Sindacalismo di base e sindacalismo confederale.
Cobas
o CGIL? Durante il movimento contro il concorsone, una bella fetta di base CGIL
è stata sul punto di mollare e iscriversi ai cobas. Un intervento dall'interno
del movimento degli insegnanti di un iscritto CGIL. Di Michele Corsi. Maggio
2000.
I sindacati sono tutti uguali?
Sicuramente no.
Ogni sindacato è caratterizzato da una propria linea sindacale diversa
da organizzazione ad organizzazione. Per quanto riguarda gli ultimi mesi non
ho difficoltà a riconoscere che la linea sindacale della CUB, dei Cobas,
dell'Unicobas, dell'USI ed anche della Gilda è stata senz'altro più
giusta e vicina alle richieste dei lavoratori di quelle di CGIL, CISL, UIL,
SNALS.
In che cosa si assomigliano le organizzazioni sindacali
Si assomigliano
nel fatto di essere "organizzazioni", cioè raggruppamenti dotati
di una propria linea sindacale e di una specifica cultura sindacale. Il fatto
di essere una organizzazione crea di per sé degli automatismi che sono
assolutamente inevitabili e che portano invariabilmente al far sì che
tali organizzazioni si autocostituiscano in un corpo separato dalla "massa".
Una organizzazione ha tra le sue priorità quella di sopravvivere (è
attualmente la preoccupazione della CGIL) e quando si trova in condizioni favorevoli
(è il caso del sindacalismo extraconfederale) di crescere. Crescere (o
sopravvivere) significa varie cose, che hanno tutte a che vedere con l'aumento
del proprio spazio e del proprio potere: fare iscritti innanzitutto, e poi apparire
pubblicamente (e quindi guadagnarsi spazi nei media, farsi notare il più
possibile nei cortei, ecc.). Ciò avviene normalmente a spese delle altre
organizzazioni (quindi un tipico automatismo è quello di mettere in cattiva
luce le altre organizzazioni e drammatizzarne le differenze) o a spese dei movimenti.
Quando cioè appaiono dei movimenti più o meno spontanei gli automatismi
organizzativi si scatenano al fine di raggiungere il fine di: "mettere
il cappello" sul movimento (in modo da "inglobarlo"), oppure
dividerlo (in modo da "portarsi a casa" una sua fetta), oppure depotenziarlo
(in modo che sparisca e nasca tra gli orfani il desiderio di aderire a qualcosa
di più saldo).
Questi automatismi non riguardano solo i vertici, ma anche i militanti di base.
Le intenzionalità di questi sono sempre dettate dalla assoluta convinzione
che il bene della propria organizzazione coincida con quello della massa. Per
questo i militanti di organizzazione normalmente sono disponibili anche ad atti
scorretti verso la massa: essi lo fanno pensando che comunque ciò, in
ultima analisi, si risolverà in un bene per la massa stessa.
I movimenti
I movimenti nascono
sempre sull'onda di un momento di grande protesta collettiva. In quei momenti
le organizzazioni esistenti non riescono più a canalizzare la protesta
che ha bisogno di spazi ampi, la spontaneità non riesce ad essere costretta
in recinti ed ecco le grandi assemblee, le manifestazioni oceaniche, ecc. I
momenti di ascesa non durano in eterno. Anche riguardo al nostro movimento possiamo
dire che esso ha raggiunto il culmine da metà gennaio a febbraio. Poi
i movimenti rifluiscono, ma la militanza che essi hanno creato si guarda intorno,
percependo la fragilità e la temporaneità dei movimenti, cercando
un punto fermo organizzativo. E' questo il momento in cui, di solito, le organizzazioni
reclutano. Diciamo, un po' macabramente, che le organizzazioni crescono sul
corpo agonizzante dei movimenti. In qualche maniera il tramonto dei movimenti
viene solitamente accelerato dall'azione delle organizzazioni. Noi siamo in
questa fase in cui non ci sono più le "masse" in movimento,
ma le energie sedimentate si guardano intorno per darsi una struttura più
solida (che può essere sindacale o di altra natura).
Organizzazioni e movimenti
Quello descritto
è il "normale" funzionamento delle relazioni tra organizzazioni
(i partiti hanno automatismi simili) e movimenti. Il fatto però che sia
"normale", non mi spinge a condividerlo.
I movimenti sono lo spazio in cui molte persone partecipano, persone di differente
provenienza, con idee diverse. Sono un luogo di unità dal basso. Questa
spinta costituisce una sana tensione verso il superamento della delega. Il riflusso
dei movimenti si accompagna anche all'entrata dei "sopravvissuti"
nelle organizzazioni, che è un'altra maniera di delegare. Entrare in
una organizzazione dà identità, sicurezza, ecc. Ma è importante
capire che un movimento è sempre pluralista e pieno di diversità
oppure non è.
Ricordo a questo proposito quando ero studente a Bologna e l'organizzazione
alla quale ero formalmente iscritto mi pareva troppo morbida per i miei furori,
per cui per paio d'anni sono stato dentro quello che chiamavamo "il movimento".
In realtà non era affatto un movimento, anche se era in perenne polemica
con le organizzazioni: era semplicemente una corrente politica la cui unica
differenza con le altre era che non era strutturata classicamente con degli
iscritti e delle elezioni interne; per il resto c'erano gruppi dirigenti, una
linea ben precisa, cortei dalla maschia durezza della cui dinamica solo pochi
sapevano, riunioni ristrette di cui la massa non sapeva nulla e quando entrava
qualcuno che non era di quelle idee si trovava la maniera per fargli capire
rapidamente che non era posto per lui. Naturalmente questo NON è un movimento.
Un movimento o è pluralista o non è.
Proprio a causa del loro pluralismo i movimenti (quelli veri) sono spesso monotematici.
Quando riescono ad elaborare delle rivendicazioni sono molto più generiche
di quelle delle organizzazioni, dato che le organizzazioni (o correnti) sono
al loro interno più omogenee.
Queste caratteristiche, che fanno sì che organizzazioni e movimenti si
collochino su piani differenti, costituiscono una ricchezza reciproca: le correnti
o organizzazioni hanno parole d'ordine più precise, sono più efficienti,
producono analisi più articolate, ma appunto per questa loro definizione
programmatica sono costituite da pochi militanti. I movimenti invece (quando
ci sono) sono più vaghi, meno efficienti ma proprio per questo raccolgono
più gente. Del resto è così anche nel nostro caso: il Coordinamento
nei momenti migliori ha raccolto più gente dei militanti delle singole
correnti che lo componevano. Nel movimento vi è un vantaggio aggiuntivo
di non poco conto: essendo costituito da "diversi", c'è spazio
per un confronto ampio, arricchente per tutti, anche le organizzazioni hanno
modo di "tenere i piedi per terra", avendo a che fare con uno spaccato
di categoria maggiore di quello da loro rappresentato.
Del resto le organizzazioni sono ciò che rimane della militanza tra un
movimento e l'altro. Garantiscono un minimo di continuità. In questo
senso sono indispensabili. Ma abituandosi ad una sorta di esclusività
della rappresentanza, quando riappaiono i movimenti fanno fatica ad adeguarsi
alla realtà e invece di considerare i movimenti come occasione, hanno
la tendenza a intenderli come una sigla in concorrenza con loro non percependo
la differenza tra i due piani.
Mi piacerebbe dunque vedere, perché non mi è mai capitato, organizzazioni
che, pur pensandola in modi divergenti, considerassero i movimenti come occasione
per costruire l'unità dal basso. In assenza dell'unità dal basso,
che solo può prodursi in un movimento, noi avremo accordi tra i vertici
delle organizzazioni. Se non ci fosse stato il Coordinamento magari il 17 la
manifestazione si faceva lo stesso a Milano, ma come il frutto dell'accordo
tra dirigenti di Alternativa Sindacale, CUB e Gilda, e non come autonoma decisione
di una grossa e rapprentativa assemblea. Mi piacerebbe conoscere organizzazioni
che sentissero su di sé la responsabilità di salvaguardare il
massimo di unità possibile nei movimenti anche a costo di qualche sacrificio.
"Ma i Cobas non sono una organizzazione come tutte le altre"
Apro una parentesi
frutto delle discussioni che mi capita di avere fuori dalle assemblee coi colleghi
dei Cobas. Quando questi colleghi sentono parlare di distinzione tra organizzazione
e movimento ci rimangono male e dicono: "ma perché ci mettete con
tutti gli altri? La nostra storia è diversa: noi veniamo dal movimento
dell'88". E' vero, ma la stessa cosa si può dire della gran parte
delle organizzazioni esistenti. Scava scava prima o poi si arriva sempre ad
un qualche movimento che ha dato vita a quella certa organizzazione. Del resto
anche la Gilda è figlia di quel movimento. Il problema è che ora
i Cobas sono una organizzazione sindacale, con una linea sindacale diversa (migliore
o peggiore, ora non lo discuto) dagli altri, ma, al pari degli altri, "organizzazione".
Con le preoccupazioni tipiche dell'organizzazione: reclutare, crescere, apparire,
ecc. Se non si preoccupassero di questi aspetti del resto, sarebbero degli irresponsabili.
Ma quando sento dire che tra i Cobas e il movimento non c'è differenza,
mi preoccupo. Perché vi vedo dietro, seppur inconscio, un intento "totalitario".
Credo che da parte di una organizzazione riconoscere l'autonomia del movimento,
riconoscere cioè che è "altro da sé", sia la
prima dimostrazione di rispetto. Così come penso che le organizzazioni
dovrebbero riconoscere l'autonomia e la diversa natura dei movimenti, allo stesso
tempo penso sia loro dovere STARE DENTRO i movimenti. Per questo non condivido
la posizione della CUB, che a Milano non ha mai partecipato alle nostre assemblee.
Nel Coordinamento c'è gente con tutte le tessere possibili ed anche senza
tessera, ed è bene che sia così.
Certo, perché poi i movimenti non si trasformino in una palestra di lotta
tra organizzazioni (e, quasi sempre, tra i DIRIGENTI delle organizzazioni) ci
vorrebbe una cultura unificante che mettesse al centro di ogni preoccupazione
la salvaguardia dell'unità dal basso dei lavoratori e solo secondariamente
l'interesse della propria organizzazione.
Questo punto di vista invece è assai poco popolare perché l'automatismo
tipico di organizzazione porta a pensare che il proprio gruppo sia quello che
ha ragione e dunque l'unità è vista come un ostacolo sulla via
della "dimostrazione", agli occhi del pubblico, della giusta linea
della propria organizzazione. Ogni organizzazione cioè è portata
a pensare che la migliore unità sia quella che si realizza al suo interno.
Sindacati grandi e sindacati piccoli
Le differenze tra sindacati solo apparentemente riguardano la linea politica. La linea politica è un prodotto di qualche altra cosa, cioè della natura materiale di quel certo sindacato. La linea sindacale di CGIL, CISL e UIL è la diretta conseguenza della loro natura burocratica, e NON VICEVERSA. E' il fatto che al potere di questi sindacati vi siano potenti apparati che spiega perché hanno una linea capitolarda. E la loro natura burocratica è determinata dal fatto che sono grandi, cioè sono sindacati di massa. Tutti i sindacati non di massa hanno una linea sindacale non disastrosa, dato che ANCORA non è determinata dalla presenza di un apparato (i loro eventuali limiti dunque sono da imputare agli automatismi di organizzazione di cui parlavo prima). Dirò di seguito le conclusioni cui sono arrivato dopo più di venti anni di iscrizione alla CGIL (anche se solo da tre anni faccio seriamente sindacato nella scuola).
La forza dell'apparato
In CGIL (come negli
altri sindacati di massa) c'è un corpo consistente di distaccati e funzionari.
Gente cioè che si è staccata dal lavoro da tempo e che ragiona
secondo logiche che non sono più quelle dei lavoratori, ma logiche separate,
di apparato. Parlano un loro linguaggio, hanno propri scopi, reti di conoscenze,
ecc. che prescindono largamente dalle scuole. E questo indipendentemente dalle
idee con cui originariamente erano entrati nel sindacato e che non erano sempre
"malvage" (molti cominciano convinti di "cambiare dall'interno").
Poi ciò che condiziona il loro modo di pensare è il distacco dalla
base e la vicinanza quotidiana con altri distaccati che non vivono le condizioni
di lavoro sulla propria pelle. Sebbene solitamente i distaccati lavorino più
dei lavoratori (partono regolarmente i fine settimana per riunioni e tra loro
si trova non a caso un numero esagerato di separati e divorziati), non ne vogliono
sapere di tornare al lavoro: c'è un sistema di gratificazioni interne
(questa parte però mi sfugge un po' perché non ho esperienza diretta)
che li spinge a voler mantenere a tutti i costi il proprio posto. Del resto
un sindacato di massa non può sopravvivere senza un certo numero di funzionari
o distaccati.
Nel momento in cui la massa è passivizzata, questo corpo separato dai
lavoratori migra sempre più verso la controparte. Questa tendenza è
dovuta a vari fattori: l'apparato nei periodi di riflusso è fisicamente
più vicino alla controparte, la incontra regolarmente, ecc. Quando non
si sente pressato dal basso trova più comodo per la propria tranquillità
mettersi d'accordo con la controparte cercando di assecondarne i desideri o
addirittura anticipandoli, altrimenti sarebbe costretto a far lottare i lavoratori,
cioè a creare una situazione di instabilità per il proprio ceto.
Quando però i lavoratori si muovono allora l'apparato svolta rapidissimamente:
non può pensare di perdere il controllo della propria base, altrimenti
sparirebbe come ceto, che esiste perché ha un certo numero di tessere
e perché può garantire alla controparte di controllare la propria
base.
Si sarà notato il cambiamento repentino della maggioranza CGIL: fino
allo sciopero del 17 i suoi esponenti erano i pasdaran delle controriforme,
dopo il 17 hanno attuato una rapidissima retromarcia che oggi fa dire ad alcuni
di loro che sarebbe auspicabile un aumento di 6 milioni all'anno e danno mostra
di grande scetticismo di fronte alle dichiarazioni del nuovo ministro.
Quando si dice che "ormai" i sindacati confederali hanno una politica
che ecc. ecc., quell'"ormai" mi fa ridere: è da quando c'è
stata la svolta dell'EUR (più di vent'anni fa) che mi si dice "ormai"
immaginando sempre ogni volta ad ogni atto destroide delle dirigenze sindacali
una "svolta" irreversibile. Non è vero: i sindacati confederali
sono SEMPRE stati a destra quando le masse erano in riflusso. Ricordiamoci che
nel secondo dopoguerra con il riflusso del movimento partigiano la CGIL di Di
Vittorio ha firmato un accordo che ha dato il via libera ai licenziamenti di
massa nelle fabbriche, ricordiamoci che il '68 operaio (che ha preparato l'autunno
caldo dell'anno dopo) è nato contro l'accordo sulle pensioni firmato
dagli allora (come oggi) concertativi CGIL CISL UIL. Ma con i lavoratori in
movimento negli anni settanta, gli stessi apparati hanno fatto di tutto per
"cavalcare la tigre". L'EUR c'è stato solo DOPO che era cominciato
il riflusso.
"Sindacati di stato"
Molti colleghi
parlano a proposito di CGIL, CISL e UIL di "sindacati di stato". Non
sono d'accordo. Qual è l'origine della burocrazia? Non è affatto
lo stato. La burocrazia nasce al nostro interno, è un problema di noi
lavoratori. Espellere dal nostro interno l'origine dei nostri guai significa
sottovalutare pesantemente i pericoli che noi stessi alimentiamo. LA BUROCRAZIA
NASCE DALLA NOSTRA TENDENZA ALLA DELEGA. In fondo al corridoio che comincia
con la frase "dillo tu che sei più bravo" c'è un burocrate.
I lavoratori non vedono l'ora di delegare, per mille ragioni: perché
hanno complessi di inferiorità, perché non hanno tempo, ecc. ed
è proprio questa la tendenza da battere. Lo vediamo nelle scuole quando
ad esempio eleggiamo sempre gli stessi delegati (nella CGIL c'è una gran
quantità di delegati "eterni", tra i quali poi emergono i distaccati),
quando nelle assemblee intervengono gli stessi, quando le presidenze sono formate
dalle stesse persone, quando ci sono sempre gli stessi che ci istruiscono con
relazioni iniziali e terminali (la parola è appropriata) interminabili.
E lo vediamo anche nei movimenti, dove, se non c'è un problema di burocrazia,
c'è pur sempre un problema di liderismo: certi comitati ad esempio che
mandano sempre la stessa persona a rappresentarli.
Certo, non si può impedire che emergano delle personalità nei
movimenti e nelle organizzazioni, persone per varie ragioni particolarmente
autorevoli e cercare di impedire che parlino significherebbe istituire una censura
che non si capisce chi la dovrebbe gestire, se non nuovi burocrati. Non vi è
però alcuna ragione per far sì che queste persone "notevoli"
oltre che dell'autorevolezza che si sono guadagnate abbiano anche degli incarichi,
o dirigano assemblee, o stiano sempre dietro il tavolo della presidenza.
Credo che in questo senso come Coordinamento qualche passetto lo abbiamo fatto.
Ad esempio la presidenza non è appannaggio degli stessi: beh, francamente
è il primo movimento che vedo che riesce a fare una cosa simile, il mio
sogno sin da ragazzino è comunque un altro: vedere prima o poi quella
maledetta istituzione (la presidenza) saltare per aria. Ma ciò richiede
un livello di consapevolezza grosso, perché significa che certe regole
sono state interiorizzate da tutti (interventi brevi, ecc.). Ma molto altro
occorrerebbe fare.
Maschi e femmine
La burocrazia e
il liderismo sono maschi, anche se di tanto in tanto spunta qualche femmina.
La ragione è semplice: essendo i maschi il genere dominante nel momento
in cui si deve delegare, loro sono sempre pronti, "abituati" ad assumersi
compiti di potere. Sono abituati a guerreggiare con altre bande di maschi per
la conquista di spazi vitali. Sono abituati a far uso della parola a fini di
potere: nei movimenti come nelle organizzazioni, nei sindacati grandi come nei
piccoli regna sovrana la "parola", il "discorso", che serve
poco a far capire che cosa si sta facendo o per fare avanzare la riflessione,
ma ha sempre il fine di "dimostrare" di essere qualcuno che dice cose
nuove e brillanti. Per i maschi la passerella corrisponde ad un istinto quasi
animalesco che si può apprezzare in certi documentari della BBC quando
vediamo quegli uccelli che per fare la corte gonfiano il gozzo, o quelli che
mostrano il piumaggio o i cervi che brandiscono i grandi corni o i capobranchi
dei gorilla di montagna che per mostrare il loro tremendo potere esibiscono
il sedere. Il livello è quello. Quando si abbassa il tasso di liderismo
le donne, che hanno la pessima abitudine di intervenire solo quando lo ritengono
utile, riemergono. Del resto anche alle assemblee del nostro Coordinamento sino
al momento in cui non abbiamo preso misure antilideristiche (eliminazione relazione
e conclusioni, presidenza a rotazione, interventi di cinque minuti, ecc.) intervenivano
quasi solo maschi, ma dalla terza assemblea hanno cominciato ad intervenire
anche colleghe. All'assemblea di Parma dove non erano state prese misure antilideristiche,
invece, di donne ne sono intervenute solo due, sebbene fossero la grande maggioranza
in sala.
Non è un caso che tutti i sindacati, piccoli e grandi, abbiano come massimi
dirigenti e come dirigenti locali, dei maschi.
Che fare?
Nei movimenti stiamo
cercando di sperimentare modalità che abbassino il tasso di liderismo.
Nei sindacati dovrebbero esserci una serie di regole che impedissero il consolidarsi
di un ceto separato di funzionari. E queste sono a mio avviso:
1) il divieto a distacchi interi, solo semidistacchi in modo da assicurare che
si mantenga un collegamento con le condizioni di lavoro. Avere il semidistacco
è molto più duro che averlo intero: meglio, così non cresce
la voglia di farlo in eterno
2) semidistacchi a rotazione: dopo un numero fisso di anni (pochi) si deve istituire
l'obbligo del ritorno alla base
3) incarichi di direzione (direttivi, delegati, portavoce, ecc.) a rotazione:
nessuno deve permanere in incarichi dirigenti per più di due mandati
consecutivi. Alle famose persone carismatiche e capaci (di solito è questa
l'obiezione che si presenta quando si chiede la rotazione) diciamo che i cimiteri
sono pieni di gente insostituibile e che le loro capacità le possono
mettere al servizio del lavoro alla base, su una rivista, ecc.
4) separazione tra incarichi di direzione e semidistacchi, in questo modo si
accentua il carattere di servizio dei semidistacchi.
Di queste regole non ho mai visto traccia in NESSUN sindacato, piccolo o grande che sia. Credo non sia un caso.
I piccoli sindacati
I piccoli sindacati,
visto che la propria linea sindacale non è il prodotto della presenza
di un apparato, hanno delle linee solitamente più vicine a quelle dei
lavoratori. Ma, appena crescono, acquisiscono gli stessi identici difetti, in
misura proporzionale alla dimensione raggiunta. Ad esempio le RdB, piuttosto
forti nel pubblico impiego, hanno firmato nella sanità un contratto che
è degno compare del nostro, firmato da CGIL-CISL-UIL e SNALS. Questi
sindacati sono piuttosto indifesi contro il pericolo di burocratizzazione interna
dato che sono propensi a pensare che le differenze tra sindacati siano una questione
di linea sindacale e non vedono la centralità della burocratizzazione.
I loro potenziali burocrati sono ancora "compagni che si fanno un culo
così", e per questo nessuno oserebbe porre loro il problema della
rotazione. In realtà non appena si supera una certa soglia alcuni peccati
veniali si trasformano in mortali.
Ad esempio è piuttosto evidente che nei piccoli sindacati c'è
un problema di liderismo. Il leader non è il burocrate: il primo deve
contare sul consenso della massa, il secondo su quello dell'apparato. Ma ambedue
basano la propria preminenza sulla tendenza alla delega. Il fatto che nessun
sindacato abbia meccanismi di rotazione degli apparati dirigenti mi fa dubitare
che questi sindacati siano pronti ad affrontare il problema della burocratizzazione
quando questa dinamica porterà a tentazioni ben maggiori. Un altro dato
inquietante è lo spirito di organizzazione (che in nuce corrisponde nelle
organizzazioni di massa allo spirito di corpo dell'apparato) che porta a mettere
in primo piano gli interessi dell'organizzazione prima degli interessi di movimento.
"Ma che parli tu che sei della CGIL?"
Nella CGIL (e in
parte nella UIL e nella CISL), come negli altri sindacati di massa, c'è
sempre stata una opposizione, formata in gran parte da gente che poi è
uscita dando vita ai "sindacati di base". Non ho mai condiviso la
tipica maniera di fare opposizione sindacale in Italia. Il limite della sinistra
sindacale CGIL è lo stesso di quella dei piccoli sindacati extraconfederali:
il rifiuto di pensare che il problema è il no alla delega e la lotta
alle tendenze alla burocratizzazione (che possono albergare anche nei piccoli
sindacati). La logica è la stessa. Così, nelle battaglie in occasione
dei congressi CGIL, le tesi alternative, che nei contenuti hanno ben poche differenze
rispetto alle tesi dei Cobas o della CUB, ecc. non toccano MAI il nodo strutturale:
la questione della rotazione, della lotta al funzionariato a tempo pieno e senza
ritorno alla base, ecc. E questo per un problema materiale: molti tra gli oppositori
sono parte di questo apparato.
Occorre una sinistra sindacale diversa che attacchi il nodo di fondo e che pratichi
A PARTIRE DA SE STESSA un modo di fare sindacato diverso coniugando la battaglia
politica interna con la presenza nei movimenti, il tutto rischiando anche le
proprie posizioni negli apparati, tirandosene fuori quando è necessario,
praticando in prima persona la rotazione, ecc. Sto nella CGIL perché
è lì che può formarsi uno strato di attivisti che è
esposto alle tentazioni della burocrazia e che sceglie di resistervi, a contatto
con le larghe masse che sono dentro queste organizzazioni.
Le cose da fare
Dato che però penso che la questione centrale sia la lotta alla delega, è di secondaria importanza in che sindacato la si dà. L'importante è la consapevolezza che quella è la cosa fondamentale. Mentre mi lascia indifferente se uno si iscrive ad un sindacato o ad un altro, mi preoccupa molto quando uno si iscrive inconsapevolmente, senza cioè rendersi conto che sta entrando in una organizzazione, e quindi in qualcosa di necessario, ma di per sé negativo, per le dinamiche che vi albergano. Dobbiamo dar vita ad una leva di attivisti che all'interno di tutti i sindacati lotti contro la burocrazia, il liderismo e per la democrazia.