La scuola nel mirino.
La
politica scolastica del centrosinistra. REDS. Novembre 1998.
L'attenzione
rivolta dal governo Prodi (che si presume sarà anche di D'Alema) alla scuola
è sicuramente notevole e non è rimasta, come erroneamente molti
pensano e sostengono, una intenzione disattesa della propaganda elettorale dell'Ulivo.
Le iniziative politiche di vari leaders della coalizione di governo (per es. Marini
e la richiesta di finanziamenti alla scuola privata) e i provvedimenti legislativi
adottati dal ministro della P.I. Berlinguer e della Funzione Pubblica Bassanini
lo stanno a dimostrare. Tali iniziative e tali provvedimenti appaiono a prima
vista come un mosaico variegato, raffazzonato e confusionario, ma che in realtà
si iscrivono in una precisa e rigida logica di aziendalizzazione di tutti i settori
del Pubblico Impiego, e quindi anche della scuola, che fa da corollario alla logica
di smantellamento dello stato sociale o, se si preferisce, di affermazione del
principio di sussidiarietà nell'interpretazione ristretta e "affaristica"
sostenuta dai settori moderati della società, laici o cattolici che siano.
Tra i pezzi di questo mosaico vi sono: il "riordino dei cicli" o "riforma
Berlinguer", che ha trovato forma ed espressione in un articolato che per
ora ha visto interrotto il suo iter; l'autonomia scolastica, prevista dalla legge
Bassanini, che si è concretizzata in un regolamento attuativo; il regolamento
di dimensionamento scolastico; il superiore inquadramento funzionale e retributivo
dei dirigenti scolastici (ex presidi e direttori); la parificazione scolastica
tra pubblico e privato. A questi elementi altri ne vanno aggiunti, quali la riforma
dell'esame di stato, lo "statuto degli studenti e delle studentesse",
la revisione in corso degli organi collegiali, il rinnovo del contratto di comparto.
In mezzo a questa foresta di norme, leggi e orientamenti è difficile districarsi
senza perdere le fila dell'intreccio; altrettanto difficile è darne un
quadro complessivo allo stesso tempo chiaro, sintetico ed esaustivo. Quel che
è certo è che da tutto ciò deriva un'aspettativa dichiarata
di miglioramento dell'offerta formativa, in parole povere una scuola "migliore"
per studenti e famiglie, che rimane una pura intenzione, mentre è certo
l'aumento dei carichi di lavoro e quindi dello sfruttamento dei lavoratori scolastici,
senza un adeguato riconoscimento economico.
Proviamo a fare un ragionamento circoscritto a partire dall'autonomia, che funga
da esempio della complessità delle questioni ma che ponga anche delle basi
minime di chiarezza.
Con questo provvedimento le istituzioni scolastiche di una certa dimensione acquisiscono
personalità giuridica e autonomia didattica e organizzativa, con una dotazione
finanziaria proveniente direttamente dal bilancio statale, "che si suddivide
in assegnazione ordinaria e assegnazione perequativa" (art 21, comma 5 L.
59/97, "Bassanini"); il successivo comma 6 recita testualmente: "sono
abrogate le disposizioni che prevedono autorizzazioni preventive per l'accettazione
di donazioni, eredità e legati da parte delle istituzioni scolastiche".
Si può ben immaginare, date queste premesse, la consistenza degli investimenti
statali per la scuola; se poi lo si collega alle pressanti richieste di finanziamenti
alla scuola privata...!
Ma torniamo al nostro ragionamento, collegando a questo altri due pezzi del mosaico:
il dimensionamento e la dirigenza. Una istituzione scolastica si definisce tale
se risponde a "dimensioni ottimali" che hanno lo scopo di "garantire
l'efficace esercizio dell'autonomia"; queste dimensioni ottimali, salvo casi
particolari, sono "una ,popolazione, consolidata e prevedibilmente stabile
almeno per un quinquennio, compresa fra 500 e 900 alunni". Le scuole che
non rispondono a questi requisiti non conseguono personalità giuridica
e vengono accorpate o ad altri istituti dello stesso ordine e grado presenti sul
territorio o in complessi omnicomprensivi di più gradi.
Questo, tra le altre cose, significa l'impossibilità per certi direttori
e presidi di pervenire alla qualifica di dirigente scolastico, con tutti i vantaggi
economici e di potere che comporta (forse si tratta di un problema già
superato!), ma significa anche la possibilità o meglio la minaccia concreta
per i dirigenti scolastici di perdere in futuro quella popolazione scolastica,
e quindi la personalità giuridica e quindi la dirigenza stessa. Priorità
assoluta di ogni dirigente scolastico già é e sempre più
sarà quella di non perdere la quotra minima di alunni; egli sarà
quindi spinto ad agire secondo logiche manageriali (da quanti anni si parla nella
scuola di "preside-manager"?!) in quello che ormai si delinea chiaramente
come un mercato della formazione con tutte le leggi e le storture dell'economia
di mercato. Ogni istituzione scolastica entrerà in concorrenza con analoghe
istituzioni presenti sul territorio; a questa concorrenza si dovrà aggiungere
la minaccia sempre più concreta della scuola privata, alla quale, se otterrà
i finanziamenti pubblici sarà più agevole accedere. Per battere
la concorrenza si formeranno i trusts e i cartelli tra scuole, come invita a fare
la stessa normativa e come già avviene con i vari progetti che si realizzano
e che vedono consorziati enti pubblici e scuole con lo stesso bacino d'utenza.
Infine, poiché come si è visto le dotazioni finanziarie dirette
sono dichiaratamente insufficienti le istituzioni scolastiche saranno chiamate
a trovarsi dei finanziatori (enti locali pubblici o privati, aziende, ecc. che
avranno sempre più modo di intervenire nei processi formativi) e a offrire
all'utenza un prodotto sempre più accattivante che si tradurrà,
o meglio già si traduce, in un proliferare di attività e progetti
d'ogni tipo che hanno ricadute sempre più pesanti sull'orario effettivo
di lavoro di docenti e non docenti, che a fronte di oneri aggiuntivi evidentissimi
non hanno un chiaro e adeguato riconoscimento retributivo, ma soltanto la carota
di parziali incentivi economici, o la minaccia della perdita del posto, o il cappio
dell'appello alla coscienza e alla deontologia professionale.
A ulteriore conferma di quanto detto si legga l'articolo di Enzo Riboni, dal titolo
Scuola, salto di qualità per avere il marchio "doc", apparso
su "Corriere Scuola" del 23 ottobre '98, l'inserto che il Corriere della
sera ogni venerdì da quella data dedica ai problemi della scuola. Il pezzo
così comincia: "In 350 scuole italiane si parla giapponese. Ovviamente
si fa per dire, perché gli istituti coinvolti nel progetto del ministero
della Pubblica istruzione e della Confindustria conoscono forse non più
di una parola targata Sol Levante: 'Kaizen'. Il termine sta per 'miglioramento'
ed é alla base di una filosofia aziendale 'made in Japan', quella della
qualità totale, che finora aveva diritto di cittadinanza solo nelle imprese,
ma che da un po' di tempo sta dando l'arrembaggio anche alle aule scolastiche.
Con un obiettivo primario da perseguire, quello della scuola-azienda, entità
che ha come valore supremo il soddisfacimento dello studente-cliente (e famiglia-cliente),
pena, in caso contrario, l'uscita dal mercato della formazione".
Più chiaro di così! Per inciso, scuole italiane già in possesso
del "marchio doc" di cui si parla nell'articolo, cioè la "certificazione
di qualità Iso 9000" (International organization for standardization),
e che fungono da "poli nazionali della qualità" per eventuali
contatti sono: il Majorana di Milano, il Fermi di Roma, il Montagna di Vicenza.
C'è insomma una montagna di lavoro da affrontare per le nascenti RSU, e
questo non è che un assaggio. Le RSU si configurano in questa situazione
lo strumento più diretto ed efficace che i lavoratori avranno in mano (visto
che tra l'altro il dirigente scolastico è "il titolare delle relazioni
sindacali") per contrastare in primis lo sfruttamento che li colpisce e reimpostare
in termini democratici e sociali la questione dell'educazione e della formazione
in Italia.