Lettere a Berlinguer.
Insegnanti
delle elementari e delle medie contro il
concorsone. Maggio 1999-Gennaio 2000.
Egregio signor
Ministro,
sono Marta, una maestra che dal 1977 lavora nel mondo della scuola.
Le scrivo per esprimerle quello che sto vivendo in questo periodo storico nei
riguardi del mio essere una componente, spero importante, del grande mondo dimenticato
della scuola pubblica.
Da quando mi ritrovo a lavorare nella classe, ne ho viste di tutti i colori
Ho lottato, insieme a migliaia di altre colleghe/i e di genitori, per ottenere
il Tempo Pieno come modello scolastico che permettesse ai bambini/e di apprendere
in modo attivo e più rilassato rispettando i loro tempi e ritmi.
E ho lottato "fino all'altro ieri" perché questo modello scolastico
non fosse cancellato con un semplice colpo di spugna, buttando a mare almeno
due decine di anni di sperimentazioni e di innovazioni che hanno permesso a
tutta la scuola pubblica di "andare avanti" a testa alta.
Ho dovuto accettare, mio malgrado, contratti di lavoro che riducevano il numero
delle ore di insegnamento da 24 a 22, venendo a perdere così ore preziose
di contemporaneità.
Ho assistito ad un irrigidimento progressivo della nostra professionalità
costretta all'interno di suddivisioni, decise a tavolino, di ambiti disciplinari;
cambiamento questo che ha lentamente ma inesorabilmente trasformato la scuola
elementare in un'anticamera della scuola media.
Ho lottato affinché non venissero eliminate dalla nostra pratica quotidiana,
le ore di compresenza: unico strumento utile per l'intervento individualizzato
attraverso la metodologia del laboratorio.
Tutta la mia carriera scolastica (le parlo a nome personale per comodità
ma sappia, signor Ministro, che queste sensazioni/azioni sono patrimonio di
un numero elevatissimo di maestre e maestri) è stata segnata da energie,
tante energie utilizzate per difendere le poche conquiste che con fatica e passione
siamo riuscite ad ottenere e fare nostre; per trovare degli antidoti che potessero
annientare il pericolo di avvelenamento della realtà scolastica (che
nello specifico è la relazione educativa di apprendimento con i bambini/e)
Ne ho viste tante, ma mai come ora sento un sentimento di estraneazione e di
incomprensione per ciò che sta accadendo intorno al mio/nostro mondo
della scuola.
Ho letto il testo del nostro nuovo contratto di lavoro. E sono spaventata dalle
conseguenze che l'attuazione di quelle norme comporteranno per gli anni a venire.
Mi riferisco nello specifico alla vostra (sua e di coloro che hanno partecipato
alla stesura e approvazione ) decisione di dare visibilità alle "brave"
maestre attraverso la monetizzazione del loro intervento sui bambini/e, sui
ragazzi/e.
Cercherò di raccontarle quelle che sono le mie posizioni .
Il nostro lavoro non è monetizzabile. Un numero sempre più crescente
di economisti, scienziati politici, politologi (penso tra gli altri a Rifkin,
Morin, Rodotà) pone il lavoro comunicativo-relazionale, che non produce
merci e di cui è prototipo il lavoro di cura, al centro di un progetto
di società più umana e civile, non regolata appunto dal primato
del denaro e del mercato. Perché, invece, vuole inserire con forza una
logica di separazione/discriminazione individuale all'interno di un luogo da
sempre richiamato a pratiche collegiali e di lavoro di gruppo? Come è
possibile, mi chiedo, misurare l'azione relazionale ed educativa di una maestra
attraverso una prova concorsuale teorica sulle metodologie? E quali sono le
metodologie pedagogico-didattiche più gradite al Ministero? Le chiedo
questo, non per amore di polemica, ma perché tempo fa mi sono imbattuta
in un direttore didattico (o dirigente scolastico come meglio preferisce), che
mi vietò di attuare nella mia classe una pratica di autovalutazione dell'apprendimento
e delle conquiste relazionali da parte dei miei alunni/e perché riteneva
che questa metodologia non fosse "seria" né "attendibile"
e, peggio, mi collocasse in un ruolo subalterno rispetto ai miei alunni/e. I
suoi parametri pedagogici-didattici erano diversi dai miei. Per onore di cronaca,
le comunico che quella volta decisi ugualmente di attuare il mio progetto didattico,
lo feci assumendomi le mie responsabilità. Fui richiamata e dovetti utilizzare
energie preziose per "difendermi" dalle contestazioni a mio carico.
Un'altra cosa mi ha negativamente colpita sulle vostre scelte contrattuali.
Davvero siete convinti che solo il 20% dei docenti italiani siano meritevoli
di riconoscimento di "bravura"? Davvero lo Stato italiano è
convinto che l'80% delle persone che lavorano nella scuola pubblica non siano
degni di tale considerazione? Se questo fosse vero non avrebbe senso che esistesse
una scuola di questo basso livello E' forse per questo che si dà spazio
all'avanzare della scuola privata? La realtà che conosco io, le assicuro,
è diversa: sono in numero molto più elevato le colleghe/i che
nel proprio lavoro mettono passione, intelligenza e tempo di vita.
Un altro racconto. Nella scuola dove lavoro io, le ore di attività prodotte
per l'attuazione dei progetti sono pagati con l'incentivo. Quest'anno sono talmente
tanti i progetti e pochi i soldi a disposizione che il Collegio dei docenti
ha deciso di "abbattere" del 67% le ore di ognuna di noi. Io, a questo
punto dell'anno scolastico, ho finito le ore per le quali ero stata autorizzata
dal direttore. Che cosa faccio? Domani entro in classe e dirò ai miei
27 bambini/e: "Mi dispiace, ragazzi, ma da oggi non andremo più
nell'aula del laboratorio di informatica perché io non sono più
pagata?", oppure: "Non si può più fare attività
teatrale perché devo lavorare gratis!", o ancora: "Non andiamo
più nella biblioteca di plesso perché è chiusa, io non
sono più pagata per mantenerla efficiente!". Lei crede che farò
così? NO. Nel primo incontro con gli ispettori del monitoraggio sull'autonomia,
uno di loro in relazione alla quantità di attività che nella nostra
scuola si attuano, provocatoriamente, ci ha chiesto: "Ma chi ve lo fa fare?"
La risposta è: la nostra passione e competenza nel mettere a disposizione
conoscenza e affetto per bambini/e in divenire, con cui siamo in relazione pedagogica.
Non solo, io continuerò a farlo perché so che anche Carmen, Gianna,
Vincenza, Enza, Domitilla, Piera e tante altre continueranno come me, nonostante
non siano pagate/i. Lei è convinto che, anche quando all'interno del
mio Collegio ci sarà chi prenderà 6 milioni in più di stipendio
e chi, pur considerandosi "bravo/a", percepirà alla fine del
mese il suo "misero" salario, accadrà la stessa cosa? Oppure
i colleghi/e "più poveri" si rifiuteranno, giustamente, di
continuare a collaborare come avviene oggi? Ha pensato a quello che accadrà
quando si inserirà nella mente di tutti noi, il senso simbolico del "a
ogni azione il suo denaro"?
Tante e altre sarebbero
le osservazioni da fare rispetto a questa nuova filosofia che sta permeando
il mondo della scuola, ma mi fermo qui per non rischiare di rendere vano ciò
che le ho detto finora.
Le chiedo però di riflettere sulle seguenti proposte.
Non sarebbe meglio aumentare in modo dignitoso lo stipendio a tutti/e i/le docenti
di ogni ordine e grado? Lei crede davvero che le/gli insegnanti che manterranno
lo stipendio standard, perché "non brave/i", saranno spronati
a qualificarsi per offrire un servizio migliore?
Non sarebbe meglio dare ad ogni scuola un finanziamento superiore a quello attuale
da utilizzare per riconoscere, come incentivo, le ore in più di lavoro
progettuale che hanno una ricaduta positiva su tutta la scuola?
La mia-nostra carriera scolastica continuerà a proporre il meglio e a
rifiutare le "chimere" che interferiscono pesantemente col nostro
progetto per una scuola pubblica libera e leggera.
La ringrazio per l'attenzione che ha voluto fin qui concedermi, spero non invano.
Marta
Gatti
Insegnante elementare
Coordinamento scuole a Tempo Pieno di Milano e provincia
LONTANO DAGLI OCCHI, LONTANO DAL CUORE
C'è chi
parla, decide e legifera di, e su, cose che ha lontane dal proprio sguardo e
indica soluzioni che sono lontane dal cuore di chi le vive. Così è
oggi per la scuola italiana. Io insegno da ventisette anni e conosco il suo
cuore. La scuola è fatta da viventi e questo significa dialogo e relazione.
La relazione pedagogica, incontro tra la persona adulta e la giovane, è
scambio continuo di domanda e risposta, di parola e ascolto, disequilibrio e
riequilibrio, mediazione tra i contenuti disciplinari, i bisogni, la creatività.
Il cuore pulsante della scuola è questa relazione senza la quale non
c'è passione né da parte di chi insegna nè da parte di
chi impara, c'è noia e dispersione e quando va bene piatto nozionismo.
Questa relazione, funzione centrale dell'essere docente, ne trascina con sé
altre, vitali per il percorso educativo. La misura per sapere se sono una brava
insegnante è l'autorevolezza che mi viene riconosciuta da tutte le persone
con cui stabilisco un rapporto di scambio. Il riconoscimento di autorevolezza
avviene nel tempo e nel luogo della relazione, nel divenire continuo di questa
e non è possibile portarlo fuori da quello spazio e da quel tempo per
misurarlo e valutarlo. Per essere considerata una brava insegnante, con conseguente
crescita salariale, mi si prospetta invece nel contratto un esame ma, anche
il più vicino a quanto detto prima (temo che il sapere richiesto sarà
altro) non potrà mai quantificare la mia bravura nella relazione pedagogica
perché - e noi lo sappiamo bene - sapere non coincide automaticamente
con saper insegnare. E' su questo saper insegnare, sulla passione e la creatività,
sullo scambio e la voglia di tentare, portata avanti da tante donne e da quegli
uomini che hanno saputo apprendere questa capacità femminile di relazione,
che la scuola italiana è andata avanti, nonostante tutto. Molte e molti
di noi in tutti questi anni, con i pochi mezzi a disposizione, sotto la spinta
della necessità e con un gesto volontario e creativo, hanno trovato luoghi
e momenti più adeguati allo scambio pedagogico. Dentro alla scuola c'è
il sapere necessario per rinnovarla e la riforma della scuola può partire
solo da lì:
dalle persone in carne ed ossa che la abitano, Per far una "buona' scuola
abbiamo bisogno di non dover rubare luoghi e ore ad una attività per
poterne fare un'altra. Dobbiamo stare agli accadimenti reali, alle esigenze
e alle risorse che si presentano di volta in volta, in un cammino non legato
a una rigida programmazione perché è un cammino di viventi. Leggendo
il contratto si intuisce che pochi sono i soldi destinati alla scuola pubblica,
soprattutto quelli relativi a un adeguamento salariale che coinciderebbe automaticamente
con un innalzamento della qualità. Di questi pochi denari troppi sono
quelli destinati a interventi formativi esterni e scarsi quelli che ci permetterebbero
di giocare con maggior agio la rigida carta dell'autonomia. Retribuire meglio
le attività aggiuntive, nelle quali non devono figurare le supplenze,
legandole alle esigenze della singola scuola, chiarire le nebulosa funzioni-obiettivo
(art.2l) e eliminare l'art.22 (esame costoso e ridicolo) è un modo per
usare meglio i pochi denari. Se questo contratto passerà, all'80% di
noi non verrà riconosciuto il valore del proprio lavoro, penseremo con
più rabbia "ma chi me lo fa fare', oppure eviteremo quello scambio
di esperienze e di sapere, così vitale nella scuola temendo che qualche
collega "copi" superandoci nella valutazione del curricolo.
Gioconda
Pietra
Insegnante di ed. fisica scuola media
Movimento dell'autoriforma
Marta, Stefania,
Clara, Giovanna, Lino, Marinella, Vera, Ettorina, Concetta, Melania,Cristina
e via via tante altre siamo buone maestre; amiamo il nostro lavoro, siamo impegnate
a fondo nelle relazioni che quotidianamente viviamo con bambini e bambine diversissimi/e.
Marta con i suoi 28 alunni, Stefania con i suoi "cinesini", Marinella
con Francesca, affrontiamo ogni giorno i problemi che tanti insegnanti ben conoscono:
come conquistare fiducia e rispetto, come catturare e veicolare attenzione,
come tenere vigili le antenne per cogliere umori, emozioni, curiosità,
voglia di parlare e di raccontare. E contemporaneamente seguire il "programma",
programmare le attività. le uscite, i "laboratori". Ascoltare
le ansie e le aspettative dei genitori. Compilare registi, annotare "osservazioni
sistematiche", trovare criteri di "valutazione oggettiva', emettere
giudizi. lmbarcarci in estenuanti corse per mettere a punto "progetti"
per realizzare un'autonomia ingabbiata e ricattata da "flnanziamenti"
ad hoc.
E' qualche volta difficile, in questo contesto valutare le priorità.
Ricordarci che i protagonisti della scuola siamo noi e i nostri alunni e alunne,
che l'apprendimento è cosa viva, intessuta di emozione e ragione e che
il vivente non può essere misurato.
Vede, signor Ministro, noi non possiamo accettare di essere misurate; come non
possiamo misurare i nostri alunni/e; noi possiamo e dobbiamo essere valutate
all'interno del nostro agire con alunni, alunne.
E non possiamo neppure essere 'premiate' con una ricca mancia che ci darebbe
il marchio di qualità.
Certo potremmo essere pagate di più chiedendo a tutte/tutti noi che insegniamo
più attenzione e rispetto per bambini, bambine, ragazzi, ragazze che
hanno tutto il diritto di volere il meglio nell'istituzione che pretende di
essere il luogo dei saperi di base, indispensabili per attrezzarsi a vivere
nella società da protagonisti consapevoli e da cittadini/e.
Non pensiamo che marchingegni organizzativi aziendali, rilancio delle carriere,
stimolazione della competizione siano strumenti idonei a qualificate una scuola
che deve intervenire su un presente frenetico e un futuro incerto.
Marinella
Vignolo
Insegnante di sostegno scuola elementare
Coordinamento scuole a Tempo Pieno di Milano e Provincia
Finalmente si premia
la professionalità. Questo il commento di sindacati (non tutti per fortuna)
e ministro per la chiusura del contratto della scuola. Non mi risulta: gli stipendi,
anche con il misero aumento, rimangono di gran lunga inferiori a quelli europei,
anche dei paesi che, come la Spagna, sono agli ultimi posti.
Esultano perché hanno introdotto a "carriera": il ministro
intende così "scoraggiare la corsa al pensionamento", sostiene
che fare carriera renda le scuole 'luoghi apprezzabili" (Unità,
5-3-99). Dal mio punto di vista di insegnante invece è una finta valorizzazione.
Fa un'operazione di immagine dei pochi soldi investiti nell'istruzione e protervamente
mantiene l'autonomia tutta centralizzata: infatti anche la "carriera"
verrà gestita dal centro. Ma il mio dissenso più radicale riguarda
il fatto che il loro punto di vista non ha minimamente registrato che le scuole
sono diventate a prevalenza femminile, e diversi sono i criteri -sarebbe ora
di ascoltarli- sull' "apprezzabile". Io, come tante altre insegnanti,
non mi sento stimolata dalla competizione, mi piace invece lavorare bene e a
questo dedico tutto il tempo che occorre. Per es. alla chiusura dei numeri del
giornalino scolastico -che dirigo- sto a scuole giornate intere fino a sera.
Lavoro con altre colleghe altrettanto coinvolte e mi sentirei imbarazzata a
ricevere io sola più soldi, quando è la relazione tra le nostre
competenze che ne permette la realizzazione. Meglio sarebbe un "premio
di gruppo"! L'elemento trasformativo a scuola non è stabilire chi
è più brava(o), ma far sì che la bravura sia contagiosa,
per costruire un ambiente diffusamente ricco di stimoli.
La differenziazione, anche economica, c'è già da anni, ogni scuola
ha attività speciali (giornalini, teatro, multimedialità, orientamento
ecc), pagate anche queste troppo poco. Non condivido l'idea ormai egemone anche
in gran parte della cosiddetta sinistra (maschile?) che solo la competizione
permetta di uscire dall'appiattimento egualitario. In questi anni insegnanti
di parecchie scuole hanno cercato di uscirne con una politica -la politica delle
donne- che valorizzasse le differenti capacità e intelligenze o che le
tenesse in relazione. Tutt'altra strada: cooperativa invece di competitiva.
Il nostro è un lavoro particolare, che per certi versi si avvicina al
vivere stesso: e intrinsecamente relazionale. Quando è fatto bene la
competenza non è districabile dall'attenzione, dal piacere di esserci,
dal gusto. E' questa la qualità dell'insegnamento e oggi come ieri si
ricorda l'insegnante che la possedeva, a dispetto di tutte le teorizzazioni
del bravo prof. come bravo programmatore di input e di output. Oggi la soggettività
è ciò che abbiamo di più prezioso di fronte a generazioni
completamente diverse da noi, con cui non è scontata la condivisione
dei codici culturali e linguistici, anzi occorre imparare qualcosa da loro per
poter insegnare, occorre un "tramite soggettivo' per superare la loro apparente
indifferenza. La stima, se si ha, si ha nei rapporti concreti con ragazzi e
ragazze, con colleghe, preside e famiglie, non si acquista tramite un "concorso
selettivo per prove e titoli", che può accertare invece l'insegnamento
ridotto a tecnica con l'effetto di uniformare e normalizzare dall'alto e il
contratto prevede già i corsi per prepararsi al concorso!
Il contratto per entrare in vigore deve essere approvato da noi insegnanti!
In genere è un rito scontato, facciamone invece un momento di lotta,
in cui soprattutto le insegnanti dicano la loro.
Vita
Cosentino
Insegnante scuola media
Movimento autoriforma
Con le mie compagne
di lavoro, con le quali condivido da anni impegno, amicizia, conflitti e soddisfazioni
professionali abbiamo cercato in questi ultimi anni di impegnarci quotidianamente
nelle classi con molta generosità e quando occorreva abbiamo utilizzato
gli strumenti tradizionali della politica per cercare di tenere alto il tipo
di scuola che facevamo e il nostro piacere nel fare scuola e allora: raccolta
firme, mozioni, manifestazioni, riunioni con i genitori.
Tutto questo passando attraverso le bufere della 148, rischio di chiusura del
tempo pieno, abolizione delle compresenze (lo prevedeva l'ultimo contratto!)
o loro utilizzo per supplenze, eccetera.
Abbiamo dovuto affrontare, non sempre vincenti ahimè, il rischio grosso
di nevrotizzazione indotto da regole sempre più numerose e rigide con
rischio di frammentazione dell'esperienza educativa e dei nostri cervelli.
Credo che la nostra vera risorsa sia stata la collaborazione e il cercare di
lavorare in modo cooperativo:
chi sa o chi sa fare di più. lo "passa" alle altre e queste,
nel prenderlo senza sentirsi sminuite, lo trasformano e lo rendono originale
e proprio.
Questo imparare anche faticosamente la cooperazione tra noi, anche attraverso
conflitti e litigi, ha modificato il metodo di lavoro in classe o forse è
stato il contrario ma sono convinta che abbia dato un senso al nostro essere
a scuola.
E' stata la relazione tra le nostre competenze a rendere possibile il percorso
fatto insieme: chi ci mette la capacità organizzativa, chi la sua incontenibile
creatività, chi il senso di realtà, chi il palmo della multimedialità,
chi la propria infinita pazienza, chi il pacchetto di biscotti portato in programmazione
per sollevare il morale di tutte.
Questa cosa ha a che fare con la vita, e mi rendo conto che nulla più
del Ministero e delle strutture sindacali sono lontani appunto dalla vita vera
e pulsante della scuola.
In questo contratto, come del resto spesso nei documenti di politica scolastica
elaborati dal Ministero negli ultimi anni, le logiche sottese sono esattamente
l'opposto di quelle appena descritte: carrierismo, competizione, individualismo,
gerarchizzazione dei ruoli, introduzione di forme di organizzazione del lavoro
mutuate direttamente dal mondo dell'azienda.
Nel contratto, per quanto riguarda orari e salario, si mantengono ancora diversificazioni
orarie e salariali tra diversi ordini di scuola riproponendo la vecchia concezione
secondo la quale chi insegna nelle scuole di grado superiore merita stipendi
maggiori in presenza di un orario di servizio inferiore. Oltretutto gli aumenti
proposti per tutti sono assolutamente inadeguati e mortificanti soprattutto
se confrontati con i colleghi europei che a parità di anzianità
di carriera percepiscono circa il doppio. Sarebbe ora invece di riconoscere
l'importanza dell'attività dell'insegnare come attività principale
nella scuola attraverso un consistente aumento salariale ridimensionando tutti
quegli aspetti secondari di preparazione e coordinamento che sembrano essere
gli unici meritevoli di un riconoscimento economico e sociale almeno nella testa
di Ministro e sindacati.
Nell'articolo 21 con la proposta di individuazione di figure particolari, retribuite
con un aumento individuale di tre milioni all'anno, che dovrebbero occuparsi
della gestione del piano dell'offerta formativa, il sostegno ai docenti non
meglio definito, e di realizzare progetti formativi d'intesa con enti esterni,
si rischia di accentrare nelle mani di questi "nuovi funzionari" attività
di servizio alla scuola e ai colleghi che invece devono restare diffuse nei
collegi e retribuite come già avviene con il fondo incentivante ulteriormente
potenziato.
Per quanto riguarda poi l'articolo 22 che propone un aumento individuale di
sei milioni l'anno con il superamento di un concorso per prove e titoli per
valutare la "bravura" degli insegnanti, trovo la proposta ridicola
e velleitaria oltre che inutilmente costosa. L'elemento trasformativo vero a
scuola tra insegnanti e alunni non è stabilire chi è più
bravo/a, ma far sì che la bravura sia contagiosa, per tentare
di costruire un ambiente ricco di stimoli e non deprimere o giustificare chi
a quel punto si sentirà autorizzato o spinto a non fare nulla di più
di quanto non gli venga pagato.
Questo concorso, che tra l'altro non vincola necessariamente a corsi di formazione,
sarà l'accertamento di un insegnamento ridotto a tecnica con l'effetto
di uniformare e normalizzare dall'alto. Mi chiedo inoltre se siano state attentamente
valutate le conseguenze disastrose che si introdurrebbero con il principio che
ad ogni azione corrisponde del denaro, in un ambiente come la scuola che è
per definizione luogo di educazione, relazioni e cura.
Per questo esprimo parere negativo all'applicazione di questo contratto nazionale
scuola.
Clara
Bianchi
Scuola elementare
Coordinamento scuole a Tempo Pieno di Milano e provincia
15 gennaio 2000
Brevi riflessioni sull'art.29 del Contratto
Sono un'insegnante
elementare con 13 anni di servizio. Mentre leggevo il Decreto applicativo del
23 Dicembre 1999, relativo all'art.29 del Contratto che definisce le modalità
di svolgimento della prova per diventare una "brava maestra", mi sono
chiesta come fosse possibile, oltre i titoli e le valutazioni, scrivere dell'entusiasmo
dei primi anni e della progressiva consapevolezza dell'impegno, delle intuizioni
che hai quando pensi e guardi i bambini e le bambine che hai di fronte a te,
dei messaggi che mandi loro con le parole, con i gesti, con il tuo modo di essere
lì con loro e di percepirli.
Tutto ciò, mi sono detta, è forse meno importante del corso di
aggiornamento, del gruppo o commissione che hai organizzato lo scorso anno?
(la modulistica richiede che questo sia esplicitato).
Come può trasparire attraverso le scarne righe di appendice alle domande
dove va indicato il titolo di studio e "tutte le abilitazioni conseguite"?
Ritengo questa strategia concorsuale selettiva e inutile, perché deve
riguardare solo il 20% degli insegnanti? Per discriminare e creare ulteriori
fratture all'interno di un sistema rigido che, oggi, tenta di assumere parametri
che non appartengono alla sua natura. E' in atto, a mio parere, nella scuola
una sovrapposizione selvaggia di modelli di relazione e di esercizio del potere
tipici di un ambito produttivo.
La logica del premio non ha mai favorito un buon clima, ma solo competizione,
potrà forse mettere in campo energie, ma l'obiettivo non sarà
certo quello di migliorare la didattica né la vicinanza con gli/le alunni/e.
Sarà quell'unità didattica forse (una delle prove richieste) a
stabilire il grado di adeguatezza dell'intervento nel gruppo classe? E, mi sono
chiesta, come faccio, io, a dimostrare che, se ho 25 o 28 (sic) alunni/e in
classe devo trovare altrettanti modi per aiutarli, altrettante occasioni perchè
si misurino ogni giorno con richieste che spesso sono al di sopra delle loro
forze? Tutto questo dove può trovare visibilità e spazio? Nelle
tre righe in fondo al questionario?
Potranno anche valutare la conoscenza delle ultime teorie in campo psicopedagogico,
il che non è poco, ma tutto il resto sarà altro che sarà
vissuto in un altro luogo: l'aula.
Susani
Stefania
Coordinamento scuole a Tempo Pieno Milano e Provincia
SUL CONCORSONE
Sono una brava insegnante elementare.
Ho sempre lavorato con passione dichiarata; ho dato molto del mio tempo alla
scuola, senza essere pagata per il di più; ho frequentato tutti i corsi
di aggiornamento di cui sono venuta a conoscenza e li ho anche organizzati.
Ho, quindi, diversi requisiti richiesti dalla normativa per partecipare al Concorsone.
Dopo molti tentativi di esperienze nella politica istituzionale, ho capito che
la scuola era la mia politica. Il mio impegno professionale (e non solo) si
è sempre orientato verso la qualità delle relazioni con bambine
e bambini e con le mie colleghe, convinta che niente passa nella scuola, come
nella vita, se non c'è quel "tramite soggettivo" di cui parla
Vita Cosentino. Quando parlo di relazioni non intendo relazioni amicali, ma
politiche, di disparità e di autorità, "circolo virtuosi"
che qualificano tutte e tutti (vedi Sottosopra Rosso).
Sto bene a scuola, anche se è 24 anni che insegno, e la soddisfazione
che il mio lavoro mi dà, il mio valore lo leggo negli occhi delle mie
alunne e dei miei alunni, delle mie colleghe con le quali ho condiviso tanti
momenti, delle ragazze e ragazzi ormai grandi che ho avuto e dei loro genitori,
che ho sempre coinvolto nell'azione educativa attraverso l'ascolto, lo scambio,
il mettersi in gioco.
Ma non parteciperò al Concorsone per avere 6 milioni in più.
Questi i motivi:
il valore di un'insegnante non può essere misurato con 100 quiz e una
prova strutturata (neanche obbligatoriamente in situazione). La mia esperienza
mi insegna che la cultura, come carico di saperi, non è necessariamente
e direttamente sinonimo di saperla insegnare, se non c'è dietro la passione
nell'intessere relazioni d'apprendimento/insegnamento e favorire situazioni
di ben-essere.
Non mi voglio sottrarre alla valutazione come insegnante, ma voglio una valutazione
processuale (Anna Maria Piussi) e contestuale; voglio essere valutata non da
docenti universitari lontani da me e dalla scuola, ma dai genitori, dalle mie
colleghe, dalle parole delle mie ragazze e dei miei ragazzi, o per lo meno anche
da loro. Ho fatto il Concorso del '75 che era abbastanza "in situazione",
ma non è stato quello o altri esami che ho sostenuto a determinare il
mio essere insegnante: è stato l'incontro con persone e situazioni; è
stata la mia passione "politica"; è stato il mio essere madre
di due figlie e non c'è spazio nella domanda del Concorsone per questo.
Se è vero, come è vero, che lo Statuto dei Lavoratori afferma
che a parità di orario e di prestazioni, pari deve essere la retribuzione,
non riesco a capire come sia possibile che l'insegnante accanto a me possa prendere
6 milioni in più di me. L'orario è lo stesso, le responsabilità
sono le stesse, lavora come me e prenderà ben 6 milioni in più
di me?
Senza pensare a quali meccanismi emotivi o reattivi questo innescherà:
invidia, controllo, rigidità, competizione, quando, la mia stessa esperienza
lo conferma, la scuola funziona, le ragazze e i ragazzi stanno bene se c'è
un clima di collaborazione, ricchezza di scambi, ascolto tra tutte le componenti
che interagiscono con la scuola
Fermo restando che una prova (o una prova formata da due sottoprove) non può
accertare la qualità e "l'impegno, l'attenzione al fare scuola,
ecc. (Panini - inserto de L'Unità di mercoledì scorso), mi rimane
incomprensibile come a chi supera quella prova si danno 6 milioni in più
e alle FUNZIONI-OBIETTIVO, con un carico di lavoro enorme e incredibili competenze
richieste (vedi "Amministrare la scuola" - dicembre '99), si diano
solo 3 milioni, con l'obbligo oltretutto di un corso di formazione di 30 ore
a proprie spese (per me, a Siena, a 80 Km. da dove vivo). Eppure, le F.O. sono,
nel bene o nel male, espressione del Collegio dei Docenti, ma forse, una Commissione
giudicatrice ha più valore delle insegnanti che vivono giorno per giorno
i problemi della scuola! Io sono una funzione-obiettivo, peraltro fortemente
pentita, perché questo ruolo ha dato origine a sommosse e divisioni.
Figuriamoci quando ci saranno anche persone che prendono 500 mila lire di più
al mese!
Far accedere al Concorsone anche molti/e insegnanti che da tanti anni sono distaccati
per vari motivi dall'insegnamento, è in qualche modo, secondo me, togliere
ancora valore al fare scuola, a chi ha scelto di rimanere nella classe, con
bambini e bambine, studenti e studentesse e percorrere e sperimentare con loro
una crescita reciproca. La scuola è questa e la qualità è
da qui che viene fuori.
I 3 milioni a testa a tutte le funzioni-obiettivo sul territorio nazionale,
6 milioni a testa a 150.000 insegnanti, il costo totale di tutte le procedure
e delle persone che servono per espletare questo Concorsone: che Stato generoso!
Ma se un'insegnante chiede un permesso non superiore a 5 giorni, non si mette
la/il supplente, perché c'è il "contenimento della spesa".
Qui, lo Stato non elargisce più! Nella mia scuola, che è una scuola
a tempo pieno, questo vuol dire, sacrificare le contemporaneità delle
insegnanti, quelle che servono per i lavori di gruppo, i laboratori fuori delle
classi, momenti, per noi, qualificanti il nostro lavoro; del resto, anche la
normativa ministeriale sull'Autonomia tanto decanta una organizzazione più
flessibile, ma tant'è bisogna restringere le spese!
Sono una brava insegnante elementare, ma non farò il Concorsone.
Clori Bombagli - Chianciano Terme
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