Il 17 febbraio occorre scioperare.
La
tattica temporeggiatrice del rinvio del concorsone, non deve fermare né
frenare le mobilitazioni. REDS. Febbraio 2000.
La mobilitazione
degli insegnanti contro l'iniquo concorsone che intende assegnare un aumento
lordo di sei milioni a un ristretto numero di docenti ha già prodotto
alcuni risultati. Il ministro Berlinguer, dopo una rapida consultazione con
i dirigenti dei sindacati confederali e dello Snals, ha deciso di prendere tempo
e rinviare le prove, precisando però di non voler affatto rinunciare
al suo disegno.
Questo fatto rivela un'ambiguità che può celare una minaccia.
È certa anzitutto la paura di governo e sindacati firmatari del contratto
di fronte al netto rifiuto opposto dalla categoria. Il governo di centrosinistra,
infatti, non può permettersi di avere la piazza contro. Ne va della sua
credibilità e della capacità di mantenere il consenso di ampi
settori sociali che esso rappresenta, tra cui numerosi sono i lavoratori della
scuola. Se questa è un'esigenza sempre necessaria, tanto più lo
è in occasione di scadenze importanti come quella delle elezioni amministrative
del 14 aprile (si rammenti che la prima prova del concorsone era prevista per
il 4 aprile).
Il clima di aperto malcontento che si è generato a causa dell'istituto
previsto dall'art. 29 è per il ministro Berlinguer molto pesante. L'approvazione
definitiva del riordino dei cicli (altra pessima iniziativa del nostro) è
solo un parziale lenimento. Non solo la sinistra sindacale (tra cui Alternativa
Sindacale), i sindacati di base (Cobas, Cub), quelli che hanno come referente
politico esponenti del Polo (Gilda-Forza Italia), gli si rivoltano contro, ma
l'intera categoria degli insegnanti, ampi settori di base della maggioranza
CGIL e degli altri sindacati, nonché la stampa nemica e amica sono aspramente
critici. Ad esempio l'Espresso - insieme a Repubblica uno tra i maggiori sponsor
cartacei della politica "riformatrice" - gli dedica una pepata copertina
con tanto d'orecchie d'asino e un articolo al veleno che riportiamo nelle colonne
della nostra campagna contro l'art. 29 (vedi Berlinguer Luigi: bocciato).
Stessa difficoltà se non maggiore incontrano le organizzazioni sindacali
investite da valanghe di lettere e fax di denuncia e di protesta a cui non sanno
opporre che pietosi silenzi e patetiche fughe, col solo risultato di far aumentare
l'indignazione. Un esempio di questa sconcertante debolezza del sindacato è
la lettera che la segreteria della CGIL Scuola di Milano ha inviato a delegati
e iscritti il 31 gennaio, avvisandoli che l'attivo "tecnico" previsto
per il 10 febbraio in Camera del Lavoro "per fornire indicazioni e suggerimenti
sulla compilazione del curricolo e sulle altre prove" non si terrà
più. Al suo posto vengono organizzati, nell'arco di tre giorni, otto
diversi appuntamenti in otto luoghi decentrati diversi, ovviamente per rendere
più efficaci gli interventi illustrativi. Questo (per così dire)
imprevisto cambiamento di programma, a detta della segreteria CGIL è
stato reso necessario dalla richiesta di adesioni alla giornata del 10 febbraio
"quantitativamente rilevante" e che "va intensificandosi di giorno
in giorno", tanto che si è ritenuto che potesse "essere compromesso
l'obiettivo dell'iniziativa". Giudicate voi se si tratta di miopia assoluta,
tattica suicida... o implicita dichiarazione di resa!
Benché sindacati e ministero siano paralizzati dalla paura, la decisione
di rinviare il concorso nasconde, come dicevamo, una minaccia o quantomeno un
rischio. Tale atto si configura chiaramente come il disperato tentativo di rompere
il fronte dell'opposizione, di fare breccia sui più tiepidi cercando
di tranquillizzarli con vaghe promesse. Per rompere il fronte dell'opposizione
si cerca di prendere tempo nella speranza che la tensione si allenti e la protesta
si affievolisca. Intanto si cerca di mettere in campo argomenti più suadenti
e palliativi che rendano digeribile la pillola indigesta del concorso.
Cedere a queste lusinghe è l'errore che gli insegnanti in agitazione
non devono compiere, la trappola in cui non devono cadere. Devono essere consapevoli
della propria forza che ha fatto tremare (è proprio così) ministro
e sindacati compiacenti, i quali sono ridotti alla difensiva e alla ricerca
di vie di fuga. La mobilitazione deve perciò essere ancora più
convinta e tenace di prima. L'attacco deve essere portato fino in fondo, fino
cioè al ritiro definitivo dell'art. 29 e di tutto quello che ne consegue.
Altro che rinvio!
Non si deve neppure dubitare che questo sia un obiettivo minimo, una mera e
bieca questione di soldi per la quale non vale la pena di battersi più
di tanto perché sono altre, più alte e più nobili, le lotte
da condurre! A parte il fatto che quella di una giusta e adeguata retribuzione
è tutt'altro che una questione disprezzabile, non ci si dimentichi che
è proprio in nome di una pretesa qualità della scuola che si vuole
introdurre il trattamento economico differenziato a parità di lavoro.
Inoltre portare a termine una battaglia in maniera vittoriosa (anche minima,
se si vuole) è il miglior viatico per affrontare nuove e più dure
prove, che dovranno certamente essere sostenute. Ora però non è
il momento di pensare alle battaglie di domani; ora bisogna concentrarsi su
quella presente, che gli insegnanti possono solo vincere, avendo già
messo l'avversario alle corde. Si tratta solo di infliggergli l'ultimo colpo,
l'ultima spallata. E questa può venire dallo sciopero del 17 febbraio
che deve vedere la più ampia partecipazione di lavoratori. L'impegno
di tutti i militanti perciò è quello di lavorare nei pochi giorni
che ancora restano per la riuscita della giornata del 17.