nostri confini, al fine di filtrare la manodopera impoverita ed agevolarne qui lo sfruttamento.

Il ruolo dei Giovani Comunisti, in relazione all'elaborazione del Partito tutto, deve contribuire al rafforzamento del movimento strutturatosi in questi mesi, rilevandone il carattere composito; si deve approfondire la riflessione sugli elementi che permettano di ribadire la centralità del lavoro e della questione di classe in una prospettiva di superamento del capitalismo.

Il lavoro.

La principale commissione tematica, di cui i Giovani Comunisti si sono dotati durante questi ultimi mesi, è stata quella che ha trattato le questioni del lavoro.

Riscontrando nel nodo capitale lavoro il paradigma tuttora centrale intorno a cui si delineano dialetticamente i processi della vita umana in una fase di profonda ristrutturazione del capitalismo italiano e mondiale, ci è parso naturale tentare di dotare i Giovani Comunisti degli strumenti politici e teorici per la costruzione d'un intervento di massa tra i lavoratori. Questi sono ancora, infatti, il motore agente della trasformazione.

Si è dato così il via ad un lavoro di analisi delle nuove forme contrattuali largamente diffuse negli ultimi anni e dei rapporti sociali che questi cambiamenti determinano. Il documento che ne è nato (e che ha avuto buona circolazione nel Partito e tra i suoi tesserati in alcune sigle sindacali) tenta non solo di avviare un dibattito il più ampio possibile intorno a questi temi, ma s'interroga (e ci interroga) sulle forme e i modi per incontrare il mondo del lavoro precario.

Nel dibattito degli ultimi mesi abbiamo più volte fatto cenno al profondo scontro tra le diverse anime del capitale nazionale che trova in Milano un buon campo di sperimentazione per nuovi assetti di potere economico e politico. In un territorio, comprensivo della sua provincia, con livelli storicamente bassi di disoccupazione, l'80% dei nuovi contratti di lavoro ha una forma "atipica". Questo è indicativo di come gli aspetti più devastanti delle politiche concertative stiano radicalmente mutando il quadro del lavoro anche nelle zone di antica industrializzazione, e di quanta difficoltà possano incontrare i lavoratori nel dotarsi di forme organizzative atte a contrastare una situazione di crescente precarietà. Serbatoio di lavoro precario è anche la massa di lavoratori, che ancora godono del "privilegio" di un contratto a tempo indeterminato, in via di espulsione dal tessuto produttivo. (Gli esempi a noi più vicini, ma non certo gli unici, sono lo smantellamento dell'Alfa di Arese ed i progetti di smembramento dell'ITALTEL). Di fronte a questo processo il Sindacato Confederale appare colpevolmente impotente, se non addirittura plaudente, come nel caso della CISL, rispetto alla modernizzazione dei processi di sfruttamento. Questa ha già preparato la propria evoluzione politica in soggetto riaggregante del centro ex-DC ed è pronta a diventare il sindacato di riferimento di Fl.

Quando, come sta accadendo a Milano per i lavoratori delle municipalizzate, la controparte è il Sindaco del Polo (arrivato a tacciare di terrorismo i lavoratori contrari al suo piano di dismissione dei servizi) i guasti politici e culturali, prodotti da oltre dieci anni di subalternità della sinistra moderata, si fanno sentire con tutto il loro peso. Il Partito tutto è chiamato ad uno sforzo di comprensione dei fenomeni e ad un impegno incessante per riconquistare quell'egemonia sui lavoratori che i DS non hanno ancora perso del tutto. In questa direzione va letta la convocazione della Conferenza Nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti.

Bisogna ricominciare a riflettere, in un'epoca in cui non è più presente l'influenza dei paesi dell'est e degli accordi di Yalta, sul nodo produzione-rivoluzione: essendo cambiata nei suoi modelli la prima, va aggiornata la teoria e la pratica della seconda.

È ancora necessario ricondurre, per affrontarli, tutti i fenomeni che insistono sui nostri territori o sui luoghi di lavoro e di studio (come quello migratorio) all'interno di un paradigma che veda come contraddizione primaria la contraddizione di classe. Questa, oggi, guadagna peculiarità transnazionali nella possibilità di uno sfruttamento a ciclo continuo sia nel tempo che nello spazio (spazio da intendersi in termini geografici e in termini di relazione). La pervasività dei processi di riproduzione sociale si è spinta ben oltre i limiti conosciuti sino a pochi decenni fa: le " culturali" della destra, infatti, intendono non soltanto azzerare il livello di combattività della classe operaia, ma anche estinguerne la coscienza collettiva svuotando i momenti di partecipazione alle istanze democratiche dello Stato. Il forte aumento dell'astensionismo ci dice qualcosa in proposito.

Lo Stato nazionale viene da una parte svuotato dei suoi compiti di ammortizzatore sociale (nella nostra Regione abbiamo "brillanti" esempi di controriforma sociale di stampo liberista: nella scuola, nella sanità e nei servizi. L'ipotesi di devolution fortemente caldeggiata da Formigoni non può che segnare un ulteriore arretramento in questa direzione), e dall'altra è lontano dall'essere superato nella sua forma classica (Stato-nazione) dalle ragioni del libero scambio (pensiamo agli accordi commerciali che gli USA impongono ai propri partner: il flusso delle merci è "libero" in un senso solo a causa delle barriere protezionistiche rispetto alle merci in entrata).

L'interrogativo centrale da porsi riguarda le forme e i modi di una possibile riaggregazione della maggioranza dei lavoratori, quali che siano le loro condizioni di lavoro, intorno ad un progetto di cambiamento della società. Un interrogativo di questo tipo coinvolge tutti gli aspetti della riflessione classica in seno ai Partiti Comunisti, primo tra tutti quello inerente la forma ed il ruolo del Partito stesso, i suoi rapporti con le organizzazioni di massa, con le altre forze della sinistra e con gli intellettuali.

Non saranno i Giovani Comunisti a fornire esaurienti spiegazioni a questi fenomeni né a dare delle risposte compiute a questi interrogativi, ma se non dovessimo tenere presente che è questa la sfida che stiamo combattendo, allora qualsiasi nostra iniziativa, per quanto ben congegnata, avrebbe un valore assai scarso. (Qualcuno, molti anni fa, diceva che il raggiungimento di un risultato è valido solo se l'obiettivo da raggiungere era stato dichiarato prima dell'inizio della campagna...).

I primi passaggi del nostro intervento ci hanno visto impegnati nella raccolta di questionari sulle condizioni di lavoro durante la Festa, nell'aiuto alle lavoratrici della Coin durante il primo sciopero di precari in cui siamo stati coinvolti direttamente, nell'interlocuzione avviata con i lavoratori delle Poste minacciati dal piano di riorganizzazione aziendale.

Il nostro lavoro non è stato però in grado di coinvolgere il maggior numero di compagni possibile, né di darsi una direzione chiara.

Supplire a questa mancanza significa essere in grado di dotarsi di un programma di medio periodo che preveda passaggi di formazione e di studio, di inchiesta e di elaborazione, di coinvolgimento di ampi settori della società in una rinnovata partecipazione a processi collettivi di decisione rispetto le modalità di gestione delle mobilitazioni possibili e la riflessione sulle forme organizzative più adatte.

Vi e la necessità di avviare un processo di costruzione di una progettualità ampia e articolata che inevitabilmente passi per la tematizzazione, all'interno e nel confronto continuo con processi reali, delle questioni della ricomposizione sociale. Questo non può prescindere dal considerare, anche in una prospettiva dialettica, le differenze di collocazione - in particolar modo sulla questione sindacale - e di percorsi esistenti. Significa "fare" la linea del Partito sulle tematiche del lavoro, calarla nei meandri della società e delle sue organizzazioni.

Lo sforzo da compiere è quello di individuare i luoghi del conflitto e i modi per sostenerlo e organizzarlo. Si tratta di entrare in rapporto con tutte quelle realtà sociali organizzate (sindacati, associazioni, centri sociali...) che sul territorio e nei luoghi di lavoro si occupano, da sinistra, di queste tematiche. La proposta di costruzione di un "Libro Bianco" sul precariato, se intesa non soltanto come elemento di ricerca, ma come pratica politica di Partito e di massa, può essere strumento importante di riaggregazione di forze diverse intorno ad un progetto minimo. È questo un passaggio imprescindibile alla creazione di sensibilità comuni che sottendano ad iniziative di più ampio respiro come l'istituzione di "Camere dei Lavori". L'esperienza romana della "Camera del lavoro e del non-lavoro", (seppur non rappresenta un modello perfettamente esportabile in una realtà come quella milanese, afflitta in minor misura dal problema della disoccupazione) è una delle possibili tesi da mettere a verifica. Giudichiamo, infatti, interessante la capacità vertenziale e di relazione che questa realtà è riuscita a produrre nel suo territorio.

Ragionare collettivamente su una proposta minima da avanzare ad altre forze della sinistra d'alternativa è, per il Partito, presupposto alla creazione di un blocco antagonista nella città di Milano. Il metodo dell'inchiesta, per la costruzione di campagne che contrastino la crescente precarizazione del lavoro, implica necessariamente, nel suo utilizzo, la ricerca di un legame più organico e cosciente con quei lavoratori che si vogliono rappresentare. La pratica della ricerca del consenso di massa alle nostre politiche è l'unica modalità di approccio che ci eviti l'autoreferenzialità.

La realtà di Milano ha anticipato, con il Patto per il Lavoro, quella radicalizzazione dello scontro di classe che ha come esito un arretramento sui piano dei diritti dei lavoratori punto di vista retributivo, delle garanzie e dell'inquadramento contrattuale. Il Patto per Milano assume carattere emblematico poiché tende allo svuotamento dei diritti proprio attraverso la ricerca di un accordo concertativo.

In un simile quadro le proposte lanciate nelle campagne nazionali dei Giovani Comunisti di Salario Sociale e di Salario Minimo Intercategoriale (SMIC) tentano una controffensiva sia rispetto l'attacco al reddito (i salari troppo alti e poco flessibili sono ideologicamente indicati come causa della persistente disoccupazione italiana ed europea) sia rispetto lo smantellamento dello Stato sociale, il quale non sarebbe altro che un inutile ostacolo al dispiegarsi delle "efficienti" forze del mercato. ' - ~

La questione immigrazione

E' necessario analizzare ed elaborare, in forma di proposta politica dei G.C., le evoluzioni che, nel contesto milanese, riguardano la questione immigrazione.

Milano rappresenta oggi uno snodo centrale per le politiche migratorie italiane. Valga da esempio il primato nel numero di prenotazioni per permessi di soggiorno che hanno fatto seguito al provvedimento del Governo nel febbraio '99: 61.000 richieste a Milano, mentre il decreto rendeva disponibili 250.000 permessi su scala nazionale.

E' in questo contesto che dobbiamo definire l'intervento dei G.C. su obiettivi immediati, inseriti nell'ottica più generale del rifiuto della politica dei flussi migratori dettata dai trattati di Schengen ed Amsterdam e agendo nella prospettiva, inversa, di una reale libertà di movimento delle popolazioni attraverso il superamento degli attuali rapporti di produzione.

Sono temi che orientano oggi movimenti su scala internazionale, ed hanno visto esporsi con un protagonismo nuovo, negli ultimi mesi, gli immigrati italiani (mobilitazioni di Brescia, Roma, Firenze, Milano).

La centralità della questione migratoria viene interpretata lucidamente dalla destra, a caccia di consensi: campagne criminalizzanti e giustizialiste (ricordiamo i fatti di sangue del febbraio '99, attribuiti a "mani immigrate" attraverso una campagna di stampa rivelatasi del tutto infondata; o, ancora, gli sgomberi delle aree ex-Magneti Marelli ed OM), si affiancano a interventi che evidenziano la realtà (e l'urgente necessità, da parte dei comunisti) di una lettura di classe del fenomeno: dobbiamo richiamare ancora il Patto per Milano, che vede nell'impiego di manodopera immigrata sottoposta a flessibilità e forti contrazioni salariali (quindi, messa strumentalmente in concorrenza con i lavoratori italiani) la leva per frantumare ulteriormente i diritti di tutti.

La politica sul territorio è articolabile su più livelli, ma non può prescindere dall'analisi, che va ancora compiuta in modo definito, della natura dei movimenti di rivendicazione (composti e organizzati da italiani ed immigrati) sorti nel corso degli ultimi mesi, che hanno dispiegato la loro azione anche nell'area di Milano, spesso con il contributo del Partito (manifestazione per la chiusura di via Corelli e iniziative/manifestazioni per lo "sblocco" nel rilascio dei permessi di soggiorno).

Bisogna prendere atto di una situazione reale, verificabile anche a livello nazionale: il lavoro che i compagni del PRC sviluppano sull'immigrazione è ampio ed ha permesso di sedimentare un patrimonio di esperienza forte, concretizzatosi da un lato nella definizione di obiettivi politici in larga parte condivisi, dall'altro nella sperimentazione di pratiche e modi del confronto con la popolazione non autoctona.

Questo impegno di iscritti a Rifondazione si compie in prevalenza in Associazioni internazionaliste che sono anche il luogo dove l'elaborazione politica si realizza precedentemente rispetto a quanto avviene nelle strutture interne al Partito. Dobbiamo operare uno sforzo di sintesi e coordinamento che consenta di valorizzare il programma di azione del Partito nel nostro livello territoriale.

Per i motivi illustrati sopra, che mettono al centro la lettura di classe nella questione migratoria, tali elementi di analisi/inchiesta possono prendere forma in stretta relazione con la stesura del "Libro Bianco" sul precariato, che deve diventare strumento attivo di pianificazione dell'intervento politico.

I Giovani Comunisti hanno elaborato negli anni passati esperienze diffuse di organizzazione, spesso rapporto con ambiti di movimento, di scuole di italiano per stranieri e sportelli legali o di consulenza. Si tratta oggi di sostanziare tale bagaglio, attraverso la ulteriore diffusione di questi strumenti di radicamento.

Per questo e per gli altri livelli di intervento è opportuno si pratichino - laddove ne esistano le condizioni - forme di coordinamento intercircolo, al fine di creare le pre-condizioni organizzative per una efficace coperture del territorio ed una migliore circolazione delle informazioni.

Obiettivi direttamente perseguibili riguardano l'inserimento scolastico dei giovani immigrati. E' necessario che il movimento studentesco assuma rivendicazioni quali: rifiuto della distribuzione discriminatoria italiani-stranieri nel contesto di scuole di "serie A" e di "serie B"; aumento del numero delle figure - dimostratesi in questi anni necessarie - di mediazione culturale.

I G.C devono contribuire in modo attivo al movimento che contrasta, dentro l'impianto della legge Turco-Napolitano, l'apertura dei Centri di Permanenza Temporanea. A Milano, la riapertura (mese di ottobre) di via Corelli porta alla nostra attenzione una questione generale: non basta respingere il tentativo - da parte del Governo nazionale e locale - di riaprire, in qualunque forma, analoghi luoghi di pre-espulsione (in Italia, oggi, sono attivi 11 CPT); bisogna lavorare perché il movimento contro il proliferare dei centri assuma rivendicazioni politiche più ampie, con l'obiettivo di imporre, attraverso le lotte unitarie sul territorio una radicale ristrutturazione della legge Turco-Napolitano. Non possiamo nasconderci (la realtà di questi mesi lo dimostra) che il solo obiettivo di contrastare i CPT è risultato perdente, di fronte alla volontà del Governo di costruire i centri ovunque risultasse possibile.

L'interlocuzione con la cultura critica di impronta cristiana, molto attiva su questo terreno, e l'elaborazione propria di molta parte dei centri sociali e delle realtà autogestite può avere luogo e concretizzarsi solo se parte dal confronto sulle piattaforme politiche ampie cui abbiamo accennato.

Le iniziative dei GC, il materiale relativo alle campagne locali e nazionali, devono essere propagandati e diffusi anche tramite la traduzione in più lingue (strumento minimo, questo, di circolazione delle idee).

L'organizzazione

Per quanto riguarda l'organizzazione, riteniamo che il rapporto tra Coordinamento GC e circoli del Partito sia questione centrale su cui lavorare.

Il Coordinamento provinciale dei Gio.Co deve essere strumento in grado di recepire le esigenze e le istanze dei compagni che lavorano - attraverso i circoli - sul territorio, ma allo stesso tempo deve essere in grado di fornire agli stessi compagni gli strumenti politici e organizzativi atti a collettivizzare le tematiche e le iniziative affrontate a livello centrale.

In questo senso va favorita la formazione di commissioni interzonali laddove i compagni abbiano in campo interventi territoriali o tematici affini e utilmente coordinabili.

Tali commissioni andrebbero ad affiancare quelle "centrali" già esistenti - pensiamo alla positiva elaborazione della commissione lavoro - e quelle che riteniamo utile rilanciare.

A questo proposito è utile aprire una riflessione sugli strumenti organizzativi di cui dotarsi per affrontare le questioni della formazione. Abbiamo insistito sulla necessità di trattare in una visione unitaria (perché dello stesso segno politico e ideologico sono le politiche del Govemo) le tematiche della scuola e dell'Università e in tal senso proponiamo un rapporto più organico con la commissione scuola della Federazione.

Rispetto alle necessità che emergeranno nel dispiegarsi dell'intervento politico in questi due ambiti (scuola e università) si valuterà l'opportunità di affrontare le tematiche relative in un'unica commissione Formazione con due terreni d'intervento o se sia invece più utile dotarsi di strumenti organizzativi differenziati.

Resta salva la necessità che le questioni universitarie non rimangano campo di riflessione del solo Circolo Universitario e che l'intervento sui medi trovi riscontro politico nel Coordinamento.

Riguardo la riflessione già avviata sulle tematiche della formazione interna, riteniamo opportuna l'istituzione di un gruppo di lavoro il più largo possibile che possa portare avanti l'attuale elaborazione, in particolar modo relativamente alle questioni internazionali (pensiamo al lavoro oggi in campo sulla Palestina) e alla globalizzazione.

Un momento organizzativo più compiuto deve trovare anche l'elaborazione sulle tematiche del territorio e dell'immigrazione, dal momento che negli ultimi mesi si è più volte insistito sulla necessità che i Giovani Comunisti tornino ad occuparsi in maniera più attenta di tali questioni, anche alla luce dell'intervento in questa direzione di diversi collettivi territoriali in cui tanti nostri compagni si sono spesi.

È inoltre necessario individuare un gruppo di compagni che segua da vicino le questioni specificatamente organizative e che possa assicurare una presenza costante dei Giovani Comunisti in Federazione.