Valutazione dello sciopero del 30 maggio.
Di Michele Corsi. Maggio 2000.


A Milano dovevano convergere gli scioperanti dell'Italia del Nord. Lo sciopero era stato convocato da Cobas, CUB, SdB-Sin Cobas, da alcune strutture provinciali della Gilda (tra le quali Milano), e vi aveva aderito il Coordinamento delle scuole in lotta di Milano. Molti presidi non hanno inviato a tutt'oggi la scheda con le adesioni allo sciopero a Milano, solo il 20% l'ha fatto, da cui ne viene fuori un'adesione intorno al 4%. Il dato è provvisorio e probabilmente non preciso perché il 20% è poco. Più precisa la valutazione sulla partecipazione alla manifestazione a Milano dato che vari colleghi hanno contato: tra le 400 e le 500 persone. Lo spezzone più numeroso era quello della Gilda, intorno alle 150 persone. Ricordiamo che il dato di adesione all'ultimo sciopero (17 febbraio e che riguardava solo Milano) secondo il provveditorato era del 34%, circa la partecipazione alla manifestazione noi avevamo propagandato 10.000 partecipanti, ma fonti non interessate a gonfiarne la consistenza (CGIL) parlavano di 6.000. Appare chiara dunque la bassa adesione a questo sciopero. Non possiamo nasconderci questa realtà altrimenti siamo destinati a prendere decisioni sbagliate.
Cerchiamo di indagarne i motivi, specie per Milano:
a) la data era particolarmente infelice, dato che a fine anno si accumulano un sacco di incombenze che tutti ben conosciamo
b) i mezzi di informazione non ne hanno parlato
c) lo sciopero dei mezzi a Milano deve aver scoraggiato parecchie persone a partecipare alla manifestazione
d) il provveditorato di Milano ha attuato un vero e proprio boicottaggio non facendo giungere in molte scuole il fax dello sciopero
e) la manifestazione è apparsa come targata Cobas, e questo fatto in una realtà come Milano è destinato a togliere consenso. Ricordiamo che l'ultima volta invece appariva ben chiara la caratterizzazione "coordinamento", avevamo stampato manifesti (400) e volantini (3000, esauriti quando la manifestazione doveva ancora muoversi) che indicavano chiaramente come quella fosse una manifestazione "di scuole".
f) la Gilda non ha avuto tempo di preparare la scadenza e dunque per questo la sua partecipazione è stata inferiore a quella che di solito riesce a garantire (sopra i 200, mentre i suoi scioperi a volte hanno toccato il 5% di adesione)

Nonostante la bassa partecipazione lo sciopero non è stato vissuto, mi pare, come una sconfitta da chi vi ha partecipato. E questo a mio avviso per due ragioni:
a) per quanto riguarda Milano il corteo era allungato e pieno di bandiere e striscioni e dunque dava un'impressione "dignitosa" ad un esterno che non si fosse preso la briga di contare
b) alcuni quotidiani hanno fornito le cifre reali di partecipazione (Il Corriere, Il Manifesto) altri hanno riportato i dati dei Cobas (La Repubblica nazionale, Liberazione) che erano terribilmente gonfiati, ma tutti loro collocavano comunque lo sciopero in prima pagina. Questo è stato un elemento di soddisfazione, ad esempio nella mia scuola (dove hanno scioperato in parecchi - 28 e 8 sono venuti in manifestazione) i colleghi hanno trovato questo motivo come sufficiente per non rammaricarsi di aver partecipato.

Dobbiamo dedurre dai bassi dati di partecipazione che il Coordinamento non avrebbe dovuto partecipare? No. Abbiamo fatto bene. Il Coordinamento di Torino ad esempio non ha partecipato ma non mi pare che da ciò ne derivi per loro una situazione migliore della nostra, immagino che tale decisione abbia lasciato molti colleghi insoddisfatti e rischia di portare la vertenza scuola da un terreno rivendicativo ad uno esclusivamente culturale. Del resto se, nonostante la partecipazione ridotta, i media hanno dato tutto quello spazio, significa che esiste una "sensibilità" (una paura?) della quale sarebbe autolesionista non approfittare. Lo sciopero non si chiude con una "giornata storica" come qualcuno l'ha chiamata un po' comicamente, ma neppure con una sconfitta. Uno a uno, direi.
Si impongono comunque delle riflessioni. Confrontando le due manifestazioni, quella del 17/2 e quella del 30/5, emergono degli elementi che ci dicono chiaramente che una fase si è chiusa. E' importante comprenderlo non per deprimerci ma per attrezzarci ad una nuova fase che probabilmente avrà caratteri differenti.
a) la manifestazione del 30 maggio era chiaramente una manifestazione di organizzazioni (Cobas, CUB, in parte Gilda) e non "di scuole". Ciò era evidente dal fatto che fisicamente i coordinamenti non c'erano, l'unico presente era quello milanese con forze estremamente ridotte (una cinquantina dietro lo striscione). Nonostante i toni trionfalisti di alcune organizzazioni che tendevano ad appropriarsi del 17, quella di febbraio era invece una manifestazione "delle scuole" che hanno "usato" alcune sigle, quelle che si trovavano a disposizione, per manifestare, ma in alcun modo, come ha dimostrato questo sciopero, ciò si è tradotto in una delega a queste organizzazioni. Ricordiamo che a Milano il 17 la massa della gente dietro allo striscione del Coordinamento era tale che ha imposto a tutte le sigle un passo indietro. Anche i mass media in occasione del 30 non hanno titolato come il 17 "sciopero degli insegnanti", ma "sciopero dei Cobas e della Gilda".
b) Il movimento sceso in piazza il 17 era composto da una massa di insegnanti che o si muoveva indipendentemente dalla propria sigla di appartenenza, oppure non apparteneva ad alcuna sigla e in molti casi manifestava per la prima volta. Questa massa è stata spinta alla lotta da una indignazione nei confronti di una controparte dai lineamenti ben disvelati, arroganti ed offensivi, mentre con De Mauro questo disvelamento agli occhi della gente ancora non si è dato per intero. E' evidente che il 30 è stato anche per questo forse uno sciopero dei "militanti". Il prossimo blocco degli scrutini è chiaramente una iniziativa di organizzazioni sindacali, alle quali il movimento degli insegnanti, per come l'abbiamo conosciuto a febbraio, è estraneo. Può darsi che "le scuole" a settembre o nei mesi seguenti si rifacciano vive, si deve lavorare per questo, ma per ora la situazione è che la spinta del 17 febbraio si è arrestata, lasciando comunque scuole con una vita sindacale più attiva ed una serie di soggettività che rimangono mobilitate e motivate.

Il movimento infatti, sebbene abbia vissuto la china discendente sopra descritta, ha messo in moto meccanismi e discussioni che non si sono affatto bloccate. L'atmosfera di pesante passività nella quale prima eravamo immersi, non c'è più. Stanno emergendo, o per quelli che erano già emersi si stanno "popolarizzando", dei pensieri critici molto articolati sulle riforme in atto, pensieri che spesso non sono sulla stessa lunghezza d'onda (pensiamo da un lato al movimento dell'autoriforma e dall'altro ai colleghi del Coordinamento di Torino) ma che stanno diffondendo la convinzione che gli insegnanti non possono essere espropriati dell'elaborazione teorica sul significato e la prassi del fare scuola. L'insieme degli insegnanti inoltre, forse a causa di una età che mediamente non è più giovane, ha vissuto nel passato molte esperienze e per questo si è mostrato assai "scafato" riguardo ai giochi di organizzazione, e dunque la dialettica tra organizzazioni (e correnti) sindacali si è svolta in un clima di interesse da parte della "massa", ma certo non di delega o di illusioni nei confronti di leader carismatici o di sigle miracolose. Questo atteggiamento "distaccato" ha costretto le diverse organizzazioni e correnti a tener conto del movimento, dato che la massa degli insegnanti non si è mostrata ansiosa di trovare una propria identità d'organizzazione, come invece di solito accade a movimenti composti da giovani e giovanissimi.
Da tutto ciò possiamo trarre alcuni insegnamenti e qualche augurio.
a) il coordinamento milanese è quello che ha resistito più a lungo.
Mentre altri si sono sfasciati o hanno rinunciato ai compiti per i quali erano nati. Ciò è dovuto alla democrazia che si è espressa al suo interno, e al basso grado di liderismo che si è riusciti a mantenere. Abbiamo fatto l'esperienza concreta che sono possibili assemblee senza gli sbrodolamenti di mezzora dei leader, senza presidenze fisse e immutabili. Non è poco, vista la storia dei movimenti in Italia. Poi anche il nostro coordinamento si è progressivamente assotigliato (da un centinaio di partecipanti si è ridotto sotto i 30) e dunque ha perso il suo carattere di "assemblea delle scuole" e, come accade a tutti i movimenti che si indeboliscono, le organizzazioni diventano più aggressive nel tentativo di mangiarsi quel che rimane e in ciò accelerandone la fine. L'esito dello sciopero dimostra che quando il movimento sparisce le piccole organizzazioni hanno assai poco da guadagnarcene, se non, forse, qualche iscritto in più.
b) Nel coordinamento abbiamo dovuto lottare a lungo con chi addirittura voleva scioperare prima delle elezioni. Ricordiamo che si erano portati anche quasi 300 voti di assemblee locali per cercare di dimostrare che la gente non si teneva più dalla voglia di far sciopero. Dato che di questi 300 alla manifestazione ne abbiamo visti pochini, forse nemmeno un centesimo, pensiamo che anche da qui vada tratto un qualche insegnamento. Con le "masse" i trucchi funzionano poco, si scoprono rapidamente: se con qualche astuzia d'assemblea (far votare in blocco, non far discutere, non contare i voti a favore ma solo quelli contro, ecc.) si riesce a a far passare la propria mozione, poi le stesse persone però si "vendicano" facendo di testa loro. Non ci sono scorciatoie o alternative al lento e paziente lavoro di radicamento e di presa di coscienza.

E' prematuro un bilancio del coordinamento, lo faremo a suo tempo. Coloro che ritengono il piano della costruzione e dell'allargamento della propria organizzazione o corrente sindacale il terreno decisivo e spesso esclusivo su cui misurarsi, proseguiranno sulla loro strada. E' un piano che esiste, e che è necessario. Ognuno ha il suo. Tanti auguri. Ne esiste un altro comunque, e che è quello che a me più interessa, che non si colloca nella logica di organizzazione, non è inseguito dalle "scadenze di lotta", dal rincorrersi di leader, dalle logiche di apparatoni e apparatini, dalle furbizie per mettere in risalto la propria sigla, e che si basa invece sull'orizzontalità, sul radicamento nei posti di lavoro, sulla costruzione di una rete di resistenza che duri nel lungo periodo. Per quanto mi riguarda sono interessato per il futuro soprattutto a rapportarmi con quelle soggettività che si collocano in questa prospettiva.