Una diversa idea di scuola.
A
partire da un'analisi della trasformazione della scuola nella fase di governo
dell'Ulivo, una proposta per la sinistra sindacale. Di Michele Corsi e Danilo
Molinari. Ottobre
1999.
Negli incontri
di Alternativa Sindacale Scuola da tempo risultano evidenti la necessità,
al contempo politica e culturale, di capire il "senso" del nostro
impegno nella scuola e tra i lavoratori, e l'esigenza di individuare con analisi
elaborate collettivamente verso quale tipo di scuola è indirizzato il
nostro intervento.
Nostra intenzione è cambiare una scuola che oggi non risponde adeguatamente
ai bisogni educativi dei soggetti in crescita, spesso "accerchiati"
e condizionati da sistemi di valori e da modelli di sviluppo contraddittori
per non dire svianti. Noi vogliamo combattere il sistema scolastico attuale,
ampiamente subordinato a una mera logica della quantità, a criteri di
contenimento della spesa. Neppure ci riconosciamo nel sistema scolastico previsto
dalla futura autonomia, così come si configura nei testi normativi e
nella filosofia che li ispira.
Il contesto sociale e i processi di sviluppo in atto che negano l'"essere"
per esaltare la logica del mercato sono dati di riferimento da cui partire per
un'idea di scuola che rimetta al centro la capacità critica, la partecipazione
democratica e la progettazione innovativa quali strumenti per intervenire sul
reale. In una fase storica in cui nelle società occidentali lo Stato
sociale viene attaccato e sempre più si affermano politiche economiche
di stampo neoliberista, noi dobbiamo rilanciare una grande battaglia per il
diritto allo studio, che si ponga contemporaneamente l'obiettivo di una scuola
modernamente attrezzata, una scuola valorizzata come ambiente di vita, dove
la "centralità dello studente" sia il cardine intorno al quale
ruoti la realizzazione dell'intero intervento educativo.
Lo spostamento dell'asse dell'intervento produce infatti, come si può
oggettivamente constatare nell'attuale sistema scolastico (in particolar modo
nel ciclo della secondaria superiore) due dati negativi e consolidati: la selezione
e la dipendenza spesso "meccanica" alle esigenze dell'apparato produttivo,
sia per coloro che abbandonano sia per coloro che conseguono un titolo di studio.
Selezione e mortalità scolastica, inserimento dequalificato nel mondo
del lavoro, disoccupazione sono tutti elementi di una più generale "questione
giovanile", emergenza sociale e culturale che la scuola come istituzione
educativa organizzata non può ignorare e che gli adulti, in primis
i responsabili politici, non possono risolvere in termini solo repressivi e
moralistici.
Per affermare un'idea alternativa di scuola, modello e luogo di aggregazione
sociale e culturale, diventa prioritario quindi contrastare le tendenze, anche
dell'attuale governo di centrosinistra, a privatizzare l'istruzione. Organizzare
un movimento di forte opposizione al finanziamento diretto o indiretto alle
scuole private significa affermare la centralità e l'insostituibilità
del sistema educativo pubblico statale, nell'ottica di una sua riqualificazione
con investimenti di risorse e di progetti adeguati alle sfide poste da una società
tanto complessa quanto ingiusta.
Perciò, proprio in una fase in cui la scuola in Italia è investita
da riforme di settore e istituzionali, intendiamo interrogarci ed elaborare
proposte su punti nodali e strategici: quale scuola per quale società?
quale il ruolo e la posizione degli studenti? quale modello organizzativo per
una scuola di tutti e di ciascuno? quale rapporto tra esperienza educativa e
mondo del lavoro? quale coinvolgimento e protagonismo dei lavoratori, docenti
e ATA, nei processi di modifica strutturale?
Cos'è la scuola e qual è il suo scopo
Riferimento principe
della nostra elaborazione rimangono la Costituzione della Repubblica italiana
e i suoi principi ispiratori in fatto di istruzione ed educazione, da cui discende
che la scuola è anzitutto il luogo dell'educazione, del confronto civile
e democratico non solo delle idee ma anche delle persone che la frequentano,
siano essi lavoratori o studenti.
La figura centrale del sistema scolastico, come recitano ormai tutte le riflessioni
più innovative, è lo studente; tutte le altre figure sono sì
essenziali, ma il loro essere ed il loro agire sussistono solo in funzione e
in virtù dello studente. Senza studenti infatti la scuola non avrebbe
ragione di esistere. Questa ovvia considerazione è bene e necessario
che sia ricordata e ribadita per determinare lo scopo e la funzione del sistema
scolastico.
È ormai consuetudine indicare con il termine scuola l'intero sistema
educativo; la scuola è perciò il luogo dell'educazione in primo
luogo delle giovani generazioni, benché l'educazione permanente e la
formazione degli adulti rientrino a pieno diritto all'interno del sistema. Ma
poiché per età e motivazioni la relazione educativa tra adulti
(docenti/studenti) è diversa da quella tra adulti e bambini e/o adolescenti,
tralasceremo la prima per occuparci unicamente della seconda, quella che caratterizza
cioè la scuola per antonomasia.
Per definizione, educare significa "sviluppare le facoltà intellettuali,
fisiche e morali dei giovani secondo determinati principi" (Dizionario
Hazon, Garzanti). Stando all'etimologia, invece, educare significa "trarre
fuori".
L'educatore (maestro, insegnante, docente, professore, ecc.) è quindi
quel lavoratore la cui professione consiste nel "trarre fuori", per
farle fiorire e sviluppare, "le facoltà intellettuali fisiche e
morali dei giovani". È, in altre parole, il responsabile del successo
(o dell'insuccesso) del processo di crescita e di sviluppo delle potenzialità
che ogni bambino, ogni adolescente, ogni studente possiede.
Lo sviluppo di queste facoltà si concreta nell'acquisizione di saperi
e di esperienze necessarie a interpretare la realtà e ad affrontare la
vita in ogni suo momento, presente e futuro, in un contesto sociale e in armonia
con gli altri, secondo l'ispirazione dei principi democratici che regolano o
dovrebbero regolare la nostra convivenza civile.
Compito della scuola civile e democratica è perciò quello di favorire
la crescita serena dell'individuo in rapporto con la società, fornendolo
di strumenti di lettura e comprensione della realtà, capacitando i giovani
ad affrontare i problemi e gli aspetti contraddittori del nostro mondo e della
relazione con il prossimo.
Tutto ciò comporta coerentemente la "centralità dello studente",
individuo in carne ed ossa differenziato da ogni altro per ragioni naturali
e sociali, il quale si pone necessariamente e contemporaneamente come soggetto-oggetto
del processo educativo di crescita. I percorsi educativi perciò devono
essere basati sulle specificità individuali, e valorizzare le tempo diversità.
Ogni impostazione che presupponga (come avviene nella scuola attuale) una standardizzazione
finalizzata a obiettivi posti al di fuori del processo stesso e differiti nel
(lavoro, società, ecc.) è di per sé un fallimento già
in partenza, perché non tiene conto né dei bisogni specifici dell'età,
né delle diversità degli individui (stili cognitivi, retroterra
socio-culturale, personalità, interessi, ecc.). Ciò non significa
che il sistema scolastico pubblico non debba prevedere e indicare obiettivi
minimi per tutti nei diversi cicli, ma questo deve avvenire nell'ottica di una
scuola per tutti, unificante sul piano della cultura e delle opportunità
di crescita.
L'educazione non è quindi (o non solo e non prioritariamente) l'acquisizione
di conoscenze e competenze, di comportamenti standardizzati da spendere domani,
ma lo sviluppo di linguaggi, di pratiche di esperienze valide domani perché
funzionali e importanti oggi. L'educatore è quindi come un giardiniere
che alleva le sue piante essenzialmente cercando di stabilire le condizioni
più adatte alla loro crescita spontanea, e la cui prima preoccupazione
è quella di non farle morire.
Com'è la scuola attuale
Nella scuola italiana
il processo di acquisizione di comportamenti, conoscenze e competenze necessarie
per l'inserimento sociale avviene ancora prevalentemente mediante la trasmissione
di contenuti disciplinari da chi sa a chi non sa. La scuola è cioè
metaforicamente il "tempio" del sapere che l'insegnante-sacerdote,
depositario della verità, trasmette. Sapere che viene adeguatamente recepito
e "afferrato" solo da coloro che sono "capaci e meritevoli",
coloro che sono in grado di apprendere, "di seguire", seppur con diversità
di grado: gli altri, non la maggioranza ma comunque tanti, vanno incontro all'insuccesso
e alla selezione, di cui secondo quest'ottica sono essi stessi gli unici responsabili.
In questo modello, contrariamente alla centralità dello studente abbiamo
la centralità dei contenuti disciplinari e quindi la centralità
del docente. L'immagine più idonea per descrivere questo insegnante,
che è ancora l'insegnante-tipo, è quella rappresentata da Truffaut
nel film I quattrocento colpi, ovverosia quella dell'insegnante che anziché
seguire i suoi allievi si fa da questi seguire, lamentandosi tutt'al più
perché non lo seguono o elogiando lo studente che "segue bene"
(quante volte abbiamo sentito e forse anche detto queste frasi!) - col rischio
di non avere nessuno dietro di sé.
Questo sistema è quello imperante nella scuola a ogni livello, benché
sia stato messo in crisi dalla scolarizzazione di massa, dall'ingresso cioè
nel sistema educativo (nel "tempio") di quelli che un tempo erano
(e in gran parte rimangono) gli esclusi. È senza dubbio un fenomeno oramai
consolidato della società italiana, eppure moltissimi operatori scolastici
(insegnanti, presidi, ecc., categoria perlopiù di estrazione piccolo-borghese)
rifiutano ancora idea e realtà della scolarizzazione di massa, incoraggiati
e coadiuvati nel loro atteggiamento dalle scelte di politica scolastica che
da più di quarant'anni governano il sistema. Sistema che si fonda sulla
standardizzazione di parametri formativi (per inciso formazione - dare forma,
plasmare - è ben diverso da educazione, e non a caso è il primo
il temine più usato) ai quali gli studenti si devono conformare, pena
il declassamento socio-culturale ("non è il caso che continui gli
studi...", "meglio che vada a lavorare o scelga un breve corso professionale...")
o, specie nelle superiori, la selezione, la bocciatura: secondo dati ISTAT il
74,7% arriva al diploma, ma solo il 59,6% senza perdere almeno un anno; questa
percentuale di diplomati, o anche meno (70%), rende "soddisfatto"
il ministro Berlinguer (vedi Repubblica, 19/7/99).
SELEZIONE ALLE SUPERIORI Bocciature al primo anno Istituti professionali 29% Istituti Tecnici 25% Licei 7% Abbandoni dopo il primo anno Istituti professionali 21% Istituti Tecnici 15% Licei 7% Conclusione studi Istituti professionali 55% Istituti Tecnici 75% Licei 83% Rapporto tra origine sociale e titolo di studio Figli di dirigenti e quadri 80% Figli di imprenditori e lib. prof. 76% Figli di impiegati 68% Figli di non occupati 51% Figli di operai 45% dati tratti da: Giancarlo Gasperoni, Diplomati e istruiti, Il Mulino, 1996
e Rapporto ISTAT, La selezione scolastica nelle scuole superiori, 1996
Non si creda che
queste situazioni si risolvano con l'innalzamento dell'obbligo o coi processi
di pseudo-riforma previsti! Con essi i responsabili politici pensano piuttosto
di adeguare l'istituzione scolastica alle nuove esigenze sociali del mercato,
a partire dal rinnovo della formazione professionale (Patto sul lavoro, "Masterplan")
PATTO SUL LAVORO
(24 settembre 1996)La prima parte del documento (dedicato a scuola e formazione) contiene già esplicitate le linee generali della riforma dei cicli, con l'utilizzazione della stessa terminologia e addirittura di identici periodi. Il "Patto" richiama la necessità di dotare le scuole di autonomia (all'epoca non era stata ancora approvata), anche finanziaria (perché possano "dialogare" meglio con le "esigenze del territorio") con contributo ai costi da parte dell'utenza. Si insiste sui Centri di formazione professionali (CFP, molti dei quali in mano ai privati), perché siano trasformati in non ben precisate "agenzie formative", sulla revisione di programmi e materie che valorizzino il "saper fare". Si afferma la necessità di sviluppare l'istruzione post secondaria, per conseguire "una dimensione di alta professionalità tecnica" e di "valorizzare il profilo formativo dell'apprendistato e dei contratti di formazione lavoro nonché prevederne un utilizzo più diffuso, modulato e flessibile". Il contratto di apprendistato è visto come frutto di un rapporto trilaterale (giovane, impresa, struttura formativa) sottolineando l'importanza della certificazione finale delle competenze acquisite da riportare sul "libretto di formazione". Ricordiamo che nel "Patto" il contratto di apprendistato, esteso a tutti i settori lavorativi, si rivolge ad una fascia di età tra i 16 e i 24 anni (26 a Sud) ed ha una durata compresa tra i 18 mesi e i 4 anni. Il forte legame che si vuol stabilire tra scuola e aziende deve dar vita a diverse strategie formative (formazione a tempo pieno, formazione a tempo parziale, alternanza di formazione e lavoro), alla generalizzazione di stage "a carattere fortemente orientativo e formativo", a "moduli aggiuntivi di formazione professionale nei piani di studio". Si insiste inoltre sulla "personalizzazione dei curricola" e su un sistema unificato di valutazione e certificazione.
MASTERPLANMinistero della P.I. e Ministero del Lavoro hanno messo a punto il "masterplan": un piano che finalizza l'istruzione al lavoro, con una dotazione di 6.500 mld nella prossima finanziaria. L'iniziativa si rivolge anzitutto, parole di Berlinguer, al "30% dei ragazzi che non raggiungono il diploma", per i quali "oggi la legge prevede l'apprendistato integrato con lo studio o i corsi di formazione". Si tratta però di svecchiare i contenuti della vecchia formazione professionale, "spesso una scelta residuale di chi abbandona la scuola", e farne una scelta consapevole che abbia pari dignità con la scuola, grazie allo stretto legame con le possibilità di impiego, specie nei settori che utilizzano le nuove tecnologie. Perciò, "i fondi europei, distribuiti alle Regioni e spesso usati con carattere assistenziale, non devono andare solo alla vecchia formazione professionale. Dal 1° gennaio del 2000 saranno gestiti da comitati dove saranno presenti le parti sociali, il mondo del lavoro con le sue esigenze, scuola e Università" [E i 6.500 miliardi previsti nella finanziaria?].
Si tratta del primo passo di un sistema nazionale dell'istruzione e della formazione che favorirà la mobilità sul mercato del lavoro, e per il quale i nostri ministri stanno "elaborando un sistema di carte di identità formative o educational credit card. L'obiettivo è quello di dotare ogni cittadino di un curriculum, dove siano certificate le sue capacità, i corsi e le esperienze che ha fatto" a cominciare dagli studenti per estendere in futuro l'iniziativa a tutti i cittadini. "Un curriculum facilmente visibile sarà anche un aiuto alla mobilità", parola di Berlinguer.
Questo è il nuovo grimaldello col quale il governo intende superare l'opposizione dei sindacati e scardinare il sistema pensionistico. Il ministro del Tesoro, Amato dice: "Quando affronteremo la riforma del Welfare, le nuove priorità della spesa sociale, allora bisognerà fare i conti con questa società dai saperi e dai lavori mobili. Questa società ha diversi esclusi da proteggere: quelli che sono rimasti dequalificati, ai margini dell'economia informatica, abbandonati a vedersela con la concorrenza degli immigrati. Qui, tra i figli dei meno abbienti, tra le vittime dell'abbandono scolastico, è possibile una logica di scambio"... con le pensioni!Citazioni da Repubblica, 19 luglio 1999
Poiché il
messaggio che viene trasmesso e a più riprese ribadito dalle istituzioni,
dalla famiglia, dagli insegnanti, ecc. è che la scuola è il luogo
ove si acquisiscono le conoscenze, le competenze e i comportamenti indispensabili
per un adeguato inserimento nella società adulta (noi aggiungiamo stratificata),
un ragazzo può facilmente leggere la bocciatura o l'insuccesso come il
segnale evidente che lui non è all'altezza dei compiti sociali superiori.
Può essere quindi indotto alla rassegnazione a un ruolo subordinato o
all'emarginazione. Vi è addirittura il caso estremo più tragico
del suicidio dopo bocciatura (sempre troppo frequente), ma che non può
non apparire comela più logica, lucida e coerente conseguenza di questo
perverso sistema.
Oltre a non porre realmente lo studente al centro del processo educativo, la
scuola, scientemente, cioè aldilà delle dichiarazioni di intenti,
non si preoccupa affatto di fornire a tutti i cittadini (quali sono gli studenti)
gli strumenti per la comprensione del reale, benché questo sia un compito
doveroso e irrinunciabile per qualsiasi struttura educativa civile e democratica.
La capacità critica delle masse, che sarebbe il risultato di una scolarizzazione
realmente democratica, risulta potenzialmente (anche se non necessariamente)
pericolosa per il mantenimento del sistema oppressivo capitalistico e degli
assetti sociali e culturali esistenti. Questo è un rischio che le classi
dominanti non possono permettersi di correre! Grazie invece al mantenimento
di un sistema scolastico sostanzialmente tradizionale, autoritario e omologante,
lo studente-massa, anche quello "più avvertito" percepisce
le contraddizioni del "sistema" (come lui stesso lo definisce), ma
non è in grado di dargli un nome, di definirlo e di comprenderlo, poiché
volutamente è lasciato nell'ignoranza. La scuola in virtù del
suo impianto verticistico e autoritario è funzionale al sistema capitalistico,
e pretende dagli studenti massificati anzitutto l'acquisizione di comportamenti
e conseguen-temente di abilità "tecniche" minime necessarie
alla loro conformazione, al loro adattamento sociale.
La capacità di lettura dell'esistente è un obiettivo anzitutto
democratico, illuminato: è semplicemente un fatto di civiltà prima
che di scelta politica che dovrebbe ispirare ogni sincero democratico, anche
chi consapevolmente non si ponga affatto l'obiettivo di modificare l'assetto
socio-economico esistente. Ma, ribadiamo, le scelte politiche finora prese sono
state indirizzate a impedire quel salto di qualità civile!
Ecco perché il primo passo o uno dei primissimi passi verso una reale
riforma dell'istruzione in senso civile e democratica deve necessariamente essere
l'abolizione immediata di qualsiasi meccanismo di selezione, dalla valutazione
della conformità a standard prefissati di comportamenti, conoscenze e
competenze, alla bocciatura di fine anno.
Come rispondono i disegni di riforma ai compiti sociali della scuola
Le iniziative di
riforma della scuola messe in atto dai governi di centrosinistra si mantengono
nel solco della tradizione, cioè non rispondono alle esigenze di democratizzazione
della scuola, del sapere, della società. Anzi estendono anche al livello
dell'organizzazione del sistema la fisionomia verticistica e autoritaria tipica
del livello docente-alunno, attraverso l'istituzione dei dirigenti e la creazione
di quadri intermedi tra essi e l'insieme dei lavoratori, in altre parole di
una gerarchizzazione di ruoli e funzioni.
LE PRINCIPALI INIZIATIVE DI RIFORMA NELLA SCUOLA
NUOVO ESAME DI STATO
La valutazione conclusiva prende in considerazione l'esito degli esami e i risultati degli ultimi tre anni del corso di studi. L'esame comprende tre prove scritte ed un colloquio su tutte le materie dell'ultimo anno scolastico.
legge 425/97
Regolamento esami
DM 356/98 - DM 357/98
DM 358/98 - DM 359/98
DM 449/98 - DM 450/98
DM 452/98 - CM 462/98
CM 467/98 - Quesiti EF
DM 34/99 - OM 38/99
CICLI ISTRUZIONE Riorganizzazione complessiva del sistema di istruzione, con un percorso dai 5 ai 18 anni, articolato in due cicli: il primo fino ai 12 anni, il secondo dai 12 ai 18. Obbligo scolastico fino ai 15 anni, diritto formativo fino a 18.
Legge quadro
approvata dalla Camera
SAPERI DI BASE Ripensamento complessivo degli obiettivi del sistema di istruzione, partendo da una riflessione sui saperi essenziali per i giovani della nostra epoca, affidata ad una commissione tecnico-scientifica (Comm. dei Saggi).
Documento dei saggi
Sintesi commissione
Sintesi Maragliano
DM 50/97 - DM 84/97
INNALZAMENTO OBBLIGO SCOLASTICO Previsione di innalzamento della durata dell'obbligo scolastico da otto a 10 anni, fino alla riforma generale del sistema di istruzione, l'obbligo ha durata novennale.
CM 22/99
legge 9/99
STATUTO STUDENTESSE/STUDENTI Ridefinizione dei diritti, dei doveri e delle norme disciplinari delle studentesse e degli studenti.
DPR del 27.5.98
ORGANI COLLEGIALI D'ISTITUTO Testo coordinato predisposto dal comitato ristretto, finalizzato a definire gli organi interni alla scuola, le loro competenze e le prerogative delle diverse componenti scolastiche
Testo Comitato ristretto
VII Commissione Camera
PARITÀ SCUOLA PUBBLICA/PRIVATA Disegno di legge riguardante "disposizioni per il diritto allo studio per l'espansione, la diversificazione e l'integrazione dell'offerta formativa del sistema pubblico dell'istruzione e della formazione".
DDL 2741/97 Senato
SISTEMA FORMAZIONE SUPERIORE Istituzione di corsi biennali o triennali di formazione post-secondaria, non universitaria, finalizzata all'acquisizione di competenze professionali specifiche.
Sintesi documento FIS
Testo integrale
Percorsi IFTS
Compiti della scuola
rimangono quelli di riprodurre negli alunni comportamenti, conoscenze e competenze
necessari al mantenimento dell'ordine sociale. La novità principale,
e in sostanza unica, è quella dell'introduzione nei piani, nei discorsi
e nelle pratiche formative ed educative del concetto della flessibilità,
il nuovo dogma del sistema capitalistico in questa fase della sua evoluzione.
Flessibili devono essere i curricoli perché flessibilità richiede
il mondo dell'impresa. Si deve prevedere che nella società attuale un
individuo troverà collocazione professionale in ambiti e settori diversi,
che non esisterà più o sempre meno colui che svolgerà una
sola attività nell'arco della sua vita lavorativa, che non ci sarà
più il posto fisso e garantito: questi sono gli assunti di partenza.
E poiché la scuola deve fungere anzitutto da palestra della flessibilità
è bene che tutta la sua organizzazione sia improntata secondo i dettami
di questa filosofia.
Così la flessibilità non riguarda solo l'iter e i contenuti dello
studio e delle pratiche formative, (in breve gli studenti), ma anche tutta l'organizzazione
del processo e i meccanismi che lo governano, (il corpo docente, i dirigenti,
il personale non educativo). E in questa direzione convergono quindi tutte le
iniziative di riforma messe in campo, che siano o meno già definite e
attuate (riordino dei cicli, autonomia, dirigenza, parità, contratto,
organi collegiali, ecc.).
Accanto alla riorganizzazione del sistema e in nome del miglioramento della
qualità del servizio e delle prestazioni professionali, si definisce
e si concretizza la finalità di trasmettere e far acquisire a tutti coloro
che operano e agiscono nel mondo della scuola (studenti, docenti, ecc.) comportamenti
e mentalità conformi allo spirito della flessibilità. Ancora una
volta la lettura critica del reale e la crescita di individui consapevoli non
vengono posti realmente come obiettivi della pubblica istruzione. Non ce n'è
traccia nei preamboli e nell'articolato del riordino dei cicli di Berlinguer,
dove invece si ritrovano i riferimenti alla flessibilità. È una
preoccupazione che non esiste nelle disposizioni legislative ed attuative dei
processi di riforma. Gli elementi costitutivi del sistema scolastico, umani
e materiali, (istituti, personale, ecc.) trovano la loro naturale, necessaria
e immodificabile collocazione nel mercato. In tutti questi testi normativi lo
studente è assente o compare nella veste di "consumatore di un servizio".
È utile portare come esempio alcuni segmenti di analisi che partono dall'autonomia
scolastica, così come si va a delineare nei processi di riforma in atto.
Con questo provvedimento le istituzioni scolastiche di una certa dimensione
acquisiscono personalità giuridica e autonomia didattica e organizzativa,
con una dotazione finanziaria proveniente direttamente dal bilancio statale
"che si suddivide in assegnazione ordinaria e assegnazione perequativa"
(art 21, comma 5 L. 59/97, "Bassanini"); il successivo comma 6 recita
testualmente: "sono abrogate le disposizioni che prevedono autorizzazioni
preventive per l'accettazione di donazioni, eredità e legati da parte
delle istituzioni scolastiche". Si può ben immaginare, date queste
premesse, la consistenza degli investimenti statali per la scuola, mentre si
fa un gran parlare da tempo di finanziamenti alla scuola privata. All'autonomia
si ricollegano direttamente, tra le altre cose, dimensionamento e dirigenza.
Una istituzione scolastica si definisce tale se risponde a "dimensioni
ottimali" che hanno lo scopo di "garantire l'efficace esercizio dell'autonomia";
queste dimensioni ottimali, salvo casi particolari, sono "una popolazione,
consolidata e prevedibilmente stabile almeno per un quinquennio, compresa fra
500 e 900 alunni". Le scuole che non rispondono a questi requisiti non
conseguono personalità giuridica e vengono accorpate o ad altri istituti
dello stesso ordine e grado presenti sul territorio o in complessi onnicomprensivi
di più gradi. Questo, tra le altre cose, significa l'impossibilità
per certi direttori e presidi di pervenire alla qualifica di dirigente scolastico,
con tutti i vantaggi economici e di potere che comporta, ma significa anche
la possibilità o meglio la minaccia concreta per i dirigenti scolastici
di perdere in futuro la quota di popolazione scolastica, e quindi la personalità
giuridica e quindi la dirigenza stessa.
Preoccupazione massima di ogni dirigente scolastico già è e sempre
più sarà dunque quella di non perdere la quota minima di alunni;
egli sarà spinto ad agire secondo logiche manageriali in quello che ormai
si delinea chiaramente come un mercato della formazione, con tutte le leggi
e i "conforti" dell'economia di mercato. Ogni istituzione scolastica
entrerà in concorrenza con analoghe istituzioni presenti sul territorio;
a questa concorrenza si dovrà aggiungere la minaccia sempre più
concreta della scuola privata, alla quale, se otterrà i finanziamenti
pubblici, sarà per l'utenza più agevole accedere.
Per battere la concorrenza è ipotizzabile che si formeranno i trusts
e i cartelli tra scuole, come invita a fare la stessa normativa e come già
avviene con i vari progetti che vedono consorziati enti pubblici e scuole con
lo stesso bacino d'utenza. Infine, poiché come si è visto le dotazioni
finanziarie dirette sono dichiaratamente insufficienti, le istituzioni scolastiche
saranno chiamate a trovarsi dei finanziatori (enti locali pubblici o privati,
aziende, ecc. che avranno sempre più modo di intervenire nei processi
formativi) e a offrire all'utenza un prodotto sempre più accattivante
che si tradurrà, o meglio già si traduce, in un proliferare di
attività e progetti d'ogni tipo che hanno ricadute sempre più
pesanti sull'orario effettivo di lavoro di docenti e non docenti, i quali a
fronte di oneri aggiuntivi evidentissimi non hanno un chiaro, adeguato e certo
riconoscimento retributivo, ma soltanto la carota di parziali incentivi economici,
o la minaccia della perdita del posto, o il cappio dell'appello alla coscienza
e alla deontologia professionale.
A conferma di questo quadro idilliaco è sufficiente la lettura dell'articolo
di Enzo Riboni, Scuola, salto di qualità per avere il marchio "doc",
("Corriere Scuola", in Corriere della Sera, 23 ottobre '98):
"In 350 scuole italiane si parla giapponese. Ovviamente si fa per dire,
perché gli istituti coinvolti nel progetto del ministero della Pubblica
istruzione e della Confindustria conoscono forse non più di una parola
targata Sol Levante: 'Kaizen'. Il termine sta per 'miglioramento' ed è
alla base di una filosofia aziendale 'made in Japan', quella della qualità
totale, che finora aveva diritto di cittadinanza solo nelle imprese, ma che
da un po' di tempo sta dando l'arrembaggio anche alle aule scolastiche. Con
un obiettivo primario da perseguire, quello della scuola-azienda, entità
che ha come valore supremo il soddisfacimento dello studente-cliente (e famiglia-cliente),
pena, in caso contrario, l'uscita dal mercato della formazione". Più
chiaro di così!
PROVVEDIMENTI DI RIFORMA
CONSEGUENTI ALLA LEGGE n.59/97 - c.d. BASSANINI
DEFINIZIONE DIRIGENZA SCOLASTICA
(Art.21)Definizione della specifica dirigenza scolastica da attribuire ai capi d'istituto, contestualmente all'acquisizione della personalità giuridica e dell'autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche.
Dlgs 59/98
DM Formazione
CM 461/98
DIMENSIONAMENTO UNITÀ SCOLASTICHE
(Art.21)Definizione delle dimensioni per l'attribuzione della personalità giuridica e l'autonomia alle istituzioni scolastiche e le deroghe dimensionali in relazione a particolari situazioni territoriali o ambientali.
DPR 233/98
AUTONOMIA DIDATTICA E ORGANIZZATIVA
(Art.21)Definizione delle regole e delle garanzie per la realizzazione della flessibilità, della diver-sificazione, dell'efficienza e dell'efficacia del servizio scolastico, dell'integrazione e del miglior utilizzo delle risorse e delle strutture.
Regolamento
DM 765/97 - CM 766/97
Dir.133/96 - Regol.133
CM 239/98 - Dir.238/98
Come dovrebbe essere la scuola
Anzitutto è
bene e necessario scardinare il sistema scolastico attuale, diciamo così,
"a partire dal tetto", perché è l'urgenza più
immediata e può indurre una rivoluzione di mentalità necessaria
a intraprendere i passi successivi. Il primo passo deve quindi essere quello
della eliminazione della selezione.
In un periodo di riflusso come quello attuale anche la frustrazione dei docenti,
che non vedono adeguatamente riconosciuto e apprezzato il loro lavoro, concorre
a determinare quei meccanismi che producono la selezione, e va ad aggiungersi
al mai superato autoritarismo, alla concentrazione di un elevato numero di studenti
in un'aula, alla disgregazione dell'ambiente sociale e familiare, alla mercificazione
dei linguaggi e delle culture, ecc. Quel che non si produce, o solo con molta
difficoltà, è la solidarietà con i più deboli, gli
studenti avviati a un massacro il più delle volte annunciato!
Si deve perciò opporre un rifiuto secco e inappellabile al meccanismo
selettivo, che colpisce anzitutto i giovani delle classi "meno abbienti"
(per usare un'espressione cara ad Amato!), e l'insegnante democratico dovrebbe
praticarlo da subito nella situazione odierna, senza attendere la scuola dei
sogni, propagandando e sostenendo questa posizione in ogni confronto con i colleghi,
nei collegi e nei consigli di classe, consapevole del fatto che un processo
educativo realmente democratico non può neppure prevedere l'esclusione
di qualcuno.
È pur vero che i tempi di crescita degli individui non sono identici
per tutti, ma depenalizzando la bocciatura, superando il carattere autoritario
e punitivo della trasmissione delle conoscenze e della valutazione, è
possibile che sia lo studente stesso a pervenire a una scelta maturata liberamente,
senza obblighi o imposizioni, che preveda il prolungamento della sua permanenza
in un determinato ciclo scolastico.
Il problema della selezione oggi quasi non si pone nel ciclo delle elementari.
Qui si tratta anzitutto di impostare una relazione didattica non più
vincolata da tutta quella serie di obblighi e compiti tradizionali volti più
che a dotare il bambino di conoscenze e competenze a fargli assumere un habitus
comportamentale funzionale alla società borghese pulita e ordinata, con
l'evidente e negativo risvolto di fiaccarne la creatività, la curiosità
e gli interessi spontanei.
É indispensabile quindi intraprendere un'azione didattica a tutto raggio,
anche se calibrata alle caratteristiche del ciclo scolastico, volta a favorire
la crescita armonica, consapevole, critica e autonoma di ogni studente. Perché
questo si produca nel migliore dei modi è necessario che l'insegnante,
che tutti gli insegnanti, stabiliscano relazioni profonde e paritarie con lo
studente, con tutti gli studenti, di tutte le classi. Va da sé che la
riduzione del numero degli studenti per classe (20 al massimo) è un altro
passo imprescindibile nella creazione di una scuola democratica.
LA SCUOLA IN EUROPA TASSO DI ISTRUZIONE (1) SPESA PER L'ISTRUZIONE % del PIL ISTRUZIONE SECONDARIA (2) UNIVERSITÁ (3) Austria 87 5,5 91 43,2 Belgio 86 5,6 90 40,2 Germania 81 4,8 86 35,6 Danimarca 89 8,5 87 44,8 Spagna 90 4,7 90 41,1 Francia 89 5,8 90 49,7 Finlandia 97 8,4 93 63,2 Gran Bretagna 86 5,4 85 40,6 Grecia 82 3,0 86 42,5 Italia 73 5,2 81 37,3 Irlanda 88 6,4 84 36,4 Lussemburgo 58 3,2 - - Olanda 91 5,5 86 47,1 Portogallo 81 5,4 - 34,5 Svezia 82 8,4 93 40,1
Fonte: Stato del mondo 1998, Il Saggiatore
(1) rapporto tra l'insieme dei livelli di istruzione (titolo di studio) e il totale della popolazione
(2) rapporto tra il numero degli iscritti alle secondarie e totale ragazzi d'età oscillante tra 10-19 anni
(3) rapporto tra il numero degli studenti universitari e il totale della popolazione d'età 20-24 anni
Per
fare questo è necessario un massiccio investimento di risorse nella scuola
da parte delle istituzioni e del governo. I finanziamenti alla scuola vanno
aumentati almeno fino al 6% del PIL (contro il 5% attuale, cioè almeno
100mila miliardi annui contro i 90mila attuali), per ristrutturare gli edifici
scolastici fatiscenti, per dotare ogni edificio di tutte le attrezzature necessarie,
per arruolare nuovi insegnanti, per dare loro una preparazione culturale e professionale
coerente con gli obiettivi di democratizzazione della cultura, per garantire
a tutti gli studenti il diritto allo studio, ...
È chiaro che questi investimenti devono essere indirizzati alla scuola
pubblica statale. Benché ancora non l'abbia fatto, essa è l'unica,
visti i principi a cui si ispira, che può garantire la democratizzazione
reale della cultura; vanno quindi stornati e indirizzati verso la scuola pubblica
tutti quei finanziamenti che già ora sotto diverse forme sono dirottati
alla scuola privata. Parimenti va ostacolato ogni nuovo tentativo di parificazione
dei finanziamenti tra pubblico e privato.
La relazione didattica democratica, impostata sulla pari dignità tra
insegnanti e studenti, sulla ricerca e il metodo critico, deve approdare all'autonomia
di giudizio e di azione dello studente. Ma perché questo processo sia
efficace gli studenti devono avere all'interno della scuola tempi e spazi adeguati
per attività autogestite.
La stessa pari dignità deve esserci anche in ogni altro rapporto tra
figure che operano nella scuola e si deve tradurre nella gestione paritetica
dell'istituzione scolastica sulla base della proporzionalità numerica
tra le diverse categorie, o di un meccanismo che si ispiri e si avvicini al
criterio della proporzionalità.
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Anno
finanziario |
Materne
Cap. 1461 L. 1073/62 |
Elementari
Cap. 1625 L. 122/77 |
Medie
Cap. 3672 L. 335/95 |
Magistrali
Cap. 3671 R.D. 577/28 |
Totali |
1990 | 42.000.000.000 | 80.000.000.000 | 30.000.000 | 900.000.000 | 122.930.000.000 |
1993 | 80.000.000.000 | 80.000.000.000 | 30.000.000 | 800.000.000 | 160.930.000.000 |
1996 | 76.760 000.000 | 75.750 000.000 | 23.750.000 | 900.000.000 | 153.433.750.000 |
1998 | 126.750.000.000
+ 60.000.000.000 |
108.912.000.000
+ 40.000.000.000 |
22.000.000
+ 10.000.000.000 |
900.000.000 |
236.584.000.000 + 110.000.000.000 |
I compiti del sindacato
Se si accettano
le linee di analisi fin qui proposte ne consegue che un sindacato democratico,
tanto più se di classe, deve opporsi strenuamente e costantemente a tutte
le iniziative ispirate alle logiche di mercato, per usare una formula sintetica,
con tutti gli annessi e connessi. Se poi queste iniziative partono invece dal
seno o ottengono l'avallo del sindacato stesso, è evidente che la battaglia
va portata dentro il sindacato stesso, senza sotterfugi né mediazioni,
anche a costo di una rottura esplicita.
L'opposizione deve individuare e attuare le opportune forme di mobilitazione
e di lotta per contrastare i processi di ristrutturazione operanti nella scuola
e nella società, ispirate alle logiche di mercato.
Va pertanto condotta una battaglia all'interno del mondo della scuola, con la
critica al modello educativo esistente, al modello organizzativo aziendalistico
promosso con l'autonomia, alla gerarchizzazione dei lavoratori sancita dal contratto.
Sul proprio luogo di lavoro il militante sindacale potrà e dovrà
battersi, anche nelle circostanze attuali, per la destinazione di risorse a
progetti realmente finalizzati all'eliminazione della selezione (tutoraggio,
studio individuale assistito, ecc.)
La battaglia deve essere condotta anche nella società, al fianco di tutti
i lavoratori e i pensionati, contro le politiche di programmazione economica
che minacciano la tenuta dello stato sociale. Battaglie che già dovevano
essere sostenute in passato e che ora divengono sempre più urgenti, poiché
i margini di profitto del capitale, in una congiuntura economica sfavorevole,
possono essere garantiti soltanto con un'accentuazione dello sfruttamento, con
la riduzione dei salari e/o con la riduzione della spesa sociale.