La paura del Novecento.
Il
perché dell'attacco della destra ai manuali di storia. Di Michele Corsi.
Novembre 1999.
Nei giorni scorsi elementi del Polo supportati dai maggiori quotidiani hanno creato un nuovo caso che purtroppo ha visto la sinistra di governo, come al solito, succube e impotente: hanno attaccato i manuali scolastici di storia.
L'attacco covava già da tempo ed è esploso. Ha cominciato il Foglio di Ferrara che ha sparato a zero contro il Camera-Fabietti reo di aver dato giudizi poco lusinghieri su Berlusconi. Il Corriere, con un articolo apparentemente neutrale uscito il 3 novembre, ha amplificato la polemica citando i giudizi antidestra del Della Peruta-Chittoli-Capra e dell'Ortoleva-Revelli. Venivano segnalati negativamente altri manuali "colpevoli" di aver dato un giudizio positivo su Prodi. L'articolo termina annunciando il prossimo appuntamento: il 13 novembre a Milano quando "varie associazioni di matrice moderata daranno il via a un incontro pubblico sul tema: scuola italiana, libro di testo, omologazione culturale.". L'articolista gongolante termina: "E spirano venti di guerra".
Potremmo ironizzare su questi vati del liberalismo, che, come si sa, è la filosofia della corrente alternata: funziona una volta sì e l'altra no. Vogliono imporre i manuali di storia con la loro visione della storia, falsamente neutrale. Un manuale che parla male della destra? Fazioso. Un manuale che descrive il '68 come brodo di coltura del terrorismo? Obiettivo. E quello che ci parla del "grande ruolo storico del pontificato di Papa Giovanni II"? Equilibrato. Scopriamo nei nostri liberali una già da tempo sospettata fregola censoria. Vediamola dal punto di vista del loro beneamato liberalismo: siamo nel mercato, giusto? Dunque ognuno è libero di stampare i libri che vuole. I professori o i genitori hanno la libertà di sceglierli. Chi impedisce agli storici di destra di scrivere i loro manuali? Se piacciono o meno lo deciderà il "mercato". Ma la risposta è pronta: gli insegnanti di storia hanno una matrice culturale di sinistra e dunque scelgono testi a loro affini. Ammesso e non concesso (magari fosse vero): come si dovrebbe risolvere la faccenda? Licenziamo i "sinistri" e li sostituiamo con altri dopo un esame ideologico? E così dal liberalismo finiamo in men che non si dica in un regime di polizia.
Siccome a noi però il liberalismo non piace, e per di più ci procura molta indelebile uggia, abbiamo deciso di impostare queste righe in altro modo. Vogliamo comprendere il perché profondo di questo attacco. La lettura più immediata dei fatti è: le classi dominanti, i loro partiti e i mezzi di informazione non vogliono che i giovani siano educati da una interpretazione "di sinistra" degli ultimi avvenimenti, in modo da evitare la nausea che la destra dà a chiunque abbia nozioni storiche nella testa e pochi soldi nella tasca. Ci sembra però una lettura precipitosa. In effetti sono ben pochi i docenti che alla fine della quinta, pur dedicando l'anno al novecento, giungono sino agli ultimi avvenimenti politici italiani. Quelli che corrono di più arrivano sino all''89. Quindi in realtà nessuno studente giunge a leggere le ultime pagine del manuale. E questo ammesso e non concesso che anche leggendole ne sarebbe influenzato. I nostri avversari non lo sanno? Dato che per formazione siamo abituati a non sottostimare l'avversario (anche se a volte ne avremmo una gran voglia) dobbiamo immaginare che c'è dell'altro.
Raccogliamo indizi. Ernesto Galli della Loggia che, insieme ad Angelo Panebianco, dà la linea editoriale al Corriere della Sera cioè a quello che è il giornale della borghesia italiana, nel commento di prima pagina del 31 ottobre, a seguito delle polemiche sul caso Andreotti e sul dossier spie russe, si provava a riflettere sull'uso della storia. Ed attaccava gli storici. Scriveva tra l'altro: "il partito preso idelologico e una certa dose di intolleranza (che l'autore colloca ovviamente a sinistra NdR) hanno da tempo mietuto un certo numero di adepti pure tra gli storici, e massimamente tra quelli dell'età contemporanea." L'attacco dunque è contro gli storici rei di essere in una qualche percentuale di provenienza sinistra? La ricerca storica sulla contemporaneità in effetti è stata in Italia sino agli anni ottanta congelata dalla impostazione di intellettuali vicini al PCI (tanto per parlare di manuali, si pensi al Villari) o al Partito d'Azione, ambedue i filoni animati da un forte spirito antifascista, repubblicano, ed anche, però, da una certa propensione a glissare sulle caratteristiche più nefaste dello stalinismo, a considerare la Resistenza come un movimento di liberazione nazionale negandone il carattere di guerra civile e di classe, a sottostimare in generale il ruolo delle masse, dei movimenti, del '68. Gli storici di matrice marxista antistalinista non hanno mai avuto molta fortuna da noi. Giorgio Galli ad esempio è rimasto l'unico per decenni nella pubblicistica ufficiale a dare una visione non edulcorata del secondo dopoguerra. Poi a partire dalla metà degli anni ottanta si è scongelata la ricerca storica. E per quanto riguarda la resistenza abbiamo avuto i Pavone, sul dopoguerra i Ginsborg, sul '68 e i movimenti di massa manuali come quelli del Guarracino. C'è insomma una nuova generazione di storici, di sinistra, non legati a fedeltà di partito, formatisi nel '68 e dunque con un occhio ai movimenti sociali. Sono dunque i nuovi storici che si vuole attaccare?
Anche qui: dubitiamo. Manuali con una visione della storia patria un po' demodé ve ne sono ancora. E del resto anche gli storici legati al PCI davano un'interpretazione del secolo che pur essendo, pare a noi, sbagliata (la lotta tra "fascismo" e "democrazia" con l'URSS dalla parte della "democrazia") non dà meno fastidio ai nostri liberali, che fanno di tutto per imputare lo stalinismo al comunismo ma non hanno alcuna intenzione di imputare il nazismo al capitalismo. E perché allora l'attacco si è prodotto proprio adesso? Per dare una risposta ci pare di dover risalire alle polemiche che sono seguite alla circolare di Berlinguer che spingeva allo studio del novecento. Accadeva prima infatti che gli studenti non arrivavano mai a studiare la seconda guerra mondiale. Chi mai alle scuole superiori ad esempio è riuscito a studiare la Resistenza? Bella grazia essere arrivati all'"avvento del fascismo". I programmi ministeriali riservando alla quinta un programma immenso che partiva sostanzialmente dal Cogresso di Vienna, impedivano nei fatti che si studiasse il nostro secolo. A ciò contribuivano anche i quesiti degli esami di maturità che non si spingevano mai oltre gli anni venti. Così uno studente usciva dalla scuola pensando che destra e sinistra erano quelle di Cavour e Depretis. Senza contare che, dato che in quarta non si riusciva mai a finire il programma, molti saltavano a pié pari Rivoluzione francese e guerre napoleoniche. Così i democristiani dormirono per decenni sonni tranquilli senza essere disturbati dalla storia.
Le orecchie dei nostri avversari però han cominciato a fischiare con la circolare di Berlinguer che spingeva a dedicare l'intera quinta allo studio del novecento. A quel punto è cominciata la campagna. Sul Corriere uscì all'epoca un editoriale infuocato di Panebianco che asseriva che "inevitabilmente" si sarebbe fatto un insegnamento della storia "politicizzato" e "quindi" il novecento non era da studiare. E siamo giunti al succo. I nostri non temono né manuali, né storici, ma: il Novecento. Il nostro è stato il secolo delle masse in movimento. Quando mai vi è stato un secolo più "politico" del nostro? In quale altra epoca dell'umanità le masse hanno tentato e fatto tante rivoluzioni? In quale altro momento le classi dominanti hanno costruito mostruosi argini all'avanzata degli oppressi? La paura dei manuali è la paura del Novecento. Dato che si rendono conto che non possono più impedire che si studi il nostro secolo, i "liberali" provano per lo meno a depoliticizzarlo. Stiamo pur certi che ora assisteremo ad un proliferare di manuali scritti da cattolici, un qualche Rumi che ci spiegherà come i papi del novecento abbiano fatto di tutto, poveretti, per evitare fascismo e comunismo, e che i cappellani di guerra sì, è vero: benedicevano le stragi dei colonialisti italiani in Africa, però lo facevano per ridurre il danno.
Le classi dominanti sono disposte a sacrificare interi campi del sapere pur di non veder messa in pericolo la propria posizione. E' sempre accaduto. Per esempio in vari paesi europei ancora nel secolo scorso le classi dominanti si opponevano all'insegnamento delle scienze esatte (perché temevano che veicolassero idee pericolosamente materialiste) anche se era indispensabile, persino dal punto di vista dei loro interessi, che si sviluppasse una generazione di tecnici in grado di gestire lo sviluppo industriale. Nel romanzo "Anna Karenina" di Lev Tolstòj, ambientato nella Russia degli anni '60 del secolo scorso, troviamo a tal proposito una interessante discussione tra due personaggi. Uno di loro dice: "Lo studio delle scienze naturali non ha minor valore dal punto di vista dell'istruzione degli studi classici. Prendete l'astronomia, la botanica, la zoologia col suo sistema di leggi generali!" Al ché uno dei protagonisti del romanzo, il principe Karenin, altissimo burocrate della gerarchia zarista, risponde: "Non posso condividere questo punto di vista. Non si può negare l'influenza morale delle opere classiche, mentre invece, disgraziatamente, allo studio delle scienze naturali vanno collegate certe dottrine false e demoralizzatrici che sono il flagello dei nostri tempi". All'epoca avevano paura dei nichilisti, oggi dei comunisti. I nichilisti di allora erano meno, nonostante tutto, dei comunisti di adesso, quindi possiamo comprendere la paura dei Karenin di allora ma ancor più quella dei Panebianco di oggi. Galli della Loggia/Karenin dice nel suo editoriale "in Italia la politica si è intrecciata con la storia servendosene come di una droga e a sua volta drogandola". Quindi chiede di fare a meno ... della storia. I nostri Karenin vorrebbero cominciare il millennio che si appresta liberi di ogni ricordo del passato: bolscevichi, fascismo, rivoluzione, operai in armi, femminismo, nazionalità etniche in rivolta... Vorrebbero passare la prima notte del duemila senza immagini che vadano loro di traverso mentre si versano lo champagne. Ma il Novecento è passionale, vigoroso, giovane e spavaldo: rovinerà la festa irrompendo nei loro palazzi e li inseguirà come un incubo per tutto il secolo che verrà.