Scuola: a che punto siamo.
La
lotta degli insegnanti prosegue anche con il nuovo ministro. REDS. Maggio 2000.
Pare che negli annunci del segnale orario alla TV di stato da qualche giorno compaia, nello spazio riservato alla pubblicità, il seguente messaggio: "Mancano tot giorni all'autonomia scolastica". Il 1° settembre 2000, infatti, entrerà definitivamente in vigore, in tutte le scuole italiane, l'autonomia; saranno cioè esecutivi tutti i decreti e i regolamenti che ne normano l'attuazione.
Il movimento degli insegnanti sorto contro il concorsone (il sistema fondato su prove selettive che avrebbe dovuto individuare 150.000 docenti su 750.000 a cui destinare un aumento tabellare di £.. 6.000.000 annui lordi) lo bloccato definitivamente con il grande sciopero e le manifestazioni del 17 febbraio scorso, dando vita nel contempo a vari coordinamenti cittadini e regionali, che hanno mantenuto attiva la mobilitazione, pur tra mille difficoltà, in questi mesi di calma apparente, riuscendo persino a gettare le basi di un coordinamento nazionale e di una piattaforma per il rilancio della scuola pubblica. Nonostante l'eterogeneità delle sue componenti, tale movimento ha espresso una sostanziale e largamente condivisa opposizione all'intero impianto delle riforme scolastiche pensate e attuate dal governo di centrosinistra. Basta sfogliare le pagine web di uno dei siti di tali coordinamenti, collegati in rete tra loro, per rendersene conto; ad esempio quello del Coordinamento delle scuole in lotta di Milano; http://members.xoom.it/coord/ oppure quello del Coordinamento del Piemonte: http://members.xoom.it/concorsone/.
Ma la diversità delle posizioni porta anche gli insegnanti a valutare differentemente le varie implicanze delle riforme fino a dividersi in sterili dibattiti, fortunatamente abbastanza circoscritti, su quale sia la riforma più deleteria e pericolosa tra tutte quelle dell'intero "mosaico", per usare la definizione di Berlinguer stesso. C'è perciò chi si scaglia contro l'autonomia, chi contro la legge di parità, chi contro il riordino dei cicli, individuando in questa o in quella la riforma da attaccare per scardinare l'intero meccanismo. Così come c'è che propone un unico principio a fondamento e garanzia della democraticità e del miglioramento del sistema educativo, come ad esempio il coordinamento piemontese, che fa della libertà di insegnamento la pietra angolare della difesa e del rilancio della scuola pubblica.
A noi pare che tutti i segmenti della "grande riforma" siano così complementari, come lo sono le diverse facce di un dado, e che non abbia troppo senso individuare la più pericolosa, ma che si debba essere pronti a criticarle e a contrastarle tutte quante, e che ogni iniziativa che si oppone a questa o a quella riforma debba essere comunque sostenuta con la stessa tenacia e convinzione, senza privilegiarne alcuna o essere tiepidi con altre. L'intreccio tra le diverse iniziative del governo Prodi prima e D'Alema poi (e ora Amato) l'abbiamo già analizzato e denunciato più volte (Vedi negli arretrati di Reds: "La scuola nel mirino") In questa sede è sufficiente ricordare quanto sia forte il nesso, per esempio, tra autonomia e parità.. L'autonomia scolastica, infatti, oltre alla gerarchizzazione dei rapporti di lavoro all'interno delle singole scuole, alla competitività sia tra le scuole che tra i lavoratori, al carrierismo, ecc. comporta anche il progressivo disimpegno e disinvestimento finanziario da parte dello stato. Ne sono testimoni l'art. 21 della Bassanini, madre dell'autonomia scolastica (che al comma 6 recita: "Sono abrogate le disposizioni che prevedono autorizzazioni preventive per l'accettazione di donazioni, eredità e legati da parte delle istituzioni scolastiche"), e le finanziarie sempre più penalizzanti nei confronti della pubblica istruzione, con riduzioni d'organico pesantissime, tanto che gli stessi sindacati confederali si sono visti costretti ad aprire una vertenza ancora solo settoriale per il personale ATA e a proclamare uno sciopero nazionale in materia dopo anni di passività e latitanza delle lotte. A ciò vanno aggiunti ovviamente gli aumenti inadeguati agli insegnanti e a tutti gli altri lavoratori della scuola.
Il disinvestimento dello stato nel settore scolastico, in altre parole il depotenziamento della scuola pubblica lascia inevitabilmente aperti dei varchi sempre più larghi per la scuola privata, non solo confessionale, che sia o meno sovvenzionata dallo stato. E' chiaro che un sostegno finanziario da parte dello stato, diretto o indiretto (buono scuola) che sia, non è indifferente; ma in ogni caso il processo di privatizzazione dell'educazione è già lanciato e avanzato, tanto dalla legge di parità varata dalla maggioranza parlamentare di centrosinistra, che dall'autonomia scolastica, che dal riordino dei cicli. Quest'ultima legge infatti, sia con l'anticipo dell'obbligo a 5 anni in carenza di scuole dell'infanzia statali, sia con l'obbligo formativo a 18 anni che si può svolgere tanto in istituti scolastici professionali, che in centri regionali o convenzionati che in aziende private stesse innesta nel sistema scolastico elementi fortissimi di privatizzazione. Con l'introduzione del sistema dei crediti e della certificazione delle competenze, infine, si completa la compenetrazione dell'istruzione e della formazione realizzandola in ogni direzione: dall'aziendalizzazione della scuola, all'apertura delle scuole alle aziende, alla trasformazione delle aziende in "scuole". Quelli che a partire dal settembre prossimo diventano operanti sono i primi due punti, il terzo arriverà presto.
Che tra i vari soggetti schierati apertamente a sostegno delle riforme, che anzi le hanno addirittura ispirate e promosse non è un caso vi sia la Confindustria. Se da una parte l'istruzione è un potenziale mercato di investimenti e profitti, dall'altra il controllo della scolarizzazione di massa è visto con indubbio interesse da chi non ha alcun desiderio che si formi un sapere critico in grado di mettere in discussione l'esistente. è un processo di dimensione mondiale quello a cui stiamo assistendo, che nel nostro paese è stato messo in atto nel modo più deciso ed efficiente dal governo di centrosinistra, ed al quale per il momento si sono opposti soltanto studenti, insegnanti e lavoratori della scuola, anche se ancora in maniera non coordinata.
Basti leggere la traduzione che proponiamo in questo numero sulla scuola privata in USA per rendersi conto della dimensione del fenomeno di privatizzazione dell'istruzione pubblica e dell'estrema somiglianza dei processi, pur in contesti differenti, a partire dalle analogie linguistiche (aziendalizzazione, managers scolastici, "buoni-scuola", utenza, ecc.). L'analisi svolta in questo saggio dai compagni statunitensi non si limita agli enunciati teorici o ideologici, ma porta numerosi esempi e documentazioni di una concreta e palpabile applicazione dei principi privatistici e aziendalisti nell'organizzazione del sistema scolastico.
Nel nostro paese il movimento degli insegnanti si trova in prima linea a combattere questo attacco al diritto allo studio. è evidente che in questa fase la linea sia essenzialmente difensivistica, di fronte agli attacchi sferrati sia contro il sistema scolastico in generale che contro la dignità e la professionalità dei lavoratori della scuola, particolarmente evidenti nella volontà di premiare con criteri meritocratici solo una piccola parte di essi. La scuola italiana ha meriti storici e sociali innegabili, come ricorda lo stesso ministro della P.I. Tullio De Mauro: "La scuola italiana il suo miracolo l'ha prodotto. Se pensiamo che negli anni ' 50 il livello di analfabetismo toccava il 30 per cento, mentre oggi più del 90 per cento dei giovani passa dalla media inferiore a quella superiore, oltre il 70 supera l'esame di maturità.. Gli insegnanti e la scuola fanno il possibile, e a volte l'impossibile, ma non possiamo chiedere che i docenti si trasformino in eroi. L'innalzamento del livello culturale delle persone che hanno superato i 45 anni e che non sono in grado di comunicare per iscritto con gli altri, è un problema di tale portata che deve essere affrontato a livello nazionale, che oltre alla scuola deve coinvolgere la formazione continua degli adulti, quindi i ministeri del Lavoro e dei Beni Culturali" (Repubblica, 17 maggio 2000). Ma mentre questi quasi "eroi" compivano questi "miracoli" i loro salari non sono stati altrettanto miracolosi, tanto che un docente di scuola secondaria superiore guadagna in un mese dalle 320 alle 550 mila lire in meno di quello che avrebbe guadagnato nel 1970, come si evince da una tabella comparsa sul Corriere della Sera del 26 aprile scorso.
Ma non bisogna dimenticare accanto ai meriti anche i limiti della scuola pubblica, a partire dalla sua impostazione culturale ancora essenzialmente classista, cioè penalizzante per le classi inferiori. La selezione e la dispersione scolastica sono infatti un problema cronico della scuola italiana che cresce coll'innalzarsi del livello di istruzione, ma che colpisce inesorabilmente i figli degli operai e dei proletari in genere. Nello stesso articolo sopra citato, a commento dei risultati del rapporto sulla "Competenza alfabetica in Italia" redatto dal Centro Europeo dell'Educazione, si legge: "in milioni di case, accanto alla tv accesa, la libreria è desolantemente vuota, non si vede traccia di giornali, allora si capisce perché una moltitudine di giovani, figli di persone che non hanno mai sfogliato un volume, non sono abituati al piacere della lettura e il loro rendimento scolastico non è proprio soddisfacente". Certo questi risultati non sono una novità, ma è su questi argomenti che fanno leva in gran parte provvedimenti di riforma. Essi infatti servono a giustificare percorsi scolastici e formativi differenziati in base all'estrazione sociale (senza però confessarlo apertamente) e non a sanare la situazione riequilibrandola, come è invece nello spirito e nella lettera della Costituzione repubblicana e come dovrebbe essere nelle intenzioni almeno di chi si dice di sinistra.
E' giusto perciò che si combattano le riforme, ma allo stesso tempo non ci si può limitare a riproporre un modello educativo che ha strette affinità con quello del recente passato. Così come ha poco senso, all'interno dei coordinamento degli insegnanti, determinare quale sia la riforma più deleteria, allo stesso modo è incompleto e riduttivo cercare di rilanciare la scuola pubblica riproponendo accanto all'opposizione all'intera politica scolastica del centrosinistra un unico principio, legittimo e sacrosanto quanto si vuole. Non può essere, come pretendono gli insegnanti del coordinamento piemontese, il principio della libertà dell'insegnamento il cardine e la pietra angolare per il rilancio della scuola, dimenticando o sottacendo tutto quanto di classista e antidemocratico può celarsi, come nei fatti è stato ed è, dietro quel principio.
Noi concordiamo con quanto sostiene Armellini, un docente bolognese promotore del movimento della "autoriforma gentile" (vedi http://members.xoom.it/autoriforma/), che alla domanda "E con i progetti di riforma di Berlinguer e soci? La rottura immagino sia totale...", risponde: "Si fronteggiano due posizioni: quella dei pedagogisti di Berlinguer, Maragliano e Vertecchi, ovviamente favorevoli alla riforma [...] D'altra parte ci sono alcuni accademici, come Ferroni, Russo e altri, che sono contrari in modo acerrimo alla riforma, ma in nome di un'idea di scuola alta, antica, in cui deve vigere il rigore, la disciplina, una scuola che produca uno studio serio, ecc. ecc. Ora, la loro critica al pedagogismo catastrofico che avanza, la condivido pienamente, però la soluzione non mi sembra affatto quella di contrapporre al pedagogismo un disciplinarismo che intende la trasmissione del sapere come una trasmissione molto attenta alla struttura del sapere codificato, dai contenuti saldamente scientifici in tutte le varie branche, dalla filosofia alla fisica. Mi sembra che anche questa proposta sia propria di una mentalità accademica specialista. In questo dibattito che taglia fuori gli insegnanti, noi cerchiamo di introdurre una terza voce, quella di chi questo mestiere lo fa. Perché questo, appunto, è un mestiere che naturalmente non può autarchicamente capire tutto se stesso, ma che quando è fatto con passione e impegno crea comunque un sapere. Per esempio, un insegnante sa che non è vero che i saperi si trasmettono, perché sono i ragazzi a costituirseli da sé: si possono allestire situazioni, li si può perturbare sensorialmente con le parole, ma poi sono loro che costruiscono i loro modelli di mondo e li costruiscono sulla base di domande, valori, criteri che hanno già quando tu li incontri, fosse pure a 5-6 anni. Allora non si tratta di trasmettere unilateralmente un sapere e di verificarne la trasmissione, bensì di costruirne cooperativamente uno: il sapere dell'insegnante si incontra con una domanda di senso, con degli orizzonti d'attesa, che non sono quelli del matematico o del fisico accademico e neanche quelli dell'insegnante stesso. Quindi quello che succede in una classe in questa relazione è sempre imprevedibile, non programmabile; è un incontro tra diversi modelli di mondo [...] la logica input-output nell'insegnamento non funziona perché noi mandiamo degli input, ma il loro significato non è determinato da chi li manda, bensì da chi li riceve e la distanza culturale tra le generazioni c'è ed è crescente. Ecco perché ogni teoria dell'insegnamento che parta deduttivamente o da un sapere precostituito che si suppone di dover trasmettere unilateralmente o da un'idea del funzionamento dei bambini e delle bambine, "imparata a mente", come diceva don Milani, è un'idea monca".
Terminiamo con le ultime sul nuovo ministro della P.I., Tullio De Mauro. Egli è stato uno dei principali collaboratori di Berlinguer e ispiratore della sua politica. Rileggendo i suoi interventi risulta sufficientemente chiaro quello che sarà il suo orientamento: proseguire sulla strada del suo predecessore, sia per quanto riguarda l'attuazione e il completamento delle riforme, sia per quanto riguarda la valutazione dei meriti professionali degli insegnanti legata agli aumenti di stipendio. Non c'è quindi nulla da sperare dal cambio della guardia ai vertici del ministero, ma la novità che egli comunque incarna ha inevitabilmente determinato un certo allentamento della mobilitazione degli insegnanti. Infatti c'è da registrare la revoca dello sciopero da parte della CISL e un'impasse nella vertenza generale sulla scuola che questo sindacato aveva lanciato. I Cobas invece hanno solo rimandato lo sciopero al 30 maggio. De Mauro nel frattempo ha fatto la sua sparata: il concorsone è seppellito, ma la valutazione per merito no; saranno le stesse scuole (cioè i presidi, pardon! i dirigenti scolastici) ad effettuarla. Il coordinamento nazionale degli insegnanti andrà in delegazione da De Mauro, per sottoporgli le sue rivendicazioni, tra le quali spiccano la richiesta di ritiro dell'art. 29 del contratto (che sancisce il principio meritocratico per le retribuzioni) e aumenti salariali per tutti, che comporterebbero la riapertura da tutti auspicata del contratto della scuola. L'intenzione originaria era quella di stanare il ministro; egli lo ha fatto da sé, e così facendo ha dato nuovo alimento alla mobilitazione. Dai coordinamenti sparsi nelle diverse città d'Italia il tam-tam telematico è già iniziato. Il 30 maggio sarà una nuova grande giornata di mobilitazione.