Libertà di scelta e attacco alla costituzione.
La formula politica della destra per sostenere parità scolastica, buono scuola e revisione della costituzione. REDS. Settembre 2001.


Venerdì 24 agosto al meeting di CL la ministra della pubblica istruzione italiana ha tracciato le linee generali della politica scolastica che il governo di destra intende perseguire: un mix di liberismo, disegni privatistici e conservazione sociale, il tutto ammantato di efficienza e antistatalismo. Nel suo discorso Letizia Moratti ha toccato varie questioni: la riforma dell'esame di maturità, l'arruolamento dei nuovi insegnanti, la "libertà di scelta", il liceo classico e la scuola professionale. In questo articolo analizzeremo la questione della libertà di scelta da un punto di vista ideologico e politico, senza toccare gli aspetti lavorativi e sindacali che essa sottende, che rimandiamo a una prossima trattazione.

Cosa si intende con la formula "libertà di scelta"? Un po' grossolanamente si è spesso portati a dire che essa non sia altro che un eufemismo un po' ipocrita per indicare il finanziamento statale alla scuola privata. La questione è un po' più sottile. Noi crediamo che "libertà di scelta" indichi il punto di mediazione trovato tra le componenti laiche e cattoliche della destra riguardo alla privatizzazione del settore scolastico, che non corrisponde nelle modalità alla tradizionale richiesta di intervento dello stato a sostegno dell'istruzione privata, proveniente soprattutto dal mondo cattolico. C'è nel principio della libertà di scelta un'impronta più marcatamente borghese e affarista (anche nei termini), che si coniuga non con il mondo cattolico nel suo complesso, ma piuttosto con i suoi settori più liberisti e filocapitalisti, di cui CL è la massima rappresentante, producendo una sorta di "cattoliberismo". Da questo punto di vista l'interesse per la scuola è duplice. Da un lato la scuola è formativa; fornisce cioè oltre a un'istruzione, una cultura, dei contenuti tecnici o disciplinari, anche una visione del mondo, dei contenuti morali, dei valori, dei parametri interpretativi. Dall'altro la scuola è un settore in grado di dare profitti che devono però essere garantiti, e i profitti sono più sicuri se l'impresa viene finanziata dallo stato. Il punto è: in che modo lo stato deve intervenire con questo finanziamento? Direttamente o indirettamente? Ed ecco che a "libertà di scelta" si associa l'altro elemento fondamentale della politica di privatizzazione scolastica del governo Berlusconi: il "buono-scuola", o altri strumenti analoghi quali la detrazione fiscale. Tra i vari strumenti il bonus è quello che va per la maggiore e consente, come sostengono i suoi fautori, sia laici che cattolici, di sostenere l'effettiva libertà di scelta delle famiglie (la famiglia è un altro degli assi portanti dell'ideologia delle destre). "Diamo alle famiglie la libertà di scegliere" ha sostenuto Moratti a Rimini, ripetendo un ritornello più volte scandito in questi anni e che ha trovato concretizzazione in un manifesto dal titolo emblematico Scuola libera! (pubblicato su Filirossi), sottoscritto tra gli altri da esponenti da intellettuali laici come Panebianco e Romano, editorialisti del Corriere della Sera, esponenti cattolici come Vittadini, leader di CL, e Bo, industriali e manager quali Tronchetti Provera, Cipolletta e Romiti. Buttiglione appoggia queste posizioni e ribadisce che si tratta "della libertà di scelta fra un modello di formazione e l'altro. Mi scelgo il mio maestro, mi piace quel progetto o preferisco quell'altro. Le famiglie e gli studenti potranno optare per il tipo di approccio educativo che sentono più vicino. Basta con lo Stato come una nuova chiesa [...] in cui la scuola pubblica diventa l'educazione al sacerdozio. [...] Non funziona l'equazione di partenza, ovvero scuola privata uguale scuola cattolica. Ce ne sono alcune cattoliche, certo, ma la libertà di scelta presuppone che ogni famiglia possa tranquillamente indirizzare i figli verso una scuola privata più confacente ai propri valori" ("Le famiglie scelgono e lo Stato risparmia", intervista concessa a Repubblica, 25 agosto 2001).

E' inutile sottolineare l'ipocrisia del cattolicissimo Buttiglione, che sostiene che tra le scuole private ce ne sono alcune cattoliche, quando in realtà sono la maggioranza; ma questa consapevolezza forse gli basta ad accettare il "compromesso" coi laici, puntando appunto sul fatto che le scuole cattoliche private sono la maggioranza, hanno dalla parte loro una tradizione e un nome che può agevolmente orientare le scelte delle famiglie. Probabilmente la sua è una tattica volta a procurare e mantenere l'appoggio delle gerarchie ecclesiastiche al governo. Infatti non è che il Vaticano accetti proprio di buon grado questa soluzione, che non tutela pienamente il primato della chiesa cattolica in campo scolastico quanto un più diretto finanziamento statale delle scuole private cattoliche. Ai tempi dei colloqui con i leader politici prima delle elezioni del 13 maggio il Vaticano premeva in tale direzione. La Chiesa non vuole la libertà di scelta, vuole la garanzia del sostegno delle sue scuole, che sono anch'esse in crisi. Essa, se può, non si accontenta di un pragmatismo basato su equilibri che possono rivelarsi precari. Guarda ai principi e cerca di conservare il proprio primato, che il principio stesso della libertà di scelta può mettere in discussione, soprattutto in un periodo come quello che viviamo di forte immigrazione che rimescola anche i rapporti tra le religioni. In linea di principio una forte comunità islamica (o ebraica, protestante, ecc.) potrebbe pretendere paritariamente una scuola islamica finanziata dallo stato. Inoltre siamo in presenza di crescenti critiche al modello capitalistico che trovano spazio non solo nel variegato mondo del cattolicesimo di base, ma anche in alcuni settori delle gerarchie cattoliche e addirittura nelle parole del papa, insieme alla mai riposta polemica contro il laicismo ateo. Non sarà facile per le frange cattoliche di governo salvaguardare questi equilibri, senza contare la protesta sociale molto sentita su questi temi, che può saldarsi con altre questioni in un crescendo di mobilitazioni. Per ora però l'appoggio è assicurato, come dimostrano gli entusiasmi della platea di Rimini e le parole di Buttiglione.

Identico sostegno forse ancora più deciso a Moratti perché continui sulla linea indicata viene dalla borghesia laica. Il fondo del Corriere della Sera del 29 agosto 2001 dal titolo "Un equivoco da rimuovere", a firma di Galli Della Loggia, si apre con una tirata polemica e saccente contro tutti coloro che di fronte alle proposte fate con garbo, buonsenso e fermezza da Moratti ricorrono "alle sparate demagogiche e ai toni di rissa", ad esempio rifugiandosi "nell'argomento secondo il quale sarebbe sommamente ingiusto, addirittura inaudito, che l'Erario si accollasse le spese di un servizio privato quando esso già provvede a finanziare il medesimo servizio pubblico". Il tono infastidito e sprezzante di Galli Della Loggia è un'autodenuncia della propria ipocrisia. Si sa come ragionano i nostri borghesi, convintissimi di avere la verità in tasca: io ti faccio una proposta che è sensata e ragionevole, non te la impongo, discutiamone, ma se non l'accetti sei fazioso e rissoso o, in alternativa, retrogrado e conservatore! L'ipocrisia non è solo nei toni, ma anche nella sostanza, poiché apre un articolo in maniera polemica su una questione di principio sulla quale cerca di attirare l'attenzione, quando ciò che veramente gli preme, il discorso politico (implicitamente richiamato nel titolo e nel sommario: "Scuola, pubblica, privata e Costituzione") è nella seconda parte. Dopo aver detto che lo stato già finanzia o ha finanziato imprese private (editoria, ricerca, ecc.) e dopo aver ricordato Moratti che ammonisce che in Europa solo Italia e Grecia mantengono il "monopolio pubblico dell'istruzione", considera chiuso l'argomento in fatto di principio e affronta quello che gli sembra "il grosso problema politico legato al divieto di oneri per lo Stato che l'articolo 33 della Costituzione stabilisce per il funzionamento delle scuole private".

Una piccola digressione prima di affrontare questo punto. Anche Galli Della Loggia, come Buttiglione, è un pragmatico che mira alle cose concrete, non alle questioni teoriche o di principio. E non si spende neppure più di tanto per confutarle. Se una cosa viene già fatta in un campo, perché non farla anche in altri? - suggerisce candidamente. Nonostante il suo pragmatismo il nostro dimentica che salvo rare eccezioni lo stato italiano (e gli enti locali) è intervenuto ben più degli esempi che porta a sostegno dell'impresa privata, tanto che la definizione "stato assistenziale" in Italia sembra coniata appositamente per indicare l'opera di salvaguardia statale del capitalismo nostrano. Lo Stato ha provveduto ad acquistare a prezzi spropositati aziende in crisi, a svendere a prezzi stracciati settori produttivi fiorenti, a sostenere i nostri industriali con sgravi fiscali, rottamazioni, aiuti d'ogni genere. Ed anche le scuole private sono state già abbondantemente foraggiate dallo stato (oltre 340 miliardi solo nel 1998). Si tratterebbe quindi di ulteriori finanziamenti. Ed è per lui irrilevante come reperisce lo stato le risorse per finanziare la libertà di scelta, tanto che neppure risponde alla domanda che lui stesso ha in qualche modo posto. Le risposte le hanno già date altri. Secondo Buttiglione, nell'intervista citata, lo stato dovrebbe pagare, sotto forma di "bonus, detrazione fiscale, altro ancora", "attorno a sei milioni" (cioè i due
terzi di quanto uno studente costi allo stato), che avrebbe a disposizione perché "risparmierebbe il posto-scuola lasciato vuoto dall'alunno che non frequenta istituti pubblici". Alla obiezione "le casse pubbliche non se ne vanno in tilt?", risponde: "No, perché si risparmia appunto sugli alunni che scelgono altra strada". Quello che non viene detto è in che cosa consiste la spesa che grava sullo stato per ogni alunno e che secondo Buttiglione è di 10-11 milioni l'anno. Poiché il grosso della spesa del ministero della Pubblica istruzione è nel pagamento degli stipendi del personale, tale risparmio ci può essere solamente o contenendo i salari di insegnanti e ATA o riducendo il personale. E' questo dal nostro punto di vista uno degli aspetti più pericolosi della riforma scolastica della destra, se non nell'immediato sicuramente in prospettiva. Buttiglione dice anche che "secondo noi le risorse della scuola pubblica vanno moltiplicate". Come fare però non viene detto. E' difficile garantire la riduzione delle imposte sbandierata più volte dal governo e l'aumento anche in un solo settore della spesa pubblica. Si può solo ridurre la spesa in altri capitoli di bilancio, leggi sanità e pensioni. Meglio ancora è non credere a quanto dice Buttiglione e chiedere a Galli Della Loggia: chi sono i demagoghi?

Ma torniamo al punto centrale del discorso di Galli Della Loggia: il nodo politico dell'art. 33 della Costituzione. Come abbiamo già detto la destra non mira ad aggirare il divieto che esso contempla, come poteva essere in passato, ma cementata una salda alleanza politica pensa alla sua eliminazione. Galli Della Loggia è in tal senso molto esplicito e ammonisce il governo ad agire con fermezza e senza giochetti sul piano della revisione costituzionale. Vale la pena riportare interamente il suo pensiero: quello contemplato dall'art. 33 "è un divieto che personalmente non condivido, che è giusto non condividere, ma c'è: e finché c'è sarebbe uno sbaglio, un grave sbaglio, se la maggioranza non ne tenesse conto e dunque decidesse di procedere come se nulla fosse muovendosi sul terreno della legislazione ordinaria anziché su quello della revisione costituzionale. Lo consiglia non solo il rispetto della lettera della Costituzione, a cui pure ogni governo è tenuto (ed a cui è bene che si senta tenuto) ma una ragione di elementare opportunità politica. E' più che probabile, infatti, che sulla questione della parità scolastica la sinistra si appresti a condurre nel Paese e nel Parlamento un'agitazione forte nella quale, se il governo decidesse di muoversi sul terreno della legislazione ordinaria, l'argomento della violazione della Costituzione da parte dell'esecutivo occuperebbe inevitabilmente un grande spazio simbolico ed emotivo. Decidere di muoversi sul terreno della revisione costituzionale avrebbe, dunque, il vantaggio innanzi tutto di togliere agli avversari un'arma polemica importante. Non solo: sul piano dell'abrogazione dell'articolo 33 sarebbe assai difficile per le componenti cattoliche e/o centriste dell'opposizione stare fianco a fianco fino in fondo con la sinistra e con le altre componenti laiciste in una battaglia per conservare la situazione attuale. Molto più probabilmente l'opposizione sarebbe costretta a registrare delle gravi fratture al proprio interno. Il che aprirebbe poi anche la strada a soluzioni legislative concrete più facilmente vicine a quelle auspicate dal governo".

La paura della piazza consiglia quindi a fare le cose per bene, in maniera più che legittima tanto più che si può ricorrere al gioco di sponda con alcuni settori dell'opposizione ulivista. La sinistra ex di governo e in primo luogo i DS vengono ancora una volta chiaramente e decisamente scaricati. Sarebbe grave non solo per loro ma per tutta la sinistra se si dovesse ostinatamente proseguire non solo nella politica di rincorsa al centro, ma anche nel limitare l'intervento politico al solo ambito istituzionale, come i tanti Violante continuano a suggerire. Se si vuole riguadagnare autonomia politica bisogna rinunciare ai vecchi disegni ormai chiaramente falliti e intessere di nuovo i legami con i settori avanzati della società, con i movimenti e con le forze politiche più affini. Parola di Galli Della Loggia!