Gli scioperi di ottobre
Il
successo nella scuola degli scioperi del 9 e 16 ottobre, nonostante i limiti
delle direzioni sindacali. REDS. Novembre 2000.
Da 13 anni non si assisteva nella
scuola a uno sciopero nazionale indetto dai confederali (con lo Snals). Ciò
è avvenuto il 9 di ottobre, dopo la rottura delle trattative per il rinnovo
contrattuale nella parte economica. Le irrisorie offerte governative hanno indotto
i sindacati - anche il sindacato scuola oggigiorno più moderato, la CGIL
- a proclamare la mobilitazione. Ma dietro a tutto ciò c'era la pressione
degli extraconfederali e soprattutto della categoria, che a partire dallo sciopero
contro il concorsone del 17 febbraio scorso ha costretto le varie burocrazie
sindacali a mutare le loro posizioni e in qualche caso (ad esempio la CISL)
a radicalizzarle almeno un po'. Un risultato finalmente acquisito dopo questa
vicenda è che la differenziazione salariale per merito è ora abbandonata
anche dalla CGIL, che se ne era fatta strenua e ostinata paladina fino all'ultimo.
Ma soprattutto la spinta della categoria, della sinistra confederale e degli
extraconfederali ha messo nell'angolo i dirigenti sindacali che sono costretti
a impostare le trattative su una base rivendicativa di una certa consistenza.
La percentuale decorosa allo sciopero di Gilda e Cobas del 16 avrà sicuramente
allarmato i dirigenti di CGIL, CISL UIL e Snals, gli unici ammessi alla trattativa,
e consiglierà loro di stare all'erta e di strappare un accordo che risulti
il meno indigesto possibile. Si parla di 200.000 - 250.000 £ mensili nette
di aumento per tutti.
Anche se è la metà del salario europeo rivendicato dai Cobas,
le 250.000 £ nette sono comunque una cifra altamente significativa sul
piano politico, che pone la trattativa salariale dei lavoratori della scuola,
benché invisi per vari motivi al resto dei lavoratori, in una posizione
strategica per l'intero mondo del lavoro. Ed è anche per questo che delle
trattative riaperte dopo gli scioperi si sa poco o nulla, e da parte dei mass
media sulla vicenda è calato un assoluto silenzio. Un aumento del genere,
nettamente superiore agli incrementi mediamente strappati dalle altre categorie,
va ben aldilà dei tetti d'inflazione programmata e dei parametri di Maastricht,
oramai perseguiti quasi unicamente dall'Italia. Per non dire che rimette in
discussione l'intero impianto della politica dei redditi seguito ai famigerati
accordi di luglio. E questo ad opera degli stessi sindacati concertativi! Da
qui deriva l'estremo interesse manifestato dai dirigenti della sinistra sindacale
CGIL a livello confederale, appunto per il risvolto fortemente simbolico e quindi
strategico per i lavoratori tutti delle diverse categorie. Così come
l'imbarazzo delle burocrazie che si ritrovano tra l'incudine e il martello di
un'emergenza salariale denunciata con forza anche dalla controparte (si ricordino
le parole del ministro della P.I. De Mauro sui salari da fame degli insegnanti)
e gli accordi di luglio da essi siglati e che da un decennio determinano la
loro politica sindacale.
Inoltre c'è da aggiungere che la partita non si esaurisce sul versante
salariale, ma c'è tutto l'impianto delle riforme strutturali finalizzate
alla privatizzazione dell'istruzione, attuate e da attuare, che può venire
rimesso in gioco. Anche su questi piani la spinta dei sindacati di base e di
una categoria rinvigorita dal successo e delusa profondamente dall'attuazione
dell'autonomia scolastica che sta producendo conflitti e contraddizioni di ogni
sorta, è pronta a farsi sentire. Una prova evidente è la grandissima
partecipazione allo sciopero del 9 delle elementari: nel milanese hanno chiuso
tutte con pochissime eccezioni. È questo un settore tradizionalmente
poco incline a queste forme di lotta, su cui grava più di ogni altro
l'incertezza in caso di introduzione della riforma dei cicli promossa da Berlinguer
e perseguita con pari determinazione da De Mauro. Allo stesso tempo il fronte
sindacale confederale si è disunito, con la CISL critica verso il riordino
dei cicli, la UIL defilata e la CGIL unica a fare da stampella alla politica
scolastica del centrosinistra, ma con forti contraddizioni interne.
Questo è il panorama che si presenta nel futuro prossimo della scuola,
fortemente segnato dal positivo esito degli scioperi di ottobre, sia quello
di confederali e Snals del 9, che di Gilda e Cobas del 16. Ma questi scioperi
rappresentano anche un'occasione mancata di unità sindacale dei lavoratori
della scuola nei confronti della controparte e costituiscono un elemento di
debolezza della categoria rispetto alle potenzialità espresse che deve
far riflettere attivisti e soprattutto dirigenti sindacali di tutte le organizzazioni,
confederali o extraconfederali che siano.
La controparte reale di questi scioperi era il governo Amato, nemmeno il Ministero
della Pubblica Istruzione. Le briciole offerte da De Mauro nella trattativa
erano le briciole che gli aveva passato il governo, che ha da redistribuire
un "surplus" fiscale cercando di garantirsi un alto "ritorno
elettorale". Per certi versi la vertenza della scuola è venuta a
intersecarsi con la spartizione di questa torta. Il governo, offrendo le briciole,
aveva fatto con tutta evidenza un ragionamento molto semplice: se favorisco
"le famiglie", diminuendo la pressione fiscale, ho un maggior ritorno
elettorale di quello garantito da aumenti salariali ai dipendenti pubblici.
Dal punto di vista del governo il ragionamento non fa una grinza. Perché
il governo ha preso sottogamba le richieste sindacali, che prima della rottura
non erano comunque drammaticamente esose? Perché pensava che la rappresentatività
di CGIL, CISL, UIL e Snals fosse meno di zero e dunque si preparava ad utilizzare
ai propri fini la provvidenziale (dal suo punto di vista) divisione tra sigle
sindacali, in maniera tale da ignorare le richieste degli uni e degli altri.
Un bello sciopero minoritario il 9 ed un altro il 16 era quello in cui sperava.
Dalle dichiarazioni del giorno dopo risulta chiaro come l'azionista di maggioranza
del governo (i DS), i mass media e il governo non si aspettassero in alcun modo
questo successo e che ora sono costretti ad aggiustare verso l'alto la disponibilità
delle risorse. La protesta per la sua ampiezza ha assunto un livello "elettoralmente
non sostenibile" e dunque obbligherà ad una diversa suddivisione
della torta del surplus. Il governo ha aspettato, come fa qualsiasi padrone,
di contarci, prima di allargare il cordone della borsa.
L'alta adesione allo sciopero del 9 (il 45% a livello nazionale, secondo i dati
dello stesso ministero) non significa però tout-court adesione alla piattaforma
rivendicativa di Confederali e Snals, come già abbiamo rilevato. Così
come la discreta riuscita dello sciopero del 16 (15%) è sicuramente superiore
alla forza rappresentativa di Cobas e Gilda. Benché le dirigenze confederali
e lo Snals tentino di far apparire lo sciopero del 9 come una carta in bianco
alle loro rivendicazioni, la realtà è un'altra: l'alta adesione
si deve ad un ragionamento che la masse dei lavoratori ha fatto in maniera molto
semplice e corretta: ha "usato" questa scadenza, questa occasione,
per far sentire la voce della propria protesta nei confronti del salario e delle
condizioni di lavoro. Esattamente come una parte della categoria ha "usato"
la scadenza del 17 febbraio scorso per affossare il concorsone. Così
come allora ciò non significava in alcun modo una delega a Gilda e Cobas
così ora l'adesione al 9 non può essere spacciata per adesione
alla linea confederale: si tenga conto che nella gran parte delle scuole non
si fa un'assemblea sindacale da anni, e che la gran parte dei lavoratori non
ha la più pallida idea delle differenze che esistono tra un sindacato
e l'altro!
Non solo il governo, ma neppure le burocrazie sindacali avevano molta fiducia
nell'esito di questo sciopero: un decennio di immobilismo rivendicativo, l'acquiescenza
alla politica scolastica governativa, la progressiva perdita di contatto con
la realtà lavorativa della scuola e con la base della categoria, manifestatasi
in tutta evidenza nella vicenda "concorsone", non potevano che alimentare
questi dubbi. Per questo confederali e Snals hanno scelto di indire un'unica
manifestazione a Roma, per non disperdere le presenze. Inoltre hanno cercato
di ostacolare, complici in questo anche i dirigenti della sinistra sindacale,
ogni iniziativa spontanea e autorganizzata. A Milano di fronte a una manifestazione
organizzata da varie scuole, sostenuta dalla maggioranza di una platea di delegati
della CGIL, si è preferito inviare a Roma una delegazione complessiva
di 200 persone (di cui solo 20 della CGIL) piuttosto che organizzare o sostenere
un'iniziativa che avrebbe portato in piazza migliaia di lavoratori. Così
la manifestazione, letteralmente boicottata da tutte le sigle e correnti sindacali,
si è svolta ugualmente con una partecipazione non di massa ma "qualificata"
(molti i delegati presenti e un gruppetto di studenti medi): una cocciuta testimonianza
di autonomia delle scuole dai giochi di sigla, sulla scia della "tradizione"
del Coordinamento delle Scuole in Lotta. Anche in questo caso un'occasione persa
sia per i dirigenti della sinistra CGIL che per le sigle extraconfederali che
hanno preferito curarsi le "proprie" scadenze di sigla (la manifestazione
romana e il 16).
Ma c'è di peggio. Di fronte al malcontento diffuso nella categoria le
organizzazioni sindacali non sono state capaci d'altro che di organizzare 4
distinte giornate di lotta in 10 giorni: il 6 ottobre l'Unicobas, il 9 Confederali
e Snals, il 13 la CUB, il 16 Gilda e Cobas. Solo l'Unicobas ha poi rinunciato
alla sua data per aderire agli scioperi del 9 e del 16! Tra i militanti della
sinistra sindacale CGIL c'è chi ha provato a lanciare appelli per uno
sciopero unitario, ma ha ottenuto solo il silenzio più totale di tutti
i sindacati (tranne appunto l'Unicobas). CGIL e CISL hanno fatto di tutto perchè
i sindacati di base non partecipassero a uno sciopero unitario, e sono riuscite
nell'intento, complice la stessa ingenuità dei dirigenti Gilda e Cobas
che sono cadute nel tranello costruendo un confronto tra le scadenze del 9 e
del 16 dello stile "vediamo chi ne raccoglie di più", sfida
che benché contestino i dati, hanno chiaramente perso. Non è stato
bello inoltre vedere a Roma l'Unicobas, per quanto critici si possa essere verso
questa organizzazione, marginalizzata dai Cobas e costretta ad un comizio alternativo.
Cosa avrebbe potuto accadere se avessero puntato anche loro sul 9, tutti insieme,
privilegiando gli interessi della categoria? Avremmo avuto un'adesione allo
sciopero ancora superiore, intorno al 60-70%, con l'asse delle manifestazioni
spostato nettamente a sinistra. In altre parole, l'occasione perduta nel mese
di ottobre è stata quella di vedere in piazza tutti i lavoratori della
scuola, uniti. La cosa avrebbe prodotto un terremoto politico, mentre il 9 il
governo ha subìto un più modesto scossone. Dall'albero cadrà
qualche frutto, ma magari si poteva tentare di buttar giù tutto l'albero.
Tutti i sindacati (a parte l'Unicobas) hanno scelto la separazione, e da ciò
ad uscirne danneggiati sono stati i lavoratori nel loro insieme. Immaginiamo
solo per un momento cosa sarebbe accaduto se avessimo avuto manifestazioni unitarie
a Roma, dove la piazza avrebbe registrato la presenza di un settore di massa
radicale e dove a quel punto la contrattazione limitata ai firmatari di contratto
sarebbe apparsa davvero inaccettabile agli occhi di tutti. E a Milano, dove
avremmo avuto una manifestazione che sarebbe andata molto al di là della
somma dei partecipanti al corteo del 9 e del 16, e sarebbe stata tutta caratterizzata
a sinistra.
Per concludere, una considerazione sul balletto delle cifre e su un costume
(o meglio "malcostume") che la lotta tra organizzazioni sindacali
ha portato ad un livello che sarebbe comico se non avesse implicazioni politiche.
Le percentuali di adesione ai due scioperi fornite dal Ministero (rispettivamente
48% e 13%) sono contestate dai rispettivi schieramenti sindacali. Per quanto
riguarda le manifestazioni i confederali parlano di 100.000 persone a Roma il
9, mentre i Cobas dichiarano che a Roma c'erano 70.000 persone, con diverse
altre manifestazioni in una "miriade di altre città". I lavoratori
della scuola sono più o meno 700.000. Si vorrebbe far credere che un
insegnante su 7 è andato a Roma il 9? Ma se da Milano che ha più
di 50.000 lavoratori sono partiti in 200 in tutto! Stando alle cifre dei Cobas
e della Gilda invece 1 su 10 era a Roma, quando c'erano manifestazioni in una
"miriade di altre città". Non scherziamo. Fornendo cifre totalmente
destituite di fondamento e che non si limitano a raddoppiare ma a decuplicare
la partecipazione a scioperi e cortei, si impedisce ai lavoratori di fare delle
valutazioni autonome. Si ostacola cioè la loro crescita e il loro protagonismo,
mentre le battaglie che si presentano per il miglioramento dei livelli salariali
e delle condizioni di lavoro, così come della qualità vera del
sistema educativo democratico e pluralista necessitano proprio e in misura massiccia
di quelle qualità.