Tempo pieno e sostegno.
L'esperienza
più che ventennale di una insegnante di sostegno in una scuola elementare
di Milano. Di Elena Miglietta. Aprile 2002.
Mi chiamo E. M.
e insegno nel Circolo di via Martinengo. Ho 25 anni di servizio iniziati nella
scuola speciale [quella un tempo riservata ai bambini con handicap, N.d.R.].
La scuola speciale, per come era strutturata 25 anni fa, era organizzata per
gruppi di lavoro; non esistevano i voti ma i giudizi e il lavoro dell'aula convegno
e delle classi era concordato; già allora si facevano riunioni di programmazione
e l'orario scolastico era dalle 8.30 alle 16.
Poi alla fine degli anni '70 hanno cominciato ad inserire i bambini con handicap
nelle scuole di zona e anche noi abbiamo cominciato a lavorare nelle scuole.
Nelle scuole cosiddette normali c'erano classi di tempo pieno e molte di tempo
normale. Gli insegnanti che ci lavoravano credevano fermamente nel tempo pieno
e si battevano per ottenere i posti dal Provveditorato che ne concedeva pochi.
Allora avevamo 24 ore di insegnamento settimanali [oggi sono 22 di insegnamento
+ 2 di programmazione, N.d.R.], quindi gli insegnanti si trovavano fuori orario
per programmare le attività che erano molteplici, fra cui le ore di laboratorio,
le classi aperte e i gruppi di livello.
Anche noi insegnanti di sostegno facevamo parte della programmazione e avevamo
i nostri gruppi, oppure a volte svolgevamo la lezione curricolare mentre le
titolari si occupavano degli alunni con handicap.
Si trattava di classi a volte molto difficili, sia perché io personalmente
ho insegnato spesso in scuole disagiate o addirittura in scuole di trincea,
sia perché allora molti alunni che erano affetti da disturbi dell'apprendimento
o del linguaggio non venivano considerati come persone handicappate.
Negli anni '80, con la riforma Falcucci, il tempo pieno non è più sperimentale ma si consolida e viene ufficializzato; aumentano le classi e le richieste da parte delle famiglie che necessitano di avere i figli a scuola anche il pomeriggio perché le mamme lavorano.
Negli anni '90
il tempo normale va pian piano in via di estinzione e per legge nasce il modulo
quindi ogni scuola si organizza per strutturare parte della scuola a modulo;
ma poiché in quel periodo erano diminuite le classi per effetto del calo
delle nascite, non si riusciva quasi mai a fare un modulo in orizzontale [con
classi della stessa età, es. tutte prime N.d.R.], sia perché le
richieste del tempo pieno erano alte sia perché diminuivano le classi.
Il risultato è stato che siamo stati costretti ad aprire moduli in verticale
prima/seconda.
Le classi a modulo erano state pensate per risparmiare (legge finanziaria) poiché
su due classi gli insegnanti non erano più 4 ma 3 e l'orario di frequenza
scendeva a 30 ore settimanali senza l'obbligo della mensa (nel tempo pieno la
mensa è un momento didattico-educativo e quindi è obbligatoria).
Gli alunni frequentavano solo al mattino con due rientri pomeridiani, ma il
grosso disagio del modulo era la totale mancanza di compresenze; si vedevano
quindi le insegnanti che terminata la lezione, ogni due ore si salutavano sulla
porta e si scambiavano le classi. Arrivati in quinta gli alunni superavano gli
esami e la loro classe non esisteva più quindi il modulo diventava in
orizzontale e a scavalco tra due scuole, costringendo i docenti a fare acrobazie
per organizzare gli orari e gli spostamenti.
A Milano il modulo è miseramente fallito anche perché i genitori
hanno la necessità di inserire i figli non in un parcheggio ma in una
scuola di qualità.
Ora sopravvive fuori dalle grosse città e nei paesi disagiati dove addirittura
può diventare un modulo di 5 insegnanti su 4 classi con le pluriclassi.
Non c'è limite alla fantasia pur di risparmiare soldi.
In quegli anni
è nato anche il tempo pieno modulare nel quale due insegnanti erano fisse
e due ruotavano sulle classi.
Ci sono state molte esperienze diversificate perché il tempo pieno è
versatile e ci permette di adattarlo alle situazioni ambientali, valorizzando
anche le competenze di ciascun insegnante, senza contare il valore pedagogico
e sociale delle 40 ore di frequenza obbligatoria.
In questi ultimi anni oltretutto siamo in controtendenza per la fortissima immigrazione
straniera, soprattutto nelle zone di periferia. Per far fronte a tutte le difficoltà
di inserimento e di adattamento, questo tipo di scuola è l'unica che
ci permette lavorare proficuamente su vari livelli: difficoltà di apprendimento,
difficoltà di adattamento, difficoltà di comprensione e conoscenza
della lingua italiana e di educazione alla convivenza, alla tolleranza, alla
multiculturalità: in poche parole "integrazione".
Voglio sottolineare
anche il valore del lavoro di team che permette di sviluppare la professionalità
di ogni singolo insegnante e non ultimo l'addestramento dei precari o dei neo
assunti alle prime esperienze, che si sentono di far parte di un gruppo e programmano
insieme a chi ha più esperienza.
Vorrei sottolineare anche l'importanza della programmazione (22+2) che si svolge
una volta alla settimana, durante la quale vengono stabiliti gli obiettivi didattici
e le prove di verifica di circolo.
Ormai con l'autonomia le scuole lavorano su progetti che devono essere opportunamente stilati e precisi per poter avere i finanziamenti.
La nostra scuola
in particolare lavora sul progetto ambiente (il giardino) e sull'intercultura
("Il mondo in un piatto di feste" prevede laboratori all'interno delle
classi in preparazione dei vari festeggiamenti: capodanno cinese, festa africana,
fiesta del sol peruviana e il menù etnico a scuola).
Per il sostegno invece è in atto il progetto sulla dislessia, il lavoro
di gruppo sull'handicap grave e sulla comunicazione, in particolare sull'autismo
che comprendeva anche un corso di abilità sociali.
Certo che la precocità
dell'inserimento degli alunni e la velocizzazione degli apprendimenti come ce
la impone la Moratti, è impensabile in un tipo di scuola nella quale
i programmi sono calibrati su determinate età mentali.
I genitori possono essere d'accordo nell'inserire i figli in una scuola qualitativamente
ad alto livello, ma avere bambini piccoli in età da materna e bambini
grandicelli nella stessa classe vuol dire essere costretti a lavorare per gruppi
o classi aperte, perché un gruppo di alunni deve finire il programma
del terzo anno di materna mentre l'altro può iniziare ad un livello più
avanzato.
I bambini non hanno tutti le stesse modalità di crescita e di apprendimento,
ognuno ha i suoi tempi e così il divario è enorme (potranno iscriversi
i bambini che compiono i 6 anni nell'anno in corso più quelli nati dal
1 gennaio al 31 agosto dell'anno dopo: 12+8=20 mesi di differenza!).
Pensiamo anche
ai bambini del nido inseriti a due anni e mezzo alla materna.
In un momento di cambiamento sociale così forte abbiamo la necessità
di avere un organico fisso anche per gli specialisti, invece i posti in organico
di diritto sono pochi mentre vengono poi aggiunti in organico di fatto e così
coperti da supplenti annuali.
Nella scuola abbiamo anche la necessità dei precari che costituiscono
le nuove leve per il futuro, ma che ora vengono aboliti con i tagli degli organici
(quando sono assenti gli insegnanti non si trova più nessuno per le sostituzioni).
A noi sono stati tagliati 2 posti di lingua straniera e uno di intercultura
e non ci hanno concesso uno dei due posti in più richiesti per il sostegno.
Andiamo verso la mancanza di personale; i nostri progetti, anche quelli già
avviati, rischiano di non potersi concludere.
A noi come insegnanti ha spaventato la modalità del passaggio di informazioni
false e contradditorie su quello che sarà la riforma Moratti, per questo
motivo abbiamo cominciato ad informarci.
Intanto non siamo stati consultati, poi l'utilizzo della legge delega ci toglie di fatto la possibilità di esprimere qualsiasi forma di contestazione.
Abbiamo dovuto metterci a studiare per renderci conto di ciò che stava succedendo e ci stiamo muovendo per ottenere ulteriori risorse a vantaggio della scuola pubblica e non della privata (nella pubblica taglieranno 34.000 posti in tre anni).
Ci ripropongono
il "tempo normale" che oggi non si può più mettere in
atto perché un insegnante non è in grado di svolgere da solo i
nuovi programmi che sono più complessi e articolati.
Ci hanno detto che bloccando la riforma Berlinguer (che non piaceva molto agli
insegnanti, ma era una riforma) tutto sarebbe ritornato come prima, ma è
falso, questa contro-riforma è molto peggio di prima perché lentamente
toglie risorse alla scuola pubblica svuotandola di contenuti e ideali e una
classe docente scontenta lavora malvolentieri e con fatica.
Tolte le risorse potrebbe finire anche quell'entusiasmo che si ha nel creare
nuove attività.
Non dimentichiamoci che in tutto questo non sono gli insegnanti o i genitori
i veri protagonisti della scuola, ma sono i bambini e le bambine, i ragazzi
e le ragazze e ogni scelta DEVE essere pensata in funzione loro, del loro benessere
e della loro crescita.
C'è un grosso
dibattito nel mondo della scuola perché tutti sono rimasti sconvolti
da questa riforma che toglie risorse e pensa di dare più qualità.
Gli insegnanti sono insorti (pare che il 98% dei docenti sia contrario come
risulta dai sondaggi via internet).
Noi abbiamo fondato la Rete di Resistenza in Difesa della Scuola Pubblica, al
di là delle sigle sindacali, proprio per dare voce a questo malcontento
generale che si sta diffondendo in tutta Italia man mano che la gente si informa
e comincia a leggere.
La nostra mailinglist
è nata proprio per favorire il passaggio di informazioni e raccogliere
le voci che ovunque si levano indignate. Non c'è una voce favorevole.
Questa contro-riforma ha scontentato tutti in particolare gli operatori della
scuola che si rendono conto del pericolo e solo uniti ai genitori saranno in
grado di contrastarla.