Perché no a una riforma che toglie centralità alla classe.
Come luogo di principale di apprendimento e di crescita dei bambini e delle bambine. Della redazione di Filirossi. Marzo 2001.


L'esigenza di un progetto formativo nuovo che ripensi globalmente il modo di fare scuola e gli strumenti culturali e operativi da offrire ai nostri bambini e alle nostre bambine, nasce da considerazioni sicuramente oggettive.
Esiste un disagio giovanile diffuso che si manifesta in atteggiamenti di passività, isolamento, conformismo, aggressività, competizione, apatia, insicurezza, vuoto ideologico e culturale.
La velocità con cui le conoscenze si moltiplicano e si fanno più complesse richiede uno sforzo continuo di aggiornamento e riqualificazione.
E' molto difficile, anche per gli individui adulti, raggiungere un livello soddisfacente di benessere psicofisico, nel lavoro e nelle relazioni affettive: i tempi sono contratti, l'offerta culturale accessibile ai più è scadente, la qualità dell'ambiente e del consumo, pure.
Il disagio comincia presto: da alcuni anni genitori e insegnanti delle elementari raccontano di bambine/i stanchi, irritabili, demotivati, incostanti, ansiosi. Talvolta frenetici, pieni di cose da fare, insomma disturbati.
Rimane la convinzione che la famiglia e la scuola debbano conservare il loro ruolo primario nell'educazione della persona.
Questo ruolo è continuamente messo in crisi dall'evidenza che i valori educativi di cui genitori e insegnanti sono ancora teoricamente depositari, non coincidono, anzi, spesso contrastano con i valori utili all'integrazione sociale, al successo, al benessere economico.
L'individuo dialogante, critico ma pacato nei ragionamenti, collaborativo, è un perdente nelle situazioni che richiedono tensione competitiva e omologazione del pensiero.
In altre parole, molti dei comportamenti che la coscienza comune ritiene inaccettabili, sono di fatto funzionali ai modelli dominanti della realtà produttiva e del mercato.
E' sulla base di una lettura dei vissuti attuali dei bambini e delle bambine che riteniamo indispensabile costruire attorno a loro una scuola che li accolga e li sostenga favorendo la loro crescita personale e sociale.

VOGLIAMO UNA SCUOLA AMICA

Che restituisca ai bambini/e, ragazze/i e insegnanti, tempo e spazio per parlare, giocare, riposarsi, cercare, scoprire, inventare, imparare e costruire valori, cultura.

Che riaffermi la classe come luogo privilegiato di relazioni significative, tutelando la continuità del gruppo e contenendo il numero degli alunni/e (max.20) e degli/delle insegnanti nella scuola primaria.

Il bambino e la bambina hanno bisogno di riferimenti certi non solo per quello che riguarda il rapporto con gli/le insegnanti, ma anche con i/le compagni/e, con le relazioni affettive che si creano all'interno di un gruppo stabile di coetanei. Gli equilibri che si formano all'interno di una classe sono la base per la sicurezza e la crescita del/lla bambino/a. Il/la bambino/a e il/la ragazzo/a non sono degli adulti che possono scegliere quale corso frequentare, con l'obiettivo cosciente di imparare. L'apprendimento di un/a bambino/a o di un/a ragazzo/a è influenzato da molti fattori, tra i quali il fatto di appartenere a una classe, avere amici con cui costruire relazioni stabili, confrontarsi con gli/le altri/e.
C'è poi il ruolo dell'insegnante: se non c'è una classe precisa, come fa a controllare questi processi, cioè l'equilibrio psicofisico dell'alunno/a? Se si abolisce la classe si arriverà ad avere insegnanti che entrano ed escono da un'aula, faranno una lezione e abbandoneranno i/le bambini/e ai loro problemi. Quella dei gruppi flessibili è la scuola dei più forti, dei più dotati, dei più ricchi. Per gli altri e le altre c'è l'abbandono.

Cosa caratterizza una relazione significativa tra insegnante/i e alunne/i capace di "formare" cioè di costruire insieme la capacità di "leggere il mondo circostante e se stessi in relazione al mondo" soprattutto quando ciò avviene nell'età della scuola elementare dove il/la bambino/a si confronta per la prima volta con richieste "sociali" complesse?

Occorre saper ascoltare detto e non-detto che delineano la storia di ogni singolo/a, rispettare il percorso di ognuno/a contenendo nel contempo le emotività "selvagge", sviluppare una comunicazione circolare che favorisca l'essere soggetto di ciascuno e il sentimento di reciprocità tra sé e con gli/le altri/e.
Conquistare stima e rispetto a partire da una autorevolezza per motivare interesse, impegno partecipazione al lavoro con gli/le altri/e.
Tutte "abilità" che si danno per scontate, che dovrebbero discendere miracolosamente solo dal fatto di essere lì, implicite nel ruolo e che richiedono invece tempo per impararle, tempo per esercitarle nelle situazioni sempre nuove che nuovi alunni/e comportano.
L'insegnato e l'appreso non diventano patrimonio del singolo, non si strutturano come parte integrante di sé se non si coniugano al desiderio e al piacere di essere e fare con e per gli/le altri/e, di conquistare progressiva identità e autonomia con il confronto con altri/e bambini/e da spendere e giocare nei molteplici aspetti della vita quotidiana.
Questa è, secondo noi, la prospettiva in cui ci giochiamo competenze, capacità, passione nel nostro lavoro quotidiano dentro la scuola.

Tutto questo richiede, per ambedue i soggetti coinvolti - insegnate e bambino/a - tempo per la relazione, per la sua crescita-costituzione, controllo, intervento.
La costituzione di "gruppi flessibili" di apprendimento che ha l'obiettivo di mirare soprattutto all'acquisizione di saperi, se prevarranno sull'organizzazione del gruppo classe non potranno che comportare una profonda lesione nella formazione della identità e personalità del/la bambino/a.

IL PROGETTO EDUCATIVO
LA SCUOLA DELLE RELAZIONI

La scuola ideale, nel nostro progetto educativo, è una scuola in cui la crescita di personalità sane, cioè indipendenti-equilibrate-originali, e l'apprendimento di sapere utile e duraturo, si realizzano esclusivamente in un contesto di relazioni significative.
Le relazioni significative, adulto-bambino/a e bambini/e-bambini/e, sono i legami affettivi che fanno star bene, quelli che costruiscono giorno dopo giorno in un ambiente amico, in cui tutti sono sicuri di essere ascoltati, compresi e accettati per quello che sono, e, per questo, tutti/e esprimono liberamente le proprie esperienze.

Quando nel gruppo si crea una comunicazione costante e circolare, fondata su presupposti di fiducia e autenticità, parlare è bello e utile perché consente di soddisfare i propri bisogni: dapprima quelli fisiologici e affettivi, poi anche quelli cognitivi.
Cresce allora la voglia di comunicare e di farsi capire, con essa l'impegno di ampliare e perfezionare i linguaggi conosciuti e ad apprenderne di nuovi e, in seguito, il desiderio di scrivere agli/le altri/e quello che non si fa in tempo a raccontare a voce.
Si impara a riconoscere gli scopi della comunicazione: coinvolgere, commuovere, stupire, far ridere, convincere, spiegare..., si scelgono le parole giuste e le intonazioni più efficaci.
Così piano piano, si comprendono i significati della letteratura, dell'arte, della musica.

Parlare, ascoltare significa ripercorrere o immaginare, attraverso la narrazione, le esperienze di ognuno/a nei rapporti con se stesso/a, con gli/le altri/e, con le cose; imparare a riconoscerle, scoprire uguaglianze e diversità, fare domande e cercare spiegazioni, sperimentare, trovare libri e documenti.
Raccontare esperienze vuol dire anche raccontare problemi, provare a risolverli, accorgersi che in tanti/e è più facile; circolano le idee, si formulano ipotesi, si scoprono strategie, si memorizzano procedimenti utili "per la prossima volta".
Così piano piano, si comprendono i significati delle scienze.

Le scoperte e le curiosità sono tante e si dimenticano, per necessità si impara a prendere appunti.
Gradualmente i campi dell'esperienza si ampliano e le conoscenze aumentano, allora, per comodità di studio si dividono gli argomenti in ambiti disciplinari e si impara ad usare metodi e strumenti specifici di ogni materia, nell'unitarietà del processo di ricerca.
Così piano piano, si impara un metodo di studio.

La comunicazione, non imposta ma desiderata dai bambini/e e costruita con loro rende i contenuti sempre pieni di significato.
La motivazione è vivace, crea curiosità e desiderio di imparare.
Nella dimensione-gruppo i bambini/e diventano rapidamente consapevoli della necessità di tollerare, sforzarsi di comprendere, cooperare, sono necessità e garanzie per il benessere di ognuno/a, cioè tutti/e: pensano regole, discutono, si mettono d'accordo e si rendono utili.
Così piano piano, si comprendono i significati delle organizzazioni sociali e le variabili storiche e ambientali che le modificano.

Comunicare, leggere, inventare, problematizzare, risolvere problemi, fare ricerche, scoprire, conquistare, rapportarsi agli altri, sono il sapere utile e duraturo, indispensabile a chi dovrà vivere, meglio, in un mondo in cui le culture e gli strumenti tecnologici evolvono e cambiano continuamente.

Per concludere, noi pensiamo che la costituzione del gruppo classe sia un luogo fondamentale e privilegiato dove i bambini/e imparano a capire e ad imparare, per tutta la vita.
Tutte le organizzazioni strutturali differenti possono e sono già da decenni (vedi esperienza delle "classi aperte") utilizzate per proporre nuove esperienze di apprendimento e relazione ma non devono diventare struttura organizzativa portante e esclusiva.