In difesa della scuola pubblica di qualità per tutti.
Lettera aperta ai genitori, agli studenti e alle studentesse, ai lavoratori e alle lavoratrici della scuola. Della Rete di Resistenza a difesa della scuola pubblica. Febbraio 2002.


In queste settimane i lavoratori e le lavoratrici della scuola di tutta l'Italia stanno manifestando il loro profondo dissenso verso la riforma della scuola proposta dalla ministra dell'istruzione (non più pubblica) Letizia Moratti. Anche gli studenti e le studentesse hanno espresso la loro contrarietà, con occupazioni, autogestioni, cortei che sono confluiti nella grande manifestazione a Roma del 21 dicembre scorso contro gli Stati generali della scuola, voluti dalla ministra, a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone.
Anche noi, insegnanti e ATA delle scuole milanesi costituiti in "Rete di resistenza a difesa della scuola pubblica", ci opponiamo con fermezza a questa riforma, che penalizza sia i lavoratori e le lavoratrici della scuola, sia soprattutto voi, cittadini e cittadine di questo Paese, in qualità di genitori e di soggetti in crescita. Tale riforma infatti comprometterà profondamente la qualità della formazione dei giovani, relegando ai margini il ruolo che la scuola statale ha svolto dal dopoguerra ad oggi. Vogliamo in questa lettera mettere in evidenza i punti che riteniamo più negativi e preoccupanti:

LA FINE DELL'OBBLIGO SCOLASTICO
Nella proposta di riforma Moratti non si parla più di obbligo scolastico, ma di "diritto-dovere all'istruzione e alla formazione", dove per formazione si intende esclusivamente quella professionale e non quella legata alla crescita della persona in quanto tale.
L'obbligo scolastico, principio sancito dalla Costituzione, è innanzitutto obbligo per lo Stato di istituire scuole di ogni ordine e grado (articolo 33 Cost.) cui tutti possano accedere. E' evidente che in tal modo lo Stato non è più obbligato nei confronti dei cittadini. E' un aspetto fondamentale per privatizzare sempre più la scuola, lasciando allo stato il compito di garantire standard minimi in termini di servizi e programmi scolastici, destinati a coloro che non sono in grado o non intendono pagare una scuola privata sempre più agevolata.

LA RIDUZIONE DELLE ORE DI LEZIONE
La proposta di riforma elaborata dallo staff della ministra Moratti prevede di abbattere a 25 ore settimanali il monte ore obbligatorio delle lezioni, in tutti gli ordini di scuola. Ad esso si aggiunge un "percorso facoltativo" (laboratori di educazione fisica, motoria, artistica, musicale, informatica, lingue straniere, ecc.), che può raggiungere un tetto massimo di 300 ore annue, ossia circa 9/10 ore settimanali, assicurato non da ogni singola scuola, ma da una rete di scuole, con gli inevitabili disagi logistici ed educativi per studenti e famiglie. Si prevede infine un percorso "a responsabilità familiare", a pagamento, fruibile anche in ambiti extrascolastici e certificato dalla scuola. In pratica saltano il tempo pieno alle elementari e il tempo prolungato alle medie, nati non solo come risposta alle esigenze sociali delle famiglie, ma anche per soddisfare precisi bisogni educativi dei bambini e delle bambine, per aiutarli a superare le difficoltà e a sviluppare al meglio le proprie potenzialità. Nelle superiori sono a rischio numerosi insegnamenti che concorrono al pari delle altre discipline a sviluppare una conoscenza ricca, articolata e consapevole. Non corre invece alcun rischio l'insegnamento della religione cattolica, previsto nell'orario obbligatorio di ogni ordine di scuola, anzi ancor più garantito dalla nuova norma che prevede di effettuare la scelta se avvalersene oppure no una sola volta, all'inizio di ogni ciclo (e non più anno per anno, come finora si è fatto). La riduzione massiccia del tempo-scuola significa incidere negativamente sulla qualità della formazione complessiva dei giovani, al di là della loro estrazione sociale e territoriale, e significa svalorizzare il tempo scuola come elemento fondamentale di formazione e di crescita della persona.

LA SCELTA PRECOCE
La riforma prevede un sistema scolastico scandito in bienni e strutturato in due cicli: il ciclo primario di 8 anni, il ciclo secondario di 4 o 5 anni. Alla conclusione del I ciclo, all'età di 13-14 anni, i ragazzi e le ragazze sono costretti/e a scegliere tra due ordini di scuola completamente distinti, uno statale e l'altro regionale: quello dell'istruzione (licei) - l'ambito della astrazione e delle idee - e quello della formazione professionale (istituti) - l'ambito della manualità e della praticità. In sintesi, percorsi distinti e separati per l'accesso al lavoro o all'università. Questa canalizzazione rigida e precoce, non solo indurrà i ragazzi e le ragazze (o meglio i loro genitori) a scelte difficilmente modificabili, ma punta chiaramente a fornire un'istruzione secondaria di base diversa in relazione all'estrazione sociale dei giovani e al territorio in cui si risiede. A parole la riforma non impedisce il passaggio dalla formazione professionale all'istruzione e viceversa, ma è molto difficile che una scuola così radicalmente divisa consenta nei fatti questa possibilità. Quanto è realistica, ad esempio, la prospettiva di un passaggio allo studio del latino o del greco, della fisica o del diritto, dopo che per anni si è seguito un percorso di semplice addestramento professionale?!

LA VALUTAZIONE
La riforma introduce anche un un sistema di verifiche standardizzate e biennali, in pratica di esami, che determineranno il passaggio o meno al biennio successivo. Questa valutazione in serie contrasta fortemente con i bisogni fondamentali di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, che sono bisogni di socializzazione, di cooperazione, acquisizione e arricchimento di conoscenze, di pratiche comunicative, nel rispetto dei tempi necessari a una crescita armonica. Essa mira invece a selezionare e a indirizzare sempre più precocemente, in un'ottica individualistica, bambini e bambine, ragazzi e ragazze e loro genitori, verso quello che dovrà essere il loro destino scolastico e sociale: l'istruzione o la formazione professionale, il lavoro o l'università.

Accanto alla nuova "riforma dei cicli" altre iniziative del governo - come la riforma dell'esame di stato, il buono scuola, la riforma degli organi collegiali - rischiano di precipitare il sistema scolastico italiano in un vicolo cieco nel quale saranno penalizzati valori quali la democrazia e la parità di diritti e di opportunità per tutti.

UN TITOLO DI STUDIO SENZA PIU' ALCUN VALORE
I docenti delle commissioni degli esami di stato saranno tutti interni alle scuole (eccetto il presidente che svolgerà un ruolo di garanzia formale). Non ci sarà più alcuna valutazione esterna del lavoro svolto: i docenti che preparano gli studenti e le studentesse saranno i medesimi che li sottoporranno all'esame.
Questo priverà i giovani e le giovani di un'importante esperienza formativa, impedirà loro di confrontarsi e di rapportarsi in maniera nuova con adulti diversi. Inoltre favorirà i numerosi "diplomifici" che, a fronte di costose rette annuali (anche 10 milioni), elargiranno titoli di studio senza porsi troppi problemi sulla qualità della formazione. La modificazione imposta non solo penalizzerà quella scuola che continua a mettere al centro la qualità della formazione culturale e professionale dei giovani, ma porterà alla svalutazione del titolo di studio, ponendo così le premesse per l'abolizione del suo valore legale.

LA SCUOLA DIVENTA UN'AZIENDA
L'unica preoccupazione degli attuali legislatori è ridurre i costi del sistema scolastico statale (l'Italia è l'ultima in Europa negli investimenti per l'istruzione: il 5% del PIL, contro il 5,7% della media europea). La finanziaria 2002 prevede cospicui tagli che colpiranno la scuola pubblica con danni irreparabili: 34.000 docenti in meno previsti nel prossimo triennio, 8.500 già nel prossimo anno scolastico. Mentre si operano questi tagli alla scuola pubblica, si finanzia col "buono scuola" la scuola privata.
C'è il rischio, a questo punto, che la scuola statale - privata di adeguate risorse - venga ridotta al rango di scuola per i ragazzi con difficoltà e per le famiglie disagiate economicamente e culturalmente.
Anche la riforma degli Organi Collegiali va nella direzione della privatizzazione e della aziendalizzazione della scuola. La sparizione dei consigli di classe e la sostituzione del consiglio di istituto con il "consiglio di amministrazione" denuncia, già nel lessico utilizzato, tali intendimenti. Viene fortemente ridimensionata la partecipazione dei docenti, dei genitori e degli studenti alle scelte che interessano la vita scolastica; la presenza del personale ATA viene addirittura eliminata. La gestione della scuola viene in pratica affidata ai dirigenti scolastici coadiuvati da "esperti" esterni. Il verticismo diventa il nuovo parametro di riferimento, e chi ne fa le spese è l'idea di una scuola partecipativa e democratica, aperta al contributo di tutti.

UNA SCUOLA CHE DIVIDE
La scuola dello Stato ha garantito fino ad oggi un'istruzione pubblica di qualità, seppur da migliorare,  offrendo una sostanziale uguaglianza di opportunità educative per tutti i giovani, indipendentente dalla loro origine sociale e culturale. Con i "buoni scuola" verranno finanziate, con i soldi dello Stato, quindi di tutti, scuole private che potranno essere fatte su misura per studenti e famiglie in base al censo, all'ideologia, alla religione, al territorio.
In questo modo la scuola non sarà più opportunità di crescita, di confronto, di formazione umana e culturale tra studenti e studentesse, ma si creeranno scuole e culture separate. Solo una scuola pluralista e laica invece è garanzia di salvaguardia della democrazia, luogo di confronto e crescita umana e culturale per tutti i giovani, indipendentemente dalle loro origini e condizioni sociali, dalle loro convinzioni politiche o religiose.

LA VERA SCUOLA LIBERA
La vera scuola libera è quella che:
- assicura il libero confronto delle idee, salvaguardando il pluralismo nell'insegnamento e nell'apprendimento;
- recluta imparzialmente i docenti, in base ai titoli culturali, professionali e di servizio, secondo leggi e regolamenti;
- garantisce la libertà e l'autonomia dell'insegnamento, esercitata anche attraverso la sua dimensione collegiale, nell'interesse dell'allievo;
- accoglie tutti gli allievi, compresi i portatori di handicap;
- non discrimina gli allievi in base alla loro appartenenza sociale, religiosa, nazionale, ecc., favorendone invece l'inserimento nel rispetto delle differenze.
Tutto questo finora è stato ricercato e assicurato solo dalla scuola statale, nonostante i ripetuti tentativi di dequalificarla, a cominciare dalla riduzione delle risorse. Se la riforma verrà approvata nei termini in cui è stata illustrata, la scuola pubblica statale verrà ulteriormente e radicalmente ridimensionata, compromettendo la qualità dell'istruzione e della formazione culturale e professionale delle future generazioni.

Una scuola di qualità diventerà possibilità e prerogativa solo di una minoranza della popolazione italiana. Offriamo questo nostro contributo a studenti, studentesse e genitori, non solo per esprimere le nostre preoccupazioni, ma anche perché riteniamo di fondamentale importanza le loro considerazioni su un tema così importante e delicato come quello della scuola.