La burocrazia all'opera.
Il
congresso provinciale di Milano della CGIL scuola, banco di verifica e di analisi
dei meccanismi burocratici. REDS. Dicembre 2001.
Il 30 novembre scorso
si è concluso il congresso provinciale della CGIL scuola di Milano con
l'elezione del segretario provinciale da parte di una platea di circa 300 delegati.
Questa elezione ha concluso un lungo e faticoso iter di congressi di base nei
quali si sono affrontate due tesi contrapposte. I risultati finali (62% a 38%
nei comprensori di Milano, Legnano e Brianza; 59% a 41% se si esclude la Brianza)
hanno riconfermato la vittoria della maggioranza uscente di "Diritti e lavoro",
che ha riproposto la continuità della linea sindacale a fronte di una proposta
di cambiamento portata avanti da "Lavoro Società - Cambiare rotta".
Partecipare e gestire le diverse fasi del congresso, dalle assemblee di base alla
platea provinciale, è stata un'esperienza utile, perché ha consentito
di toccare con mano il funzionamento dei meccanismi burocratici. Si sono potute
vedere le tattiche e i giochetti con cui la burocrazia persegue la sua affermazione
e la sua riproposizione, in un momento significativo come il congresso.
È infatti ingenuo e sbagliato pensare che in un congresso in cui si confrontano
due documenti - e quindi due diverse analisi interpretative e due indicazioni
diverse di linea sindacale - gli esiti siano determinati dal confronto dialettico
e dal consenso all'una o all'altra indicazione politica. Questo è solo
uno degli elementi che vengono messi in campo, e non è neppure quello che
ha maggior peso nella determinazione degli assetti. Vediamo brevemente gli elementi
di contesto politico prima di affrontare quello che, insieme a questi, riteniamo
sia l'elemento fondamentale su cui ha fatto leva la maggioranza per vincere la
partita.
Nel comparto scuola la maggioranza della CGIL aveva da scontare una forte crisi
nel rapporto con i lavoratori e con la propria base in seguito alla scellerata
politica di subalternità alle scelte del governo ulivista, di cui il famoso
concorsone era solo l'episodio di maggior spicco. Questo perché se è
vero che i consensi dei lavoratori della scuola vanno in maggioranza alle forze
del centrosinistra, tuttavia la totale e assoluta (per non dire acritica) fedeltà
alla linea delle riforme è propria solo di una minoranza di ceto insegnante
ambizioso e carrierista (una sorta di aristocrazia insegnante) o di "pasdaran"
diessini, il maggior numero dei quali è iscritto CGIL. Il mutato clima
politico prodotto dalle elezioni del 13 maggio ha ridato in poco tempo fiato a
un'identità "di sinistra" alla CGIL nel suo insieme, che si era
smarrita e lentamente sfilacciata negli anni più recenti del governo di
centrosinistra e più in generale nel decennio della concertazione. Il pericolo
delle destre ha ricompattato in una richiesta confusa ma sincera di unità
la gran parte dei lavoratori, che ben poco si appassionano o addirittura sono
consapevoli dell'esistenza di due componenti organizzate all'interno della CGIL.
Su questo aspetto hanno insistito con forza i relatori di "Diritti e lavoro",
accusando quelli della minoranza di indebolire nei fatti il sindacato.
Ma nonostante questi aspetti, ancora troppi erano i motivi che avrebbero potuto
orientare diversamente la base degli iscritti: le posizioni ambigue nei confronti
della guerra e la paura di un chiaro e fermo pronunciamento antibellicista; l'adesione
a interventi militari del recente passato giudicati una "contingente necessità";
una scarsa interlocuzione col movimento antiglobalizzazione che incontra invece
fortissime simpatie tra i lavoratori della scuola; la difesa contraddittoria della
concertazione e degli accordi di luglio a fronte di un loro evidente e provato
fallimento; il deficit di democrazia nel rapporto tra sindacato e lavoratori scontato
con particolare durezza proprio nella scuola in occasione degli ultimi rinnovi
contrattuali; la sfiducia dei lavoratori nei confronti del sindacato, evidenziata
anche dalla bassa partecipazione ai congressi di base (circa il 20-25% degli iscritti);
ecc.
Eppure, nonostante tutto ciò, la maggioranza uscente ha potuto vantare
un credito di notorietà e di credibilità che le ha consentito di
uscire ancora una volta vincitrice. La gestione quotidiana del sindacato, aldilà
degli errori politici, ha consentito alla burocrazia di rifondare e consolidare
i rapporti personali con la base e con gli iscritti. La consulenza, i favori personali,
l'ausilio fornito alle RSU in fase di contrattazione da una parte, l'individuazione
di referenti con un certo seguito nelle scuole che non fossero politicamente schierati
dall'altra hanno costituito la rete dei rapporti di base su cui costruire il consenso
alle posizioni della maggioranza. A ciò si aggiungano addirittura casi
di "clientelismo" e altre astuzie di vario genere (pressione sugli indecisi,
candidati messi in lista senza che sapessero nulla degli schieramenti, ecc.) messe
in atto spregiudicatamente durante le assemblee di base da funzionari scafati
allo scopo di riportare quel successo che significa la salvaguardia del proprio
posto. Non bisogna però credere che questi rapporti costituiscano una rete
di radicamento, se non a maglie molto larghe, che se consente di condurre vittoriosamente
una battaglia congressuale non comporta però un legame diretto e proficuo
del sindacato con la massa dei lavoratori e con la base intera degli iscritti,
che continuano a rimanere tagliati fuori.
Inoltre, accanto a questi tatticismi di tipo affettivo e relazionale, nelle assemblee
di base si sono più volte sentiti relatori di "Diritti e lavoro"
sostenere posizioni estremamente radicali che non trovano affatto corrispondenza
nel documento congressuale che presentavano. Diverse volte infatti nei loro interventi
hanno dichiarato che gli accordi di luglio sono stati superati nei fatti e che
quindi non vale la pena spendere troppe parole, si sono schierati demagogicamente
a favore del movimento antiglobalizzazione; hanno minimizzato i silenzi sulla
guerra assicurando che è stata una semplice dimenticanza; hanno addirittura
rivendicato la loro contrarietà a certi aspetti delle riforme scolastiche,
in primo luogo del concorsone, ecc. Il fatto è che queste sono solo parole,
mentre nelle tesi di maggioranza c'è scritto tutt'altro. Ad esempio si
legge che quella varata con l'accordo di luglio '93 è "un'efficace
politica redistributiva [...] che aveva al suo centro l'equità e lo sviluppo";
oppure che la globalizzazione è "un processo in sé ambivalente",
di fronte alla quale non ci vogliono "né acquiescenza né ostilità,
ma l'ambizione di contribuire a governarla", riservando al sindacato una
sorta di ruolo di intermediazione tra e i movimenti no-global e le istituzioni
internazionali quali Onu, Wto, ecc. "che vanno riformate e rafforzate".
In definitiva un mix di relazioni basate sui servizi forniti da funzionari o da
consulenti e di astuzie e demagogia nelle presentazioni dei documenti ha consentito
alla maggioranza di vincere e reggersi in sella. Quella che si presenta è
però una stagione nuova, che necessita di una nuova cultura sindacale per
controbattere agli attacchi della destra contro i lavoratori e le organizzazioni
sindacali.
Sulla necessità di un sindacato di lotta in questa fase sono tutti d'accordo,
ed è stato ribadito anche in diversi interventi al congresso provinciale,
tenutosi il 29 e il 30 novembre. Il fatto è che un decennio di concertazione,
di acquiescenza e arretramenti continui hanno prodotto una classe dirigente sindacale
assai poco combattiva e incapace di mobilitare i lavoratori. I segnali in questo
senso sono vari e mettono a nudo le difficoltà della burocrazia CGIL, anche
nella scuola. Tra i problemi da risolvere c'è quello legato al dilemma
se privilegiare la ricerca di mediazioni a tutti i costi con le burocrazie degli
altri sindacati confederali o il rapporto diretto coi lavoratori nella definizione
e nella conduzione delle iniziative politico-sindacali nonché degli scioperi
e delle lotte. La questione che concentra tutte queste problematiche è
oggi quella dello sciopero generale - a sostegno dei salari, contro la finanziaria,
contro la libertà di licenziamento, ecc. La questione è stata affrontata
e risolta in termini piuttosto generici nel documento politico del congresso provinciale
della CGIL scuola di Milano, che ha ribadito la necessità di promuovere
iniziative e dibattiti tra i lavoratori per arrivare allo sciopero generale.
Aldilà delle differenze che sono state rimarcate e per via soprattutto
del difficile contesto politico, il congresso si è concluso con l'affermazione
della gestione unitaria del sindacato scuola milanese fondata sulla difesa della
scuola pubblica, contro le politiche scolastiche della destra e le iniziative
privatistiche della giunta Formigoni. Il punto politicamente più significativo
di questa gestione unitaria sta nel rilievo strategico dato alle RSU non solo
in fase di contrattazione nelle scuole, ma di coinvolgimento e partecipazione
nelle varie fasi di deliberazione delle piattaforme contrattuali così come
di ogni importante occasione nella vita sindacale.
Infine c'è da rilevare che la platea congressuale, molto più libera
dai tatticismi e dalle fedeltà alle appartenenze politiche, ha dato il
suo assenso a un paio di importanti decisioni, laddove la commissione politica
preposta non aveva saputo trovare un accordo che non fosse estremamente generico.
È così approvato a grandissima maggioranza un ordine del giorno
contro la guerra e di impegno per la pace (226 favorevoli, 4 contrari e 33 astenuti).
A ciò ha fatto seguito l'approvazione di una mozione di appoggio a Rawa,
l'organizzazione rivoluzionaria delle donne afghane, e alle sue richieste
politiche in questa delicata fase in cui si approntano i futuri assetti politici
dell'Afghanistan.